Sentenza n. 101 del 1986

 

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SENTENZA N. 101

ANNO 1986

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Livio PALADIN, Presidente  

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL’ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge approvata il 23 aprile 1985 e riapprovata il 21 giugno 1985 dal Consiglio regionale della Regione Sardegna (avente per oggetto "Interpretazione autentica degli artt. 15 e 31 della legge regionale 1 agosto 1975, n. 33" - Compiti della Regione nella programmazione), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato l'11 luglio 1985, depositato in cancelleria il 19 successivo ed iscritto al n. 27 del registro ricorsi 1985.

Visto l'atto di costituzione della Regione Sardegna;

udito nell'udienza pubblica del 18 febbraio 1986 il Giudice relatore Antonio La Pergola;

uditi l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il ricorrente, e l'avv. Giuseppe Guarino per la Regione.

Ritenuto in fatto

1. - Con ricorso notificato l'11 luglio 1985, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, ha promosso giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo unico della legge della Regione Sardegna approvata il 23 aprile 1985, riapprovata il 21 giugno 1985 e comunicata il 26 giugno successivo ("Interpretazione autentica degli artt. 15 e 31 della legge regionale l'agosto 1975, n. 33"), in riferimento all'art. 3, primo comma, dello Statuto speciale della Regione (legge cost. 26 febbraio 1948, n. 3).

L'Avvocatura premette che la legge regionale 1 agosto 1975, n. 33, concernente "Compiti della Regione nella programmazione", ha istituito, all'art. 15, l'ufficio regionale del piano economico e dell'assetto territoriale: in particolare, il terzo comma della citata norma dispone che l'emananda legge regionale sull'ordinamento e le funzioni dell'ufficio Così istituito - oltre a stabilire le modalità per l'attribuzione ad esso del personale qualificato del centro regionale di programmazione, la cui assunzione sia stata deliberata prima dell'entrata in vigore della legge statale 24 giugno 1974, n. 268, e di altro personale regionale - dovrà prevedere anche "i criteri per il transito nei ruoli regionali del personale dell'Ufficio di assistenza tecnica e della Segreteria tecnica del Comitato di coordinamento la cui assunzione sia stata deliberata anteriormente all'entrata in vigore della legge 24 giugno 1974, n. 268".

Il provvedimento legislativo approvato dal Consiglio regionale il 23 aprile 1985, rinviato dal Governo con telegramma del 22 maggio 1985 ai sensi del primo comma dell'art. 33 dello Statuto speciale di autonomia, ed approvato di nuovo dal Consiglio regionale il 21 giugno 1985 con la maggioranza prescritta dal secondo comma dello stesso articolo, dispone, al primo comma, che "sono fatte salve le assunzioni deliberate dall'Amministrazione regionale antecedentemente all'entrata in vigore della legge 24 giugno 1974, n. 268, per il personale degli uffici regionali di assistenza tecnica e sociale e della Segreteria tecnica del Comitato di coordinamento"; il secondo comma aggiunge che "conseguentemente sono fatti salvi i regolamenti e i provvedimenti adottati fino all'entrata in vigore della presente legge dall'Amministrazione regionale relativi allo stato giuridico e al trattamento economico del personale di cui al precedente comma".

Ciò premesso, l'Avvocatura deduce che le censure formulate con il telegramma di rinvio, sulle quali il Governo intende insistere nel presente giudizio, concernono essenzialmente il secondo comma dell'articolo unico della legge impugnata. Ad avviso dell'Avvocatura, la norma, che fa salvi "non meglio individuati regolamenti e provvedimenti già adottati", relativi allo stato giuridico ed al trattamento economico del personale precario degli uffici regionali di assistenza tecnica e sociale e della Segreteria tecnica del Comitato di coordinamento, "offre supporto normativo e forza di legge a situazioni e disposizioni non chiaramente definite", e Così si pone in contrasto con il principio della certezza del diritto.

Questo, conclude l'Avvocatura, é un principio dell'ordinamento e quindi, ai sensi della prima parte dell'art. 3 dello Statuto speciale, costituisce un limite della potestà legislativa regionale.

