SENTENZA N. 80
ANNO 2012
Commenti alla
decisione di
I. Concetta Giunta, L’art.
76 Cost. nei giudizi in via d’azione: il Codice del turismo in cerca di delega,
per gentile concessione della Rivista telematica Federalismi
II. Paolo Sabbioni, I
ristretti spazi di autonomia della lesione indiretta delle competenze regionali
per violazione dell’art. 76 Cost., per gentile concessione del Forum di Quaderni Costituzionali
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco GALLO Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo
Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Mario
Rosario MORELLI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 1, del decreto legislativo 23 maggio 2011, n.
79 (Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del
turismo, a norma dell’articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246, nonché
attuazione della direttiva 2008/122/CE, relativa ai contratti di
multiproprietà, contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine,
contratti di rivendita e di scambio), e degli artt. 1, 2, 3, 4, commi 1 e 2, 8,
9, 10, 11, comma 1, 12, 13, 14, 15, 16, 18, 19, 20, comma 2, 21, 23, commi 1 e
2, 24, 30, comma 1, 68 e 69 dell’allegato 1 del citato decreto legislativo,
promossi dalle Regioni Toscana, Puglia, Umbria e Veneto, con ricorsi notificati
il 29 luglio-3 agosto 2011, il 4-12 agosto 2011 e il 5 agosto 2011, depositati
in cancelleria il 5, il 9 e l’11 agosto 2011, ed iscritti, rispettivamente, ai nn. 75, 76, 80 e 82 del registro ricorsi 2011.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 6 marzo 2012 il Giudice
relatore Gaetano Silvestri;
uditi gli avvocati Marcello Cecchetti per le Regioni
Toscana e Puglia, Paola Manuali per la Regione Umbria, Bruno Barel e Luigi Manzi per la Regione Veneto, e l’avvocato
dello Stato Maurizio Borgo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.— Con ricorso spedito per la notifica
il 29 luglio 2011 e depositato il successivo 5 agosto (reg. ric. n. 75 del
2011), la Regione Toscana ha promosso questioni di legittimità costituzionale
dell’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79 (Codice
della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo, a norma
dell’articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246, nonché attuazione della
direttiva 2008/122/CE, relativa ai contratti di multiproprietà, contratti
relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine, contratti di rivendita e
di scambio) e degli artt. 2, comma 2, 8, comma 2, 16, commi 1 e 2, 20, comma 2,
21, commi 1, 2 e 3, 23, commi 1 e 2, e 24 dell’allegato 1 del citato decreto
legislativo, per violazione degli artt. 76, 77, primo comma, 117, terzo e
quarto comma, 118, primo comma, della Costituzione, nonché del principio di
leale collaborazione.
1.1.— L’art. 1, comma 1, del d.lgs. n.
79 del 2011, dispone che «È approvato il codice della normativa statale in tema
di ordinamento e mercato del turismo, di cui all’allegato 1».
Con il citato decreto, secondo la
ricorrente, il Governo avrebbe emanato un nuovo testo normativo, finalizzato a
disciplinare in maniera organica la materia "turismo”, senza coinvolgere
adeguatamente le Regioni. Infatti, a seguito della riforma del Titolo V della
Parte II della Costituzione, la materia in esame, già attribuita alla
competenza legislativa concorrente, è rientrata tra quelle di competenza
residuale delle Regioni, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., sicché lo
Stato non è legittimato a dettare una «legge-quadro» sul turismo, né, a
fortiori, un «codice», inteso come corpo normativo tendenzialmente completo e
organico in una data materia. Lo Stato, osserva la difesa regionale, può
emanare «leggi-quadro» soltanto nelle materie di competenza concorrente e procedere
alla regolamentazione organica, anche nel dettaglio, delle sole materie
attribuite alla sua competenza esclusiva.
In proposito, la ricorrente richiama la
giurisprudenza costituzionale sul riparto di competenze in materia di turismo,
a partire dalla sentenza
n. 197 del 2003, con la quale la Corte ha riconosciuto che, nel nuovo
assetto delineato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al
titolo V della parte seconda della Costituzione), la materia "turismo” è
assegnata alla potestà legislativa residuale regionale.
Nella sentenza citata la Corte
costituzionale ha, tra l’altro, dichiarato inammissibili, per sopravvenuta
carenza di interesse, le questioni aventi ad oggetto la legge 29 marzo 2001, n.
135 (Riforma della legislazione nazionale del turismo), proposte da alcune
Regioni, in quanto le disposizioni statali impugnate non precludevano
l’adozione di apposite normative regionali in materia, né potevano legittimare
futuri interventi statali, invasivi della competenza regionale.
La Regione Toscana prosegue ricordando
come la competenza residuale delle Regioni nella materia in esame sia stata
riaffermata nelle sentenze n. 214 e n. 90 del 2006,
con la precisazione, contenuta nella prima delle pronunce indicate, che lo
Stato può attribuire funzioni legislative al livello centrale e regolarne
l’esercizio, con interventi proporzionati e, in ogni caso, rispettosi del
principio di leale collaborazione. Nel relativo giudizio le Regioni avevano
impugnato, tra l’altro, i commi 2, 3, 4 e 7 dell’art. 12 del decreto-legge 14
marzo 2005, n. 35 (Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo
sviluppo economico, sociale e territoriale), convertito, con modificazioni,
dall’art. 1 della legge 14 maggio 2005, n. 80, con i quali è stata istituita
l’Agenzia nazionale del turismo (in sostituzione dell’ENIT). Queste norme sono
state ritenute dalla Corte costituzionale non lesive del riparto di competenze,
in quanto rispettose dei criteri di proporzionalità e del principio di leale
collaborazione.
Nella specie, osserva la ricorrente, le
competenze regionali erano «fatte salve» dalla previsione, all’art. 12, comma
7, del d.l. n. 35 del 2005, dell’intesa con la Conferenza Stato-Regioni per
l’adozione del regolamento di organizzazione e di disciplina dell’Agenzia.
L’impostazione di fondo delle sentenze
sopra citate avrebbe poi trovato conferma nelle successive sentenze n. 88 del 2007
e n. 76 del 2009.
La Regione Toscana ritiene che la
normativa contenuta nel cosiddetto codice del turismo non sia conforme agli
indicati requisiti. Si assume infatti che lo Stato abbia disciplinato
organicamente l’intera materia del "turismo”, andando quindi ben oltre la
regolamentazione di quei profili per i quali l’attrazione in sussidiarietà
legittimerebbe (o potrebbe legittimare) l’intervento del legislatore statale.
Di qui l’impugnazione per contrasto con
gli artt. 117, quarto comma, e 118, primo comma, Cost.
1.2.— Peraltro, secondo la Regione
ricorrente, la normativa impugnata sarebbe stata adottata in assenza di
specifica delega legislativa. La relativa censura potrebbe essere fatta valere
nel giudizio in via principale in quanto il vizio denunciato si risolverebbe in
una violazione della competenza legislativa residuale regionale in materia di
turismo ex art. 117, quarto comma, Cost.
Ciò premesso in punto di ammissibilità
delle censure riferite ai parametri non attinenti al riparto di competenze, la
ricorrente evidenzia che, per la parte relativa all’approvazione del codice del
turismo, il d.lgs. n. 79 del 2011 richiama le deleghe legislative contenute
nell’art. 14, commi 14, 15 e 18, della legge 28 novembre 2005, n. 246
(Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005), che ha introdotto il
meccanismo semplificatorio conosciuto come "sistema taglia-leggi”.
La difesa regionale procede quindi ad
illustrare il contenuto delle norme richiamate.
L’art. 14 della legge n. 246 del 2005
prevede, al comma 14, la cosiddetta "delega salva-leggi”, scaduta il 16
dicembre 2009, per l’adozione di decreti legislativi che individuino le
disposizioni legislative da sottrarre alla abrogazione generalizzata, disposta
a sua volta dal comma 14-ter, con decorrenza dal 16 dicembre 2010.
Il comma 14 indica, tra gli altri, i
seguenti princìpi e criteri direttivi per l’esercizio della delega: «d)
identificazione delle disposizioni indispensabili per la regolamentazione di
ciascun settore, anche utilizzando a tal fine le procedure di analisi e
verifica dell’impatto della regolazione; e) organizzazione delle disposizioni
da mantenere in vigore per settori omogenei o per materie, secondo il contenuto
precettivo di ciascuna di esse».
Il comma 15 del medesimo art. 14
conferisce al Governo una ulteriore delega, stabilendo che «I decreti
legislativi di cui al comma 14 provvedono altresì alla semplificazione o al
riassetto della materia che ne è oggetto, nel rispetto dei princìpi e criteri
direttivi di cui all’articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive
modificazioni, anche al fine di armonizzare le disposizioni mantenute in vigore
con quelle pubblicate successivamente alla data del 1° gennaio 1970».
Infine, il comma 18 dell’art. 14 prevede
che «Entro due anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di
cui al comma 14, possono essere emanate, con uno o più decreti legislativi,
disposizioni integrative, di riassetto o correttive, esclusivamente nel
rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui al comma 15 e previo parere
della Commissione di cui al comma 19».
La ricorrente segnala che, in attuazione
delle deleghe fin qui richiamate, è stato emanato soltanto il decreto
legislativo 1° dicembre 2009, n. 179 (Disposizioni legislative statali
anteriori al 1° gennaio 1970, di cui si ritiene indispensabile la permanenza in
vigore, a norma dell’articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246),
contenente un articolo e due allegati, nei quali sono individuati, in ordine
cronologico, 2.375 atti legislativi da salvare rispetto alla cosiddetta
"ghigliottina taglia-leggi”, e 861 atti legislativi da sottrarre all’effetto
abrogativo di cui all’art. 2 del decreto-legge 22 dicembre 2008, n. 200 (Misure
urgenti in materia di semplificazione normativa), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1 della legge 18 febbraio 2009, n. 9.
La difesa regionale rileva che il d.lgs.
n. 179 del 2009 ha omesso di organizzare per materie o per settori omogenei le
disposizioni antecedenti al 1970 da sottrarre al meccanismo abrogativo, come
invece previsto dalla delega. Pertanto, sarebbe venuto meno il presupposto
fondamentale delle "deleghe al riassetto” previste dai commi 15 e 18 dell’art.
14 della legge n. 246 del 2005, con la conseguenza che l’impugnato d.lgs. n. 79
del 2011 sarebbe stato emanato in carenza di potere legislativo delegato.
Inoltre, prosegue la ricorrente, la
delega è stata esercitata nonostante l’avvenuta scadenza del termine fissato
nel già richiamato comma 18 dell’art. 14.
L’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 179 del
2009 sarebbe dunque illegittimo, per contrasto con gli artt. 76 e 77, primo
comma, Cost., in quanto il potere legislativo del Governo sarebbe stato
esercitato «in assenza di delega legislativa, al di fuori dell’ambito oggettivo
da questa individuato e, comunque, sulla base di una norma di delega del tutto
priva di oggetto e ormai scaduta e, pertanto, carente anche in relazione alla
fissazione di adeguati princìpi e criteri direttivi per l’esercizio del potere
delegato».
1.3.— La Regione Toscana procede quindi
all’esame delle ulteriori norme impugnate, tutte inserite nell’allegato 1 del
d.lgs. n. 79 del 2011.
1.3.1.— In particolare, è censurato
l’art. 2, comma 2, del suddetto allegato 1, il quale prevede che «L’intervento
legislativo dello Stato in materia di turismo è, altresì, consentito quando
sussistono le seguenti esigenze di carattere unitario: a) valorizzazione,
sviluppo e competitività, a livello interno ed internazionale, del settore
turistico quale fondamentale risorsa del Paese; b) riordino e unitarietà
dell’offerta turistica italiana».
La disposizione impugnata è preceduta
dal comma 1, del seguente tenore: «L’intervento legislativo dello Stato nella
materia del turismo è consentito quando il suo oggetto principale costituisce
esercizio di una autonoma competenza legislativa statale esclusiva o
concorrente».
A parere della ricorrente, la norma di
cui al comma 2 è illegittima in quanto realizza una avocazione da parte dello
Stato delle sole funzioni legislative, senza alcun collegamento o riferimento a
quelle amministrative, con inversione dello schema di chiamata in sussidiarietà
elaborato dalla giurisprudenza costituzionale, ponendosi, quindi, in contrasto
con le regole del riparto di competenze e precisamente con gli artt. 117,
quarto comma, e 118, primo comma, Cost.
Sul punto, la difesa regionale ribadisce
che l’avocazione allo Stato della funzione legislativa in relazione a materie
di potestà concorrente o residuale è ammissibile solo per l’esercizio di
funzioni specifiche e definite, mentre la norma impugnata si limita ad
individuare obiettivi generali, realizzando per questo verso «una generalizzata
ed indefinita avocazione di funzioni legislative spettanti alle Regioni».
1.3.2.— Oggetto di specifica impugnazione
è anche l’art. 8, comma 2, dell’allegato 1, secondo cui «Per attività ricettiva
si intende l’attività diretta alla produzione di servizi per l’ospitalità
esercitata nelle strutture ricettive. Nell’ambito di tale attività rientra
altresì, unitamente alla prestazione del servizio ricettivo, la
somministrazione di alimenti e bevande alle persone alloggiate, ai loro ospiti
ed a coloro che sono ospitati nella struttura ricettiva in occasione di
manifestazioni e convegni organizzati, nonché la fornitura di giornali,
riviste, pellicole per uso fotografico e di registrazione audiovisiva o
strumenti informatici, cartoline e francobolli alle persone alloggiate, nonché
la gestione, ad uso esclusivo di dette persone, attrezzature e strutture a
carattere ricreativo, per le quali è fatta salva la vigente disciplina in
materia di sicurezza. Nella licenza di esercizio di attività ricettiva è
ricompresa anche la licenza per la somministrazione di alimenti e bevande per
le persone non alloggiate nella struttura nonché, nel rispetto dei requisiti
previsti dalla normativa vigente, per le attività legate al benessere della
persona o all’organizzazione congressuale».
Secondo la ricorrente, il suddetto art.
8, comma 2, solo in apparenza si limita a definire l’attività ricettiva,
apportando, in realtà, modifiche sostanziali all’attuale disciplina, in quanto
ricomprende, nella licenza di esercizio dell’attività in parola, la licenza per
la somministrazione di alimenti e bevande anche alle persone non alloggiate.
La ricorrente osserva come, per effetto
della norma censurata, si determini un regime giuridico «incomprensibile»,
applicabile in maniera diversa a seconda che sia svolta esclusivamente
l’attività di somministrazione di alimenti e bevande, ovvero anche quella
ricettiva, giacché soltanto nel primo caso l’attività rimarrebbe assoggettata
alla disciplina dettata in materia di commercio.
In tal modo risulterebbero violate le
competenze regionali in materia di turismo e commercio, attribuite alla
competenza residuale delle Regioni dall’art. 117, quarto comma, Cost.
La difesa regionale richiama la sentenza n. 339 del
2007 della Corte costituzionale, che ha scrutinato disposizioni analoghe a
quella oggi censurata ed ha dichiarato fondate le questioni aventi ad oggetto
l’art. 4, commi 3 e 4, della legge 20 febbraio 2006, n. 96 (Disciplina
dell’agriturismo), concernente la disciplina delle attività agrituristiche.
Nell’occasione, la Corte ha ritenuto che
la disposizione contenuta nel comma 3, in quanto introduttiva di una
presunzione ai fini del riconoscimento di un’attività come agrituristica,
operasse esclusivamente nelle materie agricoltura e turismo, e pertanto fosse
lesiva delle prerogative costituzionali delle Regioni, alle quali le suddette
materie sono attribuite in via residuale.
Allo stesso modo, la disposizione
contenuta nell’art. 4, comma 4, della legge n. 96 del 2006, la quale fissava
una serie di criteri che l’impresa agrituristica avrebbe dovuto rispettare
nella somministrazione di pasti e di bevande, è stata considerata dalla Corte
lesiva delle prerogative regionali, in quanto diretta a disciplinare aspetti
inerenti l’attività agrituristica.
