SENTENZA N. 210
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giuseppe FRIGO Giudice
- Alessandro CRISCUOLO
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Nicolò ZANON ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma l; 4, comma l; 8, comma 3; 11, comma 2; 15, commi l e 2; 17, commi 2 e 3; 23, commi l e 2; 24, commi l e 2, della legge della Regione Liguria 6 marzo 2015, n. 6, recante «Modifiche alla legge regionale 5 aprile 2012, n. 12 (Testo unico sulla disciplina dell’attività estrattiva), alla legge regionale 21 giugno 1999, n. 18 (Adeguamento delle discipline e conferimento delle funzioni agli enti locali in materia di ambiente, difesa del suolo ed energia), alla legge regionale 4 agosto 2006, n. 20 (Nuovo ordinamento dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente ligure) e alla legge regionale 2 dicembre 1982, n. 45 (Norme per l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di competenza della Regione o di enti da essa individuati, delegati o subdelegati)», proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 4-6 maggio 2015, depositato in cancelleria il 12 maggio 2015 ed iscritto al n. 52 del registro ricorsi 2015.
Visto l’atto di costituzione della Regione Liguria;
udito nell’udienza pubblica del 21 giugno 2016 il Giudice relatore Giulio Prosperetti;
uditi l’avvocato dello Stato Giovanni Palatiello per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Barbara Baroli per la Regione Liguria.
Ritenuto in fatto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso spedito per la notifica il 4 maggio 2015, ricevuto il 6 maggio 2015 e, quindi, depositato nella cancelleria della Corte il successivo 12 maggio, ha proposto questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma l; 4, comma l; 8, comma 3; 11, comma 2; 15, commi l e 2; 17, commi 2 e 3; 23, commi l e 2, e 24, commi l e 2, della legge della Regione Liguria 6 marzo 2015, n. 6, recante «Modifiche alla legge regionale 5 aprile 2012, n. 12 (Testo unico sulla disciplina dell’attività estrattiva), alla legge regionale 21 giugno 1999, n. 18 (Adeguamento delle discipline e conferimento delle funzioni agli enti locali in materia di ambiente, difesa del suolo ed energia), alla legge regionale 4 agosto 2006, n. 20 (Nuovo ordinamento dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente ligure), e alla legge regionale 2 dicembre 1982, n. 45 (Norme per l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di competenza della Regione o di enti da essa individuati, delegati o subdelegati)».
Il ricorrente deduce la violazione dell’art 117, comma 2, lettera s), della Costituzione, in relazione agli artt. 135, 143, 145, 146, comma 1, e 153 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), e agli artt. 11, comma 5, 13, commi 1 e 3, e 208 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), nonché al d.m. 5 febbraio 1998 (Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22) e (limitatamente ai censurati artt. 8, comma 3, 11, comma 2, 17, commi 2 e 3, e 24, commi l e 2) anche all’art. 97 Cost.
1.1.– Con riferimento alle singole impugnazioni, il ricorrente censura, in primo luogo, il comma l dell’art. 3 della legge reg. Liguria n. 6 del 2015 che, modificando l’art. 4 della legge reg. n. 12 del 2012, stabilisce, nel nuovo testo, che gli eventuali ampliamenti delle attività estrattive di cave debbano essere approvati in «raccordo con la relativa pianificazione territoriale paesaggistica e urbanistica», eliminando l’obbligo, sancito nel testo previgente, in base al quale il Piano regionale delle attività estrattive deve essere coerente con il Piano territoriale di coordinamento paesaggistico.
La previsione di un generico raccordo tra i due piani territoriali violerebbe, infatti, a parere del ricorrente, il principio di prevalenza gerarchica del Piano paesaggistico, stabilito dall’art. 145 del codice dei beni culturali e del paesaggio, determinando così la conseguente violazione dell’art. 117, comma secondo, lettera s), Cost., che stabilisce la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali».
1.2.– In secondo luogo, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna il comma 1 dell’art. 4 della legge reg. Liguria n. 6 del 2015, che sopprime il riferimento alla necessità che la proposta di Piano regionale delle attività estrattive sia corredata dal rapporto ambientale. La disposizione in esame modifica, infatti, il comma l dell’art. 5 della legge reg. n. 12 del 2012, relativo alla formazione ed approvazione del Piano territoriale regionale dell’attività di cava, eliminando le parole «corredato dal rapporto ambientale redatto sulla base del rapporto preliminare ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) e successive modificazioni ed integrazioni». La norma censurata introdurrebbe, infatti, una modifica procedurale tale da consentire l’adozione di un Piano privo delle analisi di valutazione ambientale strategica (VAS), in contrasto con quanto previsto dagli artt. 11, comma 5, e 13, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 152 del 2006; dal che discenderebbe la violazione della potestà legislativa esclusiva statale in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», sancita dall’art. 117, comma secondo, lettera s), Cost.