2. - La Regione Sardegna, in persona del Presidente pro tempore, si é costituita nel presente giudizio e chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, comunque, infondato.

Premesso che l'art. 3, lett. a, dello Statuto speciale per la Sardegna attribuisce ad essa una potestà legislativa primaria ed esclusiva in materia di "ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale", la difesa della Regione espone che, nell'esercizio di detta competenza, la legge regionale n. 33 del 1975 aveva stabilito la disciplina di alcuni uffici, prevedendo, fra l'altro, al terzo comma dell'art. 15, che una futura legge avrebbe dovuto stabilire i criteri per il transito nei ruoli regionali del personale dell'Ufficio regionale di assistenza tecnica e della Segreteria tecnica del Comitato di coordinamento la cui assunzione era stata deliberata antecedentemente all'entrata in vigore della legge 24 giugno 1974, n. 268; nonché, nel secondo comma dell'art. 31, che le spese occorrenti per il mantenimento, fino all'entrata in vigore della legge di cui all'art. 15, del centro regionale di programmazione, dell'ufficio regionale di assistenza tecnica e della Segreteria tecnica del Comitato di coordinamento, avrebbero fatto carico ai titoli di spesa indicati dal primo comma dello stesso art. 31.

Invero, prosegue la Regione, l'Ufficio regionale di assistenza tecnica e la Segreteria tecnica del Comitato di coordinamento, e il relativo personale, erano già stati fatti oggetto di provvedimenti della Giunta regionale (dd.P.G.R. nn. 47 e 48 del 23 luglio 1968 e successive modifiche), sulla base di una previsione legislativa contenuta nell'art. 19, sesto comma, della legge statale 11 giugno 1962, n. 588 (Piano straordinario di rinascita della Sardegna) e nell'art. 3 della legge regionale 11 luglio 1962, n. 7. A causa, però, della non perspicuità di tale disciplina legislativa - e dei problemi che ne erano conseguiti, specie in relazione al rapporto di impiego del personale di quegli uffici - la Regione aveva integrato la disciplina precedente con i citati artt. 15 e 31 della legge n. 33 del 1975, istituendo l'Ufficio del piano economico e prevedendo l'inquadramento nei ruoli regionali del personale già in servizio presso l'Ufficio regionale di assistenza tecnica e la Segreteria tecnica del Comitato di coordinamento: con ciò doveva ritenersi confermata la legittimità degli atti amministrativi precedenti, concernenti il personale degli uffici ora indicati, fra cui i citati decreti n. 47 e n. 48 del 1968.

Allo scopo, infine, di superare ogni residua incertezza interpretativa, il Consiglio regionale ha voluto dettare, con la legge ora impugnata, alcune disposizioni di interpretazione autentica dei più volte citati artt. 15 e 31 della legge n. 33 del 1975.

Tutto ciò premesso in punto di fatto, la difesa della Regione deduce, innanzitutto, l'inammissibilità del ricorso sotto un duplice profilo. In primo luogo, ad avviso della Regione, non vi é corrispondenza tra il motivo del rinvio ed il motivo del ricorso, com'é invece inderogabilmente richiesto dalla unitarietà del procedimento di controllo delle leggi regionali (é richiamata da ultimo la sentenza della Corte n. 72 del 1985): mentre, infatti, l'atto di impugnativa denuncia una presunta violazione dell'art. 3 dello Statuto per il mancato rispetto di un principio dell'ordinamento, l'atto di rinvio non aveva denunciato la violazione di una specifica disposizione statutaria o di altra norma di rango costituzionale, limitandosi a lamentare genericamente il contrasto con il "principio della certezza del diritto". La genericità della formulazione del rinvio era tale, prosegue la Regione, che da esso non era dato di desumere quale fosse la norma costituzionale violata, se il principio della certezza del diritto fosse stato assunto come un principio avente di per sé rango costituzionale, o se fosse invece un principio generale dell'ordinamento statale: al limite poteva dubitarsi se quella contenuta nell'atto di rinvio fosse una censura di incostituzionalità. La violazione, pertanto, dell'art. 3 dello Statuto é stata formulata per la prima volta nel ricorso, venendo Così a mancare la necessaria corrispondenza di genere a specie tra atto di rinvio e ricorso.