1.3.3.— Gli art. 16, commi 1 e 2, e 21,
commi 1, 2 e 3, dell’allegato 1, prevedono che siano assoggettati a
segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) – come disciplinata
dall’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di
procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti
amministrativi) – rispettivamente l’avvio e l’esercizio delle strutture
turistico-ricettive e l’apertura, il trasferimento e le modificazioni
concernenti l’operatività delle agenzie di viaggi e turismo.
A parere della Regione Toscana, si
tratta di disposizioni con le quali lo Stato è intervenuto su procedimenti
amministrativi relativi alla materia del "turismo”, di competenza residuale
delle Regioni. Sarebbero dunque violati gli artt. 117, quarto comma, e 118,
primo comma, Cost.
È nuovamente richiamata la sentenza n. 339 del
2007, nella quale la Corte costituzionale ha affermato, tra l’altro, che le
norme statali recanti la disciplina del procedimento amministrativo che
consente l’avvio dell’esercizio di un agriturismo, nonché della comunicazione
delle eventuali variazioni dell’attività autorizzata, «attengono unicamente ad
aspetti relativi alla attività agrituristica che, in quanto tali, sono
sottratti alla competenza legislativa dello Stato».
La ricorrente sottolinea come la Corte
costituzionale si sia espressa in termini analoghi nella sentenza n. 76 del
2009, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 194,
della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2008). Nella
pronunzia da ultimo citata, la Corte – dopo aver ribadito che «con riguardo al
settore turistico […] la necessità di un intervento unitario del legislatore
statale nasce dall’esigenza di valorizzare meglio l’attività turistica sul
piano economico interno e internazionale, attraverso misure di varia e
complessa natura, e dalla necessità di ricondurre ad unità la grande varietà
dell’offerta turistica del nostro Paese e di esaltare il rilievo assunto dal
turismo nell’ambito dell’economia nazionale (sentenze n. 88 del 2007
e n. 214 del
2006)» – ha precisato che «una tale disciplina regolamentare è destinata ad
incidere in maniera significativa sulle competenze delle Regioni in materia di
turismo (in particolare introducendo procedure e termini che dovranno essere
osservati anche dalle strutture amministrative regionali)». Pertanto, la Corte
ha ritenuto che la norma impugnata dovesse prevedere «l’incisivo strumento di
leale collaborazione con le Regioni rappresentato dall’intesa con la Conferenza
Stato-Regioni», anziché la mera acquisizione di un parere di quest’ultima.
La difesa della Regione Toscana osserva
come la disposizione oggetto dell’odierno ricorso non preveda alcuna intesa con
le Regioni, donde la violazione del principio di leale collaborazione.
D’altra parte, la disciplina in esame
non sarebbe riconducibile alla materia «tutela della concorrenza», di
competenza esclusiva dello Stato, in quanto essa riguarda essenzialmente il
rapporto tra la pubblica amministrazione e gli operatori privati, non «la
concorrenza tra imprenditori che hanno diritto alla parità di trattamento e ad
agire in un mercato libero senza barriere».
Le disposizioni impugnate nemmeno
potrebbero essere ascritte alla fissazione dei livelli essenziali delle
prestazioni, pure di competenza legislativa esclusiva statale, pena la
configurazione di un titolo «generale» di intervento statale su tutta
l’attività amministrativa regionale e locale.
Nella specie, del resto, non è
predeterminato il livello della prestazione, e il momento in cui l’attività può
essere iniziata non costituisce una prestazione concernente un diritto.
La difesa regionale evidenzia come, una
volta esclusi i due titoli di competenza statale di cui sopra, le disposizioni
impugnate ricadano nella materia "turismo” o al più in quella del "commercio”,
e cioè in materie di potestà legislativa residuale delle Regioni, con
conseguente violazione dell’art. 117, quarto comma, Cost.
1.3.4.— L’art. 20, comma 2, dell’allegato
1 prevede che «l’apertura di filiali, succursali e altri punti vendita di
agenzie già legittimate ad operare non richiede la nomina di un direttore
tecnico per ciascun punto di erogazione del servizio».
In proposito, la ricorrente richiama le
argomentazioni svolte in riferimento agli artt. 16 e 21 dell’allegato 1, tenuto
conto che pure la disposizione contenuta nell’art. 20, comma 2, è volta a
disciplinare i procedimenti amministrativi, «senza che tale disciplina sia
necessitata dall’esercizio di una competenza esclusiva statale».
A ciò conseguirebbe la violazione delle
attribuzioni regionali in materia di turismo e di commercio, e quindi degli
artt. 117, quarto comma, e 118, primo comma, Cost.
1.3.5.— La Regione Toscana impugna anche
l’art. 23, commi 1 e 2, dell’allegato 1, in quanto conterrebbe una previsione
non riconducibile ad un titolo di competenza statale.
Le norme impugnate, infatti, definiscono
i «sistemi turistici locali», prevedendone il riconoscimento da parte delle
Regioni.
Secondo la ricorrente, i commi 1 e 2
dell’art. 23 recherebbero disposizioni di dettaglio in materia di turismo, come
tali lesive del disposto del quarto comma dell’art. 117 Cost. Inoltre, non
sussisterebbero le condizioni per ritenere legittima la chiamata in
sussidiarietà da parte dello Stato, in quanto le disposizioni in esame non
riguardano funzioni e competenze amministrative, bensì contengono prescrizioni
generali, destinate ad essere attuate dalle Regioni e dagli enti locali.
Proprio quest’ultimo assunto dimostrerebbe l’insussistenza della necessità di
avocare allo Stato le funzioni amministrative e quelle legislative in materia.
La difesa regionale ricorda, inoltre,
come la Corte costituzionale abbia ritenuto legittimo il ricorso alla chiamata
in sussidiarietà in materia di turismo a condizione che esistano esigenze
unitarie connesse alla promozione del sistema turistico nazionale, in
particolare nei rapporti con l’estero. Condizione, quest’ultima, che non
sussisterebbe nel caso di specie, trattandosi di azioni per le quali il livello
regionale risulta adeguato.
In ogni caso, precisa la difesa
regionale, la suddetta previsione sarebbe illegittima in quanto non lascia
margini di intervento alle Regioni, che devono soltanto provvedere a
riconoscere le strutture definite dalla legge statale, e ciò in una materia
rimessa alla competenza residuale regionale, anche con riguardo ai rapporti con
gli enti locali.
Risulterebbero dunque violati gli artt.
117, quarto comma, e 118, primo comma, Cost.
1.3.6.— Da ultimo, è impugnato l’art. 24
dell’allegato 1, il quale dispone che «Nel rispetto dell’articolo 9 della
Costituzione e del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, il Presidente del Consiglio dei Ministri o
il Ministro delegato, di concerto con il Ministro per i beni e le attività
culturali, promuove la realizzazione di iniziative turistiche finalizzate ad
incentivare la valorizzazione del patrimonio storico-artistico, archeologico,
architettonico e paesaggistico presente sul territorio italiano, utilizzando le
risorse umane e strumentali disponibili, senza nuovi ed ulteriori oneri per la
finanza pubblica».
La ricorrente osserva come la
disposizione in esame si collochi all’incrocio tra due materie: da un lato, il
turismo, rimesso alla potestà residuale regionale, e, dall’altro lato, la
«valorizzazione dei beni culturali e ambientali», di competenza concorrente.
Al riguardo, la Regione Toscana assume
che l’attività promozionale prevista dalla norma impugnata ben possa essere
svolta a livello regionale, non sussistendo valide ragioni per cui lo Stato
debba operare secondo il meccanismo della chiamata in sussidiarietà. In ogni
caso, la norma impugnata non avrebbe rispettato i requisiti procedimentali
previsti dalla giurisprudenza costituzionale per la legittimità della chiamata
in sussidiarietà; il censurato art. 24 non prevede, infatti, che l’attività
promozionale assegnata allo Stato sia esercitata previa una necessaria intesa
in sede di Conferenza unificata, qualora gli interventi si pongano su un
livello sovraregionale, o direttamente con la Regione interessata, nel caso di
interventi limitati al territorio di quest’ultima.
A tal proposito, la difesa regionale
richiama la sentenza
n. 94 del 2008, nella quale la Corte costituzionale ha sottolineato il
necessario coinvolgimento delle Regioni anche nelle procedure di adozione delle
misure di sostegno al settore turistico.
In definitiva, l’art. 24, incidendo su
profili attinenti alle materie del turismo e della valorizzazione dei beni
culturali, senza prevedere la necessaria intesa con le Regioni, si porrebbe in
contrasto con gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118, primo comma, Cost.,
nonché con il principio di leale collaborazione.
2.— Con ricorso spedito per la notifica
il 4 agosto 2011 e depositato il successivo 5 agosto (reg. ric. n. 76 del
2011), la Regione Puglia ha promosso questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 79 del 2011 e degli artt. 2, comma 2, 8,
comma 2, 16, commi 1 e 2, 20, comma 2, 21, commi 1, 2 e 3, 23, comma 1, e 24
dell’allegato 1 del citato decreto legislativo, per violazione degli artt. 76,
77, primo comma, 117, terzo e quarto comma, e 118, primo comma, Cost.
2.1.— La ricorrente premette che con
l’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 79 del 2011 è stato approvato il «codice della
normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo», contenuto
nell’allegato 1, mentre la rimanente parte del decreto ha modificato ed
integrato il decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del consumo,
a norma dell’articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229), in attuazione
della direttiva 14 gennaio 2009, n. 2008/122/CE (Direttiva del Parlamento
europeo e del Consiglio sulla tutela dei consumatori per quanto riguarda taluni
aspetti dei contratti di multiproprietà, dei contratti relativi ai prodotti per
le vacanze di lungo termine e dei contratti di rivendita e di scambio).
La difesa regionale osserva che, per
questa seconda parte del d.lgs. n. 79 del 2011, estranea al presente ricorso,
il decreto trova il proprio fondamento nella delega legislativa contenuta negli
artt. 1 e 2 e nell’allegato B della legge 4 giugno 2010, n. 96 (Disposizioni
per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle
Comunità europee. Legge comunitaria 2009). Diversamente, per la parte relativa
all’approvazione del cosiddetto codice del turismo, il decreto in questione,
secondo quanto risulta dalla relativa premessa, dovrebbe trovare fondamento
nelle deleghe legislative di cui all’art. 14, commi 14, 15 e 18, della legge n.
246 del 2005, cioè in quelle norme che hanno delineato il complesso meccanismo
semplificatorio, comunemente definito "sistema taglia-leggi”.
Quanto all’iter procedimentale che ha
preceduto l’emanazione del d.lgs. n. 79 del 2011, la Regione Puglia ricorda,
tra l’altro, che sullo schema di decreto la Conferenza unificata ha espresso,
in data 18 novembre 2010, un parere positivo per la parte attuativa della
delega di cui alla legge n. 96 del 2010, e negativo per la parte relativa al
cosiddetto codice del turismo. Il Consiglio di Stato ha, invece, espresso sul
medesimo schema un parere favorevole con condizioni e osservazioni.
2.2.— In primo luogo, la Regione Puglia
impugna l’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 79 del 2011 per violazione degli artt.
76 e 77, primo comma, Cost., in relazione alla lesione delle attribuzioni
spettanti alle Regioni in base agli artt. 117, quarto comma, e 118, primo
comma, Cost.
In particolare, la difesa regionale
rileva che le deleghe contenute nei commi 14 e 15 dell’art. 14 della legge n.
246 del 2005 sono scadute in data 16 dicembre 2009 (e comunque non oltre il 16
marzo 2010, in forza della previsione contenuta nell’ultimo periodo del comma
22 del medesimo art. 14 della legge n. 246 del 2005). Inoltre, sempre secondo
la ricorrente, la delega di cui al comma 14 abilita il Governo alla sola
adozione di decreti meramente ricognitivi delle disposizioni legislative
anteriori al 1970 da mantenere in vigore, sottraendole agli effetti abrogativi
della cosiddetta clausola ghigliottina (è richiamata la sentenza n. 346 del
2010 della Corte costituzionale).
Alla luce di quanto appena riferito, la
ricorrente sostiene che l’unica delega legislativa astrattamente in grado di
fondare il potere del Governo di approvare il codice del turismo è quella
contenuta nel comma 18 del citato art. 14, per la parte relativa all’emanazione
di disposizioni «di riassetto». La suddetta previsione, sostituita dall’art. 13
della legge 4 marzo 2009, n. 15 (Delega al Governo finalizzata
all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e
trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonché disposizioni integrative
delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro e
alla Corte dei conti), stabilisce che «entro due anni dalla data di entrata in
vigore dei decreti legislativi di cui al comma 14, possono essere emanate, con
uno o più decreti legislativi, disposizioni integrative, di riassetto o
correttive, esclusivamente nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui
al comma 15 e previo parere della Commissione di cui al comma 19».
Sarebbe evidente, a parere della Regione
Puglia, che una delega siffatta, limitata al «riassetto» dell’esistente, non
possa abilitare il Governo ad adottare il codice del turismo, come non aveva
mancato di rilevare la Conferenza unificata, nel parere negativo espresso in
data 18 novembre 2010 sullo schema di decreto legislativo, in riferimento alla
parte relativa all’approvazione del suddetto codice.
A ciò conseguirebbe, sempre secondo la
ricorrente, l’illegittimità delle disposizioni impugnate per violazione
dell’art. 77, primo comma, Cost., anche nell’ipotesi in cui si accedesse
all’interpretazione sistematica della normativa contenuta nell’art. 14 della
legge n. 246 del 2005, indicata dal Consiglio di Stato, sezioni riunite prima e
normativa, nel parere 2 marzo 2010, n. 802, adunanza del 13 gennaio 2010.
Il Consiglio di Stato ha ritenuto,
infatti, che la delega al «riassetto», contenuta nel comma 18 del citato art.
14, sia autonoma rispetto a quella integrativo-correttiva pure indicata nel
medesimo comma 18, e che pertanto essa valga sostanzialmente come «proroga» per
un ulteriore biennio della delega al «riassetto» prevista dal comma 15 e già
scaduta il 16 dicembre 2009. Il predetto parere conclude, sul punto, affermando
che «quanto all’oggetto […] della delega esso è e rimane quello previsto
dall’art. 14, comma 15, della legge n. 246 del 2005, e cioè il riassetto della
materia oggetto dei decreti legislativi di cui al comma 14. Si evidenzia, in
questa prospettiva, il legame che unisce la fase di riassetto, da compiersi ai
sensi del nuovo comma 18, con la fase, in precedenza svolta, di identificazione
della disciplina da mantenere in vigore. L’opera di riassetto può, infatti,
essere realizzata per la prima volta nel biennio di cui all’art. 14, comma 18,
ma è comunque sequenzialmente collegata con l’attività svolta nelle fasi
precedenti» (punto 8 del Considerato).
La difesa regionale osserva come anche
siffatta interpretazione non consenta di ritenere il codice del turismo esente
da vizi di costituzionalità relativi al suo procedimento di formazione. Al
riguardo, la Regione Puglia ricorda che l’art. 14 della legge n. 246 del 2005
prevede, al comma 14, la cosiddetta "delega salva-leggi”, scaduta il 16
dicembre 2009, per l’adozione di decreti legislativi recanti l’individuazione
delle disposizioni legislative da sottrarre all’abrogazione generalizzata,
disposta a sua volta dal comma 14-ter, a decorrere dal 16 dicembre 2010.
Il comma 14 indica, tra i princìpi e
criteri direttivi per l’esercizio della delega, quello dell’«organizzazione
delle disposizioni da mantenere in vigore per settori omogenei o per materie,
secondo il contenuto precettivo di ciascuna di esse» (lettera e).
