SENTENZA N. 199
ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Sabino CASSESE
Presidente
- Giuseppe TESAURO Giudice
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale degli artt. 6, comma 1, 8, comma 2, 13 e 18 della legge
della Regione autonoma Sardegna 17 dicembre 2012, n. 25 (Disposizioni urgenti
in materia di enti locali e settori diversi), promosso dal Presidente del
Consiglio dei ministri con ricorso
notificato il 18-20 febbraio 2013, depositato in cancelleria il 25 febbraio
2013 ed iscritto al n. 25 del registro ricorsi 2013.
Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma
Sardegna;
udito nell’udienza pubblica del 10 giugno 2014 il Giudice relatore Sergio
Mattarella;
uditi l’avvocato dello Sato Cristina Gerardis per il
Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Massimo Luciani per la
Regione autonoma Sardegna.
1.– Con ricorso spedito per la notifica
il 18 febbraio 2013, ricevuto dalla resistente il successivo 20 febbraio e
depositato nella cancelleria di questa Corte il 25 febbraio 2013 (reg. ric. n.
25 del 2013), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento agli artt. 97, 117, primo comma,
secondo comma, lettera s), e terzo comma, della Costituzione, e 3 e 4,
lettere a) ed e), della legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna),
nonché per contrasto con gli artt. 10 e 16 del decreto
legislativo 28 giugno 2012, n. 106 (Riorganizzazione degli enti vigilati dal
Ministero della salute, a norma dell’articolo 2 della legge 4 novembre 2010, n.
183), con gli artt. da 20 a 28, nonché con gli Allegati III, lettere b), s)
ed u), e IV, punti 2, lettera b), 7, lettera o), 8, lettera i), del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), questione
di legittimità costituzionale degli artt. 6, comma 1, ed 8, comma 2, 13 e 18
della legge Regione autonoma Sardegna 17 dicembre 2012, n. 25 (Disposizioni
urgenti in materia di enti locali e settori diversi).
Osserva preliminarmente l’Avvocatura
dello Stato che, con le disposizioni di legge regionale impugnate, la Regione
autonoma Sardegna interviene in una serie di settori nei quali è stata
riscontrata la necessità di adottare disposizioni urgenti.
1.1.– Deduce, in particolare, il
ricorrente Presidente del Consiglio dei ministri che l’art. 6, comma 1, della
legge reg. Sardegna n. 25 del 2012, disponendo che gli enti locali affidano lo
svolgimento dei servizi di interesse generale non soltanto a società «a totale
partecipazione pubblica», ma anche a società «a partecipazione mista pubblica
privata», si porrebbe in contrasto con il diritto dell’Unione europea, violando
in tal modo l’art. 117, primo comma, della Costituzione.
Il testo della disposizione impugnata è
il seguente: «1. Gli enti locali affidano lo svolgimento dei servizi di
interesse generale, ad eccezione del servizio di distribuzione di energia
elettrica, del servizio di distribuzione di gas naturale e dei servizi aperti
ad una effettiva concorrenza nel mercato, dei servizi strumentali connessi alla
loro attività o all’esercizio delle funzioni amministrative e fondamentali ad
essi conferite ai sensi degli articoli 117, comma 2, lettera p), e 118 della
Costituzione, nonché di ogni altra attività d’interesse pubblico regionale e
locale, mediante procedure di evidenza pubblica o, in alternativa, ad organismi
a partecipazione mista pubblica privata o a totale partecipazione pubblica, nel
rispetto della normativa comunitaria».
Osserva anzitutto la difesa dello Stato
che la sentenza
n. 199 del 2012 della Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 4 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori
misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 settembre
2011, n. 148, recante disposizioni per l’«Adeguamento della disciplina dei
servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dall’Unione
europea». Quest’ultimo, limitando le ipotesi di affidamento in house dei servizi pubblici locali senza gara al di sotto di
900.000 euro alle società a capitale interamente pubblico, reintroduceva la
disciplina contenuta nell’art. 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione
tributaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6
agosto 2008, n. 133, che era stato abrogato dal referendum del 12-13 giugno
2011, riproducendone i medesimi principi ispiratori e le medesime modalità di
applicazione, lesivi delle competenze regionali in tema di servizi pubblici
locali e di organizzazione degli enti locali. Da ciò seguirebbe l’applicazione
immediata nell’ordinamento nazionale della normativa europea sulle regole
concorrenziali minime in tema di gara ad evidenza pubblica per l’affidamento della
gestione di servizi pubblici di rilevanza economica, ricompresi nei «servizi di
interesse generale», allo svolgimento dei quali si riferisce la disposizione
censurata.
L’Avvocatura dello Stato richiama i
principi di diritto affermati dalla Corte di giustizia dell’Unione europea che
consentono l’affidamento diretto di un servizio, senza gara ad evidenza
pubblica volta all’attuazione dei principi di libera concorrenza, in favore
delle società in house soltanto a determinate
condizioni: a) il capitale sociale sia interamente pubblico; b) l’ente o gli
enti pubblici titolari del capitale pubblico esercitino un controllo sulle
richiamate società analogo a quello esercitato sui propri servizi; c) dette
società realizzino la parte più importante della loro attività con l’ente o gli
enti pubblici che le controllano. Secondo la giurisprudenza comunitaria più
recente, ad avviso del ricorrente il requisito della «totale partecipazione
pubblica» non sarebbe quindi soddisfatto nel caso di una società al cui capitale
partecipino soci privati; sarebbe invece ammesso l’affidamento diretto soltanto
qualora non vi sia il coinvolgimento degli operatori economici nell’esercizio
del servizio; diversamente, dovrebbero trovare applicazione le regole della
concorrenza previste dal diritto dell’Unione europea e da quello interno da
esso derivato.
Al riguardo, è richiamata la sentenza
11 gennaio 2005, in causa C-26/03, Stadt Halle ed
altri contro RPL Lochau, della Corte di giustizia
dell’Unione europea, con la quale è stato affermato che la partecipazione,
anche minoritaria, di un’impresa privata al capitale di una società alla quale
partecipa anche l’amministrazione aggiudicatrice, esclude, in ogni caso, che
quest’ultima possa esercitare su detta società un controllo analogo a quello
che essa esercita sui propri servizi.
La difesa dello Stato richiama altresì
l’interpretazione dei menzionati principi del diritto dell’Unione europea
avvalorata, per quanto in maniera meno rigorosa, dal Consiglio di Stato,
secondo il quale l’affidamento diretto può ritenersi legittimo alle seguenti
condizioni: a) esista un’apposita norma che consenta il ricorso alla società
mista; b) con la gara indetta per la scelta del socio privato sia realizzato
anche l’affidamento dell’attività operativa della società al privato
(cosiddetta gara "a doppio oggetto”); c) siano adeguatamente delimitate le
finalità della società mista cui affidare il servizio senza gara; d) siano
motivate, in modo approfondito, le ragioni di questa scelta organizzativa; e)
sia stabilito un limite temporale ragionevole alla durata del rapporto sociale,
al quale si accompagni la previsione espressa della «scadenza del periodo di
affidamento», evitando, in tal modo, che il socio divenga socio stabile della
società mista, prevedendo che dagli atti di gara siano chiarite le modalità per
l’uscita del socio stesso, nel caso in cui all’esito della successiva gara egli
risulti non più aggiudicatario.
Da ciò seguirebbe che, configurandosi
l’affidamento diretto sempre come eccezione di stretta interpretazione al
sistema delle gare, l’art. 6, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 25 del
2012, nella parte in cui esclude il ricorso a procedure competitive di evidenza
pubblica per l’affidamento di servizi di interesse generale non solo «a società
a totale partecipazione pubblica» ma anche a «società a partecipazione mista
pubblica privata» si porrebbe in contrasto con il diritto dell’Unione europea
che prescrive, nel caso di specie, una selezione con gara "a doppio oggetto”
del socio privato.
1.2.– Con un secondo motivo di ricorso,
il ricorrente Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 8, comma 2,
della legge reg. Sardegna n. 25 del 2012 che inserisce il comma 7-bis all’art.
6 della legge della Regione Sardegna 7 agosto 2009, n. 3 (Disposizioni urgenti
nei settori economico e sociale).
Il testo della disposizione impugnata è
il seguente: «Dopo il comma 7 dell’articolo 6 della legge regionale n. 3 del
2009 è introdotto il seguente: "7-bis. La realizzazione di nuovi impianti
eolici o di ampliamenti di impianti esistenti è consentita, oltre la fascia dei
300 metri, anche negli ambiti di paesaggio costieri, purché non ricadenti in beni
paesaggistici e ricompresi:
all’interno degli agglomerati
industriali gestiti dai consorzi industriali provinciali di cui alla tabella A,
e delle aree industriali e ZIIR di cui alla tabella B della legge regionale 25
luglio 2008, n. 10 (Riordino delle funzioni in materia di aree industriali), e
successive modifiche ed integrazioni, nonché
all’interno delle aree circoscritte da una fascia di pertinenza pari a 4 km dal
perimetro degli stessi;
– nelle aree relative a tutti i piani
per gli insediamenti produttivi (PIP) del territorio regionale;
– nelle aree PIP di superficie
complessiva superiore ai 20 ettari e la relativa fascia di pertinenza pari a 4
km, computabile anche come aggregazione di singoli PIP contermini;
– all’interno delle aziende agricole, su
strutture appositamente realizzate, nelle aree immediatamente prospicienti le
strutture al servizio delle attività produttive, e aventi potenza fino a 200 kW
da parte degli imprenditori di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 29
marzo 2004, n. 99, e alla legge regionale n. 15 del 2010”».
Al riguardo, osserva l’Avvocatura dello
Stato che, in base all’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387
(Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia
elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno
dell’elettricità), nonché al paragrafo 17 dell’Allegato 3 del decreto del
Ministero dello sviluppo economico 10 settembre 2010 (Linee guida per
l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili), le Regioni
possono procedere all’indicazione di aree e siti non idonei alla installazione
di specifiche tipologie di impianti, ma non possono provvedere autonomamente
alla individuazione dei criteri per il corretto inserimento degli impianti alimentati
da fonti rinnovabili (è richiamata la sentenza della
Corte costituzionale n. 224 del 2012).
Al contrario, secondo la difesa dello
Stato, la disposizione censurata non si limiterebbe ad indicare i siti «non
idonei» alla installazione degli impianti, come previsto dalle richiamate
disposizioni, bensì individuerebbe, su tutto il territorio regionale (anche
quello costiero oltre la fascia dei 300 metri), i siti «idonei», con ciò ponendosi
in contrasto con le norme statali evocate, eccedendo dalla competenza
statutaria concorrente in materia di «produzione e distribuzione dell’energia
elettrica» della Regione prevista dall’art. 4, lettera e), dello statuto di
autonomia, il quale consente l’emanazione di norme legislative nei limiti del
precedente art. 3 («In armonia con la Costituzione, e i principi
dall’ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi
internazionali e degli interessi nazionali nonché delle norme fondamentali
delle riforme economico-sociali della Repubblica») e dei principi stabiliti
dalle leggi dello Stato.
Da ciò seguirebbe il contrasto con
l’evocato art. 12, comma 10, del richiamato d.lgs. n. 387 del 2003 e con
l’Allegato 3, paragrafo 17, delle menzionate Linee guida, che precludono alle
Regioni l’individuazione di aree non idonee all’installazione di impianti
alimentati da fonti non rinnovabili (è ancora richiamata la sentenza n. 224 del
2012).
1.3.– Con un terzo ordine di censure, il
Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche l’art. 13 della legge reg.
Sardegna n. 25 del 2012, per il quale: «1. Sono recepite le disposizioni di cui
agli articoli da 9 a 16 del decreto legislativo 28 giugno 2012, n. 106
(Riorganizzazione degli enti vigilati dal Ministero della salute, a norma
dell’articolo 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183). Sono abrogate le
disposizioni contrastanti contenute nella legge regionale 4 agosto 2008, n. 12 (Riordino
dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Sardegna "Giuseppe Pegreffi”, ai sensi del decreto legislativo 30 giugno 1993,
n. 270, e abrogazione della legge regionale 22 gennaio 1986, n. 15)».
1.3.1.– Osserva anzitutto l’Avvocatura
dello Stato che la disposizione di legge censurata appare, «per la sua
genericità, del tutto inadeguata e priva di effettivo valore giuridico», a
fronte dell’art. 10 del d.lgs. n. 106 del 2012, che imporrebbe alle Regioni di
adottare, con disciplina specifica e di dettaglio, le modalità gestionali,
organizzative e di funzionamento degli istituti, nonché l’esercizio delle
funzioni di sorveglianza e i criteri di valutazione dei costi, dei rendimenti e
di verifica dell’utilizzazione delle risorse, dettando, nel contempo, i
principi a cui le Regioni debbono attenersi nell’emanare le norme di dettaglio
sia mediante il richiamo ai criteri già previsti dal decreto legislativo 30
dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma
dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), sia indicando ulteriori
principi di semplificazione, razionalizzazione e riordino degli uffici, del
personale e delle risorse.