Ulteriore motivo di inammissibilità del ricorso discenderebbe, poi, dall'assoluta indeterminatezza della censura prospettata, là dove si afferma che la disciplina impugnata offrirebbe "supporto normativo e forza di legge a situazioni e disposizioni non chiaramente definite": in realtà, secondo la Regione, dal tenore letterale dell'articolo unico censurato é fin troppo chiaro che ciò cui la legge ha voluto dare supporto normativo sono i regolamenti e i provvedimenti già adottati ed aventi quale oggetto - definitivo ed inequivoco - lo stato giuridico ed economico del personale degli Uffici regionali di assistenza tecnica e sociale e della Segreteria tecnica del Comitato di coordinamento assunto anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 268/1974. Poiché sono chiaramente queste, e non altre, le situazioni disciplinate dalla legge, ciò che risulta non chiaramente definito é il ricorso del Governo, che sarebbe, quindi, inammissibile per l'indeterminatezza dell'oggetto della questione.

La Regione deduce, comunque, l'infondatezza del ricorso nel merito. Innanzitutto, essa rileva che i principi dell'ordinamento giuridico dello Stato, che l'art. 3 dello Statuto pone come limiti alla potestà legislativa regionale, sono principi normativi: ma tale non é il principio della certezza del diritto, che costituisce piuttosto un valore, una esigenza del sistema, che non può assurgere a parametro autonomo del giudizio di costituzionalità delle leggi. Come la Corte ha rilevato nella sentenza n. 31/1983, la chiarezza del dettato legislativo contribuisce alla certezza del diritto e "riduce le occasioni di controversie"; proprio per ciò l'incertezza del dettato legislativo non costituisce di per sé un vizio della legge, ma può soltanto far emergere un diverso ed autonomo vizio, che non é però enunciato nel ricorso in esame.

In ogni caso, prosegue la Regione, le censure concernenti i dubbi e le incertezze che deriverebbero dalla disciplina impugnata in realtà non hanno alcun fondamento. Innanzitutto la legge censurata é una legge di interpretazione autentica: é pertanto singolare che il Governo, mentre non ha a suo tempo manifestato dubbi o censure nei confronti degli artt. 15 e 31 della legge n. 33 del 1975, impugni ora per i motivi anzidetti una legge che, per definizione, ha lo scopo proprio di chiarire e risolvere dubbi o incertezze interpretativi di una legge preesistente. A parte ciò, la censura del Governo, secondo cui la legge in esame farebbe salvi "non meglio individuati regolamenti e provvedimenti amministrativi già adottati", sarebbe non solo palesemente infondata, ma del tutto gratuita e pretestuosa, essendo evidente che i regolamenti e i provvedimenti amministrativi che "sono fatti salvi", pur non singolarmente richiamati, sono tuttavia chiaramente individuabili per relationem in base al tenore letterale dei primi due commi dell'articolo unico impugnato. Si tratta, cioé, di atti formali già esistenti, regolarmente repertoriati dall'Amministrazione, ed individuabili senza alcuna incertezza: d'altra parte l'elencazione di ogni singolo atto nel testo della legge sarebbe stata palesemente incongrua e contraria ad ogni più elementare principio di tecnica legislativa.

3. - Nell'udienza pubblica del 18 febbraio 1986 il giudice La Pergola ha svolto la relazione e l'Avvocatura dello Stato e la difesa della Regione Sardegna hanno ribadito le conclusioni già adottate.

Considerato in diritto

1. - Forma oggetto di censura nel presente giudizio l'articolo unico della legge approvata, ai sensi dell'art. 33 dello Statuto speciale per la Sardegna, dal Consiglio di quella Regione, il 21 giugno 1985. Tale legge detta l'interpretazione autentica degli artt. 15 e 31 di altra legge regionale (1 agosto 1975, n. 33). Il terzo comma dell'art. 15 ed il secondo comma dell'art. 31 della legge anzidetta - dispone, infatti, la norma impugnata - devono essere intesi nel senso che sono fatte salve le assunzioni deliberate dall'Amministrazione regionale antecedentemente all'entrata in vigore della legge 24 giugno 1974, n. 268 e relative al personale dell'Ufficio di assistenza tecnica e sociale regionale e della Segreteria tecnica del Comitato di coordinamento. Conseguentemente, son fatti salvi i provvedimenti e i regolamenti adottati fino all'entrata in vigore della legge censurata dall'Amministrazione regionale, in ordine allo stato giuridico del personale sopra menzionato.

