Sentenza n. 32 del 2005

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SENTENZA N. 32

ANNO 2005

 

Commento alla decisione di

Silvia Nicodemo

 

Dopo avere aperto uno spiraglio, la Corte costituzionale chiude la porta e impedisce… l’accesso

 

(per gentile concessione del Forum di Quaderni costituzionali)

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

- Carlo                 MEZZANOTTE                                          Presidente

- Fernanda            CONTRI                                                       Giudice

- Guido                 NEPPI MODONA                                             “

- Piero Alberto     CAPOTOSTI                                                     “

- Annibale             MARINI                                                             “

- Franco               BILE                                                                   “

- Giovanni Maria   FLICK                                                                “

- Francesco          AMIRANTE                                                       “

- Ugo                   DE SIERVO                                                       “

- Romano             VACCARELLA                                                 “

- Paolo                 MADDALENA                                                  “

- Alfio                   FINOCCHIARO                                                “

- Alfonso              QUARANTA                                                      “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 10, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), promosso con ordinanza del 5 luglio 2002 dal Consiglio di Stato, iscritta al n. 469 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Visto l’atto di intervento della Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) e del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 22 giugno 2004 il Presidente relatore Carlo Mezzanotte;

udito l’avvocato dello Stato Oscar Fiumara per la CONSOB e per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. ¾ Il Consiglio di Stato ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 97 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 10, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), nella parte in cui assoggetta al segreto d’ufficio l’intera documentazione in possesso della Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) in ragione della sua attività di vigilanza.

Il remittente è chiamato a pronunciarsi sul ricorso, proposto da una società di revisione e certificazione di bilanci, per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo per il Lazio, con la quale è stato respinto il ricorso avverso la nota CONSOB di diniego dell’accesso agli atti del procedimento sanzionatorio promosso a carico della medesima società e già conclusosi con l’archiviazione. L’interesse della società dì revisione ad accedere al fascicolo che la riguardava trova origine nella controversia civile insorta tra quest’ultima e la società-cliente per pretese responsabilità in ordine alle operazioni di revisione che erano state oggetto del procedimento archiviato dall’autorità di vigilanza.

Il giudice a quo osserva che la disposizione in questione assoggetta al segreto d’ufficio «le notizie, le informazioni e i dati in possesso della CONSOB in ragione della sua attività di vigilanza». II tenore del divieto non consentirebbe di attenuarne la portata in via interpretativa, né potrebbe assumere rilevanza quanto affermato dalla Corte nella sentenza n. 460 del 2000 relativa alla medesima disposizione, ma circoscritta alla sola posizione del soggetto sottoposto a procedimento disciplinare.

Ciò premesso, il Consiglio di Stato assume che la disposizione censurata sia in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto essa prevede un divieto di accesso ai documenti in possesso della CONSOB che irragionevolmente omette di considerare in concreto l’effettiva sussistenza di interessi idonei a giustificare la segretezza delle informazioni. La medesima norma determinerebbe, inoltre, una irragionevole disparità di trattamento tra i soggetti interessati ad acquisire, rispettivamente, i documenti in possesso della CONSOB e quelli detenuti da altre amministrazioni. L’irragionevolezza sussisterebbe, secondo il remittente, quanto meno nella parte in cui la disposizione censurata comporta l’opposizione del segreto allo stesso soggetto interessato dall’attività di vigilanza, in relazione ad atti che toccano la propria sfera giuridica.

Il remittente adduce altresì la violazione dell’art. 24 Cost., in quanto la preclusione generalizzata all’accesso sarebbe idonea ad incidere negativamente sulle scelte processuali dei soggetti interessati, i quali non sarebbero posti in grado di acquisire elementi utili per la difesa in giudizi su fatti coincidenti o collegati a quelli oggetto delle attività di controllo svolte dalla CONSOB.

Il denunciato art. 4, comma 10, contrasterebbe poi con l’art. 76 Cost., poiché l’art. 1 della legge 6 febbraio 1996, n. 52 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – legge comunitaria 1994), in base al quale è stato emanato il d.lgs. n. 58 del 1998, ha previsto che «ove ricorrano deleghe al Governo per l’emanazione di decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive comunitarie, tra i principî e i criteri generali dovranno essere previsti quelli della piena trasparenza e dell’imparzialità dell’azione amministrativa, al fine di garantire il diritto di accesso alla documentazione e ad una corretta informazione dei cittadini, nonché, nei modi opportuni, i diritti dei consumatori e degli utenti».