Secondo la difesa dello Stato, rispetto
ai principi e criteri posti dal legislatore statale, la norma regionale
censurata, limitandosi a disporne il mero e generico recepimento senza dettare
la necessaria e specifica disciplina attuativa determinerebbe «una situazione
di incertezza giuridica e di possibile paralisi degli organi e del funzionamento
degli istituti zooprofilattici sperimentali, con possibile pregiudizio per la
tutela della salute».
1.3.2.– Osserva, inoltre, l’Avvocatura
dello Stato che il secondo periodo dell’impugnato art. 13, facendo decorrere
l’effetto abrogativo delle previgenti disposizioni contrastanti contenute nella
legge regionale 4 agosto 2008, n. 12 (Riordino dell’Istituto zooprofilattico
sperimentale della Sardegna "Giuseppe Pegreffi”, ai
sensi del decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 270, e abrogazione della legge
regionale 22 gennaio 1986, n. 15) a far data dall’entrata in vigore
dell’impugnata legge reg. Sardegna n. 25 del 2012, si porrebbe in contrasto con
l’art. 16 del d.lgs. n. 106 del 2012, facendo quest’ultimo decorrere
l’abrogazione del decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 270 (Riordinamento
degli istituti zooprofilattici sperimentali, a norma dell’art. 1, comma 1,
lettera h, della legge 23 ottobre 1992, n. 421) – il quale reca la disciplina
di detti istituti precedente a quella introdotta dal d.lgs. n. 106 del 2012 –
dall’entrata in vigore dello statuto e dei regolamenti di ciascun Istituto, da
emanarsi, ai sensi dell’art. 12 dello stesso d.lgs. n. 106 del 2012, nel
rispetto delle leggi regionali chiamate a dare attuazione ai summenzionati
principi e criteri direttivi dettati dal precedente art. 10.
La difesa statale menziona altresì il
comma 2 dell’art. 16 del d.lgs. n. 106 del 2012 il quale, disponendo che «Fino
alla data di entrata in vigore dello statuto e dei regolamenti di cui
all’articolo 12, rimangono in vigore le attuali norme sul funzionamento e
sull’organizzazione degli Istituti nei limiti della loro compatibilità con le
disposizioni del presente decreto legislativo», intende garantire la continuità
del funzionamento dei disciplinati istituti, nelle more dell’adozione dei
provvedimenti attuativi delle norme di riordino previste dal d.lgs. n. 106 del
2012.
Secondo il ricorrente Presidente del
Consiglio dei ministri detta continuità non sarebbe invece garantita
dall’impugnato art. 13 della legge reg. Sardegna n. 25 del 2012, il quale,
prevedendo l’abrogazione della precedente legge regionale sull’organizzazione e
sul funzionamento dell’Istituto zooprofilattico sperimentale, a decorrere dalla
sua entrata in vigore – a far data, quindi, antecedentemente all’adozione dei
nuovi statuti e regolamenti – determinerebbe un vuoto normativo suscettibile di
paralizzare l’attività dell’Istituto o, comunque, di determinare una situazione
di pericolosa incertezza giuridica, atteso che i principi posti dagli artt. da 9
a 16 del d.lgs. n. 106 del 2012 necessitano di puntuali atti regionali
attuativi. Da ciò seguirebbe che la disposizione di legge regionale censurata
si porrebbe in contrasto con gli artt. 10 e 16 del d.lgs. n. 106 del 2012,
violando, in tal modo, i principi fondamentali della legislazione statale in
materia di «tutela della salute» e, conseguentemente, l’art. 117, terzo comma,
Cost., nonché, determinando incertezza giuridica e ostacolando il buon
funzionamento dell’Istituto zooprofilattico sperimentale, il principio del buon
andamento della pubblica amministrazione previsto dall’art. 97 Cost.
1.4.– Con un quarto motivo di ricorso,
il Presidente del Consiglio dei ministri impugna infine l’art. 18 della legge reg.
Sardegna n. 25 del 2012, per il quale: «1. I titoli minerari di autorizzazione
di indagine, concessione, permesso di ricerca di minerali di I categoria e le
autorizzazioni e i permessi di cava, per i quali sia stata presentata da parte
degli esercenti, prima della scadenza del titolo minerario, l’istanza tesa alla
proroga e/o al rinnovo del titolo medesimo, il cui procedimento non sia stato
concluso da tutte le amministrazioni aventi competenza concorrente per motivi
indipendenti dagli obblighi attribuiti agli istanti, sono automaticamente
prorogati sino al 30 giugno 2013. 2. La proroga è ammessa esclusivamente per la
prosecuzione dei lavori precedentemente autorizzati e non ancora conclusi,
previa verifica di validità delle polizze di fideiussione a garanzia
dell’esecuzione dei lavori di messa in sicurezza e ripristino ambientale, nel
rispetto delle norme vigenti in materia di attività estrattive».
Osserva anzitutto l’Avvocatura dello
Stato che le disposizioni censurate rinnoverebbero «di diritto» le autorizzazioni
di indagine, concessione, permesso di ricerca di minerali di I categoria,
nonché le autorizzazioni e i permessi di cava già scadute o in scadenza, senza
prevedere alcuna condizione, verifica o procedura di natura ambientale, mentre
la normativa statale ammetterebbe il rinnovo soltanto per i progetti che siano
già stati sottoposti alla procedura di valutazione dell’impatto ambientale o
alla procedura di verifica di assoggettabilità a VIA entro cinque anni dalla
pubblicazione del provvedimento di VIA, ai sensi del termine stabilito, a pena
di decadenza, dall’art. 26, comma 6, del d.lgs. n. 152 del 2006, escludendolo,
invece, per quei progetti che non siano mai stati sottoposti a procedure di VIA
o di verifica di assoggettabilità a VIA.
Ne conseguirebbe che la disposizione di
legge regionale censurata, sottraendo detti progetti dalle procedure di VIA, si
porrebbe in contrasto con gli artt. da 20 a 28 e con gli Allegati III, lettere
b), s) ed u), e IV, punti 2, lettera b), 7, lettera o), ed 8, lettera i), del
richiamato d.lgs. n. 152 del 2006.
Osserva infatti l’Avvocatura dello Stato
che la durata di ogni singola autorizzazione costituisce condizione
fondamentale del provvedimento autorizzativo, alla cui scadenza è necessaria
una verifica sia dell’eventuale mutamento delle condizioni territoriali ed
ambientali, sia degli aggiornamenti intervenuti nel quadro normativo. Ne
conseguirebbe che la modifica o la proroga del termine di una autorizzazione, o
comunque il rinnovo della stessa autorizzazione, definendone un nuovo termine,
costituirebbe una evidente modifica della «sostanza» della autorizzazione
medesima, che, in quanto tale, dovrebbe essere sottoposta alle procedure in
materia di VIA stabilite dalla direttiva 27 giugno 1985, n. 85/337/CEE (Direttiva
del Consiglio concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati
progetti pubblici e privati), Allegato I, punto 22, ed Allegato II, punto 13,
primo trattino (ora direttiva 13 dicembre, n. 2011/92/UE – testo di
codificazione, Allegato I, punto 24, ed Allegato II, punto 13.a). Al riguardo,
è richiamato anche l’orientamento della Corte di giustizia dell'Unione europea
che avrebbe ribadito detti principi (sentenza
della Corte di giustizia, in causa C-201/02, sentenza 7 gennaio 2004, Delena-Wells, punti da 44 a 47), nonché la
giurisprudenza del Consiglio di Stato (sezione IV, sentenza n. 5715 del 2004) e
della Corte costituzionale (sentenze n. 1 e n. 67 del 2010),
che avrebbero affermato la facoltà di sottrarre alla procedura di VIA i rinnovi
di autorizzazione per progetti estrattivi autorizzati sulla base di una previa
valutazione di impatto ambientale o di una verifica di assoggettabilità a VIA
(tenendo comunque presente il termine di decadenza quinquiennale
stabilito dall’art. 26, comma 6, del d.lgs. n. 152 del 2006), mentre ciò non
potrebbe valere per il rinnovo o la proroga di quelle autorizzazioni di
progetti la cui compatibilità ambientale non sia stata previamente accertata in
sede di autorizzazione.
Ad avviso della difesa statale, ne conseguirebbe
che l’art. 18 della legge reg. Sardegna n. 25 del 2012, non individuando il
termine a decorrere dal quale, entrata in vigore la disciplina in materia di
VIA concernente le attività relative ai «titoli minerari di autorizzazione di
indagine, concessione, permesso di ricerca di minerali di I categoria e le
autorizzazione e i permessi di cura», occorra procedere, per una prima volta,
all’assoggettamento alla VIA dell’attività medesima, eccede dalla competenza
statutaria in materia di «industria, commercio ed esercizio industriale delle
miniere, cave e saline», prevista dall’art. 4, lettera a), dello statuto di
autonomia, violando, in tal modo, l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.,
che attribuisce allo Stato la legislazione esclusiva in materia di «tutela
dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali».
2.– Si è costituita in giudizio la
Regione autonoma Sardegna con atto del 20 marzo 2013, depositato nella
cancelleria di questa Corte il successivo 29 marzo, chiedendo che il ricorso
sia dichiarato inammissibile, o comunque, nel merito, infondato.
2.1.– In relazione al
primo motivo di ricorso, osserva, in via preliminare, la difesa regionale che
la censura mossa avverso l’art. 6, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 25 del
2012 – in ragione dell’asserito contrasto con l’ordinamento comunitario di cui
all’art. 117, primo comma, Cost. e con gli artt. 3 e 4 dello statuto di
autonomia – escludendo la disposizione di legge regionale impugnata il ricorso
a procedure competitive di evidenza pubblica per l’affidamento di servizi di
interesse generale non solo a società «a totale partecipazione pubblica» ma
anche a «società a partecipazione mista pubblica privata» – sarebbe
inammissibile, per omessa specificazione del parametro interposto, limitandosi,
il ricorrente, ad evocare genericamente il diritto eurounitario per censurare
la violazione indiretta degli artt. 117, primo comma, Cost., e 3 e 4 dello
statuto sardo di autonomia, «senza indicare le precise disposizioni dei
Trattati o del diritto derivato che sarebbero pretesamente
violate dalla disposizione impugnata» (è richiamata, al riguardo, la sentenza n. 325 del
2010 della Corte costituzionale).
Nel merito, ad avviso della difesa
regionale, la questione sarebbe comunque infondata.
Quanto all’esatta individuazione del thema decidendum, osserva
preliminarmente la Regione autonoma Sardegna che il ricorrente non mette in
questione il riparto di competenze tra Stato e Regione, bensì unicamente la
conformità della censurata legge regionale al diritto dell’Unione europea,
richiamando unicamente i limiti posti dalla giurisprudenza della Corte di
giustizia circa l’affidamento diretto di un servizio (senza gara ad evidenza
pubblica volta all’attuazione dei principi di libera concorrenza) in favore
delle società in house. Al riguardo, la resistente
richiama il diverso orientamento assunto dal Consiglio di Stato nel parere
della sezione II, 18 aprile 2007, n. 456, nel quale è stato affermato che «in
astratto, è configurabile un "controllo analogo” anche nel caso in cui il
pacchetto azionario non sia detenuto direttamente dall’ente pubblico, ma
indirettamente mediante una società per azioni capogruppo (c.d. holding)
posseduta al 100 % dell’ente medesimo», cosicché, in tale ottica, la
partecipazione pubblica indiretta, anche se totalitaria, sarebbe compatibile
con il diritto eurounitario. Lo stesso principio sarebbe stato affermato dalla
Corte di giustizia dell’Unione europea nella sentenza
11 maggio 2006, in causa C-340/04, Carbotermo ed
altri, a testimonianza del fatto che la totale partecipazione pubblica
della società affidataria non è elemento imprescindibile per l’affidamento
cosiddette in house dei servizi pubblici locali, là
dove la società affidataria sia controllata, a sua volta, da una società a
totale partecipazione pubblica.
Da ciò, seguirebbe l’infondatezza
dell’assunto da cui muove il ricorrente, in base al quale, in ossequio al
diritto eurounitario, la gestione dei servizi pubblici può essere affidata
alternativamente o a società totalmente private o a società che rientrano nel
modello del cosiddette in house providing.
Pur escludendo, l’evoluzione giurisprudenziale, la riconducibilità del modello
organizzativo della «società mista» a quello da ultimo richiamato, stando al
menzionato parere del Consiglio di Stato n. 456 del 2007, «la non
riconducibilità alla figura dell’in house providing non implica, di
per sé, la esclusione automatica della compatibilità comunitaria della diversa
figura della società mista a partecipazione pubblica maggioritaria in cui il
socio privato sia scelto con una procedura di evidenza pubblica», avendo il
decreto legislativo 12 aprile 2006 (Codice dei contratti pubblici relativi a
lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e
2004/18/CE) affermato il principio secondo il quale le società miste «devono
intendersi consentite nei soli casi già previsti da una disciplina speciale,
nel rispetto del principio di legalità» e che, in questi casi, «la scelta del
socio deve comunque avvenire con procedure di evidenza pubblica», sicché «la
necessità di una gara per la scelta del socio», se da un parte determina
«l’esclusione della riconducibilità alla figura dell’in
house», dall’altra «ha condotto a ritenere non
corretto annoverare tale figura-tipo di affidamento tra quelli "diretti”».
