SENTENZA N. 437
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 5, 6 e 7 della legge regionale approvata il 20 gennaio 1994 recante "Modifica del termine per l'adozione degli statuti e dei regolamenti di contabilità dei comuni. Proroga di termini in materia urbanistica, per la costituzione delle province regionali e per l'efficacia delle graduatorie concorsuali.
Interventi in materia di formazione professionale e di cooperazione" e degli artt. 1, 2, 6 e 7 della legge regionale approvata il 4 marzo 1994 recante "Proroga del termine per l'efficacia delle graduatorie concorsuali.
Interventi in materia di formazione professionale e di cooperazione ed abrogazione di norme. Modifiche alla legge regionale 1° settembre 1993, n.25. Disposizioni in materia di personale", promossi con ricorsi del Commissario dello Stato per la Regione siciliana, notificati il 29 gennaio ed il 12 marzo 1994, depositati in cancelleria l'8 febbraio ed il 21 marzo successivi ed iscritti ai nn. 13 e 30 del registro ricorsi 1994.
Visti gli atti di costituzione della Regione siciliana;
udito nell'udienza pubblica dell'11 ottobre 1994 il Giudice relatore Massimo Vari;
uditi l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il ricorrente, e gli avvocati Giovanni Lo Bue e Laura Ingargiola per la Regione.
Ritenuto in fatto
1. Con il primo dei ricorsi in epigrafe, regolarmente notificato e depositato, il Commissario dello Stato per la Regione siciliana ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 5, 6 e 7 della legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana nella seduta del 20 gennaio 1994 (Modifica del termine per l'adozione degli statuti e dei regolamenti di contabilità dei comuni. Proroga dei termini in materia urbanistica, per la costituzione delle province regionali e per l'efficacia delle graduatorie concorsuali. Interventi in materia di formazione professionale e di cooperazione), per contrasto con gli artt. 3, 81 e 97 della Costituzione, nonchè con gli artt. 17 e 19 del decreto legislativo 23 dicembre 1993, n.546, e con l'art. 2, lettere t) ed u), della legge 23 ottobre 1992, n.421.
2.- Viene denunciato, anzitutto, l'art. 5 che -riproducendo con difformità puramente lessicali (36 mesi anzichè tre anni) e con l'esclusione della amministrazione regionale, il disposto dell'art. 7 della legge regionale n. 11 del 1991, in tema di proroga delle graduatorie dei concorsi pubblici- avrebbe introdotto una disciplina a regime, in contrasto, oltre che con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, con i principi della legislazione statale sopravvenuta sulle assunzioni obbligatorie che, in materia di esclusiva spettanza del legislatore nazionale, avrebbe abrogato il citato art. 7 della legge regionale n. 11 del 1991.
A tal fine il ricorso richiama gli artt. 36 e 42 del decreto legislativo n. 29 del 1993, nonchè l'art. 19 del successivo decreto legislativo 23 dicembre 1993, n. 546, rilevando che la disciplina delle assunzioni di appartenenti a categorie protette è stata interamente innovata da dette disposizioni "per quanto attiene specificamente all'istituto della chiamata numerica degli iscritti nelle liste di collocamento". Inoltre, la disposizione censurata nel far riferimento, al comma 2, alla utilizzazione, per quattro anni, delle graduatorie concorsuali, ai fini della "copertura dei posti vacanti e disponibili riservati" dell'amministrazione regionale, comporterebbe una lesione delle aspettative di altri riservatari che non hanno partecipato ai concorsi medesimi.
Rilevato che la difformità dalla legislazione nazionale sarebbe resa ancora più evidente dalla variazione dei criteri di reclutamento introdotta dal comma 3 dell'art.24 della legge n. 67 del 1988 e dall'art. 2, lettera u), della legge n.421 del 1992, basati esclusivamente sulla preminenza del grado di mutilazione ed invalidità, il ricorso osserva, poi, che la disposizione in esame, prevedendo la possibilità di immettere in servizio candidati giudicati idonei in un concorso concluso ormai da tre o quattro anni, non appare ragionevole, nè ispirata a criteri di buona amministrazione, anche se il legislatore siciliano gode di competenza esclusiva, in materia di stato giuridico ed economico del proprio personale. Ad avviso del ricorrente la disposizione sulla durata quadriennale delle graduatorie, mentre disattende l'invito del legislatore nazionale (art. 2, lettera t, della legge n. 421 del 1992) a regolare globalmente le procedure concorsuali di accesso all'amministrazione pubblica, nonchè la tendenza alla abbreviazione del termine di validità delle graduatorie (art. 3, comma 22, della legge n. 537 del 1993), si porrebbe in contrasto, sotto il profilo della disparità di trattamento, con gli artt. 3 e 97 della Costituzione.
Atteso, infine, che logico presupposto della disposizione oggetto di ricorso è costituito dall'art. 7 della legge n. 11 del 1991, "che rimarrebbe in vigore in caso di accoglimento del ricorso commissariale", se ne chiede la declaratoria di illegittimità ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953.
In contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione si porrebbe anche l'art. 6 della legge, nel prevedere l'erogazione a carico della finanza regionale delle retribuzioni ad unità di personale di enti privati convenzionati con la Regione per lo svolgimento di corsi di formazione professionale, anche indipendentemente dalla effettiva prestazione lavorativa ed in assenza di una, seppur ipotetica, possibilità di rivalsa nei confronti degli enti datori di lavoro inadempienti. La disposizione, oltre ad apparire priva di qualsiasi finalità pubblica, urterebbe contro il principio di buon andamento e contro quello di uniformità di trattamento, in assenza di analoghe misure assistenziali nella legislazione nazionale di riferimento.
La stessa si porrebbe, inoltre, in contrasto con l'art. 81, quarto comma, della Costituzione, per la mancata quantificazione in via legislativa della spesa e il mancato riferimento alle risorse erariali con cui provvedere.