1.3.– Ulteriore oggetto di impugnativa sono l’art. 8, comma 3, della legge reg. Liguria n. 6 del 2015, che modifica l’art. 9 della legge reg. n. 12 del 2012, stabilendo nel nuovo testo che il provvedimento di autorizzazione dell’attività estrattiva debba contenere «l’individuazione dei margini di flessibilità dell’autorizzazione paesaggistica, per l’esecuzione degli interventi che non si configurano come variante sotto il profilo paesaggistico»; l’art. 11, comma 2, della legge reg. n. 6 del 2015, che modifica l’art. 12 della legge reg. n. 12 del 2012, stabilendo che le varianti all’autorizzazione debbano essere munite della preventiva autorizzazione paesaggistica solo «ove si tratti di varianti non rientranti nei margini di flessibilità di cui all’articolo 9, comma 2, lettera c bis), e/o di altri titoli previsti dalla normativa vigente»; l’art. 17, commi 2 e 3, della legge reg. Liguria n. 6 del 2015 che, modificando il previgente testo dell’articolo 19 della legge reg. n. 12 del 2012, prescrive che il permesso di ricerca contenga «l’individuazione dei margini di flessibilità dell’autorizzazione paesaggistica» (comma 2 dell’art. 17) e che la preventiva acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica sia necessaria solo ove si tratti di varianti non rientranti nei margini di flessibilità o negli altri titoli previsti dalla normativa vigente (comma 3 dell’art. 17); l’art. 24, commi l e 2, della legge della reg. Liguria n. 6 del 2015 che, richiamando nuovamente il concetto di «margini di flessibilità», detta le norme transitorie per le autorizzazioni all’esercizio dell’attività estrattiva in corso alla data di entrata in vigore della legge regionale e per le attività sanzionatorie e di vigilanza in materia.
Tali disposizioni, a parere del ricorrente, a cagione dell’assoluta indeterminatezza del concetto di «margini di flessibilità», risulterebbero in contrasto con i principi generali in tema di tipicità degli atti amministrativi, violando così l’art. 97 Cost., nonché – dato il contrasto con l’art. 146, comma 4, del codice dei beni culturali e del paesaggio, secondo cui «l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio» – l’art. 117, comma secondo, lettera s), Cost., che riserva allo Stato la potestà legislativa esclusiva in materia di tutela dell’ambiente.
1.4.– Infine, il Presidente del Consiglio dei ministri censura gli artt. 15, commi 1 e 2, e 23, commi l e 2, della legge reg. Liguria n. 6 del 2015, che modificano, rispettivamente, gli articoli 17 e 28 della legge reg. n. 12 del 2012. A seguito delle dette modifiche, il nuovo testo del comma 1 dell’articolo 17 stabilisce che «Negli impianti a servizio dell’attività di cava è consentito il recupero e la lavorazione di materiali di provenienza esterna, estratti da altre cave ovvero derivanti da demolizioni, restauri o sbancamenti, a condizione che tale attività sia svolta nel rispetto di quanto previsto dalla normativa statale e regionale in materia ambientale e di rifiuti delle industrie estrattive e che l’attività prevalente dell’azienda continui ad essere rappresentata dalla conduzione del polo estrattivo», mentre il nuovo comma 2 del medesimo articolo prevede che «2. Il titolare dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività estrattiva è tenuto a presentare allo SUAP una SCIA, ai sensi dell’articolo 19 della L. 241/1990 e successive modificazioni e integrazioni, per l’avvio dell’attività di cui al comma l, secondo modalità stabilite dalla Giunta regionale ai sensi dell’articolo 3, comma l, lettera b). In caso di accertata carenza dei presupposti e delle condizioni prescritte per la SCIA, si applica l’articolo 19, commi 3 e 4, della L. 241/1990 e successive modificazioni e integrazioni».
A parere del ricorrente le dette disposizioni invaderebbero, anch’esse, la potestà legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente sancita dall’art. 117, comma secondo, lettera s), Cost., risultando in contrasto con le norme statali interposte dell’articolo 208 del d.lgs. n. 152 del 2006 e del d.m. 5 febbraio 1998.