Il successivo comma 15 conferisce al
Governo una ulteriore delega, da esercitare con gli stessi decreti legislativi
di cui al comma 14 (dunque, sempre entro il 16 dicembre 2009), stabilendo che
questi ultimi «provvedono altresì alla semplificazione o al riassetto della
materia che ne è oggetto, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui
all’articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni,
anche al fine di armonizzare le disposizioni mantenute in vigore con quelle
pubblicate successivamente alla data del 1° gennaio 1970».
Secondo la Regione Puglia, il tenore
della disposizione da ultimo richiamata rende palese che la delega al
«riassetto» contenuta nel comma 15 dell’art. 14 non ha un «oggetto definito»,
dovendolo mutuare dai decreti legislativi attuativi della delega cosiddetta
"salva-leggi”, contenuta nel comma 14. Si tratta dunque di una delega con
oggetto indefinito, ma «definibile» attraverso successivi atti normativi.
In base a queste previsioni, dunque,
sarebbe stato possibile per il Governo esercitare la prima delega, prevista nel
comma 14, e in tal modo determinare una pluralità di «oggetti definiti», sui
quali poi esercitare la delega al «riassetto» prevista nel comma 15, o, scaduta
quest’ultima, quella di cui al comma 18, come prospettato dal Consiglio di
Stato.
Tuttavia, prosegue la difesa regionale,
anche ad ammettere la conformità a Costituzione di questa soluzione
ermeneutica, resta il fatto che nulla di tutto ciò si è verificato. Infatti, ad
eccezione del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento
militare), non rilevante in questa sede, l’esercizio delle deleghe previste nei
citati commi 14 e 15 ha condotto all’emanazione del solo d.lgs. n. 179 del 2009
(entrato in vigore il 15 dicembre 2009), il quale contiene due elenchi,
ordinati secondo il criterio cronologico, di atti legislativi da salvare
rispetto alla cosiddetta "ghigliottina taglia-leggi” e di atti legislativi da
sottrarre all’effetto abrogativo di cui all’art. 2 del d.l. n. 200 del 2008.
Il d.lgs. n. 179 del 2009, a parere
della ricorrente, si pone in palese contrasto con il principio della delega di
cui all’art. 14, comma 14, lettera e), della legge n. 246 del 2005, giacché non
contiene alcuna distinzione o organizzazione «per materie» o «per settori
omogenei» delle disposizioni individuate. Inoltre, anche a prescindere dalla
illegittimità costituzionale del d.lgs. n. 179, la mancata organizzazione «per
materie» o «per settori omogenei» delle disposizioni «salvate» dall’abrogazione
generalizzata ha determinato il venir meno del presupposto fondamentale delle
deleghe al «riassetto», contenute nei commi 15 e 18 dell’art. 14 della legge n.
246 del 2005.
A ragionare diversamente, ammettendo
cioè che il comma 18 abbia legittimato il Governo ad emanare decreti
legislativi di riassetto nei due anni successivi all’entrata in vigore del
d.lgs. n. 179 del 2009, e che tale riassetto debba coinvolgere anche le
disposizioni legislative successive al 1° gennaio 1970, si arriverebbe a
teorizzare che il Parlamento abbia conferito al Governo una delega a riformare
l’intero ordinamento legislativo statale senza alcun limite che valga a
definire l’ambito oggettivo dell’intervento.
È chiaro allora, prosegue la ricorrente,
che il canone dell’interpretazione costituzionalmente orientata della
disposizione di cui all’art. 14, comma 18, della legge n. 246 del 2005
restringe il campo a due possibili soluzioni, in grado di evitare
l’illegittimità costituzionale della delega: a) ritenere che la delega al
riassetto presupponga la previa organizzazione delle disposizioni legislative
anteriori al 1° gennaio 1970 per materie o per settori omogenei, così da avere
un «oggetto definito»; b) ritenere che il riassetto (ex commi 15 e 18 dell’art.
14) sia riferito alle sole disposizioni legislative anteriori al 1° gennaio
1970 e fatte salve con il d.lgs. n. 179 del 2009, con la conseguenza che quelle
successive alla predetta data possono essere prese in considerazione soltanto
«al fine di armonizzare» le prime con queste ultime.
Entrambe le soluzioni interpretative,
conclude sul punto la difesa regionale, portano a ritenere palesemente
illegittimo il d.lgs. n. 79 del 2011, nella parte in cui approva il codice del
turismo, per violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, Cost.
Nell’ipotesi sub a), il decreto sarebbe
incostituzionale perché il Governo ha agito in assoluta carenza di potere, non
sussistendo né i presupposti generali della delega al «riassetto», né un’altra
delega avente ad oggetto il riassetto della normativa in tema di ordinamento e
di mercato del turismo.
Nell’ipotesi sub b), l’illegittimità
costituzionale del d.lgs. n. 79 del 2011 deriverebbe dal fatto che il Governo
ha ecceduto i limiti della delega per la parte in cui ha provveduto al
riassetto dell’intera disciplina legislativa statale esistente in materia di
turismo, senza limitarsi alle sole disposizioni anteriori al 1970, mantenute in
vigore dal d.lgs. n. 179 del 2009.
2.2.1.— Qualora gli argomenti finora
svolti non dovessero risultare condivisibili, la Regione Puglia chiede che la
Corte sollevi davanti a se stessa, in riferimento all’art. 76 Cost., la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 18, della legge n.
246 del 2005 in quanto contenente una delega priva di oggetto.
Al riguardo, la difesa regionale rileva
che la delega di cui al comma 18 non potrebbe definirsi ad «oggetto definito»
ove si ritenesse conferita al Governo la potestà di provvedere al riassetto di
tutta la legislazione statale vigente, distinguendola in base al solo «criterio
soggettivo» della struttura amministrativa competente. Se così fosse, secondo
la ricorrente, saremmo in presenza di una «abilitazione take away», rivolta a ciascuna amministrazione dello Stato, a
scegliere liberamente, di volta in volta, i materiali legislativi da
«riassettare», e a confezionare a piacimento la riforma – più o meno organica –
della «propria» legislazione.
Inoltre, la definizione dell’oggetto
della delega al riassetto non potrebbe dedursi dal richiamo, operato dal comma
15 dell’art. 14, ai princìpi e criteri direttivi di cui all’art. 20 della legge
15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e
compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica
Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), non trattandosi di
criteri specifici per una determinata materia.
Per le ragioni anzidette, la ricorrente
insiste affinché la Corte sollevi davanti a se stessa, in riferimento all’art.
76 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 18,
della legge n. 246 del 2005, dall’accoglimento della quale dovrebbe derivare la
declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, del d.lgs.
n. 79 del 2011 e dell’intero allegato 1.
2.2.2.— La ricorrente sostiene che la
propria legittimazione ad evocare parametri estranei al riparto di competenze
tra Stato e Regioni discenda dal fatto che la violazione degli stessi ridonda,
nel caso di specie, nella lesione delle sfere di autonomia riconosciute alle
Regioni dagli artt. 117, quarto comma, e 118, primo comma, Cost. La materia del
"turismo” appartiene infatti alla competenza residuale delle Regioni, come la
Corte costituzionale ha più volte riconosciuto, e la normativa statale oggetto
di impugnazione risulta finalizzata a vincolare le Regioni nell’esercizio di
tale competenza nonché di rilevanti e numerose funzioni amministrative ad esse
spettanti, ai sensi dell’art. 118, primo comma, Cost.
2.3.— In via subordinata, la Regione
Puglia impugna alcune norme del codice del turismo, in quanto invasive delle
competenze legislative o amministrative ad essa costituzionalmente attribuite.
2.3.1.— Preliminarmente, la ricorrente
argomenta sull’inquadramento della materia "turismo” nella competenza residuale
delle Regioni, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., richiamando in
particolare le numerose pronunce della Corte costituzionale, successive alla
riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, che hanno riconosciuto
la competenza regionale in questo ambito (sono richiamate le sentenze n. 197 del 2003,
n. 214 del 2006,
n. 88 del 2007,
n. 339 del 2007,
n. 94 del 2008,
n. 76 del 2009,
n. 16 del 2010).
La stessa ricorrente riconosce,
peraltro, che lo Stato, in taluni casi, è legittimato ad intervenire nella
materia del turismo; ciò avviene in relazione alle materie cosiddette
trasversali, quali la tutela della concorrenza, la determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, il
coordinamento informativo statistico e informatico, ovvero quando talune
funzioni amministrative non possano essere efficacemente svolte a livello
regionale. In questo secondo caso, lo Stato avoca a sé l’esercizio di dette
funzioni amministrative, congiuntamente alle corrispondenti funzioni
legislative, secondo lo schema della cosiddetta chiamata in sussidiarietà.
Anche nella materia del turismo è dunque
possibile che si realizzi tale meccanismo, come la giurisprudenza
costituzionale ha affermato nelle già citate sentenze n. 76 del 2009,
n. 88 del 2007
e n. 214 del
2006, ma ciò deve avvenire secondo lo «statuto» elaborato dalla stessa
Corte costituzionale nelle note sentenze n. 303 del 2003
e n. 6 del 2004
(la ricorrente richiama anche le più recenti sentenze n. 165 e n. 33 del 2011,
n. 278 e n. 121 del 2010).
Infine, lo Stato può disciplinare ambiti
materiali che si pongono in stretta correlazione con quello del turismo o che
hanno una indubbia influenza sulle attività che si riferiscono ad esso, come ad
esempio nel caso delle «professioni» o dell’«ordinamento civile», cui sono
riconducibili, secondo la Regione Puglia, numerose disposizioni del codice del
turismo.
In sostanza, il riconoscimento della
competenza legislativa residuale regionale nella materia del turismo non
esclude la possibilità, per lo Stato, di incidere con proprie discipline
legislative su tale settore o su settori contigui.
Nel caso di specie, però, lo Stato si
sarebbe mosso nella prospettiva della «legge-quadro», e cioè della competenza
concorrente in materia di turismo, esistente prima della riforma costituzionale
del 2001. Pertanto, il cosiddetto codice del turismo sarebbe stato costruito
«con un impianto essenzialmente distonico rispetto all’attuale assetto delle
competenze».
Alla luce di quanto detto, la ricorrente
sostiene che il codice del turismo non sia integralmente incostituzionale, ma
lo sia solo in alcune sue norme, che vengono specificamente censurate.
2.3.2.— La Regione Puglia procede quindi
all’esame delle disposizioni contenute negli artt. 2, comma 2, 8, comma 2, 16,
commi 1 e 2, 20, comma 2, 21, commi 1, 2 e 3, 23, comma 1, e 24 dell’allegato 1
al d.lgs. n. 79 del 2011, e illustra i motivi di censura.
Gli argomenti svolti dalla ricorrente
sono sostanzialmente analoghi a quelli sintetizzati nel punto 1.3 in
riferimento al ricorso della Regione Toscana. Si può pertanto fare rinvio alla
richiamata sintesi.
3.— Con ricorso notificato il 4 agosto
2011 e depositato il successivo 9 agosto (reg. ric. n. 80 del 2011), la Regione
Umbria ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 del
d.lgs. n. 79 del 2011 e, in subordine, degli artt. 2, comma 2, 4, commi 1 e 2,
8, comma 2, 16, commi 1 e 2, 20, comma 2, 21, commi 1, 2 e 3, 23, commi 1 e 2,
24 e 30, comma 1, dell’allegato 1 del citato decreto legislativo, per
violazione degli artt. 76, 77, primo comma, 117, quarto comma, e 118, primo
comma, Cost., e del principio di leale collaborazione.
3.1.— La ricorrente richiama in sintesi
il contenuto del d.lgs. n. 79 del 2011, e, in particolare, dell’art. 1, con il
quale è approvato il «codice della normativa statale in tema di ordinamento e
mercato del turismo, di cui all’allegato 1», e quindi espone i motivi per cui
la normativa in oggetto sarebbe illegittima, in quanto introdotta dal Governo
in assenza di delega legislativa o, in alternativa, sulla base di una delega
priva di oggetto, ovvero scaduta.
Gli argomenti svolti dalla ricorrente
sono sostanzialmente analoghi a quelli sintetizzati nel punto 2 in riferimento
al ricorso della Regione Puglia, a partire dal riepilogo della disciplina della
delega conferita dal Parlamento al Governo con l’art. 14, commi 14, 15 e 18,
della legge n. 246 del 2005, con i relativi aspetti problematici riguardanti
l’interpretazione delle indicate disposizioni.
Si può pertanto fare rinvio alla
richiamata sintesi con la precisazione che, a differenza della Regione Puglia,
l’odierna ricorrente non chiede alla Corte di sollevare davanti a se stessa la
questione di legittimità costituzionale della delega sopra richiamata.
3.2.— La Regione Umbria procede quindi
ad illustrare le censure prospettate, in via subordinata, nei confronti delle
disposizioni contenute negli artt. 2, comma 2, 4, commi 1 e 2, 8, comma 2, 16,
commi 1 e 2, 20, comma 2, 21, commi 1, 2 e 3, 23, commi 1 e 2, 24 e 30, comma
1, dell’allegato 1.
Anche a tale riguardo, la parziale
identità tra gli argomenti svolti dall’odierna ricorrente e quelli prospettati
nei ricorsi delle Regioni Toscana e Puglia suggerisce di rinviare alle sintesi
già svolte nei paragrafi precedenti, evidenziando nel prosieguo soltanto le
ragioni di censura prospettate nei confronti delle norme contenute negli artt.
4, commi 1 e 2, e 30, comma 1, dell’allegato 1, non impugnate né dalla Regione
Toscana né dalla Regione Puglia.
3.2.1.— L’art. 4, comma 1, dell’allegato
1 reca la definizione di impresa turistica, mentre il comma 2 prevede che
«l’iscrizione al registro delle imprese, di cui alla legge 29 dicembre 1993, n.
580 […], ovvero al repertorio delle notizie economiche e amministrative laddove
previsto, costituiscono condizione per usufruire delle agevolazioni, dei
contributi, delle sovvenzioni, degli incentivi e dei benefici di qualsiasi genere
ed a qualsiasi titolo riservate all’impresa turistica».
Secondo la ricorrente la previsione da
ultimo indicata sarebbe lesiva della competenza regionale in materia di
turismo, in quanto condiziona la concessione di benefici economici in favore
delle imprese turistiche alla previa iscrizione delle stesse al registro delle
imprese ovvero al repertorio delle notizie economiche e amministrative.
La violazione dell’art. 117, quarto
comma, Cost. risulterebbe ancor più evidente leggendo il comma 2 in combinato
disposto con il comma 1 dell’art. 4, giacché limiterebbe il potere delle
Regioni di erogare benefici alle sole imprese turistiche che rientrano nella
definizione dettata nel comma 1, peraltro priva di riscontro nella disciplina
del codice civile.
3.2.2.— L’art. 30, comma 1,
dell’allegato 1 prevede che «al fine di aumentare la competitività del settore
e l’offerta dei servizi turistici a favore dei visitatori nazionali ed
internazionali, lo Stato promuove ogni iniziativa volta ad agevolare e favorire
l’accesso ai servizi pubblici e nei luoghi aperti al pubblico dei turisti con
animali domestici al seguito».
La ricorrente osserva come la norma
statale realizzi l’attrazione di funzioni in materia di turismo senza che si
possano scorgere ragioni di carattere unitario tali da giustificare la
significativa deroga alle regole sul riparto di competenza, essendo il livello
regionale del tutto adeguato all’esercizio delle predette funzioni. In ogni
caso, poi, non è stata prevista alcuna forma di intesa con le Regioni, sicché
sarebbe evidente la violazione degli artt. 117, quarto comma, e 118, primo
comma, Cost., e del principio di leale collaborazione.
4.— Con ricorso notificato il 5 agosto
2011 e depositato il successivo 11 agosto (reg. ric. n. 82 del 2011), la Regione
Veneto ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 del
d.lgs. n. 79 del 2011 e degli artt. 1, 2, 3, 8, 9, 10, 11, comma 1, 12, 13, 14,
15, 16, 18, 19, 21, 68 e 69 dell’allegato 1 del citato decreto legislativo, per
violazione degli artt. 76, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost.