Infine, anche l'art. 7 si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione perchè, nel disciplinare il pensionamento anticipato del personale delle cooperative agricole e delle cantine sociali, conferirebbe benefici non previsti dalla legislazione nazionale in materia di assistenza ai lavoratori, attribuendo ingiustificati privilegi ai destinatari.
3.- Nel giudizio di fronte alla Corte si è costituita la Regione siciliana, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o infondate.
In particolare, l'art. 5, nel prorogare le graduatorie concorsuali, intenderebbe riferirsi all'accesso ai posti per qualifiche professionali e livelli superiori al quarto, senza pertanto porsi in contrasto con le richiamate norme del decreto legislativo n.29 del 1993; nè si avrebbe una lesione degli interessi delle categorie protette, in quanto le graduatorie sarebbero formate in osservanza dei criteri posti dall'art. 24, comma 3, della legge n. 67 del 1988.
La ultrattività delle graduatorie concorsuali regionali, disposta dal comma 2, non sarebbe illegittima in sè, mentre la censura attinente alla durata quadriennale atterrebbe al merito delle scelte legislative, in materia di esclusiva competenza regionale.
Infondate sarebbero anche le censure avverso l'art. 6 del disegno di legge, non sussistendo nè arbitrarietà nè manifesta irragionevolezza della legge impugnata, poichè la norma si inserisce nel quadro tracciato dalla legge regionale n. 25 del 1993, con la quale è già stata garantita la continuità lavorativa del personale addetto alla formazione professionale, con contratto a tempo indeterminato.
Anzi, la questione sarebbe da considerare inammissibile, investendo il merito delle scelte del legislatore.
Nè la norma configurerebbe una violazione dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione, non avendo introdotto nuove o maggiori spese.
Ad avviso della Regione, poi, nemmeno illegittimo sarebbe l'art. 7, che contiene una norma di interpretazione autentica dell'art. 12 della legge regionale n. 36 del 1991.
4.- Con il secondo dei ricorsi in epigrafe, regolarmente notificato e depositato, il Commissario dello Stato per la Regione siciliana ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt.1, 2, 6 e 7 della legge approvata il 4 marzo 1994 (Proroga del termine per l'efficacia delle graduatorie concorsuali. Interventi in materia di formazione professionale e di cooperazione ed abrogazione di norme. Modifiche alla legge regionale 1° settembre 1993, n. 25.
Disposizioni in materia di personale), per contrasto con gli artt. 3, 51, 81, 97 della Costituzione; 17 e 19 del decreto legislativo 23 dicembre 1993, n. 546; 2, lettere t) ed u), della legge n. 421 del 1992; 16 della legge n.56 del 1957 (rectius: 1987), in relazione ai limiti posti alla legislazione concorrente dall'art. 17, lettera f), dello statuto speciale; 24, comma 3, della legge n. 67 del 1988.
5.- Gli artt. 1 e 2 riproporrebbero, ad avviso del ricorrente, con alcune modifiche, le disposizioni degli artt. 5 e 6 della precedente legge, permanendo così i già denunciati vizi di irragionevolezza e incompetenza. In particolare, l'art. 1, nel tentativo di evitare la censura di violazione degli artt. 36 e 42 del decreto legislativo n.29 del 1993, avrebbe limitato i suoi effetti alle graduatorie dei concorsi espletati anteriormente al febbraio 1993. Il carattere transitorio della norma non varrebbe però a superare le già prospettate censure di irragionevolezza. A parte che viene a mancare qualsiasi ipotesi di norma a regime, la nuova disposizione, nel riprodurre quella precedente, avrebbe riconfermato una disciplina confliggente con quella preminente dello Stato, atteso, tra l'altro, che già prima del decreto legislativo n. 29 del 1993, l'art. 24, comma 3, della legge n.67 del 1988 aveva ancorato la scelta, in ordine alle assunzioni obbligatorie, al grado di mutilazione o invalidità del soggetto. Pertanto, la norma impugnata rimarrebbe viziata, esulando dalla competenza regionale e configurando una indebita disparità di trattamento che privilegia i soggetti riservatari risultati idonei nei concorsi espletati prima del febbraio 1993, rispetto a coloro che non hanno partecipato alla selezione, ma posseggono un maggior grado di invalidità o menomazione.
6.- Anche l'art. 2, che appresta provvidenze per il personale della formazione professionale, non si discosterebbe molto dal precedente art. 6, nonostante i due commi che ad esso sono stati aggiunti. Il Commissario dello Stato, reiterando le censure già avanzate con il precedente ricorso, afferma che la norma viola il principio costituzionale del buon andamento, avendo l'unica finalità di garantire, a carico del bilancio regionale, in ogni caso e indipendentemente dalla prestazione lavorativa, la corresponsione della retribuzione al personale interessato, con un onere finanziario, per la Regione, a fondo perduto ed a tempo indeterminato. Pur a ricomprendere l'intervento in questione nella materia della assistenza sociale, esso sarebbe comunque lesivo del principio di uniformità di trattamento di cui all'art. 3 della Costituzione, in assenza di analoghe misure nella legislazione nazionale, cui il legislatore siciliano è tenuto ad uniformarsi ai sensi dell'art. 17, lettera f), dello statuto.
7.- Quanto agli artt. 6 e 7, il ricorso evidenzia, anzitutto, come all'originario disegno di legge siano stati apportati vari emendamenti, senza tenere in debito conto le norme contenute nell'art. 12 dello statuto speciale e nell'art. 111 del regolamento dell'Assemblea regionale siciliana, tant'è che le apposite commissioni, attesa la brevità dei termini e l'assenza di dibattito, non hanno potuto esprimere una ponderata valutazione al riguardo.
