SENTENZA N. 339
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 2, 3 e 4 lettere a), b), c), e), ed f); dell’art. 5, dell’art. 6, commi 2 e 3; dell’art. 7; dell’art. 8; dell’art. 9, comma 2; dell’art. 11; dell’art. 12; dell’art. 13 e dell’art. 14, comma 2, della legge 20 febbraio 2006, n. 96 (Disciplina dell’agriturismo), promossi con ricorsi delle Regioni Lazio e Toscana notificati il 10 e il 13 maggio 2006, depositati in cancelleria il 16 maggio 2006 ed iscritti ai nn. 64 e 65 del registro ricorsi 2006.
Udito nell’udienza pubblica del 3 luglio 2007 il Giudice relatore Maria Rita Saulle;
uditi gli avvocati Leopoldo di Bonito per la Regione Lazio e Lucia Bora e Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana.
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso notificato il 10 maggio 2006, depositato il successivo 16 maggio, la Regione Lazio ha sollevato, in via principale, questione di legittimità costituzionale degli articoli 5, 7, 11, 12 e 13, della legge 20 febbraio 2006, n. 96 (Disciplina dell’agriturismo), per violazione degli articoli 117 e 120 della Costituzione.
A parere della ricorrente tale legge, nell’abrogare la legge 5 dicembre 1985, n. 730 (Disciplina dell’agriturismo), ha inciso, in assenza di un interesse unitario, nelle materie dell’agricoltura - cui appartiene quella dell’agriturismo - e del turismo - cui sono riconducibili taluni aspetti dell’attività agrituristica - attribuite alla competenza legislativa residuale delle Regioni, introducendo una disciplina che, anche ove si ritenesse espressione del potere legislativo concorrente dello Stato in materie rilevanti nell’ambito della suddetta attività, travalica i limiti di competenza a questo attribuiti.
1.1 - In particolare, la Regione Lazio ritiene che l’art. 5, nel disciplinare i requisiti igienico sanitario degli immobili e delle attrezzature da utilizzare per attività agrituristiche, seppure espressione della potestà legislativa concorrente dello Stato nelle materie «tutela della salute» e «governo del territorio», pone una normazione di dettaglio precludendo ogni possibile intervento da parte della Regione.
1.2 - La seconda censura investe l’art. 7.
Secondo la Regione Lazio anche tale disposizione, nell’introdurre una disciplina di dettaglio in ordine alle modalità per il rilascio del certificato di abilitazione all’esercizio dell’attività agrituristica, violerebbe le prerogative normative regionali, peraltro già esercitate con la legge 10 novembre 1997, n. 36 (Norme in materia di agriturismo).
1.3 - Una terza censura riguarda l’art. 11 e, in particolare, l’adozione di un programma di durata triennale per le Regioni, finalizzato alla promozione dell’agriturismo italiano.
Anche tale norma, a parere della ricorrente, sarebbe lesiva delle proprie competenze legislative e, in particolare, del potere di programmazione riconosciuto alle Regioni nelle materie attribuite alla loro competenza, così come, peraltro, previsto dall’art. 50, della legge regionale 11 novembre 2004, n. 1 (Nuovo Statuto della Regione Lazio).
1.4 - La quarta censura investe l’art. 12.
La Regione lamenta che tale disposizione, nell’estendere l’applicabilità delle disposizioni contenute nella legge n. 96 del 2006 all’attività della pesca ed alla relativa ospitalità e somministrazione di alimenti, violerebbe la competenza normativa regionale in materia di pesca, materia attribuita, anch’essa, alla competenza residuale delle Regioni.
1.5 - La ricorrente ritiene, infine, che l’art. 13, nella parte in cui attribuisce allo Stato, mediante l’istituzione dell’Osservatorio nazionale dell’agriturismo, un esteso e generale ruolo di indirizzo e coordinamento delle politiche nel settore dell’agriturismo, oltre ad intervenire in una materia sottratta alla sua competenza, non risponderebbe neanche a esigenze di sussidiarietà, difettando, peraltro, i requisiti della ragionevolezza e proporzionalità di tale intervento e non essendo previsto alcun coinvolgimento delle Regioni.
La ricorrente conclude rilevando che le diverse disposizioni impugnate, oltre a violare l’art. 117 della Costituzione, contrasterebbero con l’art. 120 della Costituzione e, in particolare, con il principio della leale collaborazione tra Stato e Regioni, essendo la disciplina censurata frutto di scelte unilaterali del legislatore statale. In proposito, la Regione Lazio osserva che le norme censurate non sarebbero state sottoposte all’esame della conferenza Stato-Regioni, né sarebbero state esaminate dalla commissione parlamentare per le questioni regionali, in violazione dell’art. 11 della legge 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).