La medesima disposizione è censurata, infine, per violazione dell’art. 97 Cost., giacché tale divieto frustrerebbe l’interesse di ogni soggetto alla conoscenza di atti che lo riguardano direttamente, con pregiudizio dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione.

2. ¾ Con atti di identico contenuto sono intervenuti in giudizio la CONSOB, in persona del Presidente pro tempore, ed il Presidente del Consiglio dei ministri, entrambi rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

Quanto alla denunciata lesione del principio di ragionevolezza, l’Avvocatura osserva che l’intera disciplina recata dal d.lgs. n. 58 del 1998 sarebbe posta a salvaguardia del pubblico risparmio, tutelato dall’art. 47 Cost. La particolare forma di tutela del pubblico risparmio offerta dall’art. 4, comma 10, risponderebbe - osserva la difesa erariale - alla necessità di rendere più agevole l’attività di vigilanza, nonché a quella di evitare che vengano comunicate al mercato, senza il necessario filtro del controllo svolto dalla CONSOB, notizie in grado di falsarne il corretto andamento. Peraltro, affidare al giudice la valutazione in concreto della sussistenza di interessi tutelabili tramite l’apposizione del segreto darebbe luogo ad incertezze e controversie che la scelta legislativa ha inteso evitare, attraverso una non irragionevole valutazione di prevalenza dell’interesse alla riservatezza delle informazioni acquisite dalla CONSOB, come d’altronde è previsto da analoghe disposizioni in relazione agli atti di altre autorità di vigilanza.

Ad avviso della difesa erariale, inoltre, il divieto troverebbe ulteriore giustificazione nel fatto che le informazioni richieste non rimarrebbero nella sfera esclusiva dell’interessato e che la pubblicazione senza filtro di informazioni acquisite dalla CONSOB sarebbe idonea a determinare confusione informativa, distorcendo il corretto andamento del mercato.

In relazione poi alla dedotta violazione dell’art. 24 Cost., l’Avvocatura sostiene che il diritto di difesa sarebbe impropriamente evocato in relazione ad una controversia fra privati, la cui necessaria posizione di parità verrebbe alterata se la CONSOB avesse l’obbligo di fornire notizie ad una di esse.

La difesa erariale rileva inoltre, quanto al prospettato contrasto con l’art. 76 Cost., che una tale censura è stata già scrutinata da questa Corte, nel senso della manifesta infondatezza, nell’ordinanza n. 93 del 2001. Si osserva, altresì, che la delega legislativa attuata con il d.lgs. n. 58 del 1998 (legge 6 febbraio 1996, n. 52) intende dare applicazione, tra le altre, alla direttiva 93/22/CEE del Consiglio del 10 maggio 1993, e che tale disciplina comunitaria di settore contiene previsioni in materia di segreto d’ufficio dell’autorità di vigilanza, il che renderebbe palese l’inconsistenza della censura.

La sussistenza di ragioni di pubblico interesse che ostano alla divulgazione della documentazione in possesso della CONSOB in relazione alla propria attività di vigilanza renderebbe infondata, secondo gli intervenienti, anche la censura sollevata con riferimento all’art. 97 della Costituzione.

Considerato in diritto

1. ¾ Il Consiglio di Stato ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 97 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 10, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), nella parte in cui assoggetta al segreto d’ufficio l’intera documentazione in possesso della Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) in ragione dell’attività di vigilanza.

Specificamente, la disposizione in esame assoggetta al segreto d’ufficio “le notizie, le informazioni e i dati in possesso della CONSOB in ragione della sua attività di vigilanza”. Il remittente, premesso che il tenore del divieto non consente di attenuarne la portata in via interpretativa e negato che possa venire in rilievo a tal fine l’indirizzo espresso nella sentenza n. 460 del 2000 di questa Corte, giacché nella specie non si tratta, come in quella pronuncia, di un caso di procedimento disciplinare, ritiene che la disposizione censurata contrasti con l’art. 3 Cost. per due concorrenti ragioni. Da un lato, essa porrebbe un divieto di accesso che irragionevolmente precluderebbe di verificare in concreto l’effettiva sussistenza di interessi idonei a giustificare la segretezza delle informazioni; dall’altro, darebbe luogo ad una irragionevole disparità di trattamento tra i soggetti interessati ad acquisire, rispettivamente, i documenti in possesso della CONSOB e quelli detenuti da altre amministrazioni, senza differenziare la posizione dei soggetti interessati dall’attività di vigilanza in relazione ad atti che toccano la propria sfera giuridica.

