SENTENZA N. 460
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare MIRABELLI, Presidente
- Francesco GUIZZI
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Cesare RUPERTO
- Riccardo CHIEPPA
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 10, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli artt. 8 e 21 della L. 6 febbraio 1996, n. 52), promosso con ordinanza emessa il 26 febbraio 1999 dal Consiglio di Stato, iscritta al n. 373 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 1999.
Visti gli atti di costituzione del ricorrente nel giudizio principale e della Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), resistente, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 23 maggio 2000 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;
uditi l’avvocato Giuseppe Acerbi per il ricorrente e l’avvocato dello Stato Paolo Gentili per la CONSOB e per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. — Con ordinanza in data 26 febbraio 1999, il Consiglio di Stato ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 11, 21, 24, 97, primo comma, e 98, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 10, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli artt. 8 e 21 della L. 6 febbraio 1996, n. 52), «nella parte in cui preclude indiscriminatamente l’accesso a qualsiasi notizia, informazione e dato venuti in possesso della CONSOB in connessione con la sua attività di vigilanza, pur quando questi dati, notizie ed informazioni siano evocati a fondamento dell’avvio di un procedimento disciplinare contro un soggetto operante nel settore “retto” dalla predetta Commissione».
Il remittente – chiamato a pronunciarsi sull’appello, proposto da un promotore finanziario contro la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) e nei confronti di un agente di cambio, per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio che ha respinto il ricorso da lui presentato in tema di accesso a documenti amministrativi ai sensi dell’art. 25 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) – premette di condividere l’interpretazione fatta propria dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, secondo cui il combinato disposto dell’art. 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990, il quale preclude l’accesso non solo di fronte al segreto di Stato, ma anche “nei casi di segreto o divieto di divulgazione altrimenti previsti dall’ordinamento”, e dell’art. 4, comma 10, del decreto legislativo n. 58 del 1998, che individua, fra i documenti amministrativi sottratti all’accesso, quelli concernenti “le notizie, le informazioni e i dati in possesso della CONSOB in ragione della sua attività di vigilanza”, si applicherebbe anche alla richiesta di un promotore finanziario, sottoposto a procedimento disciplinare, di prendere visione dei documenti sulla base dei quali è stato avviato il procedimento disciplinare nei suoi confronti.
Il Consiglio di Stato dubita, tuttavia, della legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 10, del decreto legislativo n. 58 del 1998 in riferimento a diversi parametri. In primo luogo, la disposizione censurata, sulla premessa che il diritto di accesso trovi fondamento nel diritto all’informazione, nei principî di democrazia, sovranità popolare, sviluppo della persona umana ed eguaglianza, nel principio per cui l’amministrazione è al servizio dei cittadini, che ne devono quindi conoscere l’operato, e nei principî di buon andamento e imparzialità della stessa pubblica amministrazione, si porrebbe in contrasto con gli artt. 2, 3, 21, 97, primo comma, e 98, primo comma, della Costituzione.
La medesima disposizione violerebbe anche l’art. 11 della Costituzione. La normativa comunitaria, infatti, osserva il remittente, consentirebbe l’apposizione del segreto in relazione agli atti di funzione amministratrice solo in presenza di particolari esigenze: vita privata, segreti commerciali o industriali, sicurezza pubblica, relazioni internazionali, stabilità monetaria, informazioni fornite in via riservata da terzi [Decisione del Consiglio del 6 dicembre 1993, n. 93/662/CE, relativa all’adozione del suo Regolamento interno; Codice di condotta, 93/730/CE, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Consiglio e della Commissione]. E, nonostante che l’art. 2 del decreto legislativo n. 58 del 1998 prescriva che la CONSOB debba esercitare i propri poteri in armonia con le disposizioni comunitarie, l’art. 4, comma 10, del medesimo decreto escluderebbe il diritto all’accesso senza che ricorra alcuna di quelle particolari esigenze considerate dalla disciplina comunitaria.