2. Con ricorso notificato il 13 maggio 2006, depositato il successivo 16 maggio, la Regione Toscana ha sollevato, in via principale, questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 2, 3 e 4, lettere a), b), c), e) ed f); dell’art. 5, commi 4, 5 e 6; dell’art. 6, commi 2 e 3; dell’art. 8; dell’art. 9, comma 2; dell’art. 11, comma 1; dell’art. 12 e dell’art. 14, comma 2, della legge 20 febbraio 2006, n. 96 (Disciplina dell’agriturismo), per violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione.
La ricorrente ripropone le argomentazioni poste a fondamento del ricorso della Regione Lazio e, in particolare, l’inquadramento della attività agrituristica nelle materie di competenza residuale regionale del turismo e dell’agricoltura e che, seppure alcuni aspetti della legge impugnata rientrano in materie attribuite alla competenza legislativa concorrente, tuttavia il legislatore statale avrebbe introdotto, anche in tali ambiti, una disciplina di dettaglio.
2.1. - Con la prima censura la ricorrente lamenta che i commi 2, 3, e 4, lettere a), b), c), e), ed f), dell’art. 4, violerebbero gli artt. 117 e 118 della Costituzione, in quanto con tali disposizioni il legislatore statale sarebbe intervenuto a regolare aspetti concernenti esclusivamente l’attività agrituristica che, per le ragioni sopra indicate, rientra tra le materie sottratte alla sua competenza, non ravvisandosi, peraltro, esigenze di carattere unitario che impongano il suddetto intervento.
In particolare, la ricorrente rileva che, sebbene la norma impugnata, al comma 1, demandi alle Regioni, al fine dell’individuazione delle aziende agrituristiche, la definizione dei criteri per la valutazione del rapporto di connessione tra attività agrituristica ed attività agricola, al successivo comma 2 prevede che, ai fini dell’accertamento del rapporto tra le suddette attività, si debba tener conto in particolare del tempo di lavoro ad esse dedicato e, al comma 3, introduce un criterio di «prevalenza presunta» in base al quale deve, comunque, essere ritenuta prevalente l’attività agricola quando l’attività di ricezione e di somministrazione dei pasti e bevande interessi un numero non superiore a dieci ospiti.
Il disposto dei commi 2 e 3 dell’art. 4, a parere della Regione Toscana, oltre a violare gli indicati parametri costituzionali, si porrebbe in contrasto con quanto stabilito dalla legge regionale 23 giugno 2003, n. 30 (Disciplina delle attività agrituristiche in Toscana), che, al fine di verificare la principalità dell’attività agricola, non riconosce né un ruolo privilegiato al criterio del tempo di lavoro necessario all’esercizio delle attività, né alcuna presunzione di principalità.
Per gli stessi motivi sarebbe lesivo delle competenze legislative regionali l’art. 4, comma 4, lettere a), b), c) e) ed f), nella parte in cui prevede che le Regioni, al fine di disciplinare la somministrazione di pasti e di bevande, di cui all’art. 2, comma 3, lettera b), debbano tener conto di alcuni criteri, tra i quali quello di considerare prodotti propri delle aziende agrituristiche anche prodotti provenienti da aziende agricole collocate in zone omogenee contigue di Regioni limitrofe, nonché quello del dovere per le medesime aziende di apportare, comunque, una significativa quota di prodotto proprio. Anche tale previsione, oltre a violare gli evocati parametri costituzionali, si porrebbe in contrasto con quanto previsto dalla normativa regionale in cui, da un lato, non vi è alcun riferimento a Regioni limitrofe, dall’altro, prescinde dalla predeterminazione di una quota di prodotto proprio da assicurare.
2.2 - La seconda censura investe l’art. 5, commi 4, 5 e 6. Tale norma, a parere della Regione, sebbene regoli aspetti rientranti nelle materie dell’alimentazione, della tutela della salute e del governo del territorio, porrebbe una disciplina di dettaglio, non giustificata neanche in ragione di esigenze di carattere unitario.
In particolare, la Regione osserva che la norma impugnata, al comma 4, autorizza l’uso della cucina domestica nel caso di somministrazione di pasti in numero massimo di dieci, e al comma 5, dispone che, ai fini della valutazione dell’idoneità dei locali da adibire all’esercizio dell’attività agrituristica, è sufficiente, in caso di alloggi non superiori a dieci posti letto, il requisito dell’abitabilità e, infine, al comma 6, prevede che, per gli edifici e i manufatti destinati alla suindicata attività, la conformità alle norme vigenti in materia di accessibilità e di superamento delle barriere architettoniche sia assicurata con opere provvisorie.
Con riferimento a tali disposizioni, la ricorrente rileva di aver adottato la richiamata legge regionale n. 30 del 2003, la quale, all’art. 22, comma 5, consente l’uso della cucina domestica in caso di un numero di posti letto non superiore a dodici; all’art. 19, comma 1, non pone alcuna distinzione tra alloggi inferiori o superiori a dieci posti letto ai fini dei requisiti strutturali igienico-sanitari e, all’art. 18, comma 7, in tema di superamento ed eliminazione delle barriere architettoniche, considera solo come eventuale il ricorso a opere provvisionali, rinviando al decreto ministeriale 14 giugno 1989, n. 236 (Prescrizioni tecniche necessarie a garantire l’accessibilità, l’adottabilità e la visibilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e dell’eliminazione delle barriere architettoniche).