La medesima disposizione violerebbe inoltre l’art. 24 Cost., in quanto la preclusione generalizzata all’accesso potrebbe incidere negativamente sulle scelte processuali dei soggetti interessati, i quali non sarebbero posti in grado di acquisire elementi utili per la difesa in giudizi su fatti coincidenti o collegati a quelli oggetto delle attività di controllo svolte dalla CONSOB, e l’art. 97 Cost., a causa della compressione dell’interesse di ogni soggetto alla conoscenza di atti che lo riguardano direttamente.

Da ultimo, il remittente deduce la violazione dell’art. 76 Cost., in riferimento all’art. 1 della legge 6 febbraio 1996, n. 52 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – legge comunitaria 1994), in base al quale è stato emanato il d.lgs. n. 58 del 1998, che testualmente recita: «ove ricorrano deleghe al Governo per l’emanazione di decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive comunitarie, tra i principî e i criteri generali dovranno essere previsti quelli della piena trasparenza e dell’imparzialità dell’azione amministrativa, al fine di garantire il diritto di accesso alla documentazione e ad una corretta informazione dei cittadini, nonché, nei modi opportuni, i diritti dei consumatori e degli utenti».

2. ¾ La questione non è fondata.

2.1. ¾ Questa Corte ha già avuto modo di vagliare la conformità a Costituzione della disposizione oggetto dell’odierno giudizio. Le questioni allora proposte denunciavano la previsione di un divieto di accesso alla documentazione in possesso della CONSOB in ragione dell’attività di vigilanza ad essa attribuita sui mercati finanziari anche nei procedimenti disciplinari a carico di soggetti sottoposti alla vigilanza della stessa CONSOB. In quella circostanza, oltre a rinvenire, nel d.lgs. n. 58 del 1998 poc’anzi menzionato, elementi interpretativi utili a dimostrare la inopponibilità del segreto al soggetto sottoposto a procedimento disciplinare, quanto meno in relazione ai documenti sui quali quel procedimento si fonda, questa Corte ebbe a chiarire che in nessun caso la protezione di un interesse costituzionale - quale certamente è la stabilità dei mercati finanziari, che si può ricondurre all’ambito tematico dell’art. 47 Cost. - può giungere a legittimare la sostanziale segretezza, nei confronti dello stesso interessato, dei documenti che fondano un procedimento a suo carico (sentenza n. 460 del 2000; ordinanze n. 93 e n. 80 del 2001).

Nel caso qui all’esame, ben diversamente, viene in considerazione il diritto, asseritamente violato dalla disposizione censurata, di accedere alla documentazione inerente ad un procedimento svolto nei confronti di una società soggetta alla vigilanza della CONSOB e conclusosi con un provvedimento di archiviazione, in relazione al quale, secondo quanto riferito dallo stesso remittente, è già intervenuta una pronuncia giurisdizionale che ha riconosciuto alla medesima società il diritto di accesso.

Così precisato l’ambito della questione, risulta chiaro che non viene in discussione il diritto di difendersi secondo le regole del processo civile, il quale postulerebbe l’acquisizione di atti a fini probatori disposta in favore di tutte le parti, ma il diverso interesse a ottenere la disponibilità di tutta la documentazione raccolta dalla CONSOB nell’esercizio della sua attività onde poterne far uso successivamente in un giudizio civile concernente i medesimi fatti già valutati dalla autorità di vigilanza. L’accesso, in breve, viene qui richiesto non per difendersi da un provvedimento sanzionatorio della CONSOB, bensì per trasferire gli atti del procedimento amministrativo – conclusosi favorevolmente per il soggetto ad esso sottoposto - nel processo civile intentato nei confronti del medesimo soggetto da chi, proprio da quegli stessi fatti, si ritiene danneggiato. In tal modo, peraltro, la caducazione, che si chiede a questa Corte di disporre, del regime di segreto sui documenti acquisiti dalla CONSOB nell’espletamento della sua attività di vigilanza andrebbe ad esclusivo vantaggio di una sola delle parti del giudizio civile. I documenti acquisiti dal soggetto sottoposto a vigilanza della CONSOB resterebbero infatti, per tutti, e in particolare per il suo contraddittore nel giudizio civile di danno, assoggettati a segreto, sicché una eventuale pronuncia di accoglimento finirebbe per introdurre, in un rapporto processuale conformato dal principio di parità, un trattamento irragionevolmente differenziato tra le parti. Tanto più ove si consideri che il soggetto che abbia acquisito la disponibilità degli atti in possesso della CONSOB in ragione dell’attività di vigilanza non avrebbe certamente l’obbligo di versarli integralmente nel giudizio civile di danno intentato nei suoi confronti, ben potendo, in base a scelte difensive di mera opportunità, produrne solo alcuni e non altri. Non sussiste, pertanto, la denunciata violazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.).