Ne conseguirebbe che, secondo il
richiamato orientamento del Consiglio di Stato, «l’attività che si ritiene
"affidata” (senza gara) alla società mista sia, nella sostanza, da ritenere
affidata (con gara) al partner privato scelto con una procedura di evidenza
pubblica che abbia ad oggetto, al tempo stesso, anche l’attribuzione dei suoi
compiti operativi e quella della qualità del socio», con la conseguenza che
sarebbe «ammissibile il ricorso alla figura della società mista (quantomeno)
nel caso in cui essa non costituisca, in sostanza, la beneficiaria di un
"affidamento diretto”, ma la modalità organizzativa con la quale
l’amministrazione controlla l’affidamento disposto, con gara, al "socio
operativo” della società».
Non sussisterebbe, pertanto, il
censurato contrasto.
2.2.– Ad avviso della resistente, anche
le censure mosse avverso l’art. 8, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 25 del
2012, con le quali il Presidente del Consiglio si duole della lesione delle
competenze statutarie, avendo il legislatore regionale indicato, su tutto il
territorio regionale, i siti «idonei» alla installazione degli impianti eolici,
sarebbero anzitutto inammissibili per erronea indicazione del parametro asseritamente violato. Secondo la Regione autonoma
Sardegna, pur concernendo, la norma impugnata, la pianificazione delle centrali
eoliche sul territorio e la protezione dei beni ambientali e paesaggistici ed
essendo pertanto riconducibile all’ambito materiale dell’urbanistica, sarebbe
stato evocato a parametro soltanto l’art. 4 dello statuto di autonomia, senza
richiamare l’art. 3, comma 1, lettera f), della legge cost. n. 3 del 1948, che
attribuisce al legislatore regionale competenza esclusiva nelle materie
«urbanistica ed edilizia»; né il ricorrente avrebbe richiamato gli artt. 5 e 6
del d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480 (Nuove norme di attuazione dello statuto
speciale della regione autonoma della Sardegna), i quali attribuiscono alla
competenza della Regione autonoma Sardegna tra l’altro l’approvazione dei
«piani territoriali di coordinamento» e dei «piani territoriali paesistici»,
imprescindibili ai fini di una corretta ricostruzione dell’ambito di autonomia
della resistente (è richiamata la sentenza della
Corte costituzionale n. 51 del 2006 sul «ruolo interpretativo ed
integrativo delle stesse espressioni statutarie» rispetto alle norme di
attuazione degli statuti speciali e sulla loro prevalenza sugli atti
legislativi ordinari, anche in specifico riferimento all’ambito materiale
dell’«urbanistica ed edilizia» da cui discenderebbe la competenza primaria
della Regione autonoma Sardegna in materia di tutela del paesaggio).
Nel merito, la censura sarebbe
infondata.
Osserva anzitutto la Regione autonoma
Sardegna che, con la sentenza n. 224 del
2012, richiamata dal ricorrente, la Corte costituzionale, dichiarando
costituzionalmente illegittimo l’art. 18 della legge della Regione Sardegna 29 maggio
2007, n. 2 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
della Regione. Legge finanziaria 2007), come sostituito dall’art. 6, comma 8,
della legge della Regione Sardegna 7 agosto 2009, n. 3 (Disposizioni urgenti
nei settori economico e sociale), nella parte in cui consentiva la
realizzazione di nuovi impianti eolici nelle aree industriali, retroindustriali e limitrofe, anche se ricadenti negli
ambiti di paesaggio costieri o in aree già compromesse dal punto di vista
ambientale, avrebbe affermato il principio in base al quale la Regione autonoma
Sardegna, onde esercitare la propria competenza primaria in materia paesistica,
potrebbe «individuare le aree non idonee all’inserimento di impianti eolici»,
ma non potrebbe adottare una legislazione che si risolvesse nel «rovesciamento
del principio generale contenuto nell’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del
2003», che prevede la generale utilizzabilità di tutti i terreni per
l’inserimento degli impianti di energia eolica, con le eccezioni, stabilite
dalle Regioni, ispirate alla tutela di altri interessi costituzionalmente
protetti.
La norma censurata nel presente giudizio
sarebbe però, secondo la difesa regionale, «radicalmente diversa» da quella
allora dichiarata costituzionalmente illegittima, poiché aumenterebbe le
possibilità di edificazione di impianti eolici restringendo l’ambito di
operatività del divieto posto dall’art. 112 delle Norme tecniche di attuazione
del Piano paesistico regionale, adottato con deliberazione della Giunta
regionale 5 settembre 2006, n. 36/7, ai sensi della legge della Regione
Sardegna 25 novembre 2004, n. 8 (Norme urgenti di provvisoria salvaguardia per
la pianificazione paesaggistica e la tutela del territorio regionale), il
quale, riespandendosi a seguito della richiamata
dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 18 della legge reg.
Sardegna n. 2 del 2007, precluderebbe la realizzazione di impianti eolici negli
ambiti di paesaggio costieri.
2.3.– Quanto al terzo motivo di ricorso,
con il quale è impugnato l’art. 13 della legge reg. Sardegna n. 25 del 2012, la
resistente eccepisce, in via preliminare, l’inammissibilità della doglianza per
carenza di interesse del ricorrente, atteso che, in caso di pronuncia
ablatoria, la lamentata «genericità» della disciplina regionale – che si
sarebbe limitata a disporre il generico recepimento della legge statale, senza
dettare una vera disciplina attuativa – si trasformerebbe addirittura in «vuoto
normativo».
2.3.1.– Nel merito, la censura sarebbe
infondata.
Ad avviso della difesa regionale, la
norma censurata renderebbe infatti applicabile agli istituti zooprofilattici
regionali le disposizioni recate dagli artt. da 9 a 16 del d.lgs. n. 106 del
2012, per le quali, tra l’altro, sono: elencate alcune modalità di esercizio
delle funzioni degli istituti stessi (facoltà di associarsi per le attività di
produzione; immissione in commercio e distribuzione di specialità veterinarie;
possibilità di stipulare convenzioni e contratti; facoltà di svolgere attività
di supporto tecnico-scientifico per le Università) (art. 9); riordinati gli
organi degli istituti e le relative attribuzioni (art. 11); dettate previsioni
sulla riforma degli statuti e dei regolamenti degli istituti stessi, i quali
dovranno essere adottati in via autonoma dagli organi, senza «alcun bisogno di
specifica ulteriore intermediazione da parte delle fonti regionali» (art. 12);
recate ulteriori puntualizzazioni circa la disciplina delle funzioni di
vigilanza e di controllo (art. 14). Ne conseguirebbe che, quanto alle
disposizioni richiamate, il legislatore statale avrebbe già dettato norme
direttamente applicabili, per quanto suscettibili di ulteriore specificazione.
Quanto, invece, agli artt. 10 e 13
dell’evocato d.lgs. n. 106 del 2012, secondo la Regione autonoma Sardegna, pur
trattandosi di disposizioni di non immediata applicazione, esse non
imporrebbero comunque alcun obbligo di attuazione mediante legge regionale: gli
ulteriori principi e criteri direttivi dettati dal legislatore statale in punto
di organizzazione e funzionamento degli istituti zooprofilattici regionali,
nonché di valutazione dei costi, dei rendimenti e di verifica
dell’utilizzazione delle risorse con la prima delle due disposizioni evocate a
parametro, ben potrebbero trovare attuazione in via regolamentare da parte
della Regione; né il richiamato art. 13 – che prevede la costituzione di un
comitato di supporto strategico composto dai direttori generali di tutti gli
istituti, dai direttori generali delle direzioni del Dipartimento per la sanità
veterinaria del Ministero della salute – pur non essendo suscettibile di
immediata applicazione, sarebbe lesivo dei parametri evocati, per quanto possa
essere inutiliter dato.
2.3.2.– Parimenti infondata sarebbe
anche la censura rivolta al secondo periodo dell’art. 13 della legge reg.
Sardegna n. 25 del 2012, che, prevedendo l’abrogazione delle «disposizioni
contrastanti contenute nella legge regionale 4 agosto 2008, n. 12», si porrebbe
– secondo il ricorrente – in contrasto con l’art. 16 del d.lgs. n. 106 del
2012, il quale dispone invece l’abrogazione del d.lgs. n. 270 del 1993 (recante
la disciplina degli istituti zooprofilattici regionali antecedente a quella di
riordino dettata dal medesimo decreto legislativo), dall’entrata in vigore dello
statuto e dei regolamenti degli istituti stessi, facendo, in tal modo,
decorrere l’effetto abrogativo della precedente legge reg. Sardegna n. 12 del
2008 (recante il riordino dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della
Sardegna) dall’entrata in vigore della legge regionale impugnata (e, quindi, a
far data antecedentemente all’adozione dei nuovi statuti e regolamenti
dell’Istituto zooprofilattico sperimentale).
Osserva, infatti, la resistente che non
vi sarebbe alcuna differenza sostanziale tra l’effetto abrogativo disposto
dalla legge statale e quello prodotto dal censurato intervento del legislatore
regionale. Il richiamato art. 16 del d.lgs. n. 106 del 2012 prevede infatti che
a rimanere in vigore siano le precedenti «norme sul funzionamento e sull’organizzazione
degli Istituti nei limiti della loro compatibilità con le disposizioni del
presente decreto legislativo». Analogamente, la legge regionale prevede
l’abrogazione delle «disposizioni contrastanti contenute nella legge regionale
4 agosto 2008, n. 12». Ne conseguirebbe che, in entrambi i casi, il legislatore
(statale e regionale) si è limitato ad esplicare l’effetto della abrogazione
tacita delle norme incompatibili con la nuova disciplina degli Istituti
zooprofilattici sperimentali, sicché non sussisterebbe il censurato contrasto.
In secondo luogo, rileva la Regione
autonoma Sardegna che il principio generale di continuità funzionale
dell’amministrazione implica la prorogatio degli
organi e degli uffici amministrativi, sicché sarebbe assolutamente infondato il
lamentato pericolo di paralisi dell’attività dell’Istituto e la conseguente
lesione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione ex art.
97 Cost.
Osserva, infine, la resistente che non
sussiste alcun dovere del legislatore regionale di completare, con una
disciplina di dettaglio, quella di principio stabilita dal legislatore statale.
2.4.– Quanto, infine, al quarto motivo
di ricorso, con il quale è censurato l’art. 18 della legge reg. Sardegna n. 25
del 2012, per asserito contrasto con la normativa statale in punto di procedure
di VIA relative al rinnovo delle autorizzazioni e dei permessi di cava, la
difesa regionale eccepisce, in via preliminare, l’inammissibilità della
doglianza per errata e incompleta prospettazione del parametro, atteso che il
ricorrente si duole unicamente della lesione dell’art. 4, comma 1, lettera a),
dello statuto di autonomia, che riserva alla Regione la competenza concorrente
in materia di «esercizio industriale delle miniere, cave e saline». Al
contrario, secondo la Regione autonoma Sardegna, la norma impugnata, trattando
di «titoli minerari» e di «permessi di cava», involverebbe anche la sua
competenza esclusiva in materia di «esercizio dei diritti demaniali e
patrimoniali della Regione relativi alle miniere, cave e saline» prevista
dall’art. 3, comma 1, lettera m), dello statuto di autonomia: il ricorrente
avrebbe pertanto omesso di motivare in ordine all’esorbitanza della
disposizione di legge regionale censurata anche dal richiamato parametro
statutario.
Nel merito, secondo la resistente, la
censura sarebbe comunque infondata, atteso che la disposizione impugnata
disporrebbe una proroga definita in un brevissimo arco di tempo (dalla data di
entrata in vigore della legge censurata sino al 30 giugno 2013), non destinata
a tutti gli operatori del settore, bensì solamente a quelli che abbiano
presentato, prima della scadenza del titolo minerario, una «istanza tesa alla
proroga e/o al rinnovo del titolo medesimo, il cui procedimento non sia stato
concluso da tutte le amministrazioni aventi competenza […] per motivi
indipendenti dagli obblighi attribuiti agli istanti».
Osserva, infatti, la Regione autonoma
Sardegna che detta proroga non comporta alcun beneficio particolare in capo
agli esercenti di cave e miniere, bensì sarebbe soltanto funzionale a regolare
il mero passaggio, in via transitoria, tra la vigenza del precedente titolo e
il suo (possibile) rinnovo, onde evitare che le imprese debbano soffrire un
pregiudizio nelle more di definizione dei procedimenti amministrativi di
rinnovo e proroga. Da ciò seguirebbe che la disposizione censurata, ben lungi
dallo stabilire la «procedura di rinnovo automatico» lamentata dal ricorrente,
disporrebbe una mera proroga della concessione (al riguardo, è richiamata la
sentenza del Consiglio di Stato, sezione V, n. 1252 del 2012, circa gli
elementi per cui il «rinnovo del contratto» differisce dalla «proroga»).