2.3 - La Regione Toscana impugna, poi, l’art. 6, commi 2 e 3, per violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione.
A parere della ricorrente tale norma, nell’indicare analiticamente il procedimento necessario all’avvio e all’esercizio dell’attività agrituristica, dalla comunicazione di inizio attività, ai tempi e ai modi per formulare eventuali rilievi da parte del comune, alle ipotesi di sospensione dell’attività, alle modalità di rimozione della causa di sospensione stessa, arrivando fino a definire i tempi entro cui devono essere comunicate le eventuali variazioni dell’attività autorizzata, contrasterebbe con gli evocati parametri costituzionali. Invero, la disciplina in esame non rientrerebbe in alcuna materia di competenza statale neppure concorrente e non riguarderebbe esigenze di interessi unitari da tutelare. Inoltre, la Regione Toscana osserva che l’art. 8 della legge regionale n. 30 del 2003 subordina, diversamente dalla norma impugnata, l’esercizio dell’attività agrituristica al rilascio di un provvedimento autorizzatorio, previo parere valutativo e vincolante della provincia.
2.4 - La ricorrente censura, poi, l’art. 8, nella parte in cui prescrive che l’imprenditore agricolo possa sospendere la ricezione degli ospiti per brevi periodi, senza obbligo di darne comunicazione al comune, e laddove sancisce l’obbligo per gli esercenti l’attività agrituristica di presentare entro il 31 ottobre di ciascun anno una dichiarazione contenente l’indicazione delle tariffe massime riferite ai periodi di alta e bassa stagione che si impegnano a praticare per l’anno seguente.
Tale disposizione, secondo la Regione Toscana, violerebbe gli artt. 117 e 118 della Costituzione per gli stessi motivi posti a fondamento della precedente censura, ponendosi, altresì, in contrasto con gli artt. 11, lettera c), e 10, della legge regionale n. 30 del 2003, i quali, rispettivamente, stabiliscono che entro il 1° ottobre di ogni anno l’azienda agrituristica deve comunicare alla provincia i prezzi massimi che intende praticare, non richiedendo una distinzione tra tariffe di alta e di bassa stagione, e prescrivono l’obbligo, a carico dell’impresa agrituristica, di comunicare al comune, oltre la data di inizio e cessazione di attività, anche i periodi temporanei di chiusura.
2.5 - Con identiche motivazioni la Regione Toscana censura l’art. 9, comma 2, nella parte in cui affida al Ministero delle politiche agricole e forestali, sentito il Ministro delle attività produttive, previa intesa in sede di Conferenza permanente, la determinazione dei criteri di classificazione omogenei per l’intero territorio nazionale delle aziende agricole che esercitano attività agrituristiche.
La ricorrente osserva, peraltro, di aver già adottato un proprio sistema di classificazione delle strutture ricettive agrituristiche e rileva, altresì, che il richiamo ad un atto di natura regolamentare sarebbe in contrasto con l’art. 117, sesto comma, della Costituzione, che riserva la potestà regolamentare allo Stato nelle sole materie di legislazione esclusiva.
2.6 - Anche l’art. 11, comma 1, della legge, a parere della Regione Toscana, violerebbe gli articoli 117 e 118 della Costituzione, nella parte in cui demanda al Ministro delle politiche agricole e forestali, d’intesa con le Regioni e le province autonome e sentite le associazioni nazionali agrituristiche maggiormente rappresentative a livello nazionale, la predisposizione di un programma triennale finalizzato alla promozione dell’agriturismo italiano sui mercati nazionali ed internazionali.
In particolare, la ricorrente osserva che la finalità del suddetto programma non sarebbe ricollegabile a competenze statali né ad esigenze di carattere unitario, spettando alle Regioni promuovere i propri prodotti sui mercati nazionali ed internazionali assumendo, sul punto, rilevanza la legge regionale 14 aprile 1997, n. 28 (Disciplina delle attività di promozione economica delle risorse toscane e di supporto al processo di internazionalizzazione nei settori produttivi dell'agricoltura, artigianato, piccola e media impresa industriale e turismo), e la legge regionale 28 gennaio 2000, n. 6 (Costituzione dell’Agenzia di promozione economica della Toscana (A.P.E.T.).
2.7 - Con la settima censura la Regione Toscana impugna l’art. 12, con motivazioni sostanzialmente coincidenti con quelle della Regione Lazio e, in particolare, rileva che anche la pesca rientrerebbe nella competenza normativa regionale, avendo la ricorrente adottato la legge 3 gennaio 2005, n. 7 (Gestione delle risorse ittiche e della pesca nelle acque interne).