In particolare, la nuova normativa non preciserebbe se l’attività di recupero sia relativa soltanto all’esercizio di un impianto di recupero dei rifiuti localizzato all’interno della cava stessa, ovvero se il materiale, così trattato, possa essere utilizzato direttamente all’interno della cava e consentirebbe, inoltre, che lo svolgimento della attività di recupero sia subordinato a semplice SCIA, invece che al regime autorizzativo imposto dalla normativa statale di riferimento.
Il nuovo testo dell’articolo 28 della legge reg. n. 12 del 2012, come modificato dalla disposizione di cui all’impugnato comma 1 dell’art. 23, stabilisce, invece, che «Le modifiche a tale Piano non comportanti variante al Piano Territoriale di Coordinamento Paesistico (PTCP) o modifica alla tipologia di cava sono approvate dalla Giunta regionale, previo parere dei comuni, della Città metropolitana e delle province territorialmente interessati, da rendersi entro trenta giorni dalla richiesta. Le modifiche al Piano necessarie ai fini della correzione di meri errori materiali sono approvate dal dirigente della struttura regionale competente in materia di attività estrattive».
Al riguardo, il ricorrente rileva che nella nuova norma non viene prevista alcuna partecipazione al procedimento degli organi periferici del Ministero dei beni e delle attività culturali e che, quindi, la disposizione si pone in aperto contrasto con l’art. 145, comma 5, del codice per i beni culturali e il paesaggio secondo cui «La regione disciplina il procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica, assicurando la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo», il che determinerebbe, anche in questo caso, la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, che riserva allo Stato la potestà legislativa esclusiva in materia.
Inoltre, l’impugnato comma 2 dell’art. 23, inserendo un comma l bis all’articolo 28 della legge reg. n. 12 del 2012, stabilisce, infine, che la Regione possa rilasciare autorizzazioni aventi ad oggetto un incremento del 25 per cento dell’areale di cava e/o la modifica della tipologia normativa, senza che ciò comporti la necessità di procedere a variazioni del P.T.C.P.
Il ricorrente evidenzia che l’irrilevanza dell’incremento della superficie dell’areale di cava sino al 25 per cento, prevista anche in relazione al P.T.C.P., per quanto concerne le zone soggette a vincolo paesaggistico sulla base di previsione di legge (come i boschi e le montagne per la parte eccedente 1.200 metri sul livello del mare) o di uno specifico provvedimento, non può essere, in alcun modo, presunta dal legislatore regionale, dovendo costituire oggetto di specifico accordo con il Ministero dei beni e delle attività culturali, ai sensi degli artt. 135, 143 e 156 del codice dei beni culturali e del paesaggio, che sanciscono il principio della pianificazione congiunta.
2.– Con atto depositato nella cancelleria della Corte il 12 giugno 2015, si è costituita in giudizio la Regione Liguria, in persona del Presidente pro tempore, sostenendo l’infondatezza delle censure prospettate dal Presidente del Consiglio dei ministri e chiedendone il conseguente rigetto. In prossimità dell’udienza di discussione, in data 30 maggio 2016, la Regione ha, quindi, depositato ulteriore memoria difensiva, insistendo per l’infondatezza e il rigetto delle censure.
2.1.– Con riferimento al comma l dell’art. 3 e al comma 1 dell’art. 4 della legge reg. Liguria n. 6 del 2015, la Regione eccepisce che la norma interposta ritenuta violata (l’art. 145 del codice dei beni culturali e del paesaggio) non sarebbe, in realtà, conferente al caso, in quanto in Liguria sarebbero vigenti non già i Piani paesaggistici previsti da detta norma, da elaborare d’intesa con il Ministero dei beni e delle attività culturali, bensì il Piano Territoriale di Coordinamento Paesistico contemplato dalla legge 8 agosto 1985, n. 431 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, recante disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale. Integrazioni dell’articolo 82 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616) e qualificabile come Piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici, ai sensi dell’art. 135, comma l, del codice dei beni culturali e del paesaggio. La compatibilità del Piano territoriale delle attività di cava con i valori paesaggistici espressi dal P.T.C.P. risulterebbe, peraltro, garantita, a parere della Regione resistente, dall’esistenza del legame di raccordo e proprio dallo svolgimento della procedura di VAS, che verrebbe avviata dall’autorità procedente contestualmente al processo di formazione del piano e in occasione della quale verrebbero esaminati e valutati tutti i possibili impatti significativi sull’ambiente e sul paesaggio derivanti dall’attuazione del Piano.