Ad avviso della resistente, sarebbero
conseguentemente inconferenti le evocate sentenze della Corte di giustizia
dell’Unione europea, 7
gennaio 2004, in causa C-201/02, Delena Wells, e
del Consiglio di Stato, sezione IV, n. 5715 del 2004, avendo ad oggetto
provvedimenti che disponevano un effettivo rinnovo di titoli autorizzativi. Al
contrario, nel caso di specie, la disposizione censurata si limiterebbe a
rinnovare i termini di appena un semestre, mentre la "sostanza” della
concessione non sarebbe certamente alterata.
Analogamente, secondo la Regione
autonoma Sardegna, le richiamate sentenze n. 1 e n. 67 del 2010
e n. 114 del
2012 della Corte costituzionale avevano ad oggetto atti legislativi di
rinnovo pluriennale dei titoli di sfruttamento del suolo che comportavano
ricadute automatiche sul piano ambientale, cosa che non si verificherebbe nel
caso di specie, disponendo la norma impugnata una mera proroga dei titoli in
essere.
3.– Con memoria depositata in data 20
maggio 2014, la Regione autonoma Sardegna ha ribadito
le conclusioni precedentemente rassegnate chiedendo che il ricorso sia
dichiarato inammissibile, o, nel merito, infondato.
1.– Il Presidente del Consiglio dei
ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 6,
comma 1, 8, comma 2, 13 e 18 della legge della Regione autonoma Sardegna 17
dicembre 2012, n. 25 (Disposizioni urgenti in materia di enti locali e settori
diversi), in riferimento agli artt. 97, 117, primo comma, secondo comma,
lettera s), e terzo comma, della Costituzione, e 3 e 4, lettere a) ed e), della
legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna),
nonché per contrasto con gli artt. 10 e 16 del decreto legislativo 28 giugno
2012, n. 106 (Riorganizzazione degli enti vigilati dal Ministero della salute,
a norma dell’articolo 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183), con gli articoli
da 20 a 28, e con gli Allegati III, lettere b), s) ed u), e IV, punti 2,
lettera b), 7, lettera o), ed 8, lettera i), del decreto legislativo 3 aprile
2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).
2. – L’art. 6, comma 1, della legge reg.
Sardegna n. 25 del 2012, è impugnato perché, disponendo che gli enti locali
affidano lo svolgimento dei servizi di interesse generale non soltanto a
società «a totale partecipazione pubblica», ma anche a società «a
partecipazione mista pubblica privata», si porrebbe in contrasto con il diritto
dell’Unione europea, violando in tal modo l’art. 117, primo comma, Cost.
In via preliminare, occorre prendere in
esame le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla Regione autonoma Sardegna
per omessa specificazione del parametro interposto e per «errata prospettazione
di parte ricorrente».
2.1.– L’eccezione non è fondata.
Bisogna anzitutto osservare che,
ancorché la difesa regionale sollevi due distinti motivi d’inammissibilità
(l’uno inerente alla mancata indicazione del parametro interposto asseritamente violato, e l’altro al difetto di motivazione
del gravame), l’eccezione va presa in esame unitariamente, in quanto entrambi i
motivi sono fondati su una ratio comune (ex plurimis,
sentenza n. 67
del 2014), essendo riconducibili alla valutazione circa l’ammissibilità
delle censure mosse in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost.
Secondo quanto sostenuto dalla Regione
autonoma Sardegna, la mancata indicazione delle precise disposizioni dei
Trattati o del diritto derivato dell’Unione europea che sarebbero violate dalla
disposizione impugnata concreterebbe il preteso «difetto di motivazione del
gravame» da parte del ricorrente, limitandosi, quest’ultimo, ad evocare
genericamente il diritto dell’Unione per censurare la violazione indiretta
degli artt. 117, primo comma, Cost., e 3 e 4 dello statuto di autonomia, «senza
indicare le precise disposizioni dei Trattati o del diritto derivato che
sarebbero violate dalla disposizione impugnata».
È ben vero, come osserva la difesa
regionale, che questa Corte ha dichiarato inammissibili questioni di
legittimità costituzionale promosse in riferimento all’art. 117,
primo comma, Cost. per omessa indicazione delle norme interposte del
diritto dell’Unione europea asseritamente violate.
Ciò, però, soltanto nei limitati casi in cui il contrasto con il diritto
dell’Unione era evocato in maniera assolutamente generica, non essendo in alcun
modo individuabile il parametro integrativo del giudizio e non essendo
richiamato alcun principio dei Trattati univocamente desumibile dalla
giurisprudenza comunitaria idoneo a concretare la lesione delle competenze del
ricorrente (sentenze n. 199 del 2012,
punto 4.1. del Considerato in diritto; n. 325 del 2010,
punto 11.1. del Considerato in diritto). Sicché, nei precedenti richiamati
dalla Regione autonoma Sardegna, l’ambito delle competenze in assunto violato
non poteva essere in alcun modo individuato dalle prospettazioni dei ricorrenti
(sentenze n. 311
del 2013, n.
199 del 2012 e n. 325 del 2010).
Ben diverso risulta il caso in esame, in
cui si deve disattendere l’eccezione di inammissibilità. Le norme interposte e
i principi del diritto dell’Unione europea sono infatti desumibili dal ricorso
in maniera sufficientemente idonea a concretare l’asserita violazione dell’art.
117 Cost. e dei parametri statutari evocati (artt. 3 e 4 della legge cost. n. 3
del 1948), in ragione della palese incidenza della disposizione impugnata sulla
materia della concorrenza e della evidente interferenza del disposto normativo
rispetto ai principi generali stabiliti al riguardo dal diritto dell’Unione
europea (ex plurimis, sentenze n. 50 del 2013
e n. 114 del
2012). L’Avvocatura dello Stato, nel motivare la censura avverso la norma
impugnata, fornisce, tra l’altro, ampli richiami alla sentenza
della Corte di giustizia, 11 gennaio 2005, in causa C-26/03, Stadt Halle ed altri contro RPL Lochau,
i quali risultano sufficientemente idonei a prospettare la lesione dei principi
generali del Trattato in materia di concorrenza (art. 14 del Trattato sul funzionamento
dell’Unione europea), nonché di libertà di stabilimento e di prestazione dei
servizi (artt. 49 e 56 del TFUE), rendendo «superflua ogni ulteriore
specificazione delle singole norme di riferimento» (sentenza n. 114 del
2012).
2.2.– Nel merito, la questione non è
fondata, nei termini di seguito precisati.
Occorre anzitutto procedere
all’inquadramento dell’ambito materiale a cui è riconducibile la disposizione
impugnata (art. 6, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2012), nella
parte in cui consente l’affidamento diretto dei servizi di rilevanza economica
dell’ente locale a società «a partecipazione mista pubblica privata».
In relazione a disposizioni analoghe a
quella censurata nell’odierno giudizio, questa Corte ha già riconosciuto la
corrispondenza tra l’espressione «servizio pubblico locale di rilevanza
economica» o «servizio di interesse generale» dell’ente locale e quella di
«servizio di interesse economico generale» (SIEG), rinvenibile, in particolare,
negli artt. 14 e 106 del TFUE (ex plurimis, sentenza n. 325 del
2010, punto 6.1. del Considerato in diritto). Ne consegue che la norma
censurata, riferendosi ai servizi pubblici locali a rilevanza economica, è
riconducibile all’ambito materiale relativo alla tutela della concorrenza.
Prima di esaminare, nel merito, la
censura prospettata, occorre rilevare che la normativa vigente in materia è
stata oggetto di numerosi interventi del legislatore statale che, negli anni
più recenti, ha espressamente recepito i criteri enucleati dal diritto
dell’Unione europea in sede di modifica dell’art. 113 del decreto legislativo
18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti
locali). La normativa richiamata, incorporata nel testo unico degli enti
locali, per effetto della clausola di salvaguardia contenuta all’art. 1, comma
2, dello stesso d.lgs. n. 267 del 2000 in favore delle autonomie speciali – il
quale prevede che «Le disposizioni del presente testo unico non si applicano
alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano
se incompatibili con le attribuzioni previste dagli statuti e dalle relative
norme di attuazione» – consente, secondo la consolidata giurisprudenza di
questa Corte, l’applicazione anche alle autonomie speciali della menzionata
disciplina nei limiti dei parametri statutari e delle norme di attuazione (tra
le tante, sentenza
n. 39 del 2014).
Il richiamato art. 113 è stato poi
abrogato dall’art. 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione
Tributaria), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1,
della legge 6 agosto 2008, n. 133, che già prevedeva l’affidamento dei servizi
pubblici a società a partecipazione mista pubblico/privata.
Peraltro, il richiamato art. 23-bis è
stato successivamente abrogato a seguito dell’entrata in vigore del d.P.R. 18
luglio 2011, n. 113 (Abrogazione, a seguito di referendum popolare,
dell'articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, e successive modificazioni, nel
testo risultante a seguito della sentenza della
Corte costituzionale n. 325 del 2010, in materia di modalità di affidamento
e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica), con il quale,
preso atto dell’esito del referendum ammesso da questa Corte con la sentenza n. 24 del
2011, è stata disposta l’abrogazione, a decorrere dal 21 luglio 2011,
dell’art. 23-bis, oggetto del quesito referendario.
Questa Corte, con la citata sentenza n. 24
del 2011 (punto 4.2.2. del Considerato in diritto), ha escluso la
reviviscenza dell’art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000 a seguito
dell’abrogazione referendaria dell’art. 23-bis del d.l.
n. 112 del 2008.
La conseguenza delle vicende legislative
e referendarie brevemente richiamate è che, attualmente, si deve ritenere
applicabile alla materia in cui si controverte nel presente giudizio unicamente
la normativa e la giurisprudenza comunitarie, senza alcun riferimento a leggi
interne (sentenze n.
50 del 2013 e n.
199 del 2012).
Tanto premesso circa la disciplina
vigente in cui si colloca la disposizione censurata nell’odierno giudizio,
occorre rilevare che, nel raffrontare la normativa interna allora censurata
(versione originaria del sopra richiamato art. 23-bis) con quella (tutt’ora
vigente) del diritto dell’Unione europea, questa Corte ha già affermato che «La
normativa comunitaria consente l’affidamento diretto del servizio (cioè senza
una gara ad evidenza pubblica per la scelta dell’affidatario) alle società
miste nelle quali si sia svolta una gara ad evidenza pubblica per la scelta del
socio privato e richiede sostanzialmente che tale socio sia un socio
"industriale” e non meramente "finanziario” (in tal senso, in particolare, il
Libro verde della Commissione del 30 aprile 2004), senza espressamente
richiedere alcun limite, minimo o massimo, della partecipazione del socio
privato», permettendo, in particolare, l’affidamento diretto della gestione del
servizio «in via ordinaria» ad una società mista, alla condizione che la scelta
del socio privato «avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica»
e che a tale socio siano attribuiti «specifici compiti operativi connessi alla
gestione del servizio» (sentenza n. 325 del
2010, punto 6.1. del Considerato in diritto).
In altre parole, questa Corte, rigettando
le impugnazioni delle Regioni ricorrenti avverso l’art. 23-bis – aventi ad
oggetto la disciplina statale allora vigente, che consentiva l’affidamento
diretto del servizio alle società miste, a condizione che la scelta del socio
privato avvenisse con procedura ad evidenza pubblica e contestuale attribuzione
di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio – ha già
riconosciuto la conformità al diritto dell’Unione europea e, conseguentemente,
all’art. 117, primo comma, Cost., delle modalità di affidamento previste anche
dalla norma censurata nell’odierno giudizio.
Anche il diritto dell’Unione europea
conferma il principio riconosciuto da questa Corte nella sentenza n. 325 del
2010, consentendo, purché ricorrano le richiamate condizioni, l’affidamento
diretto del servizio di rilevanza economica anche a società cosiddette miste,
ed anzi esprimendo un vero e proprio favor per il partenariato pubblico/privato
e gli organismi misti (il già richiamato Libro verde della Commissione europea
relativo ai partenariati pubblico-privati ed al diritto comunitario degli
appalti pubblici e delle concessioni, COM-2004-327, 30 aprile 2004; nonché la
Comunicazione interpretativa della Commissione europea sull’applicazione del
diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ai partenariati
pubblico-privati istituzionalizzati, PPPI, 2008/C91/02).
La giurisprudenza comunitaria conferma
questi assunti. La sentenza
della Corte di giustizia, sezione terza, 15 ottobre 2009, in causa C-196/08, Acoset Spa, ha ribadito la legittimità comunitaria
dell’affidamento diretto a società miste, purchè sia
rispettata la condizione della gara cosiddetta "a doppio oggetto”. Afferma
infatti la Corte europea che «Sebbene la mancanza di gara nel contesto
dell’aggiudicazione dei servizi risulti inconciliabile con gli artt. 43 CE e 49
CE e con i principi di parità di trattamento e di non discriminazione, la
scelta del socio privato nel rispetto degli obblighi [comunitari] e
l’individuazione dei criteri di scelta del socio privato consentono di ovviare
a detta situazione, dal momento che i candidati devono provare, oltre alla
capacità di diventare azionisti, anzitutto la loro perizia tecnica nel fornire
il servizio nonché i vantaggi economici e di altro tipo derivanti dalla propria
offerta» (punto 59). Ne consegue che, «Dato che i criteri di scelta del socio
privato si riferiscono non solo al capitale da quest’ultimo conferito, ma
altresì alle capacità tecniche di tale socio e alle caratteristiche della sua
offerta in considerazione delle prestazioni specifiche da fornire, e dal
momento che al socio in questione viene affidata, come nella fattispecie di cui
alla causa principale, l’attività operativa del servizio di cui trattasi e,
pertanto, la gestione di quest’ultimo, si può ritenere che la scelta del
concessionario risulti indirettamente da quella del socio medesimo effettuata
al termine di una procedura che rispetta i principi del diritto comunitario,
cosicché non si giustificherebbe una seconda procedura di gara ai fini della
scelta del concessionario» (punto 60).