4.1.— La ricorrente espone diffusamente
le ragioni dell’impugnativa che investe in via principale l’intera normativa
statale contenuta nell’allegato 1, approvato dall’art. 1 del d.lgs. n. 79 del
2011, e in subordine numerose disposizioni contenute nello stesso allegato.
La censura prospettata in via
principale, finalizzata alla declaratoria di illegittimità costituzionale
dell’intero «codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato
del turismo» di cui all’allegato 1, è formulata in riferimento all’art. 76
Cost.: secondo la Regione Veneto il d.lgs. n. 79 del 2011 sarebbe stato emanato
in assenza di delega, o comunque in violazione della delega sulla quale
dichiara di fondarsi.
In proposito, la ricorrente svolge
argomenti sostanzialmente riconducibili a quelli rappresentati nel ricorso
proposto dalla Regione Puglia, alla cui sintesi si fa rinvio. Ciò vale anche
con riguardo all’istanza formulata affinché la Corte, ove ritenesse legittimo
l’esercizio della delega contenuta nell’art. 14 della legge n. 246 del 2005,
sollevi dinanzi a se stessa la questione di legittimità costituzionale della
normativa di delega, in particolare del citato art. 14, comma 18 (in relazione
ai commi 14 e 15), per violazione degli artt. 76, 117, quarto comma, 118 e 120
Cost.
4.2.— La Regione Veneto impugna altresì
singole disposizioni del cosiddetto codice del turismo, precisando che le
relative censure debbono intendersi comunque estese all’art. 1 del d.lgs. n. 79
del 2011, di approvazione dell’allegato 1.
Gli artt. 1 e 2 di quest’ultimo, dai
quali risulta il dichiarato intento del legislatore statale di adottare una
disciplina organica della materia, senza la previsione della necessaria intesa
con le Regioni, si porrebbero in contrasto con le regole del riparto di
competenza e con il principio di leale collaborazione.
In particolare, il comma 2 dell’art. 2
avrebbe disposto una «generale» avocazione allo Stato della competenza
legislativa in materia di turismo, stante la genericità e indeterminatezza
delle esigenze unitarie ivi rappresentate. Il comma 3 dello stesso art. 2,
invece, risulterebbe equivoco nella parte in cui fa riferimento
all’attribuzione delle funzioni amministrative «esercitate dallo Stato di cui
ai commi 1 e 2». I commi 1 e 2, infatti, non riguardano funzioni amministrative
bensì competenze legislative. Ciò comporta che il citato comma 3, ove
interpretato come inclusivo di tutte le funzioni amministrative riconducibili
alle competenze legislative indicate nei commi procedenti, determina una
significativa compressione delle competenze amministrative regionali in materia
di turismo, in assenza di condizioni che ne giustifichino l’avocazione, e in
attuazione di un «rovesciamento» dello schema della chiamata in sussidiarietà.
Allo stesso modo, il successivo art. 3
del cosiddetto codice del turismo, il quale impone allo Stato il compito di
garantire che le persone con disabilità (motorie, sensoriali e intellettive)
possano fruire dell’offerta turistica, a parità di qualità e senza aggravio di
costi rispetto agli altri fruitori, determina l’avocazione di funzioni
amministrative generiche in assenza di comprovata inadeguatezza delle Regioni
allo svolgimento di tali funzioni. Ne deriverebbe la violazione dell’art. 118,
primo comma, Cost.
La ricorrente impugna gli artt. 8, 9,
10, 12, 13, 14, 15 e 16 del cosiddetto codice del turismo, con i quali sarebbe
stata introdotta una disciplina di dettaglio in assenza di un titolo di
competenza esclusiva statale, e in carenza dei presupposti per la chiamata in
sussidiarietà.
Con gli artt. 8 e 9, le strutture
ricettive sono classificate in modo analitico; l’art. 10 riserva allo Stato la
fissazione di standard qualitativi e istituisce un sistema di rating
associabile alle «stelle» che contrassegnano il livello attribuito agli
esercizi alberghieri; con gli artt. 12, 13 e 14 sono qualificate le strutture
ricettive extralberghiere, all’aperto, e di mero supporto; l’art. 15 riserva
allo Stato la fissazione di standard minimi nazionali dei servizi e delle
dotazioni ai fini della classificazione delle strutture ricettive; l’art. 16
prevede l’applicazione della speciale disciplina dello sportello unico, a fini
di semplificazione degli adempimenti amministrativi.
Le predette disposizioni, si osserva
dalla ricorrente, intervengono sulla materia già regolata dagli articoli da 22
a 43 della legge della Regione Veneto 4 novembre 2002, n. 33 (Testo unico delle
leggi regionali in materia di turismo).
Peraltro, prosegue la difesa regionale,
con riguardo alle funzioni amministrative di classificazione delle strutture
ricettive (art. 13, comma 8), di rilascio della licenza di esercizio (art. 8,
comma 2), e di ricevimento e controllo della SCIA (art. 16), non è prevista
alcuna avocazione delle stesse funzioni ad autorità statali, con la conseguenza
che viene meno la possibile giustificazione dell’intervento statale sul piano
organizzativo, confermandosi l’avocazione della mera competenza legislativa,
per disciplinare «la parte principale della materia del turismo» in
sostituzione delle Regioni.
Le disposizioni impugnate si porrebbero
in contrasto con gli artt. 117, quarto comma, 118 e 120 Cost.; inoltre, nella
parte in cui la definizione dell’attività ricettiva è volta a specificare quali
attività accessorie sono comprese nella relativa licenza di esercizio
(somministrazione di alimenti e bevande, fornitura di generi di varia natura),
potrebbe profilarsi la violazione delle competenze regionali nella materia del
commercio, anch’essa attribuita alla competenza residuale delle Regioni.
La ricorrente procede all’esame
dell’impugnato art. 11, comma 1, del cosiddetto codice del turismo, che prevede
l’obbligo a carico degli operatori turistici di comunicare i prezzi praticati
«secondo quanto disciplinato dalle Regioni e dalle Province autonome di Trento
e di Bolzano».
In tal modo, osserva la difesa
regionale, viene imposto alle Regioni di disciplinare l’obbligo a carico degli
operatori, sul presupposto che le stesse Regioni dispongano del relativo
potere. Ma ciò contrasta con il riparto di competenze stabilito dall’art. 117
Cost. in forza del quale la materia dei prezzi delle strutture ricettive
appartiene alla competenza esclusiva dello Stato, poiché rientra nella generale
competenza statale riguardante il «complesso delle strutture commerciali» (sono
richiamate le sentenze della Corte costituzionale n. 370 e 188 del 1992).
Pertanto, il citato art. 11, comma 1, in
quanto impone alle Regioni un intervento normativo nel settore, si porrebbe in
contrasto con l’art. 117, secondo e quarto comma, Cost.
Gli artt. 18, 19, 20 e 21 del codice in
esame intervengono sulla disciplina del turismo operando la definizione e
classificazione degli operatori (art. 18), imponendo loro l’obbligo di
assicurazione (art. 19), riservando allo Stato la fissazione dei requisiti
professionali dei direttori tecnici (art. 20) e disponendo misure di semplificazione
amministrativa (art. 21).
La difesa regionale evidenzia come,
fatta eccezione per l’art. 20, le predette disposizioni regolino segmenti della
materia disciplinati dalla già richiamata legge regionale n. 33 del 2002, negli
articoli da 62 a 81, in assenza di un titolo di legittimazione dell’intervento
statale.
Quest’ultimo non sarebbe giustificabile
alla stregua della chiamata in sussidiarietà, ai sensi dell’art. 118 Cost.,
giacché non è individuata alcuna funzione amministrativa da avocare allo Stato,
essendo di contro evidente l’avocazione della mera competenza legislativa al
fine di disciplinare la materia in sostituzione delle Regioni; di conseguenza,
le disposizioni contenute negli artt. 18, 19 e 21 si porrebbero in contrasto
con gli artt. 117, quarto comma, 118 e 120 Cost.
Sono quindi esaminati gli impugnati
artt. 68 e 69 del cosiddetto codice del turismo.
L’art. 68 istituisce un servizio di
assistenza al turista ed uno sportello del turista, a cura del Dipartimento per
lo sviluppo e la competitività del turismo, e l’art. 69 configura una procedura
di gestione dei reclami, affidata al medesimo Dipartimento.
L’art. 69, comma 3, prevede che il
Dipartimento comunichi l’esito dell’attività istruttoria svolta a seguito del
reclamo, ma non indica quali provvedimenti possono essere adottati, di modo che
vi sarebbe una «assoluta indeterminatezza quanto al potere demandato alla
pubblica amministrazione», e ciò non consentirebbe di verificare la sussistenza
delle condizioni necessarie per realizzare l’avocazione allo Stato di funzioni
amministrative in via di sussidiarietà, ai sensi dell’art. 118 e nel rispetto
dell’art. 120 Cost.
Inoltre, poiché l’art. 69, comma 4,
rimanda ad un regolamento la definizione dei provvedimenti sanzionatori a carico
degli operatori turistici, sarebbe violato, oltre al principio di legalità,
anche l’art. 117, sesto comma, Cost. che riserva allo Stato la potestà
regolamentare nelle sole materie di competenza esclusiva.
La ricorrente segnala, ancora, il
mancato coinvolgimento delle Regioni nella gestione dei reclami, in violazione
del principio di leale collaborazione.
La stessa ricorrente sottolinea, infine,
come l’attribuzione di nuove funzioni ad una struttura amministrativa
governativa, qual è il Dipartimento per lo sviluppo e la competitività del
turismo, nonostante l’abrogazione della legge istitutiva del Ministero del
turismo (legge 31 luglio 1959, n. 617, recante «Istituzione del Ministero del
turismo e dello spettacolo») a seguito del referendum svoltosi il 18 aprile
1993, renda «se possibile ancor più evidente la generale finalità del Governo
di riappropriarsi di competenze e funzioni nella materia del turismo,
nonostante la scelta contraria compiuta dal legislatore costituzionale».
5.— Il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è
costituito in ciascuno dei giudizi chiedendo che le questioni prospettate siano
dichiarate inammissibili e/o infondate.
La difesa statale svolge argomentazioni
analoghe in tutti gli atti di costituzione, che, pertanto, possono essere
esaminati congiuntamente.
5.1.— Con riferimento alle questioni
promosse dalle Regioni Toscana (reg. ric. n. 75 del 2011) e Puglia (reg. ric.
n. 76 del 2011), aventi ad oggetto l’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 79 del
2011, la difesa statale preliminarmente eccepisce l’inammissibilità dei
relativi ricorsi, sul rilievo della mancata indicazione dei parametri evocati –
gli artt. 117, quarto comma, e 118, primo comma, Cost. – nelle rispettive
delibere regionali con le quali è stata autorizzata la proposizione dei
ricorsi.
Analoga eccezione è formulata con
riferimento alle questioni promosse dalla Regione Veneto (reg. ric. n. 82 del
2011), aventi ad oggetto sia l’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 79 del 2011, sia
le disposizioni di cui agli artt. 1, 2, 3, 8, 9, 10, 11, comma 1, 12, 13, 14,
15, 16, 18, 19, 21, 68 e 69 dell’allegato 1 al predetto decreto. Anche in
questo caso, secondo l’Avvocatura dello Stato, la delibera regionale di
autorizzazione alla proposizione del ricorso non conterrebbe l’indicazione dei
parametri.
Ancora in via preliminare, in
riferimento alle questioni promosse dalle Regioni Toscana (ric. n. 75 del
2011), Puglia (ric. n. 76 del 2011) e Umbria (ric. n. 80 del 2011), la difesa
statale eccepisce l’inammissibilità del primo motivo di ricorso nella parte in
cui è richiamato il parametro, asseritamente
inconferente, dell’art. 77, primo comma, Cost., a fronte dell’impugnazione di
un decreto legislativo adottato sulla base di una delega del Parlamento.
5.2.— Quanto al merito, la difesa
statale contesta l’affermazione delle ricorrenti secondo cui il codice del
turismo sarebbe stato adottato senza alcun coinvolgimento delle Regioni. A tal
proposito, l’Avvocatura generale ricorda che lo schema del decreto legislativo
è stato sottoposto al parere della Conferenza unificata nella seduta del 18
novembre 2010.
In relazione all’asserita violazione
delle competenze regionali in materia di turismo, il resistente non nega che, a
seguito della riforma costituzionale del 2001, le Regioni abbiano acquisito una
competenza legislativa residuale in materia, ma precisa come non sia venuto
meno il carattere vincolante di alcuni limiti derivanti dalla legislazione
statale (ad esempio, il rispetto delle norme di diritto privato, di diritto
penale e di diritto processuale). A ciò si aggiungano i rilevanti
condizionamenti che possono derivare dall’intervento legislativo statale in
altre materie affidate espressamente alla sua competenza, esclusiva o concorrente
(ad esempio, in tema di tutela della concorrenza, di tutela dell’ambiente e di
governo del territorio).
In particolare, la difesa statale
evidenzia come, in virtù della giurisprudenza della Corte costituzionale, non
possano ricondursi all’ambito materiale del turismo le normative in tema di
professioni turistiche (sentenze n. 132 del 2010,
n. 271 del 2009,
n. 222 del 2008
e n. 459 del
2005), di rapporti civilistici (sentenza n. 369 del
2008), di canoni d’uso per le concessioni dei beni demaniali marittimi
(sentenze n. 180
del 2010, n.
94 del 2008 e n.
88 del 2007), di diritti aeroportuali (sentenza n. 51 del
2008), di bevande ed alimenti trattati e somministrati nelle aziende di
agriturismo (sentenza
n. 339 del 2007).
Da ultimo, l’Avvocatura generale ricorda
la giurisprudenza della Corte costituzionale che ha riconosciuto la possibilità
per la legge statale di attribuire funzioni amministrative al livello centrale
e di regolarne l’esercizio in base ai princìpi di sussidiarietà, adeguatezza e
differenziazione, pur in presenza di determinate condizioni. Al riguardo, sono
richiamate le pronunzie nelle quali è stata ritenuta «attratta in
sussidiarietà» la funzione legislativa in relazione a funzioni amministrative
esercitate dallo Stato nella materia del turismo (sentenze n. 76 del 2009,
n. 94 del 2008,
n. 339 del 2007,
n. 88 del 2007
e n. 214 del
2006).
A questo proposito, il resistente
ritiene che l’«atteggiamento di prudenza», tenuto dalla Corte costituzionale nel
riconoscere i nuovi spazi di autonomia regionale in materia di turismo, sia
dovuto alla necessità di bilanciare le opposte esigenze di una più decisa
regionalizzazione della materia del turismo e di un nuovo accentramento delle
competenze.
Alla luce delle considerazioni di cui
sopra, la difesa statale ritiene che il codice del turismo sia rispettoso dei
princìpi di ragionevolezza, di adeguatezza e di leale collaborazione, cui è
subordinata la chiamata in sussidiarietà.
5.3.— Quanto all’asserita carenza di
delega, l’Avvocatura generale dello Stato eccepisce, innanzitutto,
l’inammissibilità della relativa censura, trattandosi di vizio che non
ridonderebbe sulle competenze legislative delle Regioni.
Nel merito, la violazione dell’art. 76
Cost. sarebbe del tutto insussistente; al riguardo, la difesa statale ritiene
sufficiente richiamare il parere del Consiglio di Stato, sezioni riunite prima
e normativa, 2 marzo 2010, n. 802, adunanza del 13 gennaio 2010. In
particolare, il suddetto parere consentirebbe di superare i rilievi mossi dalle
ricorrenti in relazione sia all’assenza di specifica delega, sia all’avvenuta
scadenza del termine per l’esercizio della delega conferita con il comma 18
dell’art. 14 della legge n. 246 del 2005.