Più precisamente, la Regione Liguria evidenzia che la procedura di VAS verrebbe applicata fin dal momento di prima elaborazione del Piano territoriale regionale delle attività di cava, in quanto l’art. 4, comma 3 della legge reg. n. 12 del 2012, farebbe risalire la necessità del rapporto ambientale già alla fase di predisposizione di questo («Il Piano è predisposto sulla base di studi ed indagini […] in raccordo con la pianificazione territoriale, paesaggistica ed urbanistica, e contiene il rapporto ambientale ai fini dell’assolvimento della procedura di VAS»).
La necessità dell’effettivo svolgimento della procedura di VAS risulterebbe, anche, dall’inequivoco testo dell’art. 4, comma 4, della legge reg. n. 12 del 2012, che prevede che la Giunta regionale, ricevuti i pareri degli enti locali, propone al Consiglio regionale l’approvazione del Piano comprendente la pronuncia di VAS, e dell’art. 5, comma 3 della medesima legge, che statuisce che il progetto di Piano è trasmesso alle province, alla Città metropolitana e ai comuni interessati, nonché ai soggetti competenti in materia ambientale individuati per l’espletamento delle procedure di VAS. Dall’interpretazione complessiva del testo normativo emergerebbe, quindi, che il sub-procedimento di VAS pervade, in ogni suo momento, la procedura di formazione del Piano Cave; il che dimostrerebbe la totale infondatezza dei rilievi della Presidenza del Consiglio dei ministri.
2.2.– Quanto, poi, alle censure mosse in relazione agli artt. 8, comma 3, 11, comma 2, 17, commi 2 e 3, e 24, commi l e 2, della legge della reg. Liguria n. 6 del 2015, la Regione evidenzia che il concetto di “margini di flessibilità” rappresenterebbe, in realtà, un contenuto non già dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività estrattiva, ma dell’autorizzazione paesistica, già menzionato espressamente dall’art. 6, comma l, lettera h) della legge della regione Liguria 6 giugno 2014 n. 13 (Testo unico della normativa regionale in tema di paesaggio) e rispetto a cui sarebbe previsto, in ogni caso, il necessario parere della Soprintendenza. Il che priverebbe di ogni fondamento la relativa impugnazione.
2.3. – Infine, con riferimento agli artt. 15, commi 1 e 2, e 23, commi l e 2, della legge reg. Liguria n. 6 del 2015, la resistente obietta che le attività di recupero di materiali estratti da cava o derivanti da demolizioni, restauri o sbancamenti di cui alla norma impugnata sarebbero disciplinate dalla procedura semplificata prevista dall’art. 216 del d.lgs. n. 152 del 2006 e dalle norme previste dal d.m. 5 febbraio 1998. In altri termini, sarebbe la stessa legislazione statale che consente di dispensare l’attività di recupero dal rilascio di un provvedimento di autorizzazione espressa, a patto però che questa sia svolta esattamente come prescritto e che siano presenti i requisiti stabiliti per il suo svolgimento.
Quanto, invece, alle censura relativa all’art. 23, comma l, questa, a parere della Regione resistente, sarebbe mal posta, in quanto la fattispecie in questione riguarderebbe il procedimento di variante al Piano cave che non implichi variante al P.T.C.P. attualmente vigente in Liguria. Laddove, invece, le norme statali richiamate dal ricorrente troverebbero applicazione solo nei confronti dei piani paesaggistici previsti dagli artt. 143 e 156 del codice dei beni culturali e del paesaggio, non ancora vigenti in Liguria.
Con riferimento, invece, all’impugnativa del comma 2 dell’art. 23, che inserisce un comma l-bis all’articolo 28 della legge reg. n. 12 del 2012, il rilievo mosso dal ricorrente sarebbe, pure, infondato, in quanto il comma l-bis di nuova introduzione stabilirebbe che le autorizzazioni in parola sono rilasciate «secondo la procedura di cui all’articolo 11» della medesima legge, il che comporterebbe, nel caso in cui l’attività da autorizzare interessi immobili soggetti a vincolo paesaggistico, l’obbligatoria acquisizione del parere vincolante della Soprintendenza, ai sensi dell’art. 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio.