Nel caso in esame, il ricorrente
Presidente del Consiglio dei ministri, nell’impugnare l’art. 6, comma 1, della
legge reg. Sardegna n. 25 del 2012, nella parte in cui prevede l’affidamento
«ad organismi a partecipazione mista pubblico privata», per asserito contrasto
con il diritto dell’Unione europea, si limita ad evocare soltanto la
summenzionata sentenza
della Corte di giustizia, in causa C-26/03 Stadt
Halle ed altri contro RPL Lochau, con cui viene
censurato l’affidamento diretto a società miste, ma, nella specie, non vi era
stata procedura ad evidenza pubblica per la scelta del socio della società
mista affidataria del servizio.
Ne consegue che anche il precedente,
richiamato dal ricorrente, conferma che la giurisprudenza comunitaria non
esclude che il legislatore, come nel caso in esame, possa disporre
l’affidamento diretto del servizio pubblico a società miste, purché sia
rispettata la condizione della gara ad evidenza pubblica per la scelta del
socio, con contestuale affidamento del servizio.
L’art. 6, comma 1, della legge reg.
Sardegna n. 25 del 2012 prevede anzitutto, ponendo una regola generale,
l’affidamento dei servizi pubblici di interesse generale dell’ente locale
mediante procedure ad evidenza pubblica. In alternativa, la disposizione
censurata consente l’affidamento diretto del servizio ad organismi «a
partecipazione mista pubblica privata» o «a totale partecipazione pubblica»,
nel «rispetto della normativa comunitaria».
Il rinvio ai principi del diritto
dell’Unione europea è ribadito anche dal comma 2 dello stesso art. 6 della
legge reg. Sardegna n. 25 del 2012 – non impugnato nel presente giudizio – il quale
afferma che «Gli enti locali motivano sulle ragioni della scelta della forma di
affidamento adottata ai sensi del comma 1 e sulla sussistenza al riguardo dei
requisiti previsti dall'ordinamento comunitario».
Da quanto detto segue che la norma
censurata non soltanto non esclude che la concessione dei servizi venga
affidata ad una società mista, il cui socio privato sia individuato attraverso
una gara "a doppio oggetto”, ma, in ragione del rinvio al diritto dell’Unione
europea, impone l’obbligatorietà di tale procedura.
Non sussiste, pertanto, il censurato
contrasto tra l’art. 6, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2012, da
un lato, e gli evocati principi dei Trattati e la richiamata giurisprudenza
comunitaria, dall’altro. La norma impugnata, correttamente interpretata nel
senso suindicato, nella parte in cui prevede l’affidamento diretto dei servizi
pubblici locali ad organismi a partecipazione mista pubblico/privata,
presupponendo infatti che il socio privato della società mista venga scelto con
procedura ad evidenza pubblica e con gara cosiddetta "a doppio oggetto”, nella
quale siano contestualmente definite le caratteristiche del servizio,
esaurisce, in tal modo, la fase concorrenziale e ottempera a tutti i requisiti
richiesti dal diritto dell’Unione europea.
3.– Il Presidente del Consiglio dei
ministri impugna l’art. 8, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2012
che, inserendo il comma 7-bis all’art. 6 della legge della Regione Sardegna 7
agosto 2009, n. 3 (Disposizioni urgenti nei settori economico e sociale),
consente la realizzazione di nuovi impianti eolici o ampliamenti di impianti
esistenti, oltre la fascia dei 300 metri, anche negli ambiti di paesaggio
costieri, purché non ricadenti in beni paesaggistici e ricompresi in determinate
aree del territorio.
Secondo l’Avvocatura dello Stato, la
norma impugnata non si limiterebbe ad indicare i siti «non idonei» alla
installazione degli impianti, come previsto dall’art. 12 del decreto
legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE
relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche
rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità), nonché dal paragrafo 17
dell’Allegato 3 del decreto del Ministero dello sviluppo economico 10 settembre
2010 (Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti
rinnovabili), bensì individuerebbe, su tutto il territorio regionale, i siti
«idonei», ponendosi, in tal modo, in contrasto con gli evocati parametri
interposti.
Ad avviso della difesa regionale, le
censure mosse avverso l’art. 8, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 25 del
2012 sarebbero inammissibili sia per erronea indicazione del parametro asseritamente violato, sia per carenza di interesse ad
agire. Pur involvendo, la norma impugnata, titoli di competenza esclusiva della
Regione autonoma Sardegna quali l’urbanistica, l’edilizia e la specifica
competenza primaria paesaggistica, il Presidente del Consiglio dei ministri
avrebbe infatti omesso di evocare a parametro nel presente giudizio l’art. 3,
comma 1, lettera f), della legge cost. n. 3 del 1948, nonché gli artt. 5 e 6
del d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480 (Nuove norme di attuazione dello statuto
speciale della regione autonoma della Sardegna), i quali attribuiscono al
legislatore regionale competenza primaria nelle suddette materie.
3.1.– Le eccezioni vanno respinte.
Secondo il consolidato orientamento
della giurisprudenza di questa Corte, nei giudizi in via principale è onere del
ricorrente – pena l’inammissibilità della questione – «identificare esattamente
la questione nei suoi termini normativi», indicando «le norme costituzionali e
ordinarie, la definizione del cui rapporto di compatibilità o incompatibilità
costituisce l’oggetto della questione di costituzionalità», nonché «una seppur
sintetica argomentazione di merito a sostegno della richiesta declaratoria di
incostituzionalità della legge» (ex plurimis,
sentenze n. 39
del 2014, n.
114 del 2013, n.
114 del 2011, n.
40 del 2007, n.
139 del 2006, n.
450 e n. 360
del 2005, n.
213 del 2003; nonché ordinanza n. 123
del 2012).
Pertanto, una volta che il ricorrente
abbia chiaramente prospettato l’oggetto e i parametri asseritamente
violati, secondo la richiamata giurisprudenza di questa Corte, ai fini
dell’ammissibilità della questione, questi non è tenuto a fornire ulteriore
motivazione circa l’omessa indicazione di parametri a cui sarebbe riconducibile
il titolo di competenza in virtù del quale è stata posta in essere la
disposizione censurata, risolvendosi l’eccezione in un profilo che attiene non
già all’aspetto preliminare della questione, bensì a quello successivo del
merito.
Nel caso di specie, dalla lettura
complessiva del ricorso e, in particolare, dalle argomentazioni addotte a
sostegno della censura, risulta che il ricorrente Presidente del Consiglio dei
ministri abbia esattamente evocato a parametro le norme statutarie, nella parte
in cui attribuiscono alla Regione la competenza concorrente, tra l’altro, in
materia di «produzione e distribuzione dell’energia elettrica», con contestuale
previsione dei limiti alla sua esplicazione (art. 4 dello statuto di
autonomia). Da ciò segue l’ammissibilità della questione, atteso che l’evocazione
dei parametri statutari richiamati consente di prospettare in maniera
sufficientemente idonea e motivata la lesione del principio fondamentale
espresso dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 nella materia «produzione,
trasporto e distribuzione dell’energia» in cui si controverte nel presente
giudizio (sentenze n. 165 del 2011
e n. 383 del
2005).
3.2.– Sempre in via preliminare, va
infine disatteso anche il secondo motivo di inammissibilità
della questione eccepito dalla resistente Regione autonoma Sardegna, che si
duole dell’«evidente carenza di interesse ad agire», atteso che «l’accoglimento
del motivo di ricorso […] avrebbe l’effetto di limitare le possibilità di
edificazione degli impianti eolici, ponendosi in evidente opposizione con lo
spirito delle Linee guida governative approvate con d.m.
10 settembre 2010».
Al riguardo, occorre ribadire che questa
Corte ha costantemente affermato che «il ricorso da parte dello Stato avverso
leggi regionali è rivolto a tutelare l’interesse obiettivo all’eliminazione
delle leggi incostituzionali, a prescindere dagli effetti che, sul piano
dell’ordinamento generale, possano anche indirettamente conseguirne» (sentenza n. 437 del
1994, punto 3. del Considerato in diritto; nonché, tra le tante, sentenza n. 8 del
1967).
3.3.– Nel merito, la questione è
fondata, nei termini di seguito precisati.
Quanto all’ambito materiale cui è
riconducibile la disposizione impugnata, bisogna ricordare che questa Corte ha
costantemente ricondotto disposizioni di leggi regionali che intervenivano in
materia di fonti di energia rinnovabili – analoghe a quella censurata
nell’odierno giudizio – ad un tempo sia all’ambito materiale relativo alla
«tutela dell’ambiente», di competenza esclusiva dello Stato, giusto il disposto
dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., sia a quello relativo alla
«produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», ai sensi
dell’art. 117, terzo comma, Cost., di potestà legislativa concorrente, in cui
spetta allo Stato fissare i principi fondamentali, affermando altresì che i
parametri menzionati esprimono obiettivi convergenti, in quanto la produzione
da fonti rinnovabili, non fossili è, per definizione, protettiva dell’ambiente
(ex plurimis, sentenze n. 308, n. 192, n. 107, n. 67 e n. 44 del 2011,
n. 366 e n. 119 del 2010
e n. 282 del
2009).
Sul versante opposto, la tutela del
territorio, nella dimensione paesaggistica, storico-culturale, di biodiversità,
di particolari produzioni agroalimentari, rappresenta un interesse
costituzionale potenzialmente confliggente, essendo evidente che
l’installazione degli impianti – con particolare riferimento a quelli eolici –
può alterare l’assetto territoriale. Al riguardo, questa Corte ha ritenuto che
«la conservazione ambientale e paesaggistica» spetti, in base all’art. 117,
secondo comma, lettera s), Cost., alla cura esclusiva dello Stato (sentenze n. 226 del 2009
e n. 367 del
2007), tenendo però conto, nel caso degli enti territoriali dotati di
autonomia particolare, di quanto previsto dagli statuti speciali (sentenze n. 226 del 2009
e n. 378 del
2007).
Bisogna altresì rammentare che il
legislatore statale ha trovato un punto di equilibrio tra i richiamati valori
costituzionali, potenzialmente antagonistici, nell’art. 12 del d.lgs. n. 387
del 2003, che disciplina il procedimento volto al rilascio dell’autorizzazione
unica per la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia
elettrica alimentati da fonti rinnovabili. Secondo la costante giurisprudenza
di questa Corte, la norma richiamata è volta, da un lato, a realizzare le
condizioni affinché tutto il territorio nazionale contribuisca all’aumento
della produzione energetica da fonti rinnovabili, inclusa l’energia eolica,
sicché non possono essere tollerate esclusioni pregiudiziali di determinate
aree; e, dall’altro lato, a evitare che una installazione massiva degli
impianti possa vanificare gli altri valori coinvolti, tutti afferenti la
tutela, soprattutto paesaggistica, del territorio (ex plurimis,
sentenze n. 224
del 2012, n.
308, n. 275,
n. 192, n. 107, n. 67 e n. 44 del 2011,
n. 366, n. 168 e n. 124 del 2010,
n. 282 del 2009).
In particolare, il comma 10 del citato
art. 12 – evocato a parametro interposto nel presente giudizio – dispone che le
"Linee guida” devono essere approvate in Conferenza unificata, su proposta del
Ministro delle attività produttive (oggi Ministro per lo sviluppo economico),
di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del
mare e del Ministro per i beni e le attività culturali, al fine di «assicurare
un corretto inserimento degli impianti, con specifico riguardo agli impianti
eolici, nel paesaggio».
La norma richiamata prevede che le
Regioni possano procedere soltanto alla individuazione dei siti non idonei
all’installazione di specifiche tipologie di impianti in attuazione della
normativa summenzionata, atteso che la ratio del criterio «residuale» deve
essere individuata nel «principio di massima diffusione delle fonti di energia
rinnovabili, derivante dalla normativa europea» (sentenza n. 224 del
2012).
Le predette "Linee guida” sono state
adottate con il richiamato d.m. 10 settembre 2010, il
quale, all’allegato 3 (paragrafo 17) – parimenti evocato a parametro interposto
nel presente giudizio – indica i criteri che le Regioni devono rispettare al
fine di individuare le zone nelle quali non è possibile realizzare gli impianti
alimentati da fonti di energia alternativa.
Tanto premesso, alla stregua dei
richiamati orientamenti della giurisprudenza di questa Corte, occorre ora
procedere allo scrutinio dell’art. 8, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 25
del 2012.