5.4.— Passando alle censure mosse alle
singole norme del cosiddetto codice del turismo, l’art. 1 dell’allegato 1 non
presenterebbe gli asseriti profili di illegittimità costituzionale, in quanto
si tratterebbe di una norma avente la chiara finalità di operare il
coordinamento sistematico delle plurime e frammentarie disposizioni normative
vigenti nel settore.
In riferimento alle questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 2 del codice, il resistente ritiene che la
necessità di un intervento unitario del legislatore statale sia facilmente
desumibile dal tenore letterale della disposizione censurata, che avrebbe
ripreso talune affermazioni contenute nella giurisprudenza della Corte
costituzionale (sono richiamate le sentenze n. 76 del 2009,
n. 88 del 2007
e n. 214 del
2006).
La questione di legittimità
costituzionale dell’art. 3, comma 1, del codice non sarebbe fondata poiché la
norma in esame avrebbe carattere programmatico e, comunque, prevedrebbe il
coinvolgimento delle autonomie locali.
La difesa statale contesta le censure
mosse all’art. 4, commi 1 e 2, del codice, osservando che la norma in parola si
limita a riprendere e rielaborare la definizione di impresa turistica di cui
all’art. 7 della legge n. 135 del 2001. Al riguardo, il resistente precisa che
l’attività turistica può essere esercitata anche da chi non è imprenditore ai
sensi del codice civile e, pertanto, la natura turistica dell’attività non vale
a qualificare l’impresa come definita dal codice civile. La nozione di impresa
turistica prevista nella norma oggetto di censura varrebbe soltanto ai fini
della normativa pubblicistica.
Il comma 2 dell’art. 4 avrebbe corretto
l’«imprecisione» contenuta nell’art. 7, comma 3, della legge n. 135 del 2001,
che considerava l’iscrizione nel registro delle imprese «condizione per
l’esercizio dell’attività turistica», sicché l’iscrizione nel registro delle
imprese è da reputarsi condizione, non già per l’esercizio di attività
commerciale del turismo, bensì per accedere ai finanziamenti ed alle
provvidenze previste dalla legislazione speciale.
In forza delle considerazioni di cui
sopra, le norme di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 4 sarebbero riconducibili alla
competenza statale «sia in termini privatistici, sotto il profilo della
definizione della nozione di impresa turistica, sia in termini pubblicistici
rispetto agli ambiti materiali concernenti la sicurezza, l’ordine pubblico,
nonché la tutela della concorrenza e dei soggetti fruitori dell’attività di
impresa in questione».
Quanto all’art. 8, comma 2, del codice
del turismo, l’Avvocatura generale ne rinviene la ratio nella necessità di
uniformare e coordinare l’offerta turistica nel territorio nazionale e di
garantire, allo stesso tempo, livelli adeguati di tutela del turista e di
concorrenza tra gli operatori del mercato.
Sarebbe pertanto insussistente
l’asserita violazione delle competenze regionali in materia di turismo e di
commercio.
Con riferimento all’impugnativa
dell’art. 11, comma 1, del codice, il resistente confuta le argomentazioni
spese dalla Regione Veneto, la quale si duole del fatto che sia stato imposto
alle Regioni di disciplinare l’obbligo degli operatori turistici di comunicare
i prezzi praticati alla clientela. Al riguardo, la difesa statale rileva come
l’art. 11, comma 1, si limiti a fare salvo quanto stabilito dalla legge 25
agosto 1991, n. 284 (Liberalizzazione dei prezzi del settore turistico e
interventi di sostegno alle imprese turistiche).
Sarebbero infondate anche le questioni
promosse nei confronti degli artt. 16, commi 1 e 2, e 21, commi 1, 2 e 3, del
codice. Secondo la difesa statale, tali disposizioni sono volte a garantire il
diritto di iniziativa economica privata, sancito dall’art. 41 Cost., la tutela
della concorrenza delle imprese turistico-ricettive ed i livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, di cui all’art. 117,
secondo comma, lettere e) ed m), Cost., in adempimento della direttiva 12
dicembre 2006, n. 2006/123/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
relativa ai servizi nel mercato interno) e dell’art. 83 del decreto legislativo
26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai
servizi nel mercato interno).
In particolare, l’intervento del
legislatore statale sarebbe volto a realizzare «economie di scala ed un
contenimento dei costi di gestione delle imprese operanti nel settore»,
attraverso la predisposizione di una disciplina recante «procedure
acceleratorie e di semplificazione». Lo strumento utilizzato per il
perseguimento di questi fini sarebbe quello della segnalazione certificata di
inizio attività (SCIA); istituto, che – secondo quanto stabilisce l’art. 49 del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122 –
attiene alla tutela della concorrenza e costituisce livello essenziale delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.
Da ultimo, il resistente osserva come
l’introduzione di strumenti di semplificazione sia richiesta dalla stessa legge
di delega attraverso il richiamo dei princìpi e criteri direttivi di cui
all’art. 20 della legge n. 59 del 1997.
In relazione alle censure che la Regione
Veneto muove agli artt. 8, 9, 10, 12, 13, 14, 15 e 16, il Presidente del Consiglio
dei ministri, preliminarmente, eccepisce l’inammissibilità delle relative
questioni per la manifesta genericità della motivazione, in quanto la
ricorrente avrebbe denunciato, in modo del tutto indistinto, l’illegittimità
costituzionale delle anzidette disposizioni, alcune delle quali composte da più
commi.
Nel merito, nessuna delle norme indicate
presenterebbe vizi di costituzionalità.
L’art. 8 si limiterebbe a uniformare la
classificazione e la definizione di strutture ricettive operanti sul territorio
nazionale.
L’art. 9 avrebbe la medesima ratio
dell’art. 8 e definirebbe le strutture ricettive alberghiere e paralberghiere.
L’art. 10 richiamerebbe il procedimento
seguito in relazione alla disciplina approvata in sede di Conferenza unificata
e contenuta nel decreto ministeriale 21 ottobre 2008 (Definizione delle
tipologie dei servizi forniti dalle imprese turistiche nell’ambito
dell’armonizzazione della classificazione alberghiera), mediante il quale lo
Stato ha proceduto all’identificazione di standard nazionali per le imprese
turistico-alberghiere. Al riguardo, l’Avvocatura generale osserva che le
Regioni, già nella formulazione originaria dell’art. 117 Cost., erano
competenti a dettare regole in materia di classificazione delle strutture ricettive,
nel rispetto dei princìpi fondamentali stabiliti dalla legge 17 maggio 1983, n.
217 (Legge quadro per il turismo e interventi per il potenziamento e la
qualificazione dell’offerta turistica).
La trasformazione della competenza
regionale da concorrente in esclusiva, a seguito della riforma costituzionale
del 2001, non avrebbe escluso l’intervento statale, finalizzato a tutelare sia
la concorrenza tra strutture ricettive, sia il consumatore.
In particolare, l’art. 10, comma 3, del
codice sarebbe volto ad attuare la disciplina di cui agli artt. 6 e 7 del
citato d.m. 21 ottobre 2008.
In merito alle censure mosse all’art.
16, la difesa statale contesta le affermazioni della ricorrente in base agli
argomenti indicati poco sopra.
Per quanto invece attiene alle questioni
di legittimità costituzionale degli artt. 18, 19 e 21 del codice, l’Avvocatura
generale, dopo aver richiamato la normativa statale, regionale e dell’Unione
europea, vigente in materia di agenzie di viaggio e turismo, sottolinea come
l’intervento legislativo contestato si muova nella prospettiva di uniformare la
disciplina in materia, introducendo la SCIA in tutte le Regioni allo scopo di
evitare distorsioni della concorrenza determinate dalla previsione di
differenti discipline regionali. Ciò sarebbe in linea con quanto prescritto,
tra l’altro, dalla direttiva n. 2006/123/CE, nel cui ambito di applicazione
rientrano anche i servizi relativi alle agenzie di viaggio (punto 33 della
premessa).
Infine, il censurato intervento statale
di semplificazione amministrativa si sarebbe reso necessario anche alla luce di
una segnalazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che ha
evidenziato le possibili distorsioni della concorrenza determinate dalla
disciplina recata dalla legislazione regionale e provinciale in materia di
autorizzazione all’apertura delle agenzie di viaggi e turismo.
La questione di legittimità
costituzionale dell’art. 20, comma 2, sarebbe infondata sia perché tale comma
dispone la previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni, sia perché esso
recepirebbe quanto affermato dalla Corte costituzionale in tema di apertura di
filiali, succursali e altri punti vendita di agenzie già legittimate ad operare
(sono richiamate le sentenze n. 362 del 1998
e n. 375 del
2003).
In merito all’art. 23 del codice,
l’Avvocatura generale rileva come la nozione di sistemi turistici locali sia
stata ripresa dall’art. 5 della legge n. 135 del 2001 e non sia affatto
vincolante per la legislazione regionale. Pertanto, le Regioni godrebbero della
«massima autonomia sia nell’identificazione delle linee di indirizzo cui i
sistemi dovranno attenersi nella loro azione, sia nella determinazione delle
modalità e della misura dei finanziamenti ai progetti presentati a tali
articolazioni organizzative».
Da quanto appena detto deriva la
conclusione per cui la «trasposizione», nel censurato art. 23, del riferimento
ai sistemi turistici locali, già contenuto nell’art. 5 della legge n. 135 del
2001, sarebbe avvenuta nel pieno rispetto dei limiti della competenza statale
in materia di turismo.
Quanto all’art. 24 del codice, la
relativa questione dovrebbe essere rigettata perché spetta allo Stato la
competenza in materia di promozione unitaria del settore turistico, «quale bene
indispensabile per il rilancio dell’economia nazionale e prodotto di
comunicazione nazionale ed internazionale».
Da ultimo, il resistente contesta che,
con gli artt. 68 e 69 del codice, lo Stato abbia voluto riappropriarsi di
competenze e funzioni spettanti alle Regioni.
6.— In prossimità dell’udienza, le
Regioni Toscana, Puglia e Veneto hanno depositato memorie nelle quali
contestano quanto affermato dalla difesa statale ed insistono nelle conclusioni
già rassegnate nei rispettivi ricorsi.
Considerato in diritto
1.— Le Regioni Toscana (reg. ric. n. 75
del 2011), Puglia (reg. ric. n. 76 del 2011), Umbria (reg. ric. n. 80 del 2011)
e Veneto (reg. ric. n. 82 del 2011) hanno promosso questioni di legittimità
costituzionale dell’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 23 maggio
2011, n. 79 (Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato
del turismo, a norma dell’articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246,
nonché attuazione della direttiva 2008/122/CE, relativa ai contratti di
multiproprietà, contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine,
contratti di rivendita e di scambio) e degli artt. 1, 2, 3, 4, commi 1 e 2, 8,
9, 10, 11, comma 1, 12, 13, 14, 15, 16, 18, 19, 20, comma 2, 21, 23, commi 1 e
2, 24, 30, comma 1, 68 e 69 dell’allegato 1 del citato decreto legislativo, per
violazione degli artt. 76, 77, primo comma, 114, 117, terzo e quarto comma,
118, primo comma, 119 e 120 della Costituzione, nonché del principio di leale
collaborazione.
I giudizi, in considerazione della loro
connessione oggettiva, devono essere riuniti, per essere decisi con un’unica
pronuncia.
2.— Preliminarmente, questa Corte deve
delimitare l’oggetto delle questioni promosse.
Il d.lgs. n. 79 del 2011 si compone di
quattro articoli e di un allegato (previsto dall’art. 1).
L’art. 1 (composto di un solo comma)
dispone l’approvazione del «codice della normativa statale in tema di
ordinamento e mercato del turismo», contenuto nell’allegato 1.
Il successivo art. 2 reca, invece,
modifiche al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del consumo,
a norma dell’articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229), in attuazione
della direttiva 14 gennaio 2009, n. 2008/122/CE (Direttiva del Parlamento
europeo e del Consiglio sulla tutela dei consumatori per quanto riguarda taluni
aspetti dei contratti di multiproprietà, dei contratti relativi ai prodotti per
le vacanze di lungo termine e dei contratti di rivendita e di scambio).
L’art. 3 del d.lgs. n. 79 contiene
l’elenco delle leggi e degli atti aventi forza di legge abrogati a seguito
dell’entrata in vigore dello stesso decreto legislativo, mentre il successivo
art. 4 reca alcune disposizioni finanziarie.
Infine, l’allegato 1 contiene il «codice
della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo», che si
compone di 69 articoli.
Dunque, con il d.lgs. n. 79 del 2011 il
legislatore delegato ha inteso esercitare due deleghe distinte e separate: la
prima, prevista dall’art. 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246
(Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005), in virtù della quale è
stato approvato il codice del turismo (art. 1, comma 1, e allegato 1 del
decreto); la seconda, che non viene in rilievo in questa sede, contenuta negli
artt. 1 e 2 e nell’allegato B della legge 4 giugno 2010, n. 96 (Disposizioni
per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle
Comunità europee. Legge comunitaria 2009), in forza della quale sono state
apportate modifiche al codice del consumo di cui al d.lgs. n. 206 del 2005
(art. 2 del d.lgs. n. 79 del 2011).
Le odierne ricorrenti impugnano il solo art.
1 del d.lgs. n. 79 del 2011 e gli artt. 1, 2, 3, 4, commi 1 e 2, 8, 9, 10, 11,
comma 1, 12, 13, 14, 15, 16, 18, 19, 20, comma 2, 21, 23, commi 1 e 2, 24, 30,
comma 1, 68 e 69 dell’allegato 1, che, come già detto, è approvato mediante
l’art. 1 del decreto. Non sono impugnate, invece, le ulteriori norme del
decreto medesimo.
3.— Le Regioni ricorrenti muovono, nei
confronti delle norme sopra indicate, due ordini di censure: innanzitutto, è
impugnato l’art. 1, comma 1, del decreto, e di riflesso l’allegato 1, ivi
richiamato, per violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, Cost., in
relazione alle attribuzioni regionali di cui agli artt. 117 e 118 Cost.; in
secondo luogo, sono impugnate singole norme contenute nell’allegato 1, perché
ritenute lesive delle competenze delle Regioni.
Nel caso di specie, si deve ribadire
quanto più volte affermato da questa Corte a proposito della «pregiudizialità
logico-giuridica» delle censure riferite all’art. 76 Cost., «giacché esse
investono il corretto esercizio della funzione legislativa e, quindi, la loro
eventuale fondatezza eliderebbe in radice ogni questione in ordine al contenuto
precettivo della norma in esame» (ex plurimis, sentenza n. 293 del
2010).
Pertanto, devono essere esaminate in
primo luogo le questioni di legittimità costituzionale prospettate in relazione
agli artt. 76 e 77, primo comma, Cost.
4.— Prima di esaminare il merito delle
suddette questioni, peraltro, occorre soffermarsi sulle eccezioni di
inammissibilità sollevate dall’Avvocatura generale dello Stato con specifico
riguardo all’asserita violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, Cost.
4.1.— Innanzitutto, la difesa statale
rileva come nelle delibere delle Giunte regionali della Toscana e della Puglia,
con le quali è stata disposta l’autorizzazione a proporre i relativi ricorsi,
non siano indicati, fra i parametri evocati, gli artt. 117, quarto comma, e
118, primo comma, Cost., in relazione alla censura promossa nei confronti dell’art.
1, comma 1, del d.lgs. n. 79 del 2011.
In realtà, limitatamente al ricorso
della Regione Toscana, la lamentata carenza della delibera della Giunta
regionale è smentita, in fatto, dal tenore della suddetta delibera, la quale
reca chiaramente – in relazione alla censura proposta nei confronti dell’art.
1, comma 1, del d.lgs. n. 79 – l’indicazione sia degli artt. 76 e 77, primo
comma, Cost., sia degli artt. 117, quarto comma, e 118, primo comma, Cost.,
oltre ad una sintetica motivazione circa la violazione degli anzidetti
parametri.