2.8 - Con l’ottava censura la ricorrente rileva che l’art. 14, comma 2, violerebbe l’articolo 117 della Costituzione, nella parte in cui impone alle Regioni di uniformare le proprie normative ai principi fondamentali contenuti nella legge entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge stessa.
Tale norma sarebbe incostituzionale in quanto nelle materie dell’agricoltura e del turismo lo Stato non è legittimato ad intervenire, nemmeno attraverso la definizione dei principi fondamentali, trattandosi di ambiti demandati alla competenza residuale delle Regioni.
3. – In prossimità dell’udienza la Regione Toscana ha depositato una memoria con la quale ha sostanzialmente ribadito le argomentazioni contenute nel ricorso.
Considerato in diritto
1. - Le Regioni Lazio e Toscana con due ricorsi, il primo notificato il 10 maggio 2006, il secondo il 13 maggio 2006, ed entrambi depositati il successivo 16 maggio, impugnano varie disposizioni contenute nella legge 20 febbraio 2006, n. 96 (Disciplina dell’agriturismo), per violazione degli artt. 117, 118 e 120 della Costituzione.
2. – L’identità di materia e l’analogia delle questioni prospettate rendono opportuna la riunione dei ricorsi al fine della loro trattazione congiunta e della loro decisione con un’unica sentenza.
Le ricorrenti pongono a fondamento delle censure la medesima premessa, cioè che la legge impugnata violerebbe gli evocati parametri costituzionali in quanto inciderebbe nelle materie dell’agricoltura - cui appartiene la disciplina dell’agriturismo - e del turismo - cui sono riconducibili taluni aspetti dell’attività agrituristica - attribuite alla competenza legislativa residuale delle Regioni, non giustificandosi la disciplina impugnata neanche in ragione del principio di sussidiarietà. Inoltre, la Regione Lazio precisa che il suddetto intervento statale difetterebbe dei requisiti della proporzionalità e della ragionevolezza e sarebbe carente di ogni tipo di coinvolgimento delle Regioni.
Entrambe le Regioni rilevano, altresì, che sebbene l’attività agrituristica coinvolga materie attribuite alla competenza concorrente dello Stato, le norme impugnate sarebbero in contrasto con i parametri costituzionali evocati in quanto dettano una disciplina di dettaglio.
3. - In via preliminare, occorre rilevare che la legge impugnata prescrive una disciplina generale per l’attività agrituristica, attività che, seppure in via immediata, rientra nelle materie agricoltura e turismo di competenza residuale delle Regioni, interferisce tuttavia con altre materie attribuite alla competenza, o esclusiva o concorrente, dello Stato.
4. - La Regione Toscana impugna l’art. 4 e, in particolare, i commi 2, 3, e 4, lettere a), b), c), e), ed f), nella parte in cui essi indicano, ai fini dell’individuazione dell’azienda agrituristica, quale criterio sulla cui base ritenere prevalente l’attività agricola su quella agrituristica, quello del tempo di lavoro necessario all’esercizio delle suddette attività, presumendosi prevalente quella agricola nei casi nei quali l’attività di ricezione e di somministrazione dei pasti e bevande interessi un numero non superiore a dieci ospiti.
La ricorrente ritiene, altresì, incostituzionale la norma impugnata nella parte in cui impone alle Regioni, sempre ai fini dell’individuazione sopra indicata, di riconoscere come prodotti propri dell’azienda agrituristica anche prodotti provenienti da aziende agricole collocate in zone omogenee contigue di Regioni limitrofe, nonché di prevedere che le suddette aziende somministrino una quota di prodotto proprio.
Tali disposizioni, a parere della Regione Toscana, violerebbero gli artt. 117 e 118 della Costituzione, in quanto con esse il legislatore statale sarebbe intervenuto con una normativa di dettaglio in una materia sottratta alla sua competenza, non ravvisandosi esigenze di carattere unitario che impongano il suddetto intervento.
4.1 - La questione relativa all’art. 4, comma 2, non è fondata.
In proposito va osservato che l’art. 4, nel dettare criteri e limiti dell’attività agrituristica, al comma 1 prevede che «Le regioni, tenuto conto delle caratteristiche del territorio regionale o di parti di esso, dettano criteri, limiti e obblighi amministrativi per lo svolgimento dell’attività agrituristica», specificando, al successivo comma 2, che «Affinché l’organizzazione dell’attività agrituristica non abbia dimensioni tali da perdere i requisiti di connessione rispetto all’attività agricola, le regioni e le province autonome definiscono criteri per la valutazione del rapporto di connessione delle attività agrituristiche rispetto alle attività agricole che devono rimanere prevalenti, con particolare riferimento al tempo di lavoro necessario all’esercizio delle stesse attività». Tale ultima disposizione, se da un lato si limita a ribadire il principio secondo il quale l’attività agrituristica deve porsi in rapporto di connessione con quella agricola, così come previsto dall’art. 2135 del codice civile e dall’art. 2 della stessa legge impugnata, dall’altro, laddove prevede quale elemento determinante ai fini della comparazione tra le due tipologie di attività sopra indicate il tempo di lavoro necessario al loro rispettivo svolgimento, non lede alcuna competenza regionale.