Il Consiglio di Stato rileva, infine, che la disposizione censurata contrasterebbe con la tendenza della legislazione alla assimilazione dei procedimenti disciplinari alle forme processuali, sia per quel che riguarda la effettività del principio del contraddittorio, sia per quel che concerne la informazione sugli atti procedimentali, e quindi lo stesso accesso al fascicolo; garanzia, questa, che è invece assicurata da gran tempo nei confronti dei pubblici impiegati e nei confronti degli avvocati e, per estensione, degli esercenti le altre professioni. Di qui, conclude il remittente, il contrasto con l’art. 24 della Costituzione, per la limitazione al diritto di difesa apparentemente ingiustificata, e con l’art. 3 della Costituzione, per la discriminazione operata senza plausibile ragione tra soggetti sottoposti a procedimento disciplinare.
2. — Si è costituito in giudizio il ricorrente nel processo principale, e ha chiesto l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale.
La parte privata – dopo aver sottolineato che il riconoscimento legislativo, nel nostro ordinamento, del principio di pubblicità dei documenti amministrativi ha segnato un totale cambiamento di prospettiva, in quanto, di fronte all’esercizio del diritto di accesso, è la pubblica amministrazione che deve giustificare l’eventuale rifiuto, motivandolo con la necessità di proteggere mediante il segreto uno o più degli interessi previsti dal legislatore (e, in particolare, nel settore retto dalla CONSOB, la tutela del risparmio o delle persone) – svolge argomentazioni adesive a quelle del giudice a quo in relazione a tutti i parametri dallo stesso individuati.
3. — Si è costituita in giudizio la Commissione nazionale per le società e la borsa, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, rilevando in primo luogo che la sentenza appellata ha ad oggetto un procedimento di accesso instaurato ai sensi dell’art. 25 della legge n. 241 del 1990 e non già un procedimento disciplinare, sicché la limitazione del diritto di accesso nell’un procedimento non necessariamente si dovrebbe estendere all’altro.
L’Avvocatura dello Stato osserva poi che, contrariamente a quanto affermato nell’ordinanza di rimessione, l’art. 4, comma 10, del decreto legislativo n. 58 del 1998 rientrerebbe nel novero dei presidi previsti dall’ordinamento mobiliare a tutela del pubblico risparmio, oggetto della protezione accordata dall’art. 47 della Costituzione, e contesta la dedotta violazione dell’art. 11 della Costituzione, in quanto la disposizione censurata costituirebbe attuazione dell’art. 25 della direttiva 93/22/CEE, relativa ai servizi di investimento nel settore dei valori mobiliari, che imporrebbe agli Stati membri di prescrivere per i lavoratori delle autorità competenti l’obbligo del segreto d’ufficio.
L’Avvocatura ritiene, infine, non fondata anche la censura relativa alla dedotta violazione dell’art. 24 della Costituzione, ricordando che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato il principio che il diritto inviolabile di difesa è diversamente modulabile dal legislatore, considerate le peculiarità ed i diversi interessi in gioco nei vari tipi di procedimento. Nel caso di specie, conclude l’Avvocatura, troverebbe comunque applicazione il principio affermato nella sentenza di primo grado per cui un provvedimento sanzionatorio non può essere adottato “senza che sia data la possibilità al soggetto interessato di conoscere gli atti sulla cui base viene sanzionato”.
4. — Nel giudizio è intervenuto altresì il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto, con argomentazioni analoghe a quelle descritte al punto che precede, che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata “irrilevante ovvero infondata”.
5. — In prossimità dell’udienza la difesa della parte privata ha presentato memoria, con la quale, in replica alle deduzioni dell’Avvocatura dello Stato, ricorda che il giudizio a quo trae origine dal rifiuto all’accesso motivato dalla CONSOB proprio attraverso il richiamo alla disposizione censurata, ed insiste per l’accoglimento della questione. In particolare, la parte privata rileva, quanto alla violazione dell’art. 24 della Costituzione, che, se è vero che il diritto di difesa è diversamente modulabile dal legislatore e non comporta che il suo esercizio debba essere disciplinato allo stesso modo in ogni tipo di procedimento ed in ogni fase processuale, tuttavia esso verrebbe, nel caso di specie, ad essere sacrificato nel momento primario e fondamentale dell’applicazione della sanzione, senza che sia dato comprendere quali sarebbero le peculiarità strutturali e funzionali che vieterebbero ad un promotore finanziario sottoposto a procedimento disciplinare di venire a conoscenza dei documenti su cui vengono fondate le contestazioni che gli vengono rivolte.