In ogni caso, con specifico riguardo al
ricorso della Regione Puglia, l’asserita lacunosità della delibera regionale
attiene alle norme costituzionali richiamate dalla ricorrente per dimostrare la
ridondanza della violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, Cost. sulle
proprie attribuzioni e non incide pertanto sull’indicazione dei parametri
costituzionali direttamente violati.
In via generale, questa Corte ha
chiarito che l’indicazione dei parametri evocati si rende necessaria solo
quando siano impugnate «intere leggi dal contenuto non omogeneo»; in questi
casi, infatti, «una sintetica motivazione», in relazione ai singoli parametri
che si assumono violati, è necessaria per «ricostruire quali specifiche norme
l’organo consiliare abbia inteso effettivamente censurare, tra le molte che
compongono, senza omogeneità, l’intero testo normativo oggetto
dell’impugnazione» (sentenza n. 98 del
2007).
L’eccezione di inammissibilità deve
essere pertanto rigettata.
4.2.— L’Avvocatura generale dello Stato
formula un’eccezione analoga a quella appena esaminata anche con riferimento al
ricorso della Regione Veneto, in quanto la relativa delibera della Giunta
regionale conterrebbe l’elenco delle disposizioni censurate e dei parametri
evocati, senza l’indicazione delle ragioni di censura.
Al riguardo, possono valere le
considerazioni svolte nel punto precedente. In particolare, si deve ribadire
come questa Corte abbia precisato che l’onere di una «sintetica motivazione»
grava sull’organo politico, che autorizza la proposizione del ricorso, solo
quando siano impugnate «intere leggi dal contenuto non omogeneo», ipotesi,
questa, che non ricorre nel caso di specie, trattandosi piuttosto di una
raccolta della normativa statale pertinente ad un unico settore.
Pertanto, anche siffatta eccezione di
inammissibilità non è fondata.
4.3.— Un ulteriore profilo di
inammissibilità dei ricorsi delle Regioni Toscana, Puglia e Umbria – sempre in
relazione alla censura per eccesso di delega – risiederebbe, secondo
l’Avvocatura generale dello Stato, nell’aver evocato «in modo del tutto
inconferente», fra i parametri costituzionali, l’art. 77, primo comma, Cost.
Tale norma, com’è noto, stabilisce che
«Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che
abbiano valore di legge ordinaria». A parere della difesa statale, quest’ultima
sarebbe un’ipotesi «che non ricorre nel caso di specie, avendo, il ricorso che
ci occupa, ad oggetto un decreto legislativo, adottato sulla base di una delega
del Parlamento».
L’eccezione deve essere respinta. Negli
odierni giudizi, infatti, è contestata l’esistenza stessa di una apposita
delega per il cosiddetto codice del turismo; pertanto, non può mettersi in
dubbio la correttezza dell’evocazione, come parametri costituzionali asseritamente violati, degli artt. 76 e 77, primo comma,
Cost.
4.4.— Un ultimo profilo di
inammissibilità attiene alla ridondanza, sulle attribuzioni costituzionali delle
Regioni, delle questioni prospettate in relazione agli artt. 76 e 77, primo
comma, Cost.
Ancora di recente (sentenza n. 22 del
2012), questa Corte ha motivato la ridondanza di una questione prospettata
in relazione all’art. 77, secondo comma, Cost., sull’assunto che la violazione
denunciata risultava «potenzialmente idonea a determinare una lesione delle
attribuzioni costituzionali delle Regioni», incidendo le norme impugnate su un
ambito materiale di potestà legislativa concorrente (in particolare, si
trattava della materia «protezione civile»).
Negli odierni giudizi questa Corte è
chiamata a valutare la ridondanza, sulle attribuzioni costituzionali delle
Regioni, delle questioni di legittimità costituzionale proposte per violazione
degli artt. 76 e 77, primo comma, Cost., ed aventi ad oggetto un intero corpus
normativo (il cosiddetto codice del turismo), che sicuramente incide, in misura
prevalente, sugli ambiti materiali di competenza esclusiva regionale in tema di
turismo e di commercio, ma che interferisce pure con ambiti rimessi alla
competenza esclusiva dello Stato (ad esempio, con la materia «ordinamento
civile»: sul punto, sentenza n. 369 del
2008).
Al riguardo, questa Corte ha altresì
precisato che la competenza legislativa residuale delle Regioni in materia di
turismo non esclude la legittimità di un intervento legislativo dello Stato
volto a disciplinare l’esercizio unitario di determinate funzioni
amministrative nella stessa materia (ex plurimis, sentenze n. 76 e n. 13 del 2009,
n. 94 del 2008,
n. 339 e n. 88 del 2007,
n. 214 del 2006).
Alla luce di tali considerazioni,
risulta evidente come la valutazione della ridondanza, sulle attribuzioni
regionali, delle censure proposte ai sensi degli artt. 76 e 77, primo comma,
Cost., debba essere effettuata in relazione alle specifiche norme del
cosiddetto codice del turismo, impugnate dalle odierne ricorrenti, e non
rispetto all’intero corpus normativo di cui all’allegato 1 del d.lgs. n. 79 del
2011.
Pertanto, l’ammissibilità delle
questioni poste in relazione agli artt. 76 e 77, primo comma, Cost. deve essere
valutata individuando preliminarmente gli ambiti materiali su cui incidono le
singole norme impugnate. Di conseguenza, la stessa verifica della legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 79 del 2011 deve essere
compiuta – in relazione agli artt. 76 e 77, primo comma, Cost. – non sulla
disposizione in sé e per sé, ma avendo riguardo alle singole censure basate
sull’asserita carenza di delega, considerate alla luce della loro specifica
ridondanza su competenze legislative costituzionalmente garantite delle
Regioni.
5.— La questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 79 del 2011, sollevata da
tutte le ricorrenti per violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, Cost., è
ammissibile e fondata nei termini e nei limiti di seguito precisati.
5.1.— L’esame delle censure prospettate
in riferimento agli artt. 76 e 77, primo comma, Cost. deve essere preceduto
dalla ricostruzione del quadro normativo in cui si inserisce la delega attuata
con l’art. 1 del decreto legislativo in esame.
Il comma 12 dell’art. 14 della legge n.
246 del 2005 stabiliva che il Governo individuasse, entro il termine del 16
dicembre 2007, le disposizioni legislative statali vigenti, «evidenziando le
incongruenze e le antinomie normative relative ai diversi settori legislativi»
e trasmettendo una relazione finale al Parlamento.
Il successivo comma 14 – nel testo
modificato dalla legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo
economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo
civile) – ha delegato il Governo ad adottare, entro il 16 dicembre 2009,
decreti legislativi che indicassero, tra le disposizioni legislative statali
pubblicate prima del 1° gennaio 1970, quelle di cui si ritenesse indispensabile
la permanenza in vigore. Fra i princìpi e criteri direttivi della suddetta
delega rileva, ai fini del presente giudizio, quello riportato alla lettera e):
«organizzazione delle disposizioni da mantenere in vigore per settori omogenei
o per materie, secondo il contenuto precettivo di ciascuna di esse».
Il comma 14-ter ha stabilito che,
«decorso un anno dalla scadenza del termine di cui al comma 14 [e quindi a
partire dal 16 dicembre 2010], ovvero del maggior termine previsto dall’ultimo
periodo del comma 22 [e quindi dal 16 marzo 2011], tutte le disposizioni
legislative statali non comprese nei decreti legislativi di cui al comma 14,
anche se modificate con provvedimenti successivi, sono abrogate».
In attuazione della delega prevista dal
comma 14, il Governo ha adottato il decreto legislativo 1° dicembre 2009, n.
179 (Disposizioni legislative statali anteriori al 1° gennaio 1970, di cui si
ritiene indispensabile la permanenza in vigore, a norma dell’articolo 14 della
legge 28 novembre 2005, n. 246). Con tale atto normativo il Governo si è
limitato ad individuare le leggi ritenute indispensabili, senza dare attuazione
al criterio di cui alla citata lettera e) del comma 14 dell’art. 14 della legge
n. 246 del 2005, senza cioè procedere alla «organizzazione delle disposizioni
da mantenere in vigore per settori omogenei o per materie, secondo il contenuto
precettivo di ciascuna di esse».
Il comma 15 dell’art. 14 della legge n.
246 del 2005 ha disposto, a sua volta: «i decreti legislativi di cui al comma
14 provvedono altresì alla semplificazione o al riassetto della materia che ne
è oggetto, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 20
della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, anche al fine di
armonizzare le disposizioni mantenute in vigore con quelle pubblicate
successivamente alla data del 1° gennaio 1970».
Il richiamato art. 20 della legge 15 marzo
1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle
regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la
semplificazione amministrativa), al comma 3, stabilisce: «Salvi i princìpi e i
criteri direttivi specifici per le singole materie, stabiliti con la legge
annuale di semplificazione e riassetto normativo, l’esercizio delle deleghe
legislative […] si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi […]».
Il comma 18 dell’art. 14 della legge n.
246 del 2005 – come modificato dall’art. 13 della legge 4 marzo 2009, n. 15
(Delega al Governo finalizzata all’ottimizzazione della produttività del lavoro
pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonché
disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale
dell’economia e del lavoro e alla Corte dei conti) – ha ulteriormente previsto:
«Entro due anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui
al comma 14, possono essere emanate, con uno o più decreti legislativi,
disposizioni integrative, di riassetto o correttive, esclusivamente nel
rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui al comma 15 […]».
Sulla base di quest’ultima disposizione
è stato adottato il d.lgs. n. 79 del 2011, oggetto del presente giudizio.
5.2.— La ricostruzione del quadro
normativo, di cui al punto precedente, consente di disattendere la censura di
tardività dell’esercizio della delega legislativa da parte del Governo.
Se si considera il combinato disposto
dei commi 14, 15 e 18 dell’art. 14 della legge n. 246 del 2005, deve ritenersi
che la delega prevista nell’ultimo dei commi citati potesse essere esercitata
entro il 15 dicembre 2011. Il comma 18, infatti, fa decorrere i due anni per
l’esercizio della delega dall’entrata in vigore dei decreti legislativi di cui
al comma 14. L’unico atto normativo emanato, fra questi ultimi, è stato il
d.lgs. n. 179 del 2009, entrato in vigore – secondo quanto disposto dal suo
art. 1, comma 5 – il 15 dicembre 2009. Di conseguenza, il decreto oggi
impugnato, che porta la data del 23 maggio 2011, è stato emanato più di sei
mesi prima della scadenza del termine per l’esercizio della delega legislativa.
Del resto, in tal senso si è espresso il Consiglio di Stato (sezioni riunite
prima e normativa, parere 2 marzo 2010, n. 802, adunanza del 13 gennaio 2010;
sezione consultiva per gli atti normativi, parere 21 gennaio 2011, n. 307,
adunanza del 13 gennaio 2011).
5.3.— Quanto all’estensione e alla
portata della delega legislativa contenuta nella legge n. 246 del 2005 in
riferimento all’oggetto del d.lgs. n. 79 del 2011 censurato nel presente
giudizio, si deve osservare – sulla base della ricostruzione normativa
contenuta nel punto 5.1 – come il legislatore delegante abbia autorizzato il
Governo a compiere tre distinte operazioni, ordinate in modo sincronico e
diacronico: a) individuazione delle leggi statali in vigore; b) individuazione
delle disposizioni legislative statali, pubblicate anteriormente al 1° gennaio
1970, ritenute indispensabili, e simultanea organizzazione delle stesse «per
settori omogenei o per materie, secondo il contenuto precettivo di ciascuna di
esse», nonché semplificazione e riassetto delle materie oggetto – nel rispetto
dei princìpi e criteri direttivi di cui all’art. 20 della legge n. 59 del 1997
– «anche al fine di armonizzare le disposizioni mantenute in vigore», dopo
l’abrogazione generale delle leggi non "salvate” ai sensi del comma 14-ter
dell’art. 14 della stessa legge, con quelle pubblicate successivamente alla data
del 1° gennaio 1970; c) emanazione di disposizioni integrative, di riassetto e
correttive dei decreti di cui alle operazioni indicate sub b), entro due anni
dalla loro entrata in vigore, nel rispetto dei medesimi princìpi e criteri
direttivi.
5.4.— Dalla sintesi che precede si
deduce indubbiamente che l’oggetto della delega era circoscritto al
coordinamento formale ed alla ricomposizione logico-sistematica di settori
omogenei di legislazione statale, con facoltà di introdurre le integrazioni e
le correzioni necessarie ad un coerente riassetto normativo delle singole
materie. Il fine dichiarato di questa serie di operazioni era quello della
semplificazione normativa, resa concreta dalla formazione di atti normativi
contenenti le discipline statali vigenti – anteriori e successive al 1970 – in
differenti materie, così da agevolarne la conoscenza da parte dei cittadini.
L’esito complessivo di tale articolato iter di interventi legislativi doveva
quindi essere la creazione di testi normativi coordinati, tendenzialmente
comprensivi di tutte le disposizioni statali per ciascun settore, snelli e
facilmente consultabili.
5.5.— Esula dall’ambito della delega,
quale precisato nel punto precedente, il riassetto generale dei rapporti tra
Stato e Regioni in materie non di competenza esclusiva statale ai sensi
dell’art. 117, secondo comma, Cost., in quanto la disciplina necessaria per
operare tale riassetto non può rimanere ristretta alla sfera legislativa di
competenza dello Stato, ma coinvolge quella delle Regioni, sia nel rapporto tra
princìpi fondamentali e legislazione di dettaglio, nelle materie di competenza
concorrente, sia, a fortiori, nell’esercizio del potere di avocazione da parte
dello Stato di funzioni amministrative, e conseguentemente legislative, sulla base
dell’art. 118, primo comma, Cost., nelle materie di competenza regionale
residuale.
Nella legge n. 246 del 2005 non si
rinviene alcun cenno alla disciplina dei rapporti tra Stato e Regioni, campo di
interventi legislativi particolarmente delicato, per il quale non può valere
una generica delegazione al Governo ad operare un riassetto di norme statali,
ma sono necessari princìpi e criteri direttivi appositi, mirati alla
regolamentazione interordinamentale di singole
materie, ognuna delle quali presenta specificità da considerare partitamente,
non compatibili con princìpi e criteri direttivi di natura formale e
metodologica, valevoli per tutti gli oggetti di normazione che compongono
l’ordinamento giuridico dello Stato.
La specificità delle singole materie si
coglie anche nella rilevazione attenta degli incroci e degli intrecci tra le
varie sfere di competenza, statale e regionale, rispetto ai quali la
precisazione dei rispettivi confini e degli strumenti adeguati di leale
collaborazione deve essere frutto di valutazione nel merito delle problematiche
e degli interessi coinvolti. Tale valutazione di merito, se effettuata dal
legislatore delegato, deve essere preceduta da una precisa delimitazione
dell’oggetto della disciplina – che peraltro non può estendersi genericamente
ad intere materie – e dalla fissazione di princìpi e criteri direttivi, mirati
a indirizzare la normazione particolare affidata al Governo. Si tratta di
incidere su equilibri importanti e complessi tra interessi nazionali e locali,
rispetto ai quali il Parlamento è chiamato a dare indicazioni di merito idonee,
pur se in linea generale e di principio, a prefigurare i contenuti delle norme
e le forme di interlocuzione e collaborazione con le Regioni, quando
necessarie.
5.6.— Con riferimento ai limiti della
delega contenuta nella legge n. 246 del 2005, si deve rilevare che essa non si
può considerare generica, e quindi in contrasto con l’art. 76 Cost., se si
osserva la sua essenziale finalità di realizzare una generale semplificazione
del sistema normativo statale, mediante abrogazione di leggi ormai superate e
inutili, raggruppamento di quelle superstiti per settori omogenei,
armonizzazione e riassetto delle stesse. Le innovazioni autorizzate dal
legislatore delegante erano pertanto strettamente funzionali al migliore
adempimento di tale compito di sistematizzazione normativa e non erano
suscettibili di allargamento all’introduzione di norme nuove, destinate, per di
più, a disciplinare in modo organico, in forma codicistica, una materia compresa
nella competenza legislativa residuale delle Regioni.