Invero, la disposizione di cui all’art. 4, comma 2, costituisce una specificazione della previsione generale contenuta nel precedente comma, il quale, appunto, attribuisce alle Regioni il compito di dettare i criteri utili al fine di classificare un’azienda agrituristica; con la conseguenza che deve intendersi demandata ai suddetti enti anche l’individuazione delle regole in base alle quali calcolare il tempo di lavoro cui fa riferimento la norma impugnata.
4.2 – Le questioni relative ai commi 3 e 4 dell’art. 4, sono fondate.
In particolare, il comma 3 prevede che «L'attività agricola si considera comunque prevalente quando le attività di ricezione e di somministrazione di pasti e bevande interessano un numero non superiore a dieci ospiti».
Tale disposizione, stabilendo una presunzione ai fini del riconoscimento di un’attività come agrituristica, opera esclusivamente nell’ambito delle materie agricoltura e turismo, cui è riconducibile, in via immediata, la suddetta attività, ledendo, in tal modo, le prerogative legislative delle Regioni alle quali le suddette materie sono attribuite in via residuale, ai sensi dell’art. 117, comma quarto, della Costituzione.
4.3 – L’art. 4, al comma 4, fissa, poi, una serie di criteri che l’impresa agrituristica deve rispettare nella somministrazione di pasti e bevande, tra i quali quello di garantire una quota significativa di prodotti propri, e quello di poter offrire, a determinate condizioni, anche prodotti di Regioni limitrofe.
Anche tale norma va ritenuta lesiva delle prerogative regionali, in quanto diretta a disciplinare esclusivamente aspetti inerenti l’attività agrituristica.
5. - Entrambe le ricorrenti impugnano l’art. 5, in quanto ritengono che la disposizione in esso contenuta, seppure operante nell’ambito di materie attribuite alla competenza concorrente di Stato e Regione, pone una normativa di dettaglio.
5.1 – Le censure relative all’art. 5, commi 4 e 5, sono fondate.
Con tali disposizioni il legislatore statale ha previsto che «Nel caso di somministrazione di pasti in numero massimo di dieci, per la loro preparazione può essere autorizzato l’uso della cucina domestica» (comma 4) e che «Per le attività agrituristiche di alloggio, nei limiti di dieci posti letto, per l’idoneità dei locali è sufficiente il requisito dell’abitabilità» (comma 5).
Le norme impugnate nel fissare in modo puntuale la disciplina applicabile in materia di tutela della salute, fanno sì che non residui alcuno spazio normativo per le Regioni. Queste ultime, infatti, in presenza dei limiti specifici previsti dal legislatore statale, non hanno alcun margine di operatività, con la conseguenza che risulta lesa la loro competenza legislativa nel settore in esame.
5.2 – Le censure relative ai commi 1, 2, 3 e 6, dell’art. 5, non sono fondate.
Le norme impugnate, nel disciplinare i requisiti igienico-sanitari applicabili alle strutture edilizie ed alle attrezzature dell’agriturismo, nonché le modalità di produzione, preparazione e confezionamento degli alimenti ivi consumati, risultano espressione del potere legislativo dello Stato in materia di «tutela della salute». In particolare, la prima parte del comma 1 demanda alle Regioni il compito di stabilire i suddetti requisiti, non invadendo in tal modo alcuna competenza regionale; mentre la seconda parte, laddove prevede che nella individuazione di tali requisiti deve tenersi conto di particolari elementi, quali, tra l’altro, le caratteristiche architettoniche degli immobili, si limita a fissare alcuni principi generali, lasciando alle Regioni la concreta disciplina in materia.
Quanto al successivo comma 2, esso si limita a rimandare, circa la produzione, la preparazione, il confezionamento e la somministrazione di alimenti e di bevande, alla disciplina contenuta nella legge 30 aprile 1962, n. 283 (Modifica degli artt. 242, 243, 247, 250 e 262 del T.U. delle leggi sanitarie approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265: Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande), e nell’art. 9 del decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 155 (Attuazione della direttiva 93/43/CEE e della direttiva 96/3/CE concernenti l’igiene dei prodotti alimentari), non contenendo alcuna norma di dettaglio.
In proposito, va rilevato che la legge n. 283 del 1962 pone una disciplina di portata generale, applicabile anche all’attività agrituristica, finalizzata alla tutela della salute e, in particolare, a garantire la salubrità degli alimenti, nonché a disciplinare alcuni aspetti del controllo ufficiale tutt’oggi pienamente operativi ed indirizzati anche alla produzione di quest’ultimi.