Nel merito, l'art. 6 porrebbe in essere una inammissibile deroga alla disciplina dell'art.16 della legge n. 56 del 1987, in una materia di competenza concorrente, disponendo, per il 1994, la estensione delle competenze, già attribuite, dall'art. 5 della predetta legge n.56 del 1987, alla Commissione regionale per l'impiego in materia di collocamento nelle imprese private, alle assunzioni presso l'amministrazione regionale, degli enti ed aziende da essa dipendenti, nonchè degli enti locali e delle UU.SS.LL. siciliane.
Inoltre, anche a voler ammettere che l'art.5, lettera g), della legge n. 56 del 1987, conferisca alle Commissioni regionali per l'impiego il potere di determinare procedure diverse da quelle a regime per la convocazione e l'avviamento dei lavoratori degli enti pubblici, non sarebbe ragionevole limitarle al solo 1994, nè tantomeno circoscriverle alle assunzioni presso le amministrazioni di cui all'art. 1 della legge regionale n. 12 del 1991, potendone scaturire una diversa regolamentazione per le procedure relative alla formazione delle graduatorie concernenti le amministrazioni statali, da un lato, e per quelle di altri enti ed amministrazioni, dall'altro. E questo a tacer del fatto che la norma riguarda anche il personale delle UU.SS.LL., in ordine al quale la competenza del legislatore regionale è limitata.
8.- Il Commissario dello Stato solleva, infine, questione di legittimità dell'art. 7 che, in contrasto con le pari opportunità garantite, dagli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, a tutti i cittadini, nell'accesso alla pubblica amministrazione, estende le privilegiate procedure di assunzione -previste dall'art. 3 della legge regionale n. 22 del 1991, per i soggetti in rapporto di lavoro precario con gli enti locali della Regione- ai soci delle cooperative che hanno gestito, mediante convenzione, il servizio degli asili- nido ai sensi dell'art. 21 della legge regionale n. 214 del 1979.
9.- La Regione siciliana, costituitasi in giudizio, ha chiesto che le questioni sollevate con il ricorso del Commissario dello Stato siano dichiarate non fondate.
10.- In ordine all'art. 1, la Regione resi stente ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità delle censure per carenza di interesse, in quanto l'eventuale annullamento della norma impugnata- che ripropone, con modifiche puramente lessicali, l'art. 7 della legge regionale n. 11 del 1991- non farebbe che restituire efficacia ad una disposizione non impugnata nè impugnabile dal Commissario dello Stato.
Peraltro, la norma viene ora contraddittoriamente censurata perchè transitoria, senza considerare che la stessa, già presente nella legge approvata in data 20 gennaio 1994, era stata impugnata dal Commissario dello Stato in quanto norma a regime.
Nel merito, si ribadisce che le graduatorie cui fa riferimento la norma impugnata hanno ad oggetto l'accesso ai posti per qualifiche e profili professionali superiori al quarto livello, senza porsi perciò in contrasto con gli artt. 36 e 42 del decreto legislativo n. 29 del 1993. E questo a tacer del fatto che le graduatorie, nella Regione siciliana, sarebbero, già dal 1988, formulate secondo i criteri di scelta introdotti con l'art. 24, comma 3, della legge n. 67 del 1988.
Sul comma 2, si osserva che, una volta stabilita la legittimità del principio della ultrattività delle graduatorie concorsuali (sancito anche dal legislatore nazionale), la censura relativa alla durata quadriennale atterrebbe al merito legislativo, in una materia, tra l'altro, di esclusiva competenza regionale.
11.- Secondo la difesa della Regione la questione sollevata in ordine all'art. 2, attenendo al merito delle scelte del legislatore sarebbe inammissibile o, comunque, infondata, in quanto la norma impugnata si inserisce nella tendenza che mira ad una riorganizzazione dell'intero settore della formazione professionale, di cui è espressione, tra l'altro, la legge regionale n. 25 del 1993.
12.- In ordine alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 6 e 7, la difesa della Regione, nell'escludere che la procedura seguita per l'approvazione abbia violato gli artt. 111 e 112 del regolamento dell'Assemblea regionale, deduce, quanto alla prima disposizione, che essa sarebbe giustificata dall'esigenza di formulare, per il 1994, una graduatoria unica degli aspiranti al collocamento, comprensiva degli anni 1992 e 1993, a causa dell'avvenuta scadenza della convenzione per l'automazione dei servizi dell'impiego, che avrebbe determinato il blocco delle graduatorie e dell'avviamento al lavoro.
E questo non senza rilevare, da una parte, che gli elementi di valutazione e le modalità di attribuzione dei punteggi rimarrebbero immutati, come previsto dall'art. 16 della legge n. 56 del 1987, e dall'altra che, comunque, la materia dell'avviamento al lavoro presso l'amministrazione regionale e le aziende ed enti da essa dipendenti rientra nella competenza esclusiva della Regione stessa.
In ordine all'art. 7, rilevato che ben possono ammettersi deroghe al principio del pubblico con corso, in presenza di reali esigenze della pubblica amministrazione, la resistente osserva che, nel caso di specie, non si tratterebbe di assunzione, ma di autorizzazione a mantenere in servizio personale che, per anni, in regime di convenzione, ha gestito il servizio di asili-nido, al fine di non disperdere un patrimonio di esperienza e professionalità.
13.- In prossimità dell'udienza, il Commissario dello Stato nella Regione siciliana, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, ha depositato due memorie.
Nella prima, si chiede che venga dichiarata la cessazione della materia del contendere in ordine al primo giudizio, in quanto la delibera legislativa del 20 gennaio 1994 risulta promulgata con omissione delle norme impugnate che, d'altra parte, sarebbero state "abrogate" dall'art. 4 della delibera legislativa del 4 marzo 1994.