In definitiva, il legislatore delegato
ben poteva raggruppare e riordinare le norme statali incidenti sulla materia
del turismo, negli ambiti di sua competenza esclusiva e per la tutela di
interessi di sicuro rilievo nazionale, come precisato, in più pronunce, da
questa Corte (ex plurimis,
sentenze n. 76
del 2009, n.
369 del 2008, n.
88 del 2007, n.
214 del 2006). Ciò che invece la delega non consentiva era la disciplina ex
novo dei rapporti tra Stato e Regioni nella medesima materia, peraltro con il
ripetuto ricorso al metodo della cosiddetta "attrazione in sussidiarietà”, che,
qualificandosi – ai sensi dell’art. 118, primo comma, Cost. e secondo la
giurisprudenza di questa Corte – come forma non ordinaria di esercizio, da
parte dello Stato, di funzioni amministrative e legislative attribuite alle
Regioni da norme costituzionali, richiede in tal senso una precisa
manifestazione di volontà legislativa del Parlamento, con indicazione, tra
l’altro, di adeguate forme collaborative, del tutto assente nella legge di
delegazione n. 246 del 2005.
5.7.— Sul piano più generale dei
rapporti tra legge di delegazione e decreti legislativi – nei casi in cui il
Parlamento abbia inteso dare mandato al Governo ad operare il riassetto di uno
o più settori normativi – si deve richiamare la giurisprudenza di questa Corte,
che ha sempre inquadrato in limiti rigorosi l’esercizio, da parte del
legislatore delegato, di poteri innovativi della normazione vigente, non
strettamente necessari in rapporto alla finalità di ricomposizione sistematica
perseguita.
A proposito delle deleghe che abbiano ad
oggetto «la revisione, il riordino ed il riassetto di norme preesistenti»,
«l’introduzione di soluzioni sostanzialmente innovative rispetto al sistema
legislativo previgente è […] ammissibile soltanto nel caso in cui siano
stabiliti princìpi e criteri direttivi idonei a circoscrivere la
discrezionalità del legislatore delegato», giacché quest’ultimo non può innovare
«al di fuori di ogni vincolo alla propria discrezionalità esplicitamente
individuato dalla legge-delega» (sentenza n. 293 del
2010). Nel caso oggetto del presente giudizio, non si rinviene alcun
principio e criterio direttivo nella materia "turismo”, come pure è richiesto
dall’art. 20 della legge n. 59 del 1997, espressamente richiamato dalla legge
n. 246 del 2005.
Anche dal punto di vista del rapporto
complessivo tra delega e decreto legislativo, si deve riscontrare, nel caso di
specie, una evidente distonia. Questa Corte ha difatti precisato che «per
valutare se il legislatore abbia ecceduto [i] – più o meno ampi – margini di
discrezionalità, occorre individuare la ratio della delega» (sentenza n. 230 del
2010). Come già si è chiarito, la ratio della delega contenuta nella legge
n. 246 del 2005 era quella di riordinare e riassettare la normativa statale, e
non quella di riformulare i rapporti tra Stato e Regioni in diverse materie –
anche di competenza residuale regionale – facendo ricorso all’avocazione in
sussidiarietà di competenze legislative situate al livello regionale.
Lo scrutinio sulla carenza di delega
prescinde quindi dalla correttezza dell’avocazione delle competenze legislative
da parte dello Stato, ed è volto piuttosto a verificare se questo accentramento
di competenze sia stato, anche in via generale, voluto e autorizzato dalla
legge del Parlamento. Al riguardo, si deve concludere per la soluzione
negativa, giacché la finalità fondamentale di semplificazione, che costituiva
la ratio propria della legge n. 246 del 2005, era quella di creare insiemi
normativi coerenti, a partire da una risistemazione delle norme vigenti, sparse
e non coordinate, apportando quelle modifiche rese necessarie dalla
composizione unitaria delle stesse. I rapporti tra Stato e Regioni stanno
evidentemente su un altro piano e la modifica della loro disciplina richiede
scelte di politica legislativa, che, seppur per grandi linee, devono provenire
dal Parlamento.
6.— Alla luce delle considerazioni
svolte nei paragrafi precedenti, l’analisi della fondatezza della censura di
carenza di delega si deve condurre non sull’intero d.lgs. n. 79 del 2011, ma
sulle singole disposizioni impugnate – nei limiti della loro ridondanza sul
riparto di competenze di cui all’art. 117, secondo, terzo e quarto comma, Cost.
e sull’allocazione delle funzioni amministrative, e conseguentemente
legislative, di cui all’art. 118, primo comma, Cost. – allo scopo di verificare
se ciascuna di esse possa essere catalogata tra le norme statali da riassettare
ed armonizzare, o se invece si tratti di una nuova disciplina dei rapporti tra
Stato e Regioni su oggetti particolari, non compresa nella delega.
Si deve pertanto procedere all’esame
delle singole disposizioni contenute nell’allegato 1 del d.lgs. n. 79 ed
impugnate dalle Regioni ricorrenti.
6.1.— L’art. 1, che definisce l’ambito
di applicazione del cosiddetto codice del turismo, precisa che lo stesso «reca,
nei limiti consentiti dalla competenza statale, norme necessarie all’esercizio
unitario delle funzioni amministrative in materia di turismo ed altre norme in
materia riportabili alle competenze dello Stato, provvedendo al riordino, al
coordinamento e all’integrazione delle disposizioni legislative statali
vigenti, nel rispetto dell’ordinamento dell’Unione europea e delle attribuzioni
delle regioni e degli enti locali».
La disposizione sopra riportata sfugge,
nel suo complesso, alla censura di carenza di delega, in quanto precisa che le
norme seguenti si mantengono nei confini della competenza statale e si limitano
a dare attuazione alla delega di riordino e riassetto contenuta nella legge n.
246 del 2005. Ciò che esula dall’ambito consentito dalla delega è la finalità
di provvedere «all’esercizio unitario delle funzioni amministrative», che,
ricalcando la formula dell’art. 118, primo comma, Cost., si riferisce al
possibile accentramento di competenze amministrative, e conseguentemente
legislative, secondo limiti e modalità precisati dalla giurisprudenza di questa
Corte. Si tratta quindi di una finalità che attiene non al riassetto della
legislazione statale in materia di turismo, ma che riassume sinteticamente
l’orientamento a disciplinare, in senso innovativo, l’assetto dei rapporti tra
Stato e Regioni nella medesima materia.
Sulla base delle precedenti
considerazioni si deve ritenere che la questione prospettata sia non solo
ammissibile – in quanto l’asserita violazione degli artt. 76 e 77, primo comma,
Cost. ridonda, in tutta evidenza, nella lesione della competenza legislativa
residuale regionale in materia di turismo – ma anche fondata, per carenza di
delega, limitatamente alle parole «necessarie all’esercizio unitario delle
funzioni amministrative» e «ed altre norme in materia».
6.2.— L’art. 2 contiene i «princìpi
sulla produzione del diritto in materia turistica» e pone le condizioni per
l’intervento legislativo dello Stato nella stessa materia, riprendendo alcune
affermazioni contenute nella sentenza di questa
Corte n. 76 del 2009. Si tratta di disposizione del tutto nuova, che, pur
nell’intenzione di adeguare la normativa ai princìpi stabiliti nella
giurisprudenza costituzionale, per sua stessa natura incide sui rapporti tra
Stato e Regioni in materia turistica e fuoriesce pertanto dai limiti della
delega. Il seguito legislativo delle sentenze di questa Corte richiede,
comunque, una manifestazione di volontà, pur generale e di principio, del
legislatore delegante. In caso contrario, sarebbe il potere esecutivo delegato
ad inserire nuove norme nell’ordinamento, in diretta attuazione di orientamenti
giurisprudenziali di questa Corte, superando il potere legislativo del
Parlamento delegante.
Per quanto sopra detto, la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 2 dell’allegato 1 del d.lgs. n. 79 del
2011 è ammissibile e fondata, per violazione degli artt. 76 e 77, primo comma,
in relazione all’art. 117, quarto comma, Cost.
6.3.— L’art. 3 contiene «princìpi in
tema di turismo accessibile». Si deve rilevare che tale disposizione accentra
in capo allo Stato compiti e funzioni che l’art. 1 dell’«accordo tra lo Stato e
le regioni e province autonome sui princìpi per l’armonizzazione, la
valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico, ai fini dell’adozione del
provvedimento attuativo dell’art. 2, comma 4, della legge 29 marzo 2001, n.
135» – recepito come allegato al decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri 13 settembre 2002 – aveva attribuito alle Regioni e alle Province
autonome.
Indipendentemente da ogni considerazione
di merito su tale disposizione, si deve rilevare che essa attiene, con
evidenza, ai rapporti tra Stato e Regioni in materia di turismo e realizza un
accentramento di funzioni, che, sulla base della natura residuale della
competenza legislativa regionale, spettano in via ordinaria alle Regioni, salvo
che lo Stato non operi l’avocazione delle stesse, con l’osservanza dei limiti e
delle modalità precisati dalla giurisprudenza di questa Corte.
La questione di legittimità
costituzionale promossa è, pertanto, ammissibile e fondata, per violazione
degli artt. 76 e 77, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 117, quarto
comma, e 118, primo comma, Cost.
6.4.— L’art. 4, commi 1 e 2, contiene
norme che regolano le imprese turistiche. Si tratta di una sostanziale
riproduzione dell’art. 7 della legge 29 marzo 2001, n. 135 (Riforma della
legislazione nazionale del turismo), emanata prima della riforma del Titolo V
della Parte II della Costituzione. La disciplina in questione non incide sui
rapporti tra Stato e Regioni in materia turistica, ma si mantiene nell’ambito
della materia «ordinamento civile», di competenza esclusiva dello Stato.
Pertanto, in riferimento all’art. 4,
commi 1 e 2, del cosiddetto codice del turismo, l’asserita violazione degli
artt. 76 e 77, primo comma, Cost. non ridonda in una lesione delle competenze costituzionalmente
attribuite alle Regioni; di conseguenza, la relativa questione deve essere
dichiarata inammissibile.
L’art. 4, commi 1 e 2, è altresì
impugnato dalla Regione Umbria per violazione dell’art. 117, quarto comma,
Cost., in quanto sarebbe lesivo delle competenze regionali in materia di
turismo.
Per le ragioni sopra evidenziate,
quest’ultima questione di legittimità costituzionale non è fondata.
6.5.— L’art. 8 contiene una
classificazione delle strutture ricettive. Tale disposizione accentra in capo
allo Stato compiti e funzioni che l’art. 1 del già citato accordo tra lo Stato,
le Regioni e le Province autonome, recepito dal menzionato d.P.C.m.
13 settembre 2002, aveva attribuito alle Regioni e alle Province autonome.
Anche in questo caso si tratta di un
accentramento di funzioni spettanti in via ordinaria alle Regioni, in forza
della loro competenza legislativa residuale in materia di turismo. Tale
variazione del riparto delle competenze esula pertanto dal riordino della
legislazione statale e incide sul riparto delle competenze tra Stato e Regioni,
superando così i limiti della delega contenuta nella legge n. 246 del 2005. Per
tale motivo la questione di legittimità costituzionale promossa per eccesso di
delega è ammissibile e fondata, per violazione degli artt. 76 e 77, primo
comma, Cost., in relazione agli artt. 117, quarto comma, e 118, primo comma,
Cost.
6.6.— L’art. 9 contiene una
classificazione e una disciplina delle strutture ricettive alberghiere e paralberghiere. Anche tale disposizione accentra in capo
allo Stato compiti e funzioni la cui disciplina era stata rimessa alle Regioni
e alle Province autonome dall’art. 1 dell’accordo tra lo Stato, le Regioni e le
Province autonome recepito dal d.P.C.M. 13 settembre
2002.
Si realizza, quindi, un accentramento di
funzioni legislative spettanti in via ordinaria alle Regioni, in virtù della
loro competenza legislativa residuale in materia di turismo. Tale spostamento
altera il riparto di competenze tra Stato e Regioni nella suddetta materia.
Di conseguenza, deve ritenersi che la
censura prospettata per eccesso di delega sia, non solo ammissibile, ma anche
fondata, per violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, in relazione agli
artt. 117, quarto comma, e 118, primo comma, Cost.
6.7.— L’art. 10 contiene una
classificazione degli standard qualitativi delle imprese turistiche ricettive.
Valgono ancora una volta le considerazioni già formulate in relazione ad altre
norme del cosiddetto codice del turismo; infatti, pure l’art. 10 accentra in capo
allo Stato compiti e funzioni la cui disciplina era stata rimessa alle Regioni
e alle Province autonome dall’art. 1 dell’accordo tra lo Stato, le Regioni e le
Province autonome, recepito dal d.P.C.M. 13 settembre
2002.
La norma impugnata realizza, dunque, un
accentramento di funzioni legislative che, in base alla competenza legislativa
residuale delle Regioni in materia di turismo, spettano in via ordinaria a
queste ultime e il cui spostamento implica una variazione del riparto di
competenze tra Stato e Regioni, che esula dalla delega contenuta nella legge n.
246 del 2005. Deve pertanto ritenersi che la censura prospettata per eccesso di
delega sia, non solo ammissibile, ma anche fondata, per violazione degli artt.
76 e 77, primo comma, in relazione agli artt. 117, quarto comma, e 118, primo
comma, Cost.
6.8.— L’art. 11, comma 1, contiene una
disciplina della pubblicità dei prezzi, stabilendo l’obbligo per gli operatori
turistici di comunicare alle Regioni e alle Province autonome i prezzi
praticati. Si tratta di norma che riprende in parte il contenuto dell’art. 1
della legge 25 agosto 1991, n. 284 (Liberalizzazione dei prezzi del settore
turistico e interventi di sostegno alle imprese turistiche) emanata
anteriormente alla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione.
L’imposizione dell’obbligo di comunicazione indicato rientra nella competenza
legislativa esclusiva delle Regioni in materia turistica ed implica, di
conseguenza, un’alterazione del riparto di competenze tra lo Stato e le Regioni
stesse, quale emerge dopo la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3
(Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), variazione non
compresa nell’ambito della delega contenuta nella legge n. 246 del 2005.
Per quanto detto, si deve ritenere che
la questione di legittimità costituzionale in esame sia ammissibile e fondata,
per violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, in relazione agli artt. 117,
quarto comma, e 118, primo comma, Cost.
6.9.— L’art. 12 contiene una
classificazione ed una disciplina delle strutture ricettive extralberghiere.
Tale disposizione accentra in capo allo Stato compiti e funzioni la cui
disciplina era stata rimessa alle Regioni e alle Province autonome dall’art. 1
dell’accordo tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, recepito dal d.P.C.M. 13 settembre 2002.
Il legislatore delegato ha operato un
accentramento statale di funzioni spettanti in via ordinaria alle Regioni, in
base alla loro competenza legislativa residuale in materia di turismo,
determinando, quindi, una variazione del riparto delle competenze tra Stato e
Regioni nella predetta materia, non contemplata nella delega contenuta nella
legge n. 246 del 2005.
Per quanto detto, la questione di
legittimità costituzionale prospettata per eccesso di delega deve essere
ritenuta ammissibile e fondata, per violazione degli artt. 76 e 77, primo
comma, in relazione agli artt. 117, quarto comma, e 118 Cost.
6.10.— L’art. 13 contiene una
classificazione ed una disciplina delle strutture ricettive all’aperto. Con
tale disposizione si accentrano in capo allo Stato compiti e funzioni la cui
disciplina era stata rimessa alle Regioni e alle Province autonome dall’art. 1
dell’accordo tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, recepito dal d.P.C.M. 13 settembre 2002.
Ancora una volta, il legislatore
delegato ha operato un accentramento di funzioni che spettano in via ordinaria
alle Regioni, sulla base della loro competenza legislativa residuale in materia
di turismo, con la conseguenza di produrre una variazione del riparto di
competenze tra Stato e Regioni nella detta materia, non contemplata nella
delega contenuta nella legge n. 246 del 2005.