Quanto all’art. 9 del d.lgs. n. 155 del 1997, il legislatore ha ribadito la deroga ivi prevista a favore delle produzioni alimentari agrituristiche (dettata per le loro peculiari caratteristiche), in relazione ai requisiti igienico sanitari.
Anche per il comma 3 dell’art. 5 valgono le stesse considerazioni fatte per la seconda parte del comma 1, essendosi limitato il legislatore nazionale ad indicare alcuni criteri a cui deve attenersi l’autorità sanitaria ai fini della valutazione di idoneità dei locali al trattamento ed alla somministrazione di alimenti all’interno delle aziende agrituristiche e, quindi, a dettare un principio fondamentale in materia di tutela della salute e, sotto altro aspetto, in materia di governo del territorio anch’esso di competenza concorrente.
Infine, parimenti infondate sono le censure relative al comma 6, laddove è prevista una deroga a favore delle strutture agrituristiche per quanto attiene al rispetto della disciplina sul superamento delle barriere architettoniche. La norma impugnata, infatti, nel prevedere per gli edifici e i manufatti destinati all’esercizio dell’attività agrituristica la conformità alle norme vigenti in materia di accessibilità e di superamento delle barriere architettoniche, anche mediante l’adozione di opere provvisionali, fissa un principio fondamentale relativo alla tutela della persona.
6. - La Regione Toscana censura, poi, l’art. 6, commi 2 e 3, in quanto ritiene che tale norma, nella parte in cui fissa in modo puntuale la disciplina amministrativa per l’esercizio dell’attività agrituristica, attività rientrante nelle materie di competenza esclusiva delle Regioni, in assenza di esigenze unitarie da tutelare, violi gli artt. 117 e 118 della Costituzione.
6.1 – Le questioni sono fondate.
L’art. 6, ai commi 2 e 3, prevede, rispettivamente, che «La comunicazione di inizio dell'attività consente l’avvio immediato dell’esercizio dell’attività agrituristica. Il comune, compiuti i necessari accertamenti, può, entro sessanta giorni, formulare rilievi motivati prevedendo i relativi tempi di adeguamento senza sospensione dell’attività in caso di lievi carenze e irregolarità, ovvero, nel caso di gravi carenze e irregolarità, può disporre l’immediata sospensione dell’attività sino alla loro rimozione da parte dell’interessato, opportunamente verificata, entro il termine stabilito dal comune stesso», e che «Il titolare dell’attività agrituristica è tenuto, entro quindici giorni, a comunicare al comune qualsiasi variazione delle attività in precedenza autorizzate, confermando», sotto la propria responsabilità, «la sussistenza dei requisiti e degli adempimenti di legge».
Le norme impugnate, nel disciplinare il procedimento amministrativo che consente l’avvio dell’esercizio di un agriturismo, nonché le comunicazioni delle eventuali variazioni dell’attività autorizzata, attengono unicamente ad aspetti relativi alla attività agrituristica che, in quanto tali, sono sottratti alla competenza legislativa dello Stato.
7. - La Regione Lazio impugna l’art. 7, nella parte in cui, nel prevedere le modalità per il rilascio del certificato di abilitazione all’esercizio dell’attività agrituristica, violerebbe le competenze legislative regionali, nonché il principio di leale collaborazione.
7.1 – La questione non è fondata.
L’art. 7, al comma 1, prevede che «Le regioni disciplinano le modalità per il rilascio del certificato di abilitazione all’esercizio dell’attività agrituristica. Per il conseguimento del certificato, le Regioni possono organizzare, attraverso gli enti di formazione del settore agricolo e in collaborazione con le associazioni agrituristiche più rappresentative, corsi di preparazione».
Tale disposizione non lede le attribuzioni legislative regionali, limitandosi, da un lato, a prevedere la possibilità per le Regioni di disciplinare le modalità per il rilascio del certificato di abilitazione all’esercizio dell’attività agrituristica; dall’altro, a rendere facoltativa per le Regioni l’organizzazione a tal fine di appositi corsi di formazione.
8. - La Regione Toscana impugna l’art. 8 per violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione, ritenendolo lesivo della propria competenza normativa non ravvisandosi, altresì, l’esigenza di tutelare interessi unitari.
8.1 – La questione è fondata.
L’art. 8, al comma 1, prevede che «L’attività agrituristica può essere svolta tutto l’anno oppure, previa comunicazione al comune, secondo periodi stabiliti dall'imprenditore agricolo. Tuttavia, ove se ne ravvisi la necessità per esigenze di conduzione dell’azienda agricola, è possibile, senza obbligo di ulteriori comunicazioni al comune, sospendere la ricezione degli ospiti per brevi periodi», e, al successivo comma 2, che «Entro il 31 ottobre di ciascun anno, secondo la procedura indicata dalla regione, i soggetti che esercitano l’attività agrituristica presentano una dichiarazione contenente l’indicazione delle tariffe massime riferite a periodi di alta e di bassa stagione, che si impegnano a praticare per l’anno seguente».