Nella seconda memoria si ribadisce, quanto al secondo giudizio, il contrasto tra l'art. 1 della legge impugnata e gli artt. 3 e 97 della Costituzione. L'art. 1, infatti, prolungherebbe irragionevolmente fino a quattro anni l'efficacia delle graduatorie, disattendendo le indicazioni della legislazione nazionale e "preferendo candidati solo idonei a possibili vincitori di nuovi concorsi". Inoltre, la stessa norma contrasterebbe con i citati parametri costituzionali, integrati dalla legge 2 aprile 1968, n. 482 e dall'art. 24, comma 3, ultimo periodo, della legge 11 marzo 1988, n. 67, nonchè con le norme statutarie e di attuazione, in quanto "darebbe, ancorchè in via transitoria, nuova forza ad un dato normativo implicitamente elusivo di altre disposizioni (anche statali) prevedenti riserve di posti". Le parole "espletati anteriormente al febbraio 1993", aggiunte in tale articolo rispetto all'art. 5 della legge 20 gennaio 1994 (oggetto del ricorso n. 13 del 1994), farebbero, invece, venir meno il contrasto con gli artt. 36 e 42 del decreto legislativo n. 29 del 1993 (corretti dagli artt. 17 e 19 del decreto legislativo 23 dicembre 1993, n. 546).
Quanto all'art. 2, la memoria ne ribadisce il contrasto con l'art. 81, quarto comma, della Costituzione, mancando la copertura finanziaria, nonchè la relazione tecnica e il parere della commissione dell'Assemblea regionale competente per il bilancio. L'art. 2 violerebbe altresì gli artt. 3 e 97 della Costituzione e il limite dei principi, posto dall'art. 17, lettera f), dello statuto speciale, nella materia di competenza concorrente "legislazione sociale", prevedendo che la Regione spenda denaro pubblico in sostituzione di operatori privati, tra i quali "quelli non utili o addirittura inadempienti".
Nè l'aggiunta, rispetto al primitivo disegno di legge, impugnato con il ricorso n. 13 del 1994, dei commi 3 e 4 all'articolo in esame ne ha migliorato la formulazione. Si chiede quindi alla Corte, "in estremo subordine", di sollevare di fronte a sè questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 7 della legge regionale n. 25 del 1993, in relazione agli artt. 3, 41, 51, 81 e 97 della Costituzione e agli artt. 15 e 17 dello statuto speciale.
In ordine alle censure rivolte avverso l'art. 6, la memoria, nel sostenere che la norma investe materia di competenza concorrente della Regione, ribadisce che "la disciplina del collocamento non tollera procedure e graduatorie diversificate a seconda del soggetto cui il lavoratore è avviato".
Infine, riguardo alle censure relative all'art. 7, si afferma che si tratterebbe di assunzioni, persino in soprannumero, con oneri a carico del bilancio degli enti locali.
Considerato in diritto
1.- Con il primo dei ricorsi in epigrafe, il Commissario dello Stato per la Regione siciliana ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 5, 6 e 7 della legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana nella seduta del 20 gennaio 1994 (Modifica del termine per l'adozione degli statuti e dei regolamenti di contabilità dei comuni. Proroga dei termini in materia urbanistica, per la costituzione delle province regionali e per l'efficacia delle graduatorie concorsuali. Interventi in materia di formazione professionale e di cooperazione), per contrasto con gli artt. 3, 81 e 97 della Costituzione; 17 e 19 del decreto legislativo 23 dicembre 1993, n. 546; 2, lettere t) ed u), della legge 23 ottobre 1992, n.421.
Con il secondo ricorso, ha sollevato, invece, questione di legittimità costituzionale della legge approvata il 4 marzo 1994 (Proroga del termine per l'efficacia delle graduatorie concorsuali. Interventi in materia di formazione professionale e di cooperazione ed abrogazione di norme. Modifiche alla legge regionale 1° settembre 1993, n. 25.Disposizioni in materia di personale), per contrasto con gli artt. 3, 51, 81, 97 della Costituzione; 17 e 19 del decreto legislativo 23 dicembre 1993, n. 546; 2, lettere t) ed u), della legge 23 ottobre 1992, n. 421; 16 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, in relazione ai limiti posti dall'art. 17, lettera f), dello statuto speciale; 24, comma 3, della legge 11 marzo 1988, n. 67.
2.- Va preliminarmente dichiarata cessata la materia del contendere sul primo dei giudizi, perchè, dopo la proposizione del ricorso, la delibera legislativa di cui trattasi è stata parzialmente promulgata dal Presidente della Regione siciliana, con omissione delle disposizioni impugnate (legge regionale 15 marzo 1994, n. 4, in Gazzetta ufficiale della Regione siciliana, parte I, n.15, del 19 marzo 1994).
Infatti, come già affermato da questa Corte, l'esercizio del potere di promulgazione attribuito al Presidente della Regione si esaurisce nell'atto che tale organo compie in ordine alla delibera approvata dall'Assemblea.
Ciò comporta che le disposizioni impugnate sono da reputare espunte dal testo vigente una volta per tutte, senza che sussista la possibilità di una loro successiva autonoma promulgazione (da ultimo, sentenza n. 235 del 1994).