La disposizione impugnata non sarebbe, quindi, finalizzata ad escludere il parere vincolante della Soprintendenza e ad eludere i vincoli paesaggistici, bensì semplicemente a consentire che, nei casi in cui ricorra il detto parere favorevole, si possano rilasciare, a certe condizioni, alcuni tipi di autorizzazione, tramite il detto procedimento di cui all’art. 11.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha proposto questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma l; 4, comma l; 8, comma 3; 11, comma 2; 15, commi l e 2; 17, commi 2 e 3; 23, commi l e 2, e 24, commi l e 2, della legge della Regione Liguria 6 marzo 2015, n. 6, recante «Modifiche alla legge regionale 5 aprile 2012, n. 12 (Testo unico sulla disciplina dell’attività estrattiva), alla legge regionale 21 giugno 1999, n. 18 (Adeguamento delle discipline e conferimento delle funzioni agli enti locali in materia di ambiente, difesa del suolo ed energia), alla legge regionale 4 agosto 2006, n. 20 (Nuovo ordinamento dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente ligure), e alla legge regionale 2 dicembre 1982, n. 45 (Norme per l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di competenza della Regione o di enti da essa individuati, delegati o subdelegati)».
In particolare, l’art. 3, comma 1, viene censurato in quanto, modificando l’art. 4 della legge reg. n. 12 del 2012, sostituirebbe il previgente obbligo di coerenza del Piano regionale delle attività estrattive rispetto al Piano territoriale di coordinamento paesaggistico con un generico vincolo di raccordo, violando con ciò, attraverso il contrasto con l’art. 145 del codice dei beni culturali e del paesaggio, l’art. 117, comma secondo, lettera s), della Costituzione, che stabilisce la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali». Analoga lesione dell’art. 117, comma secondo, lettera s), Cost., deriverebbe dall’impugnato art. 4, comma 1 che, eliminando dal testo del comma l dell’art. 5 della legge reg. n. 12 del 2012, le parole «corredato dal rapporto ambientale redatto sulla base del rapporto preliminare ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) e successive modificazioni ed integrazioni» si porrebbe in contrasto con le previsioni degli artt. 11, comma 5, e 13, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 152 del 2006.
Gli artt. 8, comma 3, 11, comma 2, 17, commi 2 e 3, e 24, commi l e 2, della legge della reg. Liguria n. 6 del 2015, a cagione dell’assoluta indeterminatezza del concetto di «margini di flessibilità» da essi introdotto nella normativa regionale, risulterebbero, invece, in contrasto sia con i principi generali in tema di tipicità degli atti amministrativi, determinando la conseguente violazione dell’art. 97 Cost., sia, dato il contrasto con l’art. 146, comma 4, del codice dei beni culturali e del paesaggio, con l’art. 117, comma secondo, lettera s), Cost.
Infine, i censurati artt. 15, commi 1 e 2, e 23, commi l e 2, della legge reg. Liguria n. 6 del 2015, modificando, rispettivamente, gli articoli 17 e 28 della legge reg. n. 12 del 2012, invaderebbero, anch’essi la potestà legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente sancita dall’art. 117, comma secondo, lettera s), Cost., attraverso il contrasto con le norme statali interposte dell’articolo 208 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e del d.m. 5 febbraio 1998 e degli artt. 135, 143, 145, comma 5, e 156 del codice dei beni culturali e del paesaggio.
2.– Le questioni proposte sono tutte fondate.
3.– Preliminarmente, va evidenziato che questa Corte, già nella sentenza n. 407 del 2002, ha ritenuto che la tutela dell’ambiente non possa identificarsi con una materia in senso stretto, dovendosi piuttosto intendere come un valore costituzionalmente protetto, integrante una sorta di «materia trasversale».
Proprio la trasversalità della materia implica l’esistenza di «competenze diverse che ben possono essere regionali», con la conseguenza che allo Stato sarebbe riservato solo «il potere di fissare standards di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale, senza peraltro escludere in questo settore la competenza regionale alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali» (sentenza n. 407 del 2002).
Successivamente, peraltro, questa Corte ha chiarito che alle Regioni non è consentito apportare deroghe in peius rispetto ai parametri di tutela dell’ambiente fissati dalla normativa statale (ex plurimis sentenza n. 300 del 2013, secondo cui «la giurisprudenza costituzionale è costante nell’affermare che la “tutela dell’ambiente” rientra nelle competenze legislative esclusive dello Stato e che, pertanto, le disposizioni legislative statali adottate in tale ambito fungono da limite alla disciplina che le Regioni, anche a statuto speciale, dettano nei settori di loro competenza, essendo ad esse consentito soltanto eventualmente di incrementare i livelli della tutela ambientale, senza però compromettere il punto di equilibrio tra esigenze contrapposte espressamente individuato dalla norma dello Stato»).