Le comunicazioni prescritte dalla disposizione impugnata sono strettamente ed esclusivamente collegate con l’attività agrituristica, di talché risultano estranee ad ambiti di competenza legislativa statale e, quindi, la norma che prevede tali comunicazioni deve ritenersi lesiva delle prerogative regionali.
9. - La Regione Toscana impugna, per violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione, l’art. 9, comma 2, il quale afferma che «Al fine di una maggiore trasparenza e uniformità del rapporto tra domanda e offerta di agriturismo, il Ministro delle politiche agricole e forestali, sentito il Ministro delle attività produttive, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, determina criteri di classificazione omogenei per l’intero territorio nazionale e definisce le modalità per l'utilizzo, da parte delle Regioni, di parametri di valutazione riconducibili a peculiarità territoriali».
Secondo la ricorrente la norma censurata sarebbe in contrasto con gli evocati parametri costituzionali, in quanto contempla aspetti rientranti nell’attività agrituristica, attività attribuita alla competenza legislativa residuale delle Regioni, per le quali non vengono neanche in rilievo interessi unitari tali da giustificare l’intervento normativo in esame.
9.1 - La questione non è fondata.
In proposito si osserva che, sebbene il turismo e l’agricoltura siano materie di competenza legislativa residuale, ciò non toglie che il legislatore statale possa considerare necessario attrarre a livello centrale determinate funzioni amministrative «sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza» di cui al primo comma dell’art. 118 della Costituzione, dettando la relativa disciplina della funzione amministrativa in questione.
In particolare, questa Corte ha più volte affermato che, in presenza di un’esigenza di esercizio unitario a livello statale di determinate funzioni amministrative, lo Stato è abilitato a disciplinare siffatto esercizio per legge, e ciò anche se quelle stesse funzioni siano riconducibili a materie di legislazione concorrente o residuale. In tal caso, i principi di sussidiarietà e di adeguatezza, in forza dei quali si verifica l’attrazione della funzione normativa, dal livello regionale a quello statale, convivono con il normale riparto di competenze contenuto nel Titolo V della Costituzione e ne giustificano una deroga purché, la valutazione dell’interesse pubblico sottostante all’assunzione di funzioni regionali, da parte dello Stato, sia proporzionata, assistita da ragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità e sia previsto un coinvolgimento delle Regioni interessate (sentenze n. 383, n. 285, n. 270 e n. 242 del 2005, n. 6 del 2004, n. 303 del 2003).
Ciò è quanto è avvenuto con la norma oggetto di censura, la quale, nel rispetto delle condizioni che secondo la citata giurisprudenza di questa Corte debbono sussistere affinché la potestà legislativa statale sia legittimamente esercitata al di là dei confini segnati dall'art. 117 della Costituzione, ha attribuito a livello centrale il compito di definire i criteri di classificazione delle aziende agrituristiche.
10. - Entrambe le ricorrenti censurano l’art. 11, nella parte in cui prevede l’adozione di un programma per lo sviluppo dell’agriturismo, per violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione, precisando la Regione Lazio che tale norma contrasterebbe anche con l’art. 50 della legge regionale 11 novembre 2004, n. 1 (Nuovo Statuto della Regione Lazio).
A parere delle ricorrenti l’attività di programmazione, nelle materie attribuite alla competenza regionale, è di esclusiva pertinenza delle Regioni; pertanto, per tale motivo e in considerazione del fatto che non sussistono esigenze di carattere unitario da tutelare, la norma impugnata si pone in contrasto con i citati parametri costituzionali.
10.1 La questione non è fondata.
L’art.11, al comma 1, prevede che «Il Ministro delle politiche agricole e forestali di intesa con le Regioni le province autonome e sentite le associazioni nazionali agrituristiche maggiormente rappresentative a livello nazionale, predispone un programma di durata triennale, aggiornabile annualmente, finalizzato alla promozione dell’agriturismo italiano sui mercati nazionali e internazionali». Tale disposizione risulta chiaramente indirizzata alla promozione del turismo nazionale, stabilendo, a tal fine, che il programma di promozione dell’agriturismo venga adottato previa intesa con le Regioni e province autonome e, quindi, rispetti le condizioni che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, debbono sussistere affinché la potestà legislativa statale sia legittimamente esercitata al di là dei confini segnati dall’art. 117 della Costituzione.
In particolare, deve ritenersi legittimo l’intervento in sussidiarietà dello Stato nella materia del turismo quando esso è finalizzato, come nel caso di specie, alla promozione del “made in Italy” a livello nazionale e internazionale (sentenze n. 88 del 2007 e n. 214 del 2006). Pertanto, la scelta di attribuire al Ministero delle politiche agricole e forestali un ruolo centrale nella predisposizione del programma triennale di promozione dell’agriturismo risulta giustificato dal punto di vista costituzionale laddove si considerino le ricadute che l’attività di promozione determina sul piano dei rapporti tra le aziende agrituristiche e tra queste ultime e gli altri operatori turistici.