3.- Quanto al secondo dei ricorsi in epigrafe, la Corte è chiamata a stabilire:
1) se l'art. 1 della legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana nella seduta del 4 marzo 1994, nel disporre la ultrattività delle graduatorie degli appartenenti a categorie protette, contrasti con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, per la sua irragionevolezza e per aver disciplinato, in maniera palesemente confliggente con i parametri ai quali il legislatore regionale si sarebbe dovuto rigorosamente attenere, una materia, quale quella delle assunzioni obbligatorie, esulante dalle sue competenze, prefigurando una lesione degli interessi delle categorie protette e una disparità di trattamento a danno di coloro che, pur possedendo un maggior grado di invalidità, non hanno partecipato al concorso;
2) se l'art. 2 della medesima legge, nel prevedere l'assunzione, a carico del bilancio regionale, della retribuzione del personale a tempo indeterminato degli enti privati convenzionati con la Regione per lo svolgimento di corsi di formazione professionale, impossibilitati a proseguire l'attività, contrasti con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, per mancanza di qualsiasi finalità pubblica e per lesione del principio della uniformità di trattamento, in assenza di analoghe misure nella legislazione nazionale di riferimento cui il legislatore regionale è tenuto a conformarsi (art. 17, lettera f), dello statuto);
3) se il medesimo art. 2 contrasti, altresì, con l'art. 81 della Costituzione;
4) se l'art. 6 della stessa legge, autorizzando la Commissione regionale per l'impiego, limitatamente al 1994, ad adottare i provvedimenti previsti dall'art. 5, lettera g), della legge n. 56 del 1987 -per le assunzioni, ai sensi dell'art. 1, comma 1, della legge regionale n. 12 del 1991, da parte dell'amministrazione regionale, degli enti ed aziende da essa dipendenti, nonchè degli enti locali e delle UU.SS.LL. siciliane- violi l'art. 16 della medesima legge n. 56 del 1987, in relazione ai limiti posti alla legislazione regionale dall'art. 17, lettera f), dello statuto speciale, e contrasti, altresì, con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, sotto il profilo della ragionevolezza, potendone scaturire una diversa regolamentazione per le procedure relative alla formazione delle graduatorie riguardanti le amministrazioni statali e quelle riguardanti gli altri enti ed amministrazioni;
5) se l'art. 7 della richiamata legge, estendendo le procedure privilegiate di assunzione -previste, per i soggetti in rapporto di lavoro precario con gli enti locali della Regione, dall'art. 3 della legge regionale n. 22 del 1991- ai soci delle cooperative che hanno gestito, mediante convenzione, il servizio degli asili-nido ai sensi dell'art. 21 della legge regionale n. 214 del 1979, contrasti con gli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, costituendo una sorta di assunzione ad personam, non sorretta, tra l'altro, da alcuna valida motivazione.
3.- Quanto alla prima delle questioni sollevate, e cioè quella concernente l'art. 1 della legge, va, anzitutto, disattesa l'eccezione di inammissibilità formulata, in via pregiudiziale, dalla Regione, che deduce il difetto di interesse, da parte del Commissario dello Stato, a sollevare questione di legittimità costituzionale, perchè l'eventuale caducazione della disposizione non farebbe che restituire efficacia all'art. 7 della legge regionale n. 11 del 1991, norma non impugnata, nè impugnabile da parte del Commissario stesso.
É sufficiente rilevare, infatti, che il ricorso da parte dello Stato avverso le leggi regionali è rivolto a tutelare l'interesse obiettivo all'eliminazione delle leggi incostituzionali, a prescindere dagli effetti che, sul piano dell'ordinamento generale, possano anche indirettamente conseguirne.
4.- Nondimento, le doglianze relative all'art. 1 vanno dichiarate, in parte, inammissibili -sia pure per motivi diversi da quelli testè riferiti- e, in parte, infondate.
L'art. 1 prevede, al comma 1, che "le graduatorie dei concorsi espletati anteriormente al febbraio 1993 degli enti e quelle relative alle categorie di cui alla legge 2 aprile 1968, n. 482, o altre categorie protette, sono efficaci per la durata di 36 mesi e devono essere utilizzate per la copertura dei posti vacanti e disponibili riservati". Dispone, a sua volta, il comma 2 che "le graduatorie dei concorsi espletati anteriormente al febbraio 1993 dell'Amministrazione regionale sono efficaci per la durata di 48 mesi e devono essere utilizzate per la copertura dei posti vacanti e disponibili riservati". Nei confronti della predetta disciplina viene sollevata una complessa e articolata doglianza, formulata, invero, in termini non del tutto puntuali, che, secondo quanto è dato desumere dal ricorso, si scinde sostanzialmente in due questioni: quella del rispetto del principio di ragionevolezza, in relazione agli artt. 3 e 97 della Costituzione, e quella del rispetto delle disposizioni dettate, in materia di collocamento obbligatorio, dalla legislazione statale.
Sotto il primo aspetto, il Commissario dello Stato deduce l'irragionevolezza della disposizione, per la sua transitorietà che "non è logicamente seguita da alcuna ipotesi di norma a regime", e censura, altresì, il fatto che il legislatore siciliano - riformulando, così, l'art. 7 della legge regionale n. 11 del 1991, ove erano organicamente e complessivamente disciplinate le modalità per l'assunzione del personale presso l'amministrazione della Regione e degli enti, aziende ed istituti da essa dipendenti- introduca una norma "assolutamente non confacente alla organica attuazione di quanto il legislatore nel 1991 intendeva globalmente e programmaticamente ottenere".
Per altro verso, lamenta che l'art. 1, comma 1, in questione, riproduca sostanzialmente la disposizione del predetto art.7, "riconfermando così procedure di assunzione di appartenenti alle categorie protette non ammissibili rispetto alla normativa statale che regola la materia".
Tanto premesso, la Corte osserva che i termini in cui la doglianza è formulata, poco chiari e addirittura contraddittori, non sono tali da consentire di apprezzare sotto quali aspetti si verificherebbe il lamentato contrasto con i richiamati parametri. Pertanto, poichè i motivi addotti a sostegno della questione non permettono di cogliere il livello costituzionale delle censure, la questione è da ritenere, sotto l'indicato profilo, inammissibile.
Quanto all'altro aspetto del problema, e cioé quello attinente all'osservanza o meno dei principi desumibili dalla legislazione statale sul collocamento obbligatorio, osserva la Corte che il ricorrente -nel denunciare il mancato rispetto dei principi contenuti negli artt.17 e 19 del decreto legislativo 23 dicembre 1993, n. 546, nell'art. 2, lettere t) ed u), della legge n. 421 del 1992 e nell'art.24, comma 3, della legge 11 marzo 1988, n. 67- deduce che non sarebbe consentito attribuire a soggetti, ancorchè appartenenti a categorie protette ex lege n. 482 del 1968 e risultati idonei in pubblici concorsi, posti riservati resisi vacanti, poichè in tal caso si concreterebbe una lesione ed una conseguente disparità di trattamento a detrimento delle aspettative di altri riservatari che non hanno partecipato a detti concorsi, atteso che il conferimento di posti riservati è subordinato inderogabilmente ad una pubblica selezione aperta a tutti i soggetti di cui alla legge n. 482 del 1968 e soltanto ad essi. Aggiunge, altresì, non potersi escludere che, per effetto della disposizione oggetto di censura, posti vacanti e disponibili siano ricoperti da persone che, benchè idonee, non abbiano titolo a beneficiare della riserva dei posti.