Nel caso in esame, va rilevato come la competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente si debba confrontare con la competenza regionale in materia di cave, senza che ciò, però, possa importare alcuna deroga rispetto a quanto già affermato da questa Corte in ordine ai principi che governano la tutela dell’ambiente (ex plurimis sentenze n. 199 del 2014 e n. 246 del 2013, secondo cui non è «affatto in discussione che la potestà legislativa residuale spettante alla Regione resistente in materia di cave (ai sensi del quarto comma dell’art. 117 Cost.) trovi un limite nella competenza affidata in via esclusiva allo Stato, ex art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., di disciplinare l’ambiente nella sua interezza, in quanto entità organica che inerisce ad un interesse pubblico di valore costituzionale primario ed assoluto; e che, pertanto, ad essa Regione sia consentito, in tale assetto di attribuzioni, soltanto di incrementare eventualmente i livelli della tutela ambientale»).
4.1.– Ciò premesso, e venendo alle specifiche questioni, il comma l dell’art. 3 della legge reg. Liguria n. 6 del 2015, modifica l’art. 4 della legge reg. Liguria n. 12 del 2012, sostituendo il previgente obbligo di coerenza del Piano regionale delle attività estrattive al Piano territoriale di coordinamento paesistico con un vincolo di mero raccordo tra i due atti; ciò comporta una significativa alterazione del principio di prevalenza gerarchica del piano paesaggistico, sancito dall’art. 145 del codice dei beni culturali e del paesaggio.
La circostanza che all’autorità procedente sia, comunque, imposto di avviare, contestualmente al processo di formazione del piano, la procedura di valutazione ambientale strategica (VAS), nel corso della quale vengono esaminati e valutati i possibili impatti significativi sull’ambiente e sul paesaggio derivanti dall’attuazione del Piano, non priva, infatti, di rilievo o rende meno significativa la dedotta violazione.
Ciò, in quanto non può ritenersi ammissibile che una disposizione di legge regionale limiti o alteri, in qualsivoglia forma, il principio di gerarchia degli strumenti di pianificazione dei diversi livelli territoriali che va considerato, come già affermato nella sentenza n. 182 del 2006, «valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull’intero territorio nazionale»; principio ribadito nelle recenti sentenze di questa Corte n. 64 del 2015, n. 197 del 2014 e n. 211 del 2013.
Alla luce di tali considerazioni, deve, quindi, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale del comma l dell’art. 3 della legge reg. Liguria n. 6 del 2015, in quanto contrastante con l’art. 117, comma secondo, lettera s), Cost. per violazione dell’art. 145 del codice dei beni culturali e del paesaggio.
4.2.– Il comma 1 dell’art. 4 della legge reg. Liguria n. 6 del 2015 nel modificare il comma l dell’art. 5 della legge reg. n. 12 del 2012, sopprime il riferimento alla necessità che il progetto di Piano regionale delle attività estrattive adottato dalla Giunta regionale debba essere corredato dal rapporto ambientale, come, invece, imposto dal comma 5 dell’art. 11 e dai commi 1 e 3 dell’art. 13 del d.lgs. n. 152 del 2006. In particolare, l’esclusione del rapporto ambientale dalla fase di adozione del progetto di Piano, integra una inequivoca violazione della prescrizione contenuta nella seconda parte del comma 3 dell’art. 13 del d.lgs. n. 152 del 2006.
Né, la circostanza che il sub-procedimento di VAS sia, comunque, previsto dalla normativa regionale in relazione a tutte le altre fasi del Piano, rende priva di rilievo la violazione, in quanto il comma 3 dell’art. 13 del d.lgs. n. 152 del 2006 impone, esplicitamente, la presenza del rapporto ambientale nella fase di approvazione del Piano.
Conseguentemente, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale del comma 1 dell’art. 4 della legge reg. Liguria n. 6 del 2015, per violazione dell’art. 117, comma secondo, lettera s), Cost.
4.3.– Le censure relative agli artt. 8, comma 3, 11, comma 2, 17, commi 2 e 3, e 24, commi l e 2, della legge reg. Liguria n. 6 del 2015 vanno esaminate congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto l’introduzione della previsione di «margini di flessibilità» della autorizzazione paesaggistica per l’esecuzione e l’autorizzazione all’esercizio dell’attività estrattiva.
In proposito, occorre, innanzitutto, rilevare che l’espressione «margini di flessibilità», a cui fanno riferimento le disposizioni regionali impugnate, non risulta contemplata dalla normativa statale. Di tale nozione non si fa, infatti, menzione in alcuna delle norme del codice dei beni culturali e del paesaggio, né questa risulta contenuta da altra disposizione statale in materia.