11. - Entrambe le ricorrenti impugnano l’art. 12, nella parte in cui assimila alle attività agrituristiche quelle svolte dai pescatori relativamente all’ospitalità e alla somministrazione dei pasti costituiti prevalentemente dai prodotti della attività di pesca.
Le ricorrenti osservano che anche la pesca, come l’agriturismo, rientra nella competenza residuale delle Regioni, con la conseguenza che l’intervento normativo in esame, non sussistendo neanche esigenze di carattere unitario, violerebbe gli artt. 117 e 118 della Costituzione.
11.1 - La questione non è fondata.
La norma censurata, nel rendere applicabile la disciplina contenuta nella legge n. 96 del 2006 ai pescatori che esercitano le medesime attività delle aziende agrituristiche, va interpretata nel senso che essa opera nei limiti in cui le altre disposizioni contenute nella legge impugnata risultano costituzionalmente legittime in quanto espressione del potere legislativo, o concorrente o esclusivo, dello Stato.
12. - La Regione Lazio ritiene, poi, che l’art 13, nella parte in cui attribuisce allo Stato un esteso e generale ruolo di indirizzo e coordinamento delle politiche nel settore dell’agriturismo, prevedendo, a tal uopo, l’istituzione di un Osservatorio nazionale dell’agriturismo, violi l’art. 117 della Costituzione e il principio della leale collaborazione.
12.1 - L’art. 13 prevede che «Al fine di fornire informazioni utili per lo svolgimento delle attività di indirizzo e di coordinamento di competenza del Ministero delle politiche agricole e forestali, nonché allo scopo di favorire la comunicazione e lo scambio di esperienze sul territorio nazionale, le Regioni inviano annualmente allo stesso Ministero delle politiche agricole e forestali una relazione sintetica sullo stato dell’agriturismo nel territorio di propria competenza, integrata dai dati sulla consistenza del settore e da eventuali disposizioni emanate in materia» (comma 1), istituendo, a tal fine, presso il citato Ministero l’Osservatorio nazionale dell’agriturismo (comma 2), il quale cura la raccolta e la elaborazione delle informazioni provenienti dalle Regioni, pubblicando annualmente un rapporto nazionale sullo stato dell’agriturismo e formulando, anche con il contributo di esperienze estere, proposte per lo sviluppo del settore (comma 3).
Per quanto concerne i commi 1 e 3 la questione non è fondata.
Tali commi – imponendo alle Regioni l’obbligo di fornire le indicate informazioni – mirano a coordinare a livello centrale la raccolta dei dati afferenti all’attività agrituristica da esse svolta, al fine di disporre di un quadro unitario. Pertanto con tali norme lo Stato ha esercitato la potestà legislativa in materia di coordinamento informativo, statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale e regionale, ad esso attribuita in via esclusiva dall’art. 117, secondo comma, lettera r), della Costituzione.
Relativamente al comma 2, la questione è invece fondata.
La norma infatti, nel disciplinare l’istituzione presso il Ministero delle politiche agricole e forestali dell’Osservatorio nazionale dell’agriturismo, non prevede alcun coinvolgimento delle Regioni per mezzo della Conferenza Stato-Regioni
13. - La Regione Toscana, infine, impugna l’art. 14, comma 2, nella parte in cui prevede che «Le regioni uniformano ai principi fondamentali contenuti nella presente legge le proprie normative in materia di agriturismo entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa».
13.1 - La censura è fondata solo per la parte in cui si riferisce al rispetto dei principi fondamentali dettati dal legislatore statale in materia di agriturismo, materia che risulta sottratta alla competenza legislativa dello Stato e attribuita a quella residuale delle Regioni, che devono uniformarsi unicamente ai principi, contenuti nella legge n. 96 del 2006, i quali siano espressione della potestà legislativa esclusiva o concorrente dello Stato.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
a) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, commi 3 e 4, lettere a), b), c), e) ed f), dell’art. 5, commi 4 e 5, dell’art. 6, commi 2 e 3, dell’art. 8 della legge 20 febbraio 2006, n. 96 (Disciplina dell’agriturismo);
b) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, della legge n. 96 del 2006, nella parte in cui, nell’istituire l’Osservatorio nazionale dell’agriturismo, non prevede alcun coinvolgimento delle Regioni;
c) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2, della legge n. 96 del 2006, nella parte in cui si riferisce alle norme di cui al capo a);
d) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 2, dell’art. 5, commi 1, 2, 3, e 6, dell’art. 7, dell’art. 9, comma 2, dell’art. 11, dell’art. 12 e dell’art. 13, commi 1 e 3, della legge n. 96 del 2006, sollevate, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Toscana e dalla Regione Lazio, con i ricorsi indicati in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 ottobre 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Maria Rita SAULLE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 12 ottobre 2007.