La questione non è fondata. Va, infatti, rilevato -e, del resto, ne dà atto lo stesso Commissario dello Stato nella memoria illustrativa- che la disciplina apprestata con il denunciato art. 1 è stata espressamente limitata dal legislatore regionale ai concorsi anteriori al febbraio 1993. Ciò esclude, in radice, la stessa possibilità di configurare in termini di antinomia il rapporto fra la legge regionale impugnata e la disciplina, cronologicamente successiva, contenuta negli artt. 36 e 42 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, come pure nei successivi artt. 17 e 19 del decreto legislativo 23 dicembre 1993, n. 546, modificativi dei primi.
E tutto questo a tacere, ovviamente, del problema della rilevanza e dell'incidenza che le norme dei decreti delegati emanati in attuazione della legge 23 ottobre 1992, n. 421, possano avere per le regioni a statuto speciale, in relazione a quanto disposto dal comma 2 dell'art. 2 della stessa legge di delega, atteso che, come questa Corte ha avuto occasione di affermare recentemente, con quest'ultima disposizione la posizione delle regioni a statuto speciale è stata differenziata da quelle a statuto ordinario, nel senso che, nei confronti delle prime, il carattere di "norme fondamentali di riforma economico-sociale", suscettibili di vincolare la competenza di tali enti è stato attribuito soltanto ai principi desumibili dal medesimo art. 2 della legge di delega (sent. n. 383 del 1994). Restano, poi, a sorreggere la censura, il richiamo all'art. 24, comma 3, della legge n. 67 del 1988 -che, per le assunzioni obbligatorie, si basa sulla preminenza del grado di mutilazione ed invalidità del soggetto- e quello ai criteri di cui alle lettere t) ed u), dell'art. 2 della legge n.421 del 1992, che prevedono, l'uno, l'organica regolamentazione, da parte del legislatore delegato, delle modalità di accesso all'impiego presso le pubbliche amministrazioni, attraverso il sistema del concorso o delle selezioni psico-attitudinali, e, l'altro, la chiamata numerica degli appartenenti alle categorie protette iscritti nelle liste di collocamento. Ma nè l'uno nè l'altro riferimento normativo risultano idonei a dare fondamento alla questione. A ben vedere, la tesi sostenuta dal Commissario dello Stato pare muovere essenzialmente da un postulato che, però, non trova riscontro nella realtà dell'ordinamento e cioé che le invocate norme della legislazione statale impongano che tutte le assunzioni degli appartenenti alle categorie protette debbano ormai avvenire, sia pure attraverso una pubblica selezione, per chiamata numerica, sicchè la previsione dell'eventuale assunzione di coloro che siano risultati idonei in concorsi precedenti a tale sopravvenuta legislazione, attraverso la proroga delle relative graduatorie, finirebbe per entrare in contrasto con i nuovi criteri di reclutamento.
Senonchè una siffatta premessa è del tutto erronea, in quanto in materia di collocamento obbligatorio nel pubblico impiego, come conferma, da ultimo, il d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487, permane, sia prima che dopo l'emanazione delle leggi sopra richiamate, un duplice procedimento: il concorso pubblico, per le qualifiche più elevate, nell'ambito del quale gli appartenenti alle categorie protette trovano tutela attraverso il meccanismo della riserva dei posti, purchè idonei, e la chiamata numerica per coloro che, iscritti negli appositi elenchi tenuti dagli uffici del lavoro, vengono avviati alle prove di idoneità presso amministrazioni ed enti pubblici.
Nella vigenza di ambedue i sistemi e nella differenziata area di applicabilità delle regole relative a ciascuno di essi, la disposta proroga delle graduatorie dei pubblici concorsi, secondo un criterio praticato, come è noto, anche a livello di legislazione statale, non consente di ipotizzare il contrasto fra la normativa regionale e la normativa statale richiamata dal Commissario dello Stato.
5.- Quanto, poi, all'art. 2, va disattesa, anzitutto, l'eccezione di inammissibilità della questione, che, ad avviso della Regione resistente, atterrebbe al merito delle scelte del legislatore.
Al riguardo è sufficiente ricordare il ripetuto orientamento di questa Corte, secondo il quale le censure di legittimità non si distinguono da quelle di merito per la natura sostanziale delle valutazioni da operare, bensì soltanto per il dato formale che, nel primo caso, a differenza del secondo, le regole o gli interessi assunti come parametro del giudizio sono sanciti in norme della Costituzione ovvero di legge (sentenza n.991 del 1988).
L'art. 2, infatti, viene impugnato per violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, sotto il profilo del buon andamento, deducendosi, in particolare, il difetto di qualsiasi finalità pubblica a fronte della prevista erogazione di considerevoli mezzi finanziari a carico della Regione, nonchè del principio della uniformità di trattamento, in assenza di analoghe misure nella legislazione nazionale di riferimento cui il legislatore regionale è tenuto a conformarsi (art. 17, lettera f, dello statuto speciale).
La questione è fondata.