L’esame della disposizione censurata
induce all’osservazione che la stessa si pone in contrasto con il principio
fondamentale contenuto nell’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003,
secondo quanto di seguito precisato.
Va preliminarmente precisato che,
contrariamente a quanto dedotto dall’Avvocatura dello Stato, la norma impugnata
detta una disciplina riferibile soltanto agli «ambiti di paesaggio costieri»,
atteso che l’utilizzo della congiunzione «anche» presuppone che la
realizzazione degli impianti sia consentita, in linea generale, nella parte
restante del territorio regionale, peraltro in linea con il favor circa la
disponibilità ad ospitare gli impianti eolici prevista dalle summenzionate
norme evocate a parametro interposto.
Ciò posto, occorre osservare che, dalla
disamina delle ulteriori disposizioni statutarie e delle relative norme di
attuazione evocate dalla difesa regionale (art. 3, comma 1, lettera f, della
legge cost. n. 3 del 1948 e artt. 5 e 6 del d.P.R. n. 480 del 1975), si desume
chiaramente come nessuno degli ambiti materiali indicati sia strettamente
inerente alla «produzione dell’energia», trattandosi, piuttosto, di campi di
incidenza indiretta degli interventi in tale materia.
A questo riguardo, occorre ribadire
quanto già affermato da questa Corte sin dalla sentenza n. 383 del
2005, secondo cui le competenze statutarie delle autonomie speciali in
materia di energia sono sicuramente meno ampie rispetto a quelle riconosciute
alle Regioni ordinarie, nello stesso ambito, dall’art. 117, terzo comma, Cost.,
sicché va ad esse applicato, in base al cosiddetta «clausola di maggior favore»
prevista dall’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2003, n. 1
(Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), il parametro
costituzionale corrispondente (le già richiamate sentenze n. 165 del 2011
e n. 383 del
2005).
Contrariamente a quanto eccepito dalla
difesa regionale, la puntuale applicazione delle "Linee guida” statali, anche
per la Regione autonoma Sardegna, incontra l’unico limite di competenza
inerente ai profili di tutela del paesaggio, non assumendo alcun rilievo – per
la costante giurisprudenza di questa Corte – la competenza regionale in materia
«urbanistica ed edilizia» (sentenze n. 224 del 2012;
n. 275 e n. 165 del 2011).
Che le "Linee guida” siano, con i limiti
ora precisati, applicabili anche alla Regione autonoma Sardegna lo ha ribadito,
da ultimo, la sentenza
n. 224 del 2012, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di
una disposizione di legge regionale, che individuava i siti idonei alla
localizzazione e realizzazione degli impianti eolici.
La norma impugnata nel presente
giudizio, consentendo la localizzazione degli impianti eolici, nell’ambito dei
paesaggi costieri, solo se ricompresi in determinate aree, si pone pertanto in
contrasto con le più volte richiamate "Linee guida” statali. Come questa Corte
ha ripetutamente affermato, queste ultime indicano, infatti, i criteri e i
principi che le Regioni devono rispettare al fine di individuare le zone nelle
quali non è possibile realizzare gli impianti alimentati da fonti di energia
alternativa, limitando, pertanto, l’intervento del legislatore regionale
all’individuazione di puntuali aree non idonee alla installazione di specifiche
tipologie di impianti secondo le modalità di cui all’allegato 3 (paragrafo 17)
del d.m. del 2010.
Al contrario, la disposizione censurata,
nell’individuare i siti idonei alla realizzazione degli impianti, si pone in
contrasto con le richiamate "Linee guida” statali, escludendo ogni altra area
non espressamente richiamata nell’ambito dei vasti ambiti di paesaggio
costieri, e produce, quindi, l’effetto di circoscrivere e limitare le aree
disponibili alla realizzazione di impianti eolici, senza alcuna ragione
giustificatrice rispetto alla specifica competenza primaria in materia
paesaggistica della Regione autonoma Sardegna.
Come affermato da questa Corte nella sentenza n. 224 del
2012, anche nel caso in esame il legislatore sardo eccede pertanto dalla propria
competenza, sovrapponendosi ai criteri dettati dallo Stato circa la
localizzazione dei siti non idonei all’installazione degli impianti,
estensibili, pur con i limiti precisati, alla Regione autonoma Sardegna. Anche
la norma impugnata nell’odierno giudizio, come quella oggetto della questione
decisa con la sentenza
da ultimo menzionata, determina infatti il «rovesciamento» del principio
generale contenuto nell’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003,
inserendo eccezioni al principio di massima diffusione delle fonti di energia
rinnovabili che non sono sorrette da adeguate e concrete ragioni di tutela
paesaggistica. A nulla rileva, ai fini del presente giudizio, che detto «rovesciamento»
sia effettuato in relazione all’intero territorio sardo, come era previsto
nella fattispecie delineata dall’art. 18 della legge della Regione Sardegna 29
maggio 2007, n. 2 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale della Regione, Legge finanziaria 2007) dichiarato
costituzionalmente illegittimo con la sentenza n. 224 del
2012, o in relazione agli ambiti di paesaggio costieri, come nel caso della
norma oggetto del presente giudizio. Infatti, in entrambe le fattispecie, il
legislatore sardo procede alla localizzazione dei siti idonei all’installazione
degli impianti, con impliciti effetti escludenti su tutte le aree non
richiamate da entrambe le disposizioni censurate. Da ciò segue il contrasto con
il più volte menzionato principio fondamentale espresso dall’art. 12, comma 10,
del d.lgs. n. 387 del 2003, nonché con l’allegato 3 (paragrafo 17) delle "Linee
guida” statali.
Né può sostenersi, come dedotto dalla Regione
Sardegna, che la disposizione impugnata consentirebbe di estendere le aree
disponibili alla realizzazione degli impianti anche agli «ambiti di paesaggio
costieri», rimuovendo un previgente divieto. Al riguardo, osserva la difesa
regionale che la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 18
della legge reg. Sardegna n. 2 del 2007, come sostituito dall’art. 6, comma 8,
della legge reg. Sardegna n. 3 del 2009 – il quale consentiva la realizzazione
di nuovi impianti eolici nelle aree industriali, retroindustriali
e limitrofe, anche se ricadenti negli ambiti di paesaggio costieri o in aree
già compromesse dal punto di vista ambientale – avrebbe determinato la «riespansione» del divieto generalizzato alla realizzazione
di impianti eolici, posto dall’art. 8, comma 3, della legge della Regione
Sardegna 25 novembre 2004, n. 8 (Norme urgenti di provvisoria salvaguardia per
la pianificazione paesaggistica e la tutela del territorio regionale) e
dall’art. 112, comma 2, delle Norme tecniche di attuazione del Piano
paesaggistico regionale, adottato con deliberazione della Giunta regionale 5
settembre 2006, n. 36/7.
La prospettazione della resistente
Regione autonoma Sardegna non può essere condivisa.
Al riguardo, occorre anzitutto osservare
che il divieto generalizzato di installazione degli impianti su tutto il
territorio sardo, previsto dall’art. 8, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 8
del 2004, risultava sottoposto alla condizione risolutiva dell’emanazione del
Piano paesaggistico regionale. Quest’ultimo è stato adottato con la richiamata
delibera della Giunta regionale n. 36/7 del 2006. Da ciò segue che, a
tutt’oggi, non deve ritenersi vigente alcun divieto sul territorio sardo circa
la realizzazione degli impianti e che, contrariamente a quanto dedotto dalla
difesa regionale, la disposizione oggetto dell’odierno giudizio non rimuove né
esplicitamente, né implicitamente alcun divieto previsto da fonte di rango
primario regionale.
Quanto, invece, al divieto previsto dal
citato art. 112, comma 2, delle richiamate Norme tecniche di attuazione del
Piano paesaggistico regionale, bisogna sottolineare che trattasi di previsione
allegata alla menzionata delibera di Giunta regionale n. 36/7 del 2006, e
dunque di fonte secondaria, che non è in alcun modo richiamata dalla
disposizione di legge regionale censurata nel presente giudizio. Contrariamente
a quanto presupposto dalla difesa regionale, la norma impugnata non può
pertanto essere interpretata alla luce dei mutevoli orientamenti delle delibere
di Giunta regionale di approvazione dei piani paesaggistici, subordinate alle
fonti di rango primario.
In secondo luogo, il preteso effetto
perdurante del divieto introdotto con semplice delibera di Giunta regionale a
far data dall’adozione del Piano paesaggistico regionale del 2006 (art. 112,
comma 2, delle summenzionate Norme tecniche di attuazione) si porrebbe comunque
in contrasto con la successiva emanazione delle "Linee guida” statali contenute
nel d.m. del 2010.
Dalla richiamata giurisprudenza di
questa Corte che ritiene applicabili le "Linee guida” statali anche alle
Regioni a statuto speciale (sentenza n. 168 del
2010) – sia pure, per la Regione autonoma Sardegna, nei limiti della
competenza paesaggistica primaria (sentenza n. 224 del
2012) – e da quella che non consente al legislatore regionale di adottare
misure volte a precludere in maniera generalizzata la realizzazione degli
impianti eolici in assenza delle richiamate Linee guida statali (tra le tante,
sentenze n. 44
del 2011, n.
119 e n. 344
del 2010, n.
166 del 2009, n.
364 del 2006), discende che il prospettato contrasto tra la disposizione di
legge regionale impugnata e il principio fondamentale espresso dall’art. 12 del
d.lgs. n. 387 del 2003 va scrutinato alla luce dei criteri per l’individuazione
delle aree non idonee alla realizzazione degli impianti contenuti nell’Allegato
3 (paragrafo 17) del d.m. 10 settembre 2010, senza
tenere conto del divieto previsto dall’art. 112, comma 2, delle Norme tecniche
di attuazione del Piano paesaggistico. Quest’ultimo, previsto, inoltre, come si
è rilevato, da una fonte regionale di rango secondario, risulta comunque in
contrasto – in quanto introdotto a far data dal 2006 – con la richiamata
giurisprudenza di questa Corte formatasi sulle norme regionali in tema di
localizzazione degli impianti "antecedenti” all’approvazione delle "Linee
guida” nazionali, valevole anche per le autonomie speciali (sentenza n. 168 del
2010).
Da ciò segue che la norma impugnata non
può essere interpretata come eccezione a un divieto, avente l’effetto di
estendere le aree del territorio sardo suscettibili di ospitare gli impianti
eolici. Al contrario, la disposizione censurata nell’odierno giudizio,
nell’individuare esclusivamente le aree ove è consentita la realizzazione di
impianti eolici, produce l’effetto di legificare il
divieto di posizionare detti impianti nelle zone non indicate, apprestando
implicitamente una tutela di tipo "paesaggistico” a vaste aree – gli «ambiti di
paesaggio costieri» – che non è coerente con la nozione di «paesaggio», quale
risulta dalla normativa di principio statale (art. 131 e seguenti del decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante «Codice dei beni culturali e del
paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137»), dalle
altre previsioni contenute negli artt. 14 e 15 delle stesse Norme tecniche di
attuazione del Piano paesaggistico regionale del 2006, nonché dalle previsioni
contenute negli strumenti regionali di pianificazione e programmazione del
territorio, i quali necessariamente a tale nozione si ispirano.
Pertanto, nel caso in esame, ben avrebbe
potuto la Regione autonoma Sardegna, nell’esercizio della propria competenza
primaria in materia, individuare le aree non idonee all’inserimento di impianti
eolici, apprestando una tutela di tipo paesaggistico a determinate zone
localizzabili negli ambiti di paesaggio costieri, in conformità ai criteri
posti dalle richiamate "Linee guida” statali.
Non appartiene, invece, alla competenza
legislativa della Regione invertire il rapporto regola-eccezione, imposto
dall’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003, che determina la generale
disponibilità, anche degli ambiti di paesaggio costieri, alla installazione
degli impianti. Da ciò segue il contrasto con i parametri interposti evocati e
la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.
4.− Il Presidente del Consiglio
dei ministri ha impugnato l’art. 13 della legge reg. Sardegna n. 25 del 2012
concernente l’adeguamento della legge della Regione Sardegna 4 agosto 2008, n.
12 (Riordino dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Sardegna
"Giuseppe Pegreffi”, ai sensi del decreto legislativo
30 giugno 1993, n. 270, e abrogazione della legge regionale 22 gennaio 1986, n.
15) – che reca la disciplina dell’esercizio delle funzioni dell’Istituto
zooprofilattico sperimentale della Sardegna "Giuseppe Pegreffi”
– al decreto legislativo 28 giugno 2012, n. 106 (Riorganizzazione degli enti
vigilati dal Ministero della salute, a norma dell’articolo 2 della legge 4
novembre 2010, n. 183), il quale, nell’àmbito della riorganizzazione degli enti
vigilati dal Ministero della salute, da esso operata in virtù della delega
conferita al Governo dall’art. 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe
al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di
congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per
l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione
femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di
lavoro pubblico e di controversie di lavoro), ha previsto anche, agli articoli
da 9 a 16, il riordino degli Istituti zooprofilattici sperimentali (d’ora in
avanti, anche «IZS» o «Istituti»). Sono censurati entrambi i periodi di cui si
compone l’unico comma dell’impugnato art. 13 – a norma del quale: «Sono
recepite le disposizioni di cui agli articoli da 9 a 16 del decreto legislativo
28 giugno 2012, n. 106 (Riorganizzazione degli enti vigilati dal Ministero
della salute, a norma dell’articolo 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183).