Le censure formulate a suo tempo dal Governo con il telegramma di rinvio (del 22 maggio 1985), dopo la prima approvazione del provvedimento legislativo in esame, la quale risale al 23 aprile 1985, ora riproposte nel ricorso del Presidente del Consiglio, concernono essenzialmente la disposizione che - afferma l'Avvocatura dello Stato - fa salvi "non meglio individuati" regolamenti e provvedimenti già adottati, e relativi allo stato giuridico e al trattamento del personale precario degli anzidetti uffici regionali. La norma impugnata offrirebbe supporto normativo e forza di legge a situazioni e disposizioni non chiaramente definite. Si assume dall'Avvocatura dello Stato che essa risulti in contrasto con il principio della certezza del diritto: il quale costituirebbe un principio dell'ordinamento e, per ciò stesso, ai sensi dell'art. 3 dello Statuto speciale di autonomia, un limite della potestà legislativa regionale, la cui inosservanza é dedotta in questa sede.

2. - La difesa della Regione eccepisce preliminarmente l'inammissibilità del ricorso. L'eccezione non può, tuttavia, essere condivisa.

In primo luogo, é da escludere che difetti la prescritta corrispondenza tra i motivi del rinvio della legge al Consiglio regionale e il motivo del ricorso successivamente proposto avanti alla Corte. Il telegramma di rinvio, pur non facendo espresso e puntuale riferimento all'articolo dello Statuto che qui si assume violato, aveva indicato con sufficiente chiarezza come motivo di censura la violazione del principio della certezza del diritto: il che, come si é detto, costituisce il motivo fatto valere con l'impugnativa poi proposta dallo Stato. Anche alla stregua della pregressa giurisprudenza di questo Collegio, gli estremi dell'ammissibilità del ricorso sono quindi, sotto il profilo in esame, fuor di dubbio soddisfatti. Va del pari disatteso l'altro rilievo della difesa della Regione, secondo cui la censura prospettata peccherebbe di indeterminatezza, al punto di lasciare assolutamente imprecisato l'oggetto della questione: questo perché grazie al suo tenore letterale, la disposizione censurata sarebbe "fin troppo chiara" nell'individuare i regolamenti e i provvedimenti fatti salvi mediante la legge di interpretazione autentica. L'osservazione testé riferita concerne, invero, non l'ammissibilità, ma il merito della questione, di cui la Corte deve ora occuparsi.

3. - La questione non é fondata.

La legge impugnata detta l'interpretazione autentica delle disposizioni contenute negli artt. 15 e 31 della legge regionale 1 agosto 1975, n. 33. Tali norme erano rispettivamente dirette, l'art. 15 ad istituire l'Ufficio regionale del piano economico e dell'assetto territoriale, l'art. 31 a indicare i mezzi per la copertura delle spese occorrenti per il personale e il funzionamento del Centro regionale di programmazione. Le spese previste fanno carico, com'é ivi stabilito, ai titoli istituiti ai sensi dell'art. 5 della legge 11 giugno 1962, n. 588, e ad altri titoli di spesa, da istituire ai sensi dell'art. 2 della legge 24 giugno 1974, n. 268; agli stessi titoli sono imputate le spese occorrenti per il mantenimento, oltre che del Centro regionale di programmazione, dell'Ufficio regionale di assistenza tecnica e della Segreteria tecnica del Comitato di coordinamento, fino all'entrata in vigore della legge prevista nell'art. 15. Quest'ultima disposizione demanda ad una successiva legge regionale l'ordinamento e le funzioni dell'ufficio regionale del piano economico e dell'assetto territoriale, nonché la disciplina delle modalità di attribuzione allo stesso ufficio del personale qualificato del Centro regionale di programmazione, la cui assunzione sia stata deliberata antecedentemente all'entrata in vigore della legge 24 giugno 1974, n. 268, e di altro personale regionale (art. 15, secondo comma). Sempre nell'art. 15, al terzo comma, é previsto che la legge regionale, alla quale si rinvia, debba porre i criteri per il transito nei ruoli regionali del personale dell'Ufficio regionale di assistenza tecnica e della Segreteria tecnica del Comitato di coordinamento, sempre che la relativa assunzione sia stata deliberata prima dell'entrata in vigore della legge n. 268 del 1974, sopra richiamata.