6. — Anche il Presidente del Consiglio dei ministri e la CONSOB hanno depositato memorie illustrative, nelle quali, sul presupposto che la disposizione censurata, per la sua formulazione, non imporrebbe un segreto indiscriminato, osservano che la dedotta violazione dell’art. 21 della Costituzione sarebbe del tutto estranea alla tematica del diritto di accesso e ai suoi limiti. Lo stesso sistema della legge n. 241 del 1990 del resto, secondo l’Avvocatura dello Stato, non configura il diritto di accesso come assoluto ed incondizionato, ma, al contrario, ne prevede esclusioni o limitazioni. Né il diritto di informazione potrebbe essere considerato strumentale all’attuazione “dei principî di democrazia, sovranità popolare, sviluppo della persona umana ed eguaglianza di cui almeno agli artt. 2 e 3 Cost.”. Scopo immediato e proprio del diritto di accesso, osserva l’Avvocatura, è quello di apprestare uno strumento per la tutela di concreti interessi del soggetto, e il conseguimento delle finalità supreme dell’ordinamento non potrebbe non restare sullo sfondo, poiché, com’è ovvio, qualsiasi diritto partecipa a tale conseguimento, come pure vi partecipano le limitazioni dei diritti.
Quanto alle censure svolte con riferimento agli articoli 97, primo comma, e 98, primo comma, della Costituzione, l’Avvocatura dello Stato rileva che proprio la previsione del segreto sarebbe finalizzata ad assicurare il buon andamento dell’amministrazione in questo particolare settore. L’Avvocatura ribadisce, infine, le difese svolte nei precedenti scritti e conclude chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.
Considerato in diritto
1. — Il Consiglio di Stato dubita della legittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 10, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli artt. 8 e 21 della L. 6 febbraio 1996, n. 52), il quale dispone che tutte le notizie, le informazioni e i dati in possesso della Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) in ragione della sua attività di vigilanza sono coperti dal segreto d’ufficio anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni, ad eccezione del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica.
Il remittente, muovendo da una interpretazione della disposizione censurata secondo cui l’interessato non avrebbe possibilità di accedere al dossier del procedimento disciplinare avviato nei suoi confronti dalla CONSOB, quando i documenti siano stati acquisiti dalla Commissione nell’esercizio del suo potere di vigilanza, ritiene che siano violati numerosi parametri costituzionali.
Sulla premessa che il diritto di accesso trovi fondamento nel diritto all’informazione, nei principî di democrazia, sovranità popolare, sviluppo della persona umana ed eguaglianza, nel principio per cui l’amministrazione è al servizio dei cittadini, che ne devono quindi conoscere l’operato, e nei principî di buon andamento e imparzialità della stessa pubblica amministrazione, il medesimo Consiglio di Stato reputa che l’art. 4, comma 10, del decreto legislativo n. 58 del 1998 sia in contrasto con gli artt. 2, 3, 21, 97, primo comma, e 98, primo comma, della Costituzione.
La disposizione censurata violerebbe, inoltre, l’art. 11 della Costituzione. La normativa comunitaria consentirebbe, infatti, ad avviso del remittente, l’apposizione del segreto in relazione agli atti di funzione amministratrice solo in presenza di particolari esigenze (vita privata, segreti commerciali o industriali, sicurezza pubblica, relazioni internazionali, stabilità monetaria, informazioni fornite in via riservata da terzi). Benché l’art. 2 del decreto legislativo n. 58 del 1998 prescriva che la CONSOB deve esercitare i propri poteri in armonia con le disposizioni comunitarie, l’art. 4, comma 10, escluderebbe, invece, il diritto all’accesso senza che ricorra alcuna di quelle esigenze considerate dalla disciplina comunitaria.
Il denunciato art. 4, comma 10, contrasterebbe infine, sotto diverso profilo, con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, in quanto la impossibilità di accedere al dossier, per il solo fatto che è la CONSOB a dirigere il procedimento, limiterebbe in modo ingiustificato il diritto di difesa e darebbe luogo ad una irragionevole discriminazione in danno dei promotori finanziari rispetto agli altri esercenti libere professioni, ai quali, se sottoposti a procedimento disciplinare, è consentito prendere visione del fascicolo procedimentale.