Sono abrogate le disposizioni contrastanti contenute nella legge regionale 4
agosto 2008, n. 12 (Riordino dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della
Sardegna "Giuseppe Pegreffi”, ai sensi del decreto
legislativo 30 giugno 1993, n. 270, e abrogazione della legge regionale 22
gennaio 1986, n. 15)» – denunciandone il contrasto con l’art. 117, terzo comma,
Cost., in relazione ai princípi fondamentali della
legislazione dello Stato nella materia della «tutela della salute», e con
l’art. 97 Cost., in relazione al principio del buon andamento
dell’amministrazione.
4.1.– Ad avviso del ricorrente, il primo
di detti periodi víola l’art. 117, terzo comma,
Cost., perché, limitandosi a prevedere il mero recepimento degli articoli da 9
a 16 del d.lgs. n. 106 del 2012, si pone in contrasto, in particolare, con
l’art. 10 di tale decreto, il quale, col disporre che «Le regioni disciplinano
le modalità gestionali, organizzative e di funzionamento degli Istituti, nonché
l’esercizio delle funzioni di sorveglianza amministrativa, di indirizzo e
verifica sugli Istituti […] ed adottano criteri di valutazione dei costi, dei
rendimenti e di verifica dell’utilizzazione delle risorse, nel rispetto dei
principi di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502», nonché dei princípi fondamentali determinati dallo stesso articolo,
imponeva alle Regioni di adottare la disciplina di dettaglio necessaria al fine
di attuare i suddetti princípi. La violazione
dell’art. 97 Cost. è dedotta sotto il profilo che la
mancanza di detta disciplina di dettaglio causa «incertezza giuridica […]
nonché il rischio di ostacolare la continuità del funzionamento dell’IZS».
4.2.? La difesa della Regione autonoma
Sardegna ha eccepito l’inammissibilità della questione in quanto «una pronuncia
ablatoria non sarebbe certamente utile all’interesse vantato dal ricorrente
[…]. Né sarebbe possibile un intervento additivo [della Corte costituzionale],
che impingerebbe inammissibilmente nella
discrezionalità confidata al legislatore regionale» (così la memoria depositata
dalla difesa regionale in prossimità dell’udienza pubblica).
L’eccezione è fondata.
Il ricorrente Presidente del Consiglio
dei ministri lamenta la lesione della competenza legislativa dello Stato nella
materia della «tutela della salute», nonché del principio del buon andamento
dell’amministrazione, derivanti dalla mancata previsione, nell’impugnato art.
13, della disciplina di dettaglio necessaria al fine di attuare i princípi dettati dall’art. 10 del d.lgs. n. 106 del 2012. A
proposito di tali censure, deve rilevarsi che la declaratoria
dell’illegittimità costituzionale dell’impugnato primo periodo dell’unico comma
dell’art. 13 della legge reg. Sardegna n. 25 del 2012 richiesta dal ricorrente
non potrebbe recare alcuna effettiva utilità al fine della difesa delle
posizioni sostanziali dallo stesso fatte valere, atteso che una tale pronuncia,
avendo il solo effetto di privare di efficacia la disposizione impugnata, non
potrebbe certamente assicurare quella disciplina di dettaglio dalla cui mancata
adozione deriva, secondo lo stesso ricorrente, la lesione di dette posizioni.
Né, a prescindere dal petitum formulato nel ricorso,
una siffatta disciplina di dettaglio potrebbe essere introdotta con una pronuncia
di questa Corte, non potendo essa, evidentemente, sostituirsi al legislatore
regionale nell’esercizio della funzione legislativa allo stesso spettante in
una materia di legislazione concorrente.
Poiché, per le indicate ragioni, il
ricorso proposto risulta inidoneo ad assicurare la difesa delle posizioni
sostanziali che con esso si intendono tutelare, la questione promossa deve
essere dichiarata inammissibile per carenza di interesse all’impugnazione.
4.3.– Secondo il ricorrente, il secondo
periodo dell’unico comma dell’art. 13 della legge reg. Sardegna n. 25 del 2012 víola l’art. 117, terzo comma, Cost., perché, «prevedendo
l’abrogazione della precedente legge regionale sull’organizzazione e sul
funzionamento dell’IZS [della Sardegna], a decorrere dalla data di entrata in
vigore della nuova legge» regionale, si pone in contrasto con l’art. 16 del
d.lgs. n. 106 del 2012 «che invece fa decorrere l’abrogazione del d.lgs. n.
270/1993 (decreto che reca la disciplina degli IZS precedente a quella di riordino
dettata dal medesimo d.lgs. n. 106/2012), dall’entrata in vigore dello statuto
e dei regolamenti degli istituti zooprofilattici sperimentali» che, a norma
dell’art. 12 del d.lgs. n. 106, devono essere adottati dal consiglio di
amministrazione di ciascun Istituto entro novanta giorni dall’entrata in vigore
della legge regionale prevista dal citato art. 10 dello stesso decreto
legislativo. L’art. 97 Cost. sarebbe violato perché
l’abrogazione «della precedente legge regionale sull’organizzazione e sul
funzionamento dell’IZS» della Sardegna «da un momento antecedente all’adozione
dei nuovi statuti e regolamenti dell’IZS» causerebbe, anch’essa, «incertezza
giuridica […] nonché il rischio di ostacolare la continuità del funzionamento
dell’IZS».
4.4.– La difesa della Regione autonoma
Sardegna ha eccepito l’inammissibilità della questione promossa in quanto,
atteso che «il legislatore (statale e regionale) si è limitato ad esplicitare l’effetto della abrogazione tacita delle
norme incompatibili con la nuova disciplina degli Istituti zooprofilattici
sperimentali, […] l’effetto abrogativo si manifesterebbe comunque, anche se [la
Corte] ritenesse di accogliere il gravame».
L’eccezione non è fondata.
La difesa regionale deduce, in effetti,
la carenza, in capo al ricorrente, dell’interesse a proporre l’impugnazione, in
quanto, anche nel caso in cui la questione promossa fosse ritenuta fondata, il
lamentato immediato effetto abrogativo delle disposizioni sul funzionamento e
sull’organizzazione dell’IZS della Sardegna contenute nella legge reg. Sardegna
n. 12 del 2008 e contrastanti con gli articoli da 9 a 16 del d.lgs. n. 106 del
2012 si produrrebbe comunque, ricorrendo gli estremi dell’abrogazione
cosiddetta tacita per incompatibilità di dette precedenti disposizioni con le
nuove contenute nel d.lgs. n. 106 del 2012 e recepite dal primo periodo
dell’unico comma dell’impugnato art. 13. In proposito, deve osservarsi che
l’interesse all’impugnazione scaturisce dalla possibilità che questa Corte
adotti non una decisione caducatoria della
disposizione impugnata ma una decisione che – in armonia con la sostanziale
esigenza di tutela manifestata dal ricorrente – dichiari l’illegittimità
costituzionale della stessa nella parte in cui prevede l’abrogazione delle
disposizioni sul funzionamento e sull’organizzazione dell’IZS della Sardegna
contenute nella legge reg. Sardegna n. 12 del 2008 e contrastanti con gli
articoli da 9 a 16 del d.lgs. n. 106 del 2012 a decorrere dalla data di entrata
in vigore della legge reg. Sardegna n. 25 del 2012, anziché a decorrere dalla
data di entrata in vigore dello statuto e dei regolamenti di cui all’art. 12
del d.lgs. n. 106 del 2012. Da ciò l’infondatezza dell’eccezione sollevata
dalla difesa della Regione autonoma Sardegna.
4.5.– Nel merito, la questione non è
fondata.
Contrariamente a quanto sostenuto dal
ricorrente, non vi è alcuna differenza sostanziale tra la decorrenza
dell’effetto abrogativo delle disposizioni sul funzionamento e
sull’organizzazione dell’IZS della Sardegna, contenute nella legge reg.
Sardegna n. 12 del 2008 e contrastanti con gli articoli da 9 a 16 del d.lgs. n.
106 del 2012, previsto dall’impugnato secondo periodo dell’unico comma
dell’art. 13 della legge reg. Sardegna n. 25 del 2012, e la decorrenza
dell’effetto abrogativo delle disposizioni sul funzionamento e
sull’organizzazione degli IZS contrastanti con lo stesso d.lgs. n. 106 del 2012
prevista, in generale, dall’art. 16 del medesimo decreto legislativo (invocato
quale parametro interposto).
L’art. 16 del d.lgs. n. 106 del 2012
stabilisce, al comma 2, che «Fino alla data di entrata in vigore dello statuto
e dei regolamenti di cui all’articolo 12, rimangono in vigore le attuali norme
sul funzionamento e sull’organizzazione degli Istituti nei limiti della loro
compatibilità con le disposizioni del presente decreto legislativo». Pertanto,
in base a tale disposizione statale, le norme sul funzionamento e
sull’organizzazione degli Istituti rimangono in vigore solo se compatibili con
le disposizioni del d.lgs. n. 106 del 2012; ciò significa che quelle
incompatibili con lo stesso devono considerarsi immediatamente abrogate. Da
tale art. 16, correttamente interpretato, non si discosta, nella sostanza –
come si è anticipato – l’impugnato secondo periodo dell’unico comma dell’art.
13 della legge reg. Sardegna n. 25 del 2012 che, come risulta dal suo chiaro
tenore letterale, prevede, analogamente, l’abrogazione, con effetto immediato
(a decorrere dall’entrata in vigore della stessa legge regionale), delle
disposizioni della legge reg. Sardegna n. 12 del 2008 contrastanti con gli
articoli da 9 a 16 del d.lgs. n. 106 del 2012 che hanno previsto il riordino
degli Istituti zooprofilattici sperimentali.
Dalla sostanziale identità dell’effetto
abrogativo previsto dalla disposizione impugnata rispetto a quello stabilito
dall’art. 16 del d.lgs. n. 106 del 2012 e, quindi, dall’assenza di contrasto
tra tali due disposizioni consegue l’infondatezza della questione promossa con
riferimento sia all’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione al parametro interposto
costituito da detto art. 16, sia all’art. 97 Cost., atteso che anche tale
censura è avanzata dal ricorrente sul presupposto del lamentato, insussistente,
contrasto.
5.− Il Presidente del Consiglio
dei ministri ha impugnato l’art. 18 della legge reg. Sardegna n. 25 del 2012 il
quale, nel disciplinare la proroga di titoli minerari e di permessi di cava,
dispone che: «I titoli minerari di autorizzazione di indagine, concessione,
permesso di ricerca di minerali di I categoria e le autorizzazioni e i permessi
di cava, per i quali sia stata presentata da parte degli esercenti, prima della
scadenza del titolo minerario, l’istanza tesa alla proroga e/o al rinnovo del
titolo medesimo, il cui procedimento non sia stato concluso da tutte le
amministrazioni aventi competenza concorrente per motivi indipendenti dagli
obblighi attribuiti agli istanti, sono automaticamente prorogati sino al 30
giugno 2013 [comma 1]. La proroga è ammessa esclusivamente per la prosecuzione
dei lavori precedentemente autorizzati e non ancora conclusi, previa verifica
di validità delle polizze di fideiussione a garanzia dell’esecuzione dei lavori
di messa in sicurezza e ripristino ambientale, nel rispetto delle norme vigenti
in materia di attività estrattive [comma 2]».
Ad avviso del ricorrente, l’articolo
denunciato víola l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che attribuisce allo Stato la potestà legislativa
nella materia della «tutela dell’ambiente», eccedendo i limiti della potestà
legislativa concorrente attribuita alla Regione autonoma Sardegna dall’art. 4,
unico comma, lettera a), del suo statuto speciale, di cui alla legge cost. n. 3
del 1948, in materia di «industria, commercio ed esercizio industriale delle
miniere, cave e saline», perché, disponendo la proroga automatica, sino al 30
giugno 2013, dei titoli minerari e dei permessi di cava in esso indicati,
proroga automaticamente anche i titoli e i permessi relativi a progetti il cui
impatto ambientale non è stato valutato in sede di autorizzazione, così
sottraendo gli stessi alle procedure di valutazione d’impatto ambientale
previste dagli articoli da 20 a 28 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
152 (Norme in materia ambientale) e dagli Allegati III, lettere b), s) ed u), e
IV, punti 2, lettere b) e h), 7, lettera o), e 8, lettera i).
5.1.− La difesa della Regione
autonoma Sardegna ha eccepito l’inammissibilità della questione promossa perché
«il ricorrente ha trascurato di tenere in debito conto tutte le fonti della
speciale autonomia della Sardegna», atteso che lo stesso «richiama […]
solamente l’art. 4, comma 1, lett. a), dello
Statuto», mentre è «evidente […] che nel caso di specie viene in oggetto anche
la competenza esclusiva della Regione in materia di "esercizio dei diritti
demaniali e patrimoniali della Regione relativi alle miniere, cave e saline”,
ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. m), dello
[stesso] Statuto», di talché «era onere del ricorrente vagliare anche
l’applicabilità» di tale disposizione statutaria «e motivare circa il fatto che
la Regione avrebbe esorbitato anche dalla sua competenza legislativa
esclusiva».