Le statuizioni di cui la legge in esame interpreta il disposto concernono, dunque, il personale dell'Ufficio di assistenza tecnica e sociale in agricoltura e della Segreteria tecnica del Comitato di coordinamento, la cui assunzione era stata deliberata dalla Regione in conformità di regolamenti adottati con decreti del Presidente della Giunta. Si tratta, precisamente, del d.P.G. 23 luglio 1968, n. 47 e successive modificazioni, che riguarda l'Ufficio di assistenza tecnica in agricoltura e del d.P.G. 23 luglio 1968, n. 48 e successive modificazioni, che concerne la Segreteria tecnica del Comitato di coordinamento. Gli anzidetti regolamenti contengono la disciplina degli uffici in parola, regolano sia lo stato giuridico sia il trattamento economico del personale, e definiscono il relativo rapporto di impiego con l'amministrazione regionale. I successivi interventi del legislatore regionale, che hanno messo capo, prima alla legge oggetto di interpretazione, poi a quella sottoposta all'esame della Corte, incidono quindi su situazioni pregresse, costituite sulla base della produzione regolamentare della Regione.

Ora, il vizio di illegittimità denunziato in questa sede discenderebbe dal non avere il legislatore regionale definito le situazioni e disposizioni alle quali si vuol conferire il sostegno della forza di legge. Questa, e non altra, é la ragione per la quale é invocato in giudizio il disposto statutario che - assume il ricorrente - annovererebbe la certezza del diritto tra i principi, ai quali la legge regionale deve conformarsi. Ma il problema se la certezza del diritto si configuri come principio vincolante per il legislatore regionale - in questo caso, nella sfera della sua competenza primaria - potrebbe porsi, va subito detto, solo in quanto la disposizione censurata mancasse, in effetti, di determinare le situazioni ed i provvedimenti fatti salvi. Così non accade, tuttavia, nella presente controversia. L'articolo unico della legge in esame stabilisce al primo comma a quali assunzioni deliberate dall'Amministrazione regionale vien fatto riferimento in sede di interpretazione autentica. Il secondo comma del medesimo articolo, in cui é posta la clausola di salvezza dei regolamenti e provvedimenti adottati dall'Amministrazione regionale, rinvia al primo comma e ne integra, per quel che qui interessa, il disposto. Deve trattarsi del personale di quei determinati uffici indicati nella stessa legge: e cioé, come si é detto, dell'Ufficio regionale di assistenza tecnica e sociale e della Segreteria tecnica del Comitato di coordinamento. Le assunzioni fatte salve, insieme con i conseguenti atti dell'Amministrazione regionale, sono quelle antecedenti all'entrata in vigore della legge n. 268 del 1974, anch'essa puntualmente indicata in sede di interpretazione autentica. Sotto ogni profilo, dunque, le previsioni della legge impugnata risultano chiaramente determinate ai fini della presente indagine. Il che basta ad escludere la fondatezza del ricorso proposto dallo Stato.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo unico della legge della Regione Sardegna approvata il 23 aprile 1985 e riapprovata il 21 giugno 1985 ("Interpretazione autentica degli artt. 15 e 31 della legge regionale 1 agosto 1975, n. 33"), in riferimento all'art. 3 dello Statuto speciale della Regione Sardegna, sollevata con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 1986.

 

Livio PALADIN - Antonio LAPERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO – Gabriele PESCATORE

 

Depositata in cancelleria il 22 aprile 1986.