Inoltre, va rilevato che il rapporto di necessaria presupposizione, stabilito dall’art. 146, comma 4, del codice dei beni culturali e del paesaggio, tra l’autorizzazione paesistica e l’autorizzazione all’esercizio dell’attività estrattiva, impone che quest’ultima non possa avere dei contenuti, come i detti «margini di flessibilità», che non risultino già previsti e disciplinati nell’autorizzazione paesistica, non essendo consentito al legislatore regionale di introdurre, ex novo, categorie concettuali ed istituti idonei, per la loro indeterminatezza, a cagionare l’elusione dei precetti statali.
La circostanza, poi, che la medesima espressione compaia anche in altra disposizione regionale, non impugnata dal Presidente del Consiglio dei ministri, per la precisione l’art. 6, comma l, lettera h), della legge regionale 6 giugno 2014, n.13 (Testo unico della normativa regionale in materia di paesaggio), non preclude l’esame della questione e non rileva nel presente contesto decisorio.
Pertanto, gli artt. 8, comma 3, 11, comma 2, 17, commi 2 e 3, e 24, commi l e 2, della legge reg. Liguria n. 6 del 2015 devono essere dichiarati costituzionalmente illegittimi per violazione, dell’art. 117, comma secondo, lettera s), Cost., dato il contrasto con l’art. 146, comma 4, del codice dei beni culturali e del paesaggio. Resta assorbita la censura relativa alla dedotta violazione dell’art. 97 Cost.
4.4.– I commi 1 e 2 dell’art. 15 della legge reg. Liguria n. 6 del 2015 (a modifica dell’art. 17 della legge reg. n. 12 del 2012), consentono di effettuare, negli impianti a servizio dell’attività di cava, il recupero e la lavorazione di materiali di provenienza esterna, sia estratti da altre cave, che derivanti da demolizioni, restauri o sbancamenti (comma 1), previa la semplice presentazione allo Sportello unico per le attività produttive (SUAP) di una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), secondo le modalità stabilite all’uopo dalla Giunta regionale (comma 2).
Alla luce della normativa statale vigente in materia, il riempimento delle cave mediante rifiuti da estrazione risulta consentito utilizzando la procedura semplificata prevista dagli artt. 214 e 216 del d.lgs. n. 152 del 2006 e dal d.m. 5 febbraio 1998 e successive modifiche ed integrazioni, mentre, ove si tratti di rifiuti diversi da quelli di estrazione, la disciplina applicabile risulta essere quella posta dall’art. 208 del medesimo d.lgs. n. 152 del 2006.
E’ indubbio che la regolamentazione della materia spetti, in via esclusiva, alla Stato e non sia, in alcun modo, consentito alle Regioni di introdurre norme che deroghino, in senso peggiorativo, rispetto alla disciplina statale; in particolare, come nel caso in questione, permettendo di effettuare negli impianti a servizio dell’attività di cava il recupero e la lavorazione di materiali di provenienza esterna, senza richiamare, in modo analitico, le condizioni poste in materia dalla disciplina statale.
A tali fini, la clausola di salvaguardia contenuta nel novellato comma l dell’art. 17 della legge reg. n. 12 del 2012, secondo cui l’attività in esame deve essere svolta nel rispetto di quanto previsto dalla normativa statale e regionale in materia ambientale e di rifiuti delle industrie estrattive e l’attività prevalente dell’azienda deve continuare ad essere rappresentata dalla conduzione del polo estrattivo, risulta del tutto generica, e, quindi, non idonea a specificare, in conformità alle previsioni della legge statale, né le condizioni di svolgimento dell’attività di recupero e di lavorazione dei materiali di provenienza esterna alla cava, né l’esatta portata della nozione di «attività prevalente dell’azienda», né, infine, se la detta attività di recupero debba essere svolta in un vero e proprio impianto di recupero dei rifiuti, localizzato all’interno della cava, ovvero se il materiale, così trattato, possa essere anche utilizzato all’interno della cava stessa.
Inoltre, con riferimento alla disposizione impugnata di cui al comma 2 dell’art. 15 della legge reg. Liguria n. 6 del 2015, relativo alla possibilità di avviare le dette attività di recupero subordinandole a semplice SCIA, la norma regionale non stabilisce che questa debba essere successiva e condizionata al rilascio delle autorizzazioni ambientali, determinando con ciò una evidente violazione dei precetti statali.
Deve, quindi, ritenersi che la norma regionale impugnata sia lesiva dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., per violazione delle norme interposte richiamate e, pertanto, ne debba essere dichiarata l’illegittimità costituzionale.