2. — E’ necessario premettere che dal thema decidendum esula la questione più generale se l’ampia configurazione del segreto d’ufficio che ispira la disciplina contenuta nel decreto legislativo n. 58 del 1998 trovi un’appagante ragione giustificativa nell’esigenza di salvaguardia della stabilità e del buon funzionamento del sistema finanziario, o se, invece, ne risulti compromessa, oltre i limiti costituzionalmente consentiti, l’istanza di trasparenza dell’azione amministrativa.
Questa Corte, malgrado la vastità di prospettive che l’ordinanza di rimessione sembra aprire (dalla sovranità popolare alla libertà di informazione, dal principio democratico allo sviluppo della persona umana), non è chiamata, in questo caso, a un nuovo bilanciamento di tutti gli interessi e di tutti i beni costituzionali coinvolti in quella disciplina.
Come risulta chiaramente dal dispositivo dell’ordinanza, la questione è assai più circoscritta ed investe l’art. 4, comma 10, non in toto ma «nella parte in cui preclude indistintamente l’accesso a qualsiasi notizia, informazione e dato venuti in possesso della CONSOB in connessione con la sua attività di vigilanza, pur quando questi dati, notizie ed informazioni siano evocati a fondamento dell’avvio di un procedimento disciplinare contro un soggetto operante nel settore “retto” dalla predetta Commissione». Tale essendo l’effettiva consistenza della questione, alcuni dei parametri evocati dal remittente, anche se non sono completamente fuori campo (sovranità popolare e inviolabilità dei diritti permeano infatti di sé ambiti assai vasti dell’ordinamento costituzionale), non possono che rimanere sullo sfondo, per lasciare il primo piano ad altri parametri la cui capacità qualificatoria, anche se non copre aree altrettanto estese, è tuttavia più immediata e più stringente in riferimento alla fattispecie legislativa sottoposta allo scrutinio di questa Corte. Vengono quindi in considerazione, in maniera assorbente e nel loro congiunto operare, il diritto di difendersi (art. 24 Cost.), la trasparenza e l’imparzialità della pubblica amministrazione, anche nell’esercizio della potestà sanzionatoria (art. 97 Cost.), e la non discriminazione, nei procedimenti disciplinari, dei cittadini che svolgono attività lavorative o di libera professione (art. 3 Cost.).
3. — Così identificatane la reale portata, la questione non è fondata nei sensi di cui appresso si dirà.
L’art. 4, comma 10, del decreto legislativo n. 58 del 24 febbraio 1998, interpretato alla lettera e avulso da ogni altra disposizione o principio legislativo e dagli stessi principî costituzionali appena ricordati, sembrerebbe in effetti deporre nel senso che le notizie, le informazioni e i dati che la CONSOB possiede in ragione della sua attività di vigilanza, siano coperti dal segreto d’ufficio non solo nei confronti delle pubbliche amministrazioni diverse dal Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, ma anche, indistintamente, nei confronti dei terzi, compresi i soggetti operanti nel settore sottoposto a vigilanza, pur quando siano coinvolti in un procedimento disciplinare instaurato dalla medesima CONSOB.
La conclusione a cui si perviene è però già diversa se la disposizione censurata, senza ancora chiamare in causa principî costituzionali, viene letta congiuntamente alle altre disposizioni che con essa formano sistema, a partire dall’art. 196 del medesimo decreto legislativo. In esso si dispone, al secondo comma, che le sanzioni disciplinari a carico dei promotori finanziari siano applicate dalla CONSOB con provvedimento motivato, previa contestazione degli addebiti e valutate le deduzioni degli interessati. Questa previsione fa sorgere più di un dubbio sulla correttezza della soluzione interpretativa secondo cui, in forza dell’art. 4, comma 10, sarebbero coperti da segreto, opponibile allo stesso interessato, anche gli atti e i documenti che hanno dato luogo a procedimento disciplinare. E’ difficile, infatti, immaginare che, nel motivare un provvedimento sanzionatorio, sia possibile una valutazione non fittizia delle deduzioni del destinatario quando a questo sia stato negato l’accesso ai documenti posti a fondamento dell’addebito.