La norma autorizza l'Assessore regionale per il lavoro, la previdenza sociale, la formazione professionale e l'emigrazione ad erogare, tramite gli uffici provinciali del lavoro, le retribuzioni per il personale a tempo indeterminato di quegli enti della formazione professionale che, per varie cause (tra cui la mancata inclusione nel piano formativo annuale, revoca del finanziamento dei corsi, contenzioso economico-contabile) siano nell'impossibilità di assicurare la prosecuzione dell'attività. Nel porre a carico della finanza regionale le retribuzioni per il detto personale, la disposizione persegue, infatti, una finalità tipicamente assistenziale che, in assenza di qualsiasi controprestazione, si traduce in un esborso a tempo indeterminato per la finanza pubblica.
Vero è che la disposizione, in ciò differenziandosi da quella analogamente contenuta nella precedente legge 20 gennaio 1994, oggetto del primo ricorso, prevede, al comma 4, l'utilizzazione del personale in questione da parte dell'amministrazione regionale, nonchè delle aziende e degli enti contemplati dal comma 1 dell'art. 1 della legge regionale 10 aprile 1991, n. 12.
Ma la mera eventualità prevista dalla norma, che -è da presumere- consentirebbe di trasferire il carico retributivo sugli enti che intendessero utilizzare il personale, non giustifica comunque l'assunzione, in via generale e in maniera indeterminata, dell'onere degli stipendi a carico della Regione, attraverso una disposizione che non pare poter trovare fondamento nella competenza meramente concorrente che spetta alla Regione stessa in materia di assistenza sociale (art.17, lettera f, dello statuto speciale).
L'accoglimento della questione nei termini sopra prospettati assorbe, come è ovvio, l'altra questione, relativa alla lamentata violazione dell'art. 81 della Costituzione.
6.- Il Commissario dello Stato solleva, poi, questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, il quale dispone che, limitatamente al 1994, la Commissione regionale per l'impiego è autorizzata ad adottare i provvedimenti deliberativi di cui all'art. 5, comma 1, lettera g), della legge 28 febbraio 1987, n. 56, per le assunzioni da effettuarsi ai sensi del comma 1 dell'art. 1 della legge regionale 30 aprile 1991, n. 12. In sostanza viene attribuita alla Commissione regionale per l'impiego la facoltà di determinare, per il solo 1994, procedure diverse da quelle in vigore per la convocazione e l'avviamento dei lavoratori ai fini dell'assunzione presso "l'amministrazione regionale e le aziende ed enti ed aziende da essa dipendenti o comunque sottoposti a controllo, tutela e vigilanza", nonchè presso "gli enti locali territoriali e/o istituzionali", nonchè gli enti da essi dipendenti e/o comunque sottoposti a controllo, tutela e vigilanza, e le unità sanitarie locali".
Nel sollevare questione di legittimità costituzionale della disposizione in parola, il Commissario dello Stato -premesso che, nell'iter parlamentare sarebbero stati disattesi l'art. 12 dello statuto e l'art. 111 del regolamento dell'Assemblea regionale siciliana, tanto che le apposite commissioni non avrebbero potuto esprimere una ponderata ed esaustiva valutazione- lamenta che, in una materia di competenza concorrente, si sia introdotta una deroga alla disciplina prevista dall'art. 16 della legge n. 56 del 1987 per le assunzioni nelle pubbliche amministrazioni, al fine di ovviare ad esigenze del tutto particolari e locali, non senza rilevare che in materia di personale delle unità sanitarie locali la competenza del legislatore regionale è ancor più limitata.
La Regione resistente, premesso che la materia dell'avviamento al lavoro presso l'amministrazione regionale e le aziende ed enti da essa dipendenti rientrerebbe fra le competenze esclusive della Regione stessa, osserva, per contro, che la disposizione troverebbe la sua ragione d'essere nella necessità di superare proprio i limiti derivanti dall'art. 16 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, che prevede una graduatoria annuale degli aspiranti al collocamento nelle pubbliche amministrazioni. Si sarebbe, invece, posta la necessità di pervenire alla formulazione, per il 1994, di una graduatoria unica, comprensiva degli anni 1992 e 1993, al fine di ovviare ad una contingente situazione connessa alla scadenza della convenzione per l'automazione dei servizi dell'impiego, che avrebbe determinato il blocco delle graduatorie e dell'avviamento al lavoro. E questo non senza sottolineare, che comunque, nonostante la deroga, gli elementi di valutazione e le modalità di attribuzione del punteggio previsti dall'art. 16 della legge n. 56 del 1987, sarebbero rimasti immutati.
In linea di principio, la Corte ritiene di dover rilevare l'infondatezza della tesi sostenuta dalla Regione della esclusività della competenza regionale in materia di avviamento al lavoro presso la Regione ed aziende ed enti da essa dipendenti.
É vero, infatti, che l'accesso agli uffici regionali, secondo un costante orientamento giurisprudenziale, è una sub-materia rientrante nell'ordinamento degli uffici, che l'art. 14, lettera p), dello statuto affida alla competenza legislativa esclusiva della Regione (v., sentenze nn. 101 del 1986; 563 e 726 del 1988). Ma questo non sta a significare che l'accesso stesso coincida, seppure pro parte, con l'"occupazione", poichè, come questa Corte ha già avuto occasione di precisare (sent. n. 190 del 1987), la disciplina di quest'ultima coinvolge più materie, molte delle quali sono di spettanza dello Stato ed alcune di competenza regionale.
Non si può negare, infatti, che l'obiettivo dell'inserimento di persone nel mondo del lavoro può essere perseguito soltanto attraverso la disciplina di diversi settori - quali, ad esempio, l'istruzione scolastica, il mercato del lavoro e il collocamento, il pensionamento, la politica del mercato, dei prezzi e dei vari comparti produttivi (industria, servizi, ecc.)- i quali rientrano sicuramente nell'ambito delle competenze statali. In pari tempo è innegabile che il perseguimento del medesimo obiettivo coinvolga materie d'indubbia spettanza regionale, quali, ad esempio, la formazione professionale, l'organizzazione degli uffici regionali e la regolazione dell'accesso ai medesimi uffici e, inoltre, le politiche locali riguardanti i vari settori materiali affidati alle regioni (agricoltura, artigianato, sanità, turismo, ecc.).