L’eccezione non è fondata.
Il ricorrente Presidente del Consiglio
dei ministri non solo ha identificato compiutamente la questione promossa nei suoi
termini normativi, indicando le norme della Costituzione e dello Statuto
speciale per la Sardegna e la norma ordinaria regionale, la definizione del cui
rapporto di compatibilità o incompatibilità costituisce l’oggetto della
questione stessa, ma ha anche ampiamente argomentato in ordine alle ragioni del
dedotto contrasto tra l’impugnato art. 18 della legge reg. Sardegna n. 25 del
2012 e gli artt. 117, secondo comma, lettera s), Cost., e 4, unico comma,
lettera a), dello Statuto speciale per la Sardegna. Verificato che il ricorso
consente certamente di individuare il contenuto e la portata delle censure con
esso proposte, deve escludersi che il ricorrente avesse l’onere di prendere in
considerazione altri parametri statutari, diversi da quelli invocati, che
attribuiscono alla Regione potestà legislativa in una materia alla quale
andrebbe, in ipotesi, ricondotta la disciplina regionale denunciata e di
motivare in ordine al fatto che la stessa esorbita dai limiti di detta potestà.
L’eccezione sollevata dalla difesa regionale attiene, in realtà, non al
preliminare profilo dell’ammissibilità della questione promossa, ma a quello,
successivo, del merito della stessa, risolvendosi, in effetti, nell’indicazione
di un titolo competenziale ad adottare la disciplina
impugnata (titolo che, peraltro, la stessa Regione resistente ha trascurato di
invocare nelle proprie difese inerenti al merito). Da ciò l’infondatezza
dell’eccezione.
5.2.− Nel merito, la questione è
fondata, nei limiti di séguito precisati.
5.2.1.− Va premesso, anzitutto,
che le discipline relative alla valutazione di impatto
ambientale debbono essere ascritte alla materia della «tutela dell’ambiente»
(non contemplata dallo Statuto della Regione autonoma Sardegna), in ordine alla
quale lo Stato ha competenza legislativa esclusiva, ai sensi dell’art. 117,
secondo comma, lettera s), Cost. (sentenze n. 67 e n. 1 del 2010, n. 234 e n. 225 del 2009).
Deve, inoltre, ribadirsi che la
disciplina statale nella materia della tutela dell’ambiente «"viene a
funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome
dettano in altre materie di loro competenza”, salva la facoltà di queste ultime
di adottare norme di tutela ambientale più elevata nell’esercizio di
competenze, previste dalla Costituzione, che concorrano con quella
dell’ambiente (sentenza
n. 104 del 2008, con rinvio alla sentenza n. 378 del
2007)» (sentenza
n. 67 del 2010; nello stesso senso, anche le sentenze n. 246 e n. 145 del 2013).
5.2.2.− Ciò posto, questa Corte,
nello scrutinare disposizioni di leggi regionali che prevedevano la proroga ex lege di titoli minerari, ha chiarito che contrasta con
l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., una disciplina regionale che, in
modo «sicuramente "contrario all’effetto utile”» della direttiva 27 giugno
1985, n. 85/337/CEE (Direttiva del Consiglio concernente la valutazione
dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati),
«"prorogasse” automaticamente autorizzazioni rilasciate in assenza di procedure
di VIA (o, comunque, eventualmente, in assenza di VIA)» (sentenza n. 67 del
2010, richiamata anche dalla sentenza n. 145 del
2013, che ne individua il fondamento nella «riscontrata illegittimità di
normative regionali, le quali […] avevano introdotto eccezionali ed automatiche
"proroghe di diritto” per l’autorizzazione all’esercizio di cave, rilasciate in
assenza di procedure di VIA (o, comunque, eventualmente, in assenza di VIA)».
Ciò in quanto una siffatta disciplina potrebbe «mantenere inalterato lo status
quo, sostanzialmente sine die, superando qualsiasi esigenza di "rimodulare” i
provvedimenti autorizzatori in funzione delle
modifiche subite, nel tempo, dal territorio e dall’ambiente» (sentenza n. 67 del
2010, in un passaggio citato anche dalla sentenza n. 145 del
2013) e sarebbe, quindi, «atta ad eludere l’osservanza nell’esercizio
dell’attività di cava della normativa di VIA» (sentenza n. 246 del
2013) dettata dallo Stato in un àmbito materiale riservato alla sua
competenza legislativa esclusiva.
5.2.3.− Al fine di vagliare la fondatezza
della questione promossa, è perciò necessario verificare se la normativa della
Regione autonoma Sardegna in tema di valutazione dell’impatto ambientale e di
attività mineraria sia tale da garantire, come sostenuto dalla difesa regionale
(in particolare, nella memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica),
che i titoli minerari ed i permessi di cava prorogati dall’impugnato art. 18 –
all’evidente scopo di consentire la prosecuzione dei lavori autorizzati e non
ancora conclusi durante il tempo necessario alla definizione dei procedimenti
amministrativi di proroga o di rinnovo tempestivamente avviati dagli esercenti
e non definiti per cause ad essi non imputabili − fossero stati, ab
origine o successivamente, assoggettati alle procedure di valutazione
dell’impatto ambientale.
A tale proposito, va anzitutto rilevato
che la Regione autonoma Sardegna non ha ancora adottato una legge organica in
materia di valutazione dell’impatto ambientale. Solo con la legge reg. 7 agosto
2009, n. 3 (Disposizioni urgenti nei settori economico e sociale) è stato
previsto, all’art. 5, comma 23, primo periodo, che «In attesa dell’approvazione
di una legge regionale organica in materia di valutazione ambientale strategica
e di valutazione di impatto ambientale sono adottate integralmente le
disposizioni del decreto legislativo n. 152 del 2006, come modificato dal
decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni correttive ed
integrative del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante
norme in materia ambientale)». Tuttavia, in base alle regole generali
sull’efficacia della legge nel tempo (art. 11 disp. prel.
cod. civ.), tale disposizione ha potuto trovare applicazione, per quanto qui
interessa, solo con riguardo ai titoli minerari rilasciati successivamente alla
sua entrata in vigore (avvenuta, a norma dell’art. 15 della legge reg. n. 3 del
2009, il 18 agosto 2009, giorno della pubblicazione di tale legge nel
Bollettino Ufficiale della Regione Sardegna).
Quanto alla normativa della Regione
autonoma Sardegna relativa allo specifico settore dell’attività mineraria e di
cava, viene in rilievo l’art. 8, comma 2, della legge reg. 9 agosto 2002, n.
15, recante «Integrazioni e modifiche alla legge regionale 22 aprile 2002, n. 7
(legge finanziaria 2002), alla legge regionale 22 aprile 2002, n. 8 (legge di
bilancio) e alla legge regionale 24 aprile 2001, n. 6 (legge finanziaria 2001)»
– anch’esso richiamato, al pari dell’art. 5, comma 23, primo periodo, della
legge reg. n. 3 del 2009, dalla difesa regionale – il quale ha disposto che «Le
concessioni minerarie e le autorizzazioni di cava, rilasciate
dall’Amministrazione regionale dopo l’entrata in vigore del D.P.C.M. 3
settembre 1999 e della legge regionale 18 gennaio 1999, n. 1, in assenza di VIA
o di verifica di cui al D.P.R. 12 aprile 1996, devono essere assoggettate alla
VIA o alla verifica. Il relativo procedimento deve essere avviato entro e non
oltre tre mesi dalla data di pubblicazione della presente legge e concluso
entro i successivi tre mesi. Le relative autorizzazioni o concessioni sono
sospese in caso di inerzia da parte del soggetto proponente e nel caso in cui
il procedimento non si concluda positivamente». A proposito dell’efficacia nel
tempo di tale disposizione, va osservato che essa prevede espressamente che
siano assoggettate alla valutazione di impatto ambientale (o alla verifica
dell’assoggettabilità alla valutazione dell’impatto ambientale) le concessioni
minerarie e le autorizzazioni di cava «rilasciate […] dopo l’entrata in vigore
del D.P.C.M. 3 settembre 1999 e della legge regionale 18 gennaio 1999, n. 1».
Sempre a proposito della normativa
regionale in materia di attività mineraria e di cava, va ancora rilevato, sotto
altro aspetto, che la legislazione della Regione autonoma Sardegna prevede una durata
anche ventennale dei titoli per l’esercizio della stessa. Dispongono in tale
senso: a) l’art. 22, commi 1 e 2, della legge reg. 7 giugno 1989, n. 30
(Disciplina delle attività di cava), secondo cui «L’autorizzazione [di
coltivazione delle cave e delle torbiere] ha la durata massima di anni venti e
può essere rinnovata» (comma 1), durata suscettibile anche di estensione (comma
2, con riguardo alle ipotesi in esso indicate), e l’art. 24, comma 2, della
stessa legge regionale (che prevede la medesima durata per la concessione di
coltivazione dei giacimenti che fanno parte del patrimonio indisponibile della
Regione); b) l’art. 14, primo comma, della legge reg. 19 dicembre 1959, n. 20
(Disciplina dell’indagine, ricerca e coltivazione degli idrocarburi), secondo
cui «La durata della concessione [di coltivazione degli idrocarburi] è di 20
anni».
Alla luce dell’indicata normativa
regionale, deve concludersi che, a fronte di una proroga automatica, prevista
dalla disposizione impugnata, che riguarda tutti i titoli minerari ed i
permessi di cava in essa indicati, a prescindere dalla data del loro rilascio,
la garanzia che gli stessi siano stati sottoposti a valutazione dell’impatto
ambientale (o alla verifica dell’assoggettabilità alla valutazione dell’impatto
ambientale) sussiste soltanto per quelli rilasciati «dopo l’entrata in vigore
del D.P.C.M. 3 settembre 1999 e della legge regionale 18 gennaio 1999, n. 1»
(art. 8, comma 2, della legge reg. n. 15 del 2002), ma non per quelli che, come
pure è possibile che sia – tenuto conto della durata anche ventennale degli
stessi – siano stati rilasciati prima dell’entrata in vigore di tali atti.
Né, con riguardo ai titoli ed ai
permessi da ultimo indicati, può ritenersi costituire una garanzia della
sottoposizione alle procedure di valutazione dell’impatto ambientale
l’approvazione, con delibera del Consiglio regionale della Sardegna del 30
giugno 1993, del Piano regionale stralcio delle attività estrattive, pure
invocato dalla difesa regionale nella memoria depositata in prossimità
dell’udienza pubblica. Con tale Piano, infatti, la Regione aveva circoscritto,
a fini di tutela delle risorse paesaggistiche e ambientali regionali, le aree
utilizzabili per l’attività mineraria, ma non aveva previsto che il rilascio
dei titoli minerari e dei permessi di cava fosse sottoposto a valutazione
dell’impatto ambientale.
5.2.4.− La proroga automatica
(anche) di titoli minerari e di permessi di cava che non sono mai stati
sottoposti a valutazione dell’impatto ambientale (o alla verifica dell’assoggettabilità
alla valutazione dell’impatto ambientale) comporta che, per essi, la
disposizione impugnata, mantenendo inalterato tale status quo, integra
un’elusione della normativa in tema di VIA dettata dallo Stato nell’esercizio
della potestà legislativa esclusiva ad esso spettante ai sensi dell’art. 117,
secondo comma, lettera s), Cost.
L’impugnato art. 18 della legge reg. Sardegna n. 25 del 2012 deve,
perciò, essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui,
nel disporre la proroga automatica dei titoli minerari e dei permessi di cava
in esso indicati, proroga anche i titoli ed i permessi
che non sono mai stati assoggettati a valutazione dell’impatto ambientale (o
alla verifica dell’assoggettabilità alla valutazione dell’impatto ambientale).
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 2, della legge della Regione
autonoma Sardegna 17 dicembre 2012, n. 25 (Disposizioni urgenti in materia di
enti locali e settori diversi);
2) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 della legge reg. Sardegna n. 25 del
2012 nella parte in cui, nel disporre la proroga automatica dei titoli minerari
e dei permessi di cava in esso indicati, proroga anche i titoli ed i permessi
che non sono mai stati assoggettati a valutazione dell’impatto ambientale o
alla verifica dell’assoggettabilità alla valutazione dell’impatto ambientale;
3) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13,
comma 1, primo periodo, della legge reg. Sardegna n.
25 del 2012, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento
agli artt. 97 e 117, terzo comma, Cost., con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma
1, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2012, promossa dal Presidente del
Consiglio di ministri, in riferimento all’art. 117, primo
comma, Cost., e agli artt. 3 e 4 della legge costituzionale 26 febbraio
1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), con il ricorso indicato in
epigrafe;
5) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 1, secondo periodo, della legge reg. Sardegna n. 25 del
2012, promossa dal Presidente del Consiglio di ministri, in riferimento agli
artt. 97 e 117, terzo comma, Cost., con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2014.
F.to:
Sabino CASSESE, Presidente
Sergio MATTARELLA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 16 luglio 2014.