I dubbi su quell’interpretazione divengono ancor più consistenti alla luce del terzo comma del richiamato art. 196, a mente del quale alle sanzioni in questione si applicano le disposizioni contenute nella legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), con la sola eccezione dell’art. 16, concernente il pagamento in misura ridotta che qui non viene in considerazione. Tra le disposizioni applicabili rileva particolarmente l’art. 23, secondo comma, il quale prescrive che, nel giudizio di opposizione, all’autorità che ha emesso il provvedimento impugnato viene ordinato dal giudice di depositare in cancelleria, entro un termine prestabilito, “copia del rapporto con gli atti relativi all’accertamento”.
Se ne desume che la sfera di applicazione del censurato art. 4, comma 10, quale che ne sia l’effettiva estensione, con certezza non comprende gli atti, le notizie e i dati in possesso della Commissione in relazione alla sua attività di vigilanza, posti a fondamento di un procedimento disciplinare, sicché questi, nei confronti dell’interessato, non sono affatto segreti e sono invece pienamente accessibili: non soltanto nel giudizio di opposizione alla sanzione disciplinare, ma anche nello speciale procedimento di accesso regolato dall’art. 25 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), strumento esperibile anche dall’incolpato nei procedimenti disciplinari, per orientare preventivamente l’azione amministrativa onde impedirne eventuali deviazioni.
4. — Ogni residuo dubbio è comunque destinato a dissolversi se agli argomenti interpretativi fin qui desunti dalla legislazione ordinaria si aggiungono quelli derivanti dai principî costituzionali.
Soccorrono in primo luogo, sia pure con diversa intensità, il diritto di difesa ed i principî di imparzialità e trasparenza dell’attività amministrativa. Di fronte alla distinzione tra procedimenti disciplinari giurisdizionali e procedimenti disciplinari amministrativi, questa Corte ha già ricordato che la proclamazione contenuta nell’art. 24 Cost., se indubbiamente si dispiega nella pienezza del suo valore prescrittivo solo con riferimento ai primi, non manca tuttavia di riflettersi, seppure in maniera più attenuata, sui secondi, in relazione ai quali, in compenso, si impongono al più alto grado di cogenza le garanzie di imparzialità e di trasparenza che circondano l’agire della pubblica amministrazione. V’è, insomma, un sensibile accostamento tra i due diversi tipi di procedimento disciplinare, che trova ragione “nella natura sanzionatoria delle pene disciplinari, che sono destinate ad incidere sullo stato della persona nell’impiego o nella professione” (sentenza n. 71 del 1995). L’approdo del procedimento, nell’un caso e nell’altro, può toccare invero la sfera lavorativa e, con essa, le condizioni di vita della persona e postula perciò, anche in relazione ai procedimenti non aventi carattere giurisdizionale, talune garanzie che non possono mancare, quali la contestazione degli addebiti e la conoscenza, da parte dell’interessato, dei fatti e dei documenti sui quali si fondano (sentenza n. 505 del 1995).
L’art. 3 della Costituzione impone a sua volta di non interpretare il censurato art. 4, comma 10, in modo che i promotori finanziari ne risultino oltretutto discriminati rispetto agli appartenenti ad altra professione, ai quali è consentito nei procedimenti disciplinari accedere ai documenti posti a base dell’addebito e controdedurre in ordine ad essi. Una simile disparità di trattamento non potrebbe essere giustificata neppure in vista della esigenza di realizzare un interesse di livello costituzionale, quale è, a giudizio di questa Corte, la stabilità dei mercati finanziari, potenzialmente riconducibile all’ambito tematico dell’art. 47 della Costituzione. Nessun principio, anche se attinge i gradi più elevati della tutela giuridica, può infatti giungere a legittimare la sostanziale segretezza, nei confronti dello stesso interessato, dei documenti che fondano il procedimento disciplinare a suo carico.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 10, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli artt. 8 e 21 della L. 6 febbraio 1996, n. 52), sollevata, in riferimento agli articoli 2, 3, 11, 21, 24, 97, primo comma, e 98, primo comma, della Costituzione, dal Consiglio di Stato con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 ottobre 2000.
Cesare MIRABELLI, Presidente
Carlo MEZZANOTTE, Redattore
Depositata in cancelleria il 3 novembre 2000.