Da ciò deriva chiaramente che l'occupazione è qualcosa che trascende le singole materie sopra elencate e che una legislazione statale che ne persegua le relative finalità può coinvolgere vari settori, anche di competenza regionale, orientandone o, in determinati casi, vincolandone gli indirizzi verso gli obiettivi superiori, propri di una politica occupazionale.
In questa prospettiva, non può considerarsi senza significato il fatto che la stessa legislazione della Regione siciliana abbia, da un canto, dato attuazione alla legge statale n. 56 del 1987 con legge regionale 21 settembre 1990, n. 36, e, dall'altro, recepito integralmente, in materia di assunzioni, i criteri dell'art. 16 della stessa legge statale, come risulta dall'art. 1 della legge regionale 30 aprile 1991, n. 12.
Quanto sopra premesso, la questione è da ritenere fondata.
La norma impugnata, nel collocare le amministrazioni pubbliche che operano in ambito regionale fuori dallo schema procedimentale del predetto art. 16 della legge n. 56 del 1987, crea, come rileva il ricorso, una discrasia fra la regolamentazione delle procedure relative alla formazione delle graduatorie per le amministrazioni statali, da un lato, e quelle per gli altri enti e amministrazioni, dall'altro. Nè le motivazioni addotte dalla Regione, sotto il profilo dell'eccezionalità della situazione di fatto, possono far superare alla disposizione lo scrutinio di costituzionalità, giacchè la ragionevolezza delle norme esige sempre un rapporto di congruità del mezzo al fine.
Orbene, se il fine era quello dell'unificazione delle graduatorie, per gli anni 1992 e 1993, tale ridotto obiettivo poteva ben essere perseguito limitandosi a prevedere semplicemente la possibilità di formulare globalmente, per entrambi gli anni, le dette graduatorie, così come, in effetti, con una successiva disposizione, e cioè quella della legge regionale 23 maggio 1994, n. 15, risulta, poi, essere stato disposto.
La disposizione va, pertanto, dichiarata costituzionalmente illegittima, restando assorbito ogni altro motivo di censura.
7.- Del pari fondata è la questione di legittimità dell'art. 7 della legge in esame.
Con tale disposizione, al personale delle cooperative che hanno gestito in regime di convenzione gli asili-nido, giusta l'art. 21, ultimo comma, della legge regionale 14 settembre 1979, n.214, vengono applicate le disposizioni di cui all'art. 3 della legge regionale 15 maggio 1991, n. 22, il quale prevede un particolare trattamento preferenziale -ai fini della copertura dei posti destinati ai servizi decentrati con leggi regionali- a favore di determinati soggetti legati agli enti locali "con rapporto di lavoro subordinato o con contratto d'opera individuale, instaurato sulla base di provvedimento formale", prevedendo altresì la eventualità che tale personale venga "collocato in soprannumero" (comma 3 del medesimo art. 3). Secondo il ricorso, la disposizione denunciata lederebbe gli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, che garantiscono la pari opportunità di tutti i cittadini nell'accesso alla pubblica amministrazione, senza che la norma appaia sorretta da alcuna valida motivazione o riferimento a comprovato interesse pubblico. Al riguardo, va osservato che la norma qui sospettata di incostituzionalità tende, in effetti, ad ampliare categorie per le quali sono stati apprestati strumenti volti a favorirne l'assunzione nella pubblica amministrazione, senza il vaglio del concorso e, quindi, di quello strumento che la Corte ha ritenuto, in linea generale, indispensabile per il reclutamento, nell'ottica del buon andamento.
La disposizione impugnata appare volta a perseguire tale obiettivo, con disposizioni formulate, invero, in modo non del tutto chiaro -come risulta dal comma 2 della stessa norma impugnata, che qualifica come "personale dipendente" i soci delle cooperative operanti in regime di convenzione-, ma con l'effetto di agevolare l'assunzione dei destinatari stessi alle dipendenze dell'ente locale. Di questo è ulteriore conferma il richiamo -contenuto nel comma 2 della disposizione impugnata- alle disposizioni dell'art. 57 della legge regionale 1° settembre 1993, n. 25, che autorizza gli enti locali "a mantenere in servizio o a riassumere il personale indicato all'art. 3" della legge regionale 15 maggio 1991, n.22, "nelle more della piena applicazione" della legge medesima.
Pertanto la norma, in quanto elusiva dei principi di cui agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, va dichiarata costituzionalmente illegittima.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt.2, 6 e 7 della legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana il 4 marzo 1994 (Proroga del termine per l'efficacia delle graduatorie concorsuali. Interventi in materia di formazione professionale e di cooperazione ed abrogazione di norme. Modifiche alla legge regionale 1° settembre 1993, n. 25.Disposizioni in materia di personale);
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge approvata il 4 marzo 1994, sollevata, in riferimento agli artt. 17 e 19 del decreto legislativo n. 546 del 1993; all'art. 24, comma 3, della legge n. 67 del 1988 e all'art. 2, lettere t) ed u), della legge n. 421 del 1992, dal Commissario dello Stato per la Regione siciliana con il ricorso n. 30 del 1994.
3) dichiara cessata la materia del contendere in ordine al ricorso promosso dal Commissario dello Stato per la Regione siciliana relativamente agli artt. 5, 6 e 7 della legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana il 20 gennaio 1994 (Modifica del termine per l'adozione degli statuti e dei regolamenti di contabilità dei comuni. Proroga dei termini in materia urbanistica, per la costituzione delle province regionali e per l'efficacia delle graduatorie concorsuali. Interventi in materia di formazione professionale e di cooperazione);
4) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge approvata il 4 marzo 1994, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dal Commissario dello Stato per la Regione siciliana con il ricorso n. 30 del 1994;
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 1994.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Massimo VARI, Redattore
Depositata in cancelleria il 23/12/1994.