La disposizione censurata non è viziata neppure da alcuna intrinseca irragionevolezza. Contrariamente a quanto sostenuto dal remittente, infatti, la stessa disciplina dell’accesso ai documenti acquisiti dalla CONSOB in ragione della sua attività di vigilanza non si sostanzia in un divieto assoluto. L’art. 4 del d.lgs. n. 58 del 1998, infatti, da un lato, proprio al comma 10, fa salvi i casi previsti dalla legge per le indagini relative a violazioni sanzionate penalmente; dall’altro, nei commi precedenti, e in particolare al comma 5, prevede che la Banca d’Italia e la CONSOB possono scambiare informazioni, tra l’altro, con autorità amministrative e giudiziarie nell’ambito di procedimenti di liquidazione e di fallimento, in Italia o all’estero, relativi a soggetti abilitati. Si  è quindi in presenza di un quadro in cui il legislatore, per meglio garantire la funzione di vigilanza della CONSOB, finalizzata, come chiarito nella citata sentenza n. 460 del 2000, alla tutela della stabilità dei mercati finanziari, ha sì introdotto un regime di segreto sugli atti acquisiti nell’esercizio di quella funzione, ma ha previsto deroghe, seppure limitate. In tale contesto, e considerato che il provvedimento conclusivo del procedimento avviato dalla CONSOB, anche se di archiviazione, può essere reso accessibile all’interessato, come il remittente dà atto essere avvenuto nella specie, la limitazione stabilita per la ostensione di atti acquisiti nell’attività di vigilanza non appare manifestamente irragionevole o arbitraria.

2.2. ¾ Le considerazioni sin qui svolte consentono anche di escludere la denunciata violazione dell’art. 97 Cost. In proposito, si deve solo aggiungere che il contrasto della disposizione censurata con il generale interesse alla conoscenza dell’attività amministrativa, che dà forma ai canoni di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, viene evocato dal remittente sotto il profilo della lesione della posizione sostanziale di base in ipotesi «non più o altrimenti tutelabile». Una volta, peraltro, che venga riconosciuto il diritto di accesso al provvedimento conclusivo del procedimento svolto dalla CONSOB, si deve ritenere che l’impossibilità di accedere alla documentazione in riferimento alla quale esso è stato adottato contemperi non irragionevolmente l’interesse del destinatario del provvedimento e le garanzie delle quali l’attività di vigilanza deve essere circondata per risultare funzionale alle finalità cui essa è preordinata, sicché la disposizione censurata appare ispirata proprio ad un criterio di buon andamento dell’amministrazione e di imparzialità dell’azione amministrativa. Ne discende, dunque, l’infondatezza della censura sollevata in riferimento all’art. 97 Cost.

2.3. ¾ Quanto al denunciato vizio di eccesso di delega (art. 76 Cost.), quale si ricaverebbe dal contrasto con l’art. 1, comma 1, della legge n. 52 del 1996, che tra i principî e criteri generali include quello della piena trasparenza e della imparzialità dell’azione amministrativa, la circostanza che la delega in questione è volta a dare attuazione alla direttiva 93/22/CEE del Consiglio del 10 maggio 1993 relativa ai servizi di investimento nel settore dei valori mobiliari impone di riportarsi a quanto in essa previsto con riguardo al regime di diffusione delle informazioni. L’art. 25, primo comma, della direttiva prescrive l’obbligo del segreto d’ufficio «per tutte le persone che lavorano o hanno lavorato per conto delle autorità competenti, nonché per i revisori o esperti che agiscono per conto delle autorità competenti». A rendere più agevole l’individuazione dell’area coperta da segreto contribuisce il capoverso del medesimo comma, ove si chiarisce che tale obbligo comporta «che le informazioni riservate, ricevute da tali persone nell’esercizio delle funzioni, non possono essere rivelate ad alcuna persona o autorità, se non in forma sommaria o globale e in modo che non possano essere identificate le singole imprese di investimento, salvi i casi disciplinati dal diritto penale».

Proprio il riferimento ad una informazione sommaria e/o globale individua un tipo di comunicazione estraneo alla fattispecie della richiesta di accesso al fascicolo relativo a fatti determinati, avendo piuttosto ad oggetto documentazione con valore informativo tendenziale e statistico. Ciò rende palese l’infondatezza della questione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 10, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 97 Cost., dal Consiglio di Stato, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 2005.

Carlo MEZZANOTTE, Presidente e Redattore

Depositata in Cancelleria il 26 gennaio 2005.