Per quanto detto, la questione di
legittimità costituzionale prospettata per eccesso di delega deve essere
ritenuta ammissibile e fondata, per violazione degli artt. 76 e 77, primo
comma, in relazione agli artt. 117, quarto comma, e 118, primo comma, Cost.
6.11.— L’art. 14 contiene la definizione
delle strutture ricettive di mero supporto. Si tratta di norma del tutto nuova,
che incide con evidenza nella materia "turismo”, di competenza legislativa
residuale delle Regioni, e fuoriesce pertanto dalla delega di riordino e
riassetto delle leggi statali nella suddetta materia, contenuta nella legge n.
246 del 2005. Si deve, di conseguenza, ritenere che la censura prospettata per
eccesso di delega sia ammissibile e fondata, per violazione degli artt. 76 e
77, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 117, quarto comma, e 118, primo
comma, Cost.
6.12.— L’art. 15 contiene una disciplina
degli standard qualitativi dei servizi e delle dotazioni per la classificazione
delle strutture ricettive. Tale disposizione accentra in capo allo Stato
compiti e funzioni la cui disciplina era stata rimessa alle Regioni e alle
Province autonome dall’art. 1 dell’accordo tra lo Stato, le Regioni e le
Province autonome, recepito dal d.P.C.M. 13 settembre
2002.
La norma impugnata realizza un
accentramento statale di funzioni che spettano alle Regioni, titolari di
competenza legislativa residuale nella materia del turismo; si determina così
una variazione del riparto di competenze tra Stato e Regioni, non autorizzata
dalla delega contenuta nella legge n. 246 del 2005.
Per quanto detto, l’impugnativa promossa
per eccesso di delega è, non solo ammissibile, ma anche fondata, per violazione
degli artt. 76 e 77, primo comma, in relazione agli artt. 117, quarto comma, e
118, primo comma, Cost.
6.13.— L’art. 16 detta norme sulla
semplificazione degli adempimenti amministrativi delle strutture turistico-ricettive.
Con tale disposizione lo Stato incide sulla disciplina dei procedimenti
amministrativi relativi ad attività turistiche, riservata dalla Costituzione
alla competenza legislativa residuale delle Regioni. Si tratta quindi di una
variazione del riparto delle competenze, quale risulta dal Titolo V della Parte
II della Costituzione, dopo la riforma operata dalla legge cost. n. 3 del 2001,
non rientrante nei limiti della delega contenuta nella legge n. 246 del 2005.
Si deve pertanto ritenere che la questione
prospettata per eccesso di delega sia ammissibile e fondata, per violazione
degli artt. 76 e 77, primo comma, in relazione agli artt. 117, quarto comma, e
118, primo comma, Cost.
6.14.— L’art. 18 contiene «definizioni»
in materia di agenzie di viaggio e turismo. Con tale disposizione vengono
accentrati in capo allo Stato compiti e funzioni la cui disciplina era stata
rimessa alle Regioni e alle Province autonome dall’art. 1 dell’accordo tra lo
Stato, le Regioni e le Province autonome, recepito dal d.P.C.M.
13 settembre 2002.
Si tratta, ancora una volta, di un
accentramento di competenze spettanti in via ordinaria alle Regioni, in forza
della loro competenza legislativa esclusiva in materia di turismo. Si opera in
tal modo una variazione del riparto delle competenze tra Stato e Regioni nella
detta materia, che esula dalla delega contenuta nella legge n. 246 del 2005.
Per quanto detto, deve essere ritenuta
ammissibile e fondata la censura sollevata per violazione degli artt. 76 e 77,
primo comma, Cost., in relazione agli artt. 117, quarto comma, e 118, primo
comma, Cost.
6.15.— L’art. 19 contiene una norma che
sancisce, a carico delle agenzie di viaggio e turismo, l’obbligo di stipulare
«congrue polizze assicurative a garanzia dell’esatto adempimento degli obblighi
assunti verso i clienti con il contratto di viaggio in relazione al costo
complessivo dei servizi offerti». Si tratta di disposizione che incide sul
sistema di garanzie posto a tutela del cliente delle agenzie di viaggio e
turismo, e quindi sulla materia dell’ordinamento civile, di competenza
legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, Cost.
Poiché la norma citata si mantiene in un ambito strettamente attinente a
competenze statali, la censura delle ricorrenti relativa alla carenza di delega
non è ammissibile. L’asserita violazione degli artt. 76 e 77, primo comma,
Cost. non ridonda, infatti, in una lesione delle competenze costituzionalmente
attribuite alle Regioni.
L’art. 19 del cosiddetto codice del turismo
è, inoltre, impugnato dalla Regione Veneto per violazione degli artt. 117,
quarto comma, 118 e 120 Cost., in quanto opererebbe l’attrazione in
sussidiarietà delle competenze amministrative e legislative delle Regioni in
assenza dei presupposti richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte.
Come già detto in relazione alla
questione avente ad oggetto lo stesso art. 19, ma in riferimento al vizio di
eccesso di delega, la norma impugnata reca una disciplina riconducibile, per
prevalenza, all’ambito di competenza legislativa esclusiva statale in materia
di «ordinamento civile».
Pertanto, la questione promossa in
riferimento agli artt. 117, quarto comma, 118 e 120 Cost. deve essere ritenuta
non fondata.
6.16.— L’art. 20, comma 2, dispone che
l’apertura di filiali, succursali e altri punti vendita di agenzie, già
legittimate ad operare, non richiede la nomina di un direttore tecnico per
ciascun punto di erogazione del servizio. Con tale disposizione si disciplina
un aspetto di dettaglio nella materia "turismo”, attribuita alla competenza
legislativa residuale delle Regioni. Si opera in tal modo una variazione del
riparto delle competenze tra Stato e Regioni, quale emerge dalla riforma del
Titolo V della Parte II della Costituzione, a seguito della legge cost. n. 3
del 2001, variazione non contemplata dalla delega contenuta nella legge n. 246
del 2005.
Pertanto, la questione promossa per
violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, in relazione all’art. 117, quarto
comma, Cost., deve essere dichiarata ammissibile e fondata.
6.17.— L’art. 21 reca norme in tema di
semplificazione degli adempimenti amministrativi relativi alle agenzie di
viaggio e turismo. Si tratta di disposizione del tutto nuova, che modifica la
disciplina dei procedimenti amministrativi in materia di turismo, spettante in
via ordinaria alla competenza legislativa residuale delle Regioni. L’incidenza
della norma impugnata su ambiti rimessi al legislatore regionale e il suo
carattere innovativo (non consentito dalla delega contenuta nella legge n. 246
del 2005) determinano l’ammissibilità e la fondatezza della questione
prospettata, per violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, Cost., in
relazione all’art. 117, quarto comma, Cost.
6.18.— L’art. 23, commi 1 e 2, definisce
e regola i «sistemi turistici locali». La stessa definizione, che la norma
impugnata dà di questi, dimostra l’inerenza di tale disciplina alla materia
"turismo”, di competenza residuale delle Regioni. Si definiscono in tal modo,
infatti, «i contesti turistici omogenei o integrati, comprendenti ambiti
territoriali appartenenti anche a regioni diverse, caratterizzati dall’offerta
integrata di beni culturali, ambientali e di attrazioni turistiche, compresi i
prodotti tipici dell’agricoltura e dell’artigianato locale, o dalla presenza
diffusa di imprese singole o associate».
Una disposizione simile era contenuta
nell’art. 5 della legge n. 135 del 2001, emanata in data anteriore alla riforma
del Titolo V della Parte II della Costituzione operata dalla legge cost. n. 3
del 2001, che ha attribuito la materia "turismo” alla competenza legislativa
residuale delle Regioni. La norma censurata introduce pertanto una variazione
del riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia di turismo, quale
emerge dal Titolo V della Parte II della Costituzione. Tale variazione, come
già più volte evidenziato, non era compresa nella delega contenuta nella legge
n. 246 del 2005.
Per quanto detto, si deve ritenere che
la questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, commi 1 e 2, sia ammissibile
e fondata, per violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, in relazione
all’art. 117, quarto comma, Cost.
6.19.— L’art. 24 disciplina
l’«incentivazione di iniziative di promozione turistica finalizzate alla
valorizzazione del patrimonio storico-artistico, archeologico, architettonico e
paesaggistico italiano».
La disposizione in esame prevede che il
Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro delegato, di concerto con
il Ministro per i beni e le attività culturali, «promuov[a]
la realizzazione di iniziative turistiche finalizzate ad incentivare la
valorizzazione del patrimonio storico-artistico, archeologico, architettonico e
paesaggistico presente sul territorio italiano, utilizzando le risorse umane e
strumentali disponibili, senza nuovi ed ulteriori oneri per la finanza
pubblica».
La norma in oggetto è impugnata,
unitamente alle altre del cosiddetto codice del turismo, per violazione degli
artt. 76 e 77, primo comma, Cost., e singolarmente, per violazione degli artt.
117, terzo e quarto comma, e 118, primo comma, Cost., e del principio di leale
collaborazione.
Con riguardo al secondo gruppo di
censure, a parere delle ricorrenti il legislatore statale avrebbe disposto
l’attrazione in sussidiarietà delle funzioni amministrative e legislative in un
ambito materiale di competenza legislativa residuale ("turismo”) o, in
alternativa, in un ambito di competenza legislativa concorrente
(«valorizzazione dei beni culturali e ambientali»).
Le questioni promosse devono essere
rigettate, in quanto inammissibili (quelle sollevate in riferimento agli artt.
76 e 77, primo comma, Cost.) e infondate (quelle prospettate in relazione agli
artt. 117, terzo e quarto comma, 118, primo comma, e 120 Cost., ed al principio
di leale collaborazione).
Il censurato art. 24 sottende, infatti,
un principio generale di valorizzazione e di promozione dei beni culturali con
finalità turistica. Peraltro, l’attività di valorizzazione e di promozione
svolta a livello nazionale dallo Stato, e per esso dal Governo, non inibisce
alle Regioni di intervenire attraverso analoghe attività volte a promuovere e a
valorizzare, a fini turistici, i beni culturali presenti nel territorio
regionale.
Il riconoscimento di siffatto principio
in tema di «valorizzazione dei beni culturali» non altera il riparto di
competenze tra Stato e Regioni ma, al contrario, ne esalta le potenzialità in
quanto permette di evidenziare come lo scopo perseguito da Stato e Regioni,
ciascuno nel proprio ambito di competenza, non possa che essere quello di realizzare
un incremento qualitativo dell’offerta turistica.
Con la norma impugnata, pertanto, il
legislatore statale non ha oltrepassato i limiti posti dall’art. 117, terzo
comma, Cost., di talché deve essere dichiarata inammissibile la questione
prospettata per eccesso di delega, in quanto la relativa censura non ridonda in
una lesione di attribuzioni costituzionalmente riconosciute alle Regioni.
Per le medesime ragioni deve essere,
poi, dichiarata non fondata la questione formulata in riferimento ai parametri
relativi al riparto di competenze.
6.20.— L’art. 30, comma 1, disciplina le
agevolazioni in favore dei turisti con animali domestici al seguito. Si tratta
di norma del tutto nuova, che rientra in modo evidente nella competenza
legislativa residuale delle Regioni in materia di turismo. Poiché introduce una
variazione al riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni nella
suddetta materia, quale emerge dal Titolo V della Parte II della Costituzione,
dopo la riforma del 2001, la norma citata non rientra nell’ambito della delega
contenuta nella legge n. 246 del 2005. Si deve perciò ritenere che la questione
prospettata per violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, in relazione
all’art. 117, quarto comma, Cost., sia ammissibile e fondata.
6.21.— L’art. 68 disciplina le attività
di assistenza al turista. Non risultano disposizioni legislative statali
preesistenti. La norma in questione può essere assimilata a quanto disposto, in
maniera generica, dall’art. 1 dell’accordo tra lo Stato, le Regioni e le Province
autonome, recepito dal d.P.C.M. 13 settembre 2002.
Con la disposizione impugnata vengono accentrate allo Stato funzioni
amministrative e legislative spettanti in via ordinaria alle Regioni, in base
agli artt. 117, quarto comma, e 118, primo comma, Cost.
La riconducibilità della normativa
censurata all’ambito materiale del "turismo” determina l’ammissibilità della
questione promossa per violazione della delega legislativa.
Poiché la delega contenuta nella legge
n. 246 del 2005 non contemplava la variazione del riparto di competenze tra
Stato e Regioni in materia di turismo, la suddetta norma deve essere dichiarata
costituzionalmente illegittima, per violazione degli artt. 76 e 77, primo
comma, in relazione agli artt. 117, quarto comma, e 118, primo comma, Cost.
6.22.— L’art. 69 disciplina la gestione
dei reclami nei confronti delle imprese e degli operatori turistici. La
disposizione in oggetto presenta un contenuto genericamente assimilabile a
quello dell’art. 4 della legge n. 135 del 2001, anteriore alla riforma del
Titolo V della Parte II della Costituzione operata con la legge cost. n. 3 del
2001. Poiché tale disposizione accentra allo Stato attività che in via
ordinaria spettano alle Regioni, in base alla loro competenza legislativa
residuale in materia di turismo, essa fuoriesce dal campo della delega
contenuta nella legge n. 246 del 2005, con la conseguenza di rendere la
questione ammissibile e fondata, per violazione degli artt. 76 e 77, primo
comma, in relazione agli artt. 117, quarto comma, e 118, primo comma, Cost.
7.— Sono assorbiti gli altri profili di
illegittimità costituzionale prospettati dalle Regioni ricorrenti.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1)
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 1, del
decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79 (Codice della normativa statale in
tema di ordinamento e mercato del turismo, a norma dell’articolo 14 della legge
28 novembre 2005, n. 246, nonché attuazione della direttiva 2008/122/CE,
relativa ai contratti di multiproprietà, contratti relativi ai prodotti per le
vacanze di lungo termine, contratti di rivendita e di scambio), nella parte in
cui dispone l’approvazione dell’art. 1, limitatamente alle parole «necessarie
all’esercizio unitario delle funzioni amministrative» e «ed altre norme in
materia», nonché degli artt. 2, 3, 8, 9, 10, 11, comma 1, 12, 13, 14, 15, 16,
18, 20, comma 2, 21, 23, commi 1 e 2, 30, comma 1, 68 e 69 dell’allegato 1 del
d.lgs. n. 79 del 2011;
2)
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art.
1, comma 1, del d.lgs. n. 79 del 2011, in relazione all’art. 4, commi 1 e 2,
dell’allegato 1 del medesimo decreto legislativo, promossa dalla Regione Umbria
per violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione;
3) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1,
del d.lgs. n. 79 del 2011, in relazione all’art. 19 dell’allegato 1 del
medesimo decreto legislativo, promossa dalla Regione Veneto per violazione
degli artt. 76 e 77, primo comma, Cost.;
4) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1,
del d.lgs. n. 79 del 2011, in relazione all’art. 24 dell’allegato 1 del medesimo
decreto legislativo, promossa dalle Regioni Toscana, Puglia, Umbria e Veneto
per violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, Cost.;
5) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1 e
2, dell’allegato 1 del d.lgs. n. 79 del 2011, promossa dalla Regione Umbria per
violazione dell’art. 117, quarto comma, Cost.;
6) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19
dell’allegato 1 del d.lgs. n. 79 del 2011, promossa dalla Regione Veneto per
violazione degli artt. 117, quarto comma, 118 e 120 Cost.;
7) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 24
dell’allegato 1 del d.lgs. n. 79 del 2011, promossa dalle Regioni Toscana,
Puglia, Umbria e Veneto per violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma,
118, primo comma, e 120 Cost., e del principio di leale collaborazione.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 aprile 2012.
F.to:
Franco GALLO, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 5 aprile
2012.