4.5.– I commi l e 2 dell’art. 23 della legge reg. Liguria n. 6 del 2015 modificano l’art. 28 della legge reg. n. 12 del 2012, relativo alla disciplina transitoria anteriore all’entrata in vigore del Piano regionale dell’attività di cava.
Il comma l dell’art. 23 stabilisce, in particolare che: «Le modifiche a tale Piano non comportanti variante al Piano Territoriale di Coordinamento Paesistico (PTCP) o modifica alla tipologia di cava sono approvate dalla Giunta regionale previo parere dei comuni, della Città metropolitana e delle province territorialmente interessati, da rendersi entro trenta giorni dalla richiesta. Le modifiche al Piano necessarie ai fini della correzione di meri errori materiali sono approvate dal dirigente della struttura regionale competente in materia di attività estrattive». La norma, non prevedendo alcuna partecipazione degli organi ministeriali ai procedimenti da essa disciplinati, si pone, in aperto contrasto con la previsione dell’art. 145, comma 5, del codice dei beni culturali e del paesaggio, che stabilisce, invece, che: «La regione disciplina il procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica, assicurando la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo» (in questo senso le sentenze n. 64 del 2015, n. 197 del 2014 e n. 211 del 2013).
Quanto, poi, alla previsione contenuta nel comma 2 dell’art. 23, che consente alla Regione di rilasciare autorizzazioni aventi ad oggetto un incremento sino al 25 per cento della superficie dell’areale di cava e/o la modifica della tipologia normativa, sulla base della presunzione ex lege che tali incrementi non comportano mai variazioni al PTCP, deve essere, preliminarmente, evidenziato che la prevista irrilevanza di detto incremento, per quanto concerne le zone soggette a vincolo paesaggistico sulla base di previsione di legge o di specifico provvedimento, non può, in alcun modo e in nessun caso, discendere da una disposizione di legge regionale, dovendo invece, costituire oggetto di specifico accordo tra la Regione e il Ministero dei beni e delle attività culturali, secondo quanto previsto, in materia, dagli artt. 135, 143 e 156 del codice dei beni culturali e del paesaggio, che sanciscono il principio inderogabile della pianificazione congiunta e che risultano, nel caso, palesemente violati.
Né la circostanza che in Liguria sia in vigore il Piano territoriale di coordinamento paesistico, adottato con delibera del Consiglio regionale 25 febbraio 1990, n. 6, e non il piano paesaggistico previsto dal codice dei beni culturali e del paesaggio, vale a giustificare la detta violazione. Ciò, in quanto la disciplina regionale, anche se di dettaglio o meramente transitoria, non può derogare in senso peggiorativo rispetto alla disciplina statale in materia e deve garantire, attraverso la partecipazione degli organi ministeriali ai procedimenti in materia, l’effettiva ed uniforme tutela dell’ambiente (così le già citate sentenze n. 64 del 2015, n. 197 del 2014 e n. 211 del 2013).
Né, d’altronde, il generico richiamo, contenuto nella disposizione impugnata, alla «procedura di cui all’articolo 11», risulta, per ciò solo, in grado di garantire il rispetto del principio inderogabile della pianificazione congiunta, in quanto la norma, stabilendo che «tali autorizzazioni non comportano variante al Piano approvato ai sensi della l.r. 12/1979 e successive modificazioni e integrazioni, né al PTCP», introduce una previsione che, per la sua generalità, è, evidentemente, incompatibile, con le previsioni degli artt. 135, 143 e 156 del codice dei beni culturali e del paesaggio e con il principio, da esse posto, della pianificazione congiunta.
Ne deriva che va dichiarata l’illegittimità costituzionale anche dei commi l e 2 dell’art. 23 della legge reg. Liguria n. 6 del 2015 per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1; 4, comma l; 8, comma 3; 11, comma 2; 15, commi l e 2; 17, commi 2 e 3; 23, commi 1 e 2; e 24, commi 1 e 2, della legge della Regione Liguria 6 marzo 2015, n. 6, recante «Modifiche alla legge regionale 5 aprile 2012, n. 12 (Testo unico sulla disciplina dell’attività estrattiva), alla legge regionale 21 giugno 1999, n. 18 (Adeguamento delle discipline e conferimento delle funzioni agli enti locali in materia di ambiente, difesa del suolo ed energia), alla legge regionale 4 agosto 2006, n. 20 (Nuovo ordinamento dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente ligure), e alla legge regionale 2 dicembre 1982, n. 45 (Norme per l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di competenza della Regione o di enti da essa individuati, delegati o subdelegati)».
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 giugno 2016.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Giulio PROSPERETTI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 16 settembre 2016.