Sentenza n. 71 del 1995

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SENTENZA N. 71

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

-        Avv. Ugo SPAGNOLI

-        Prof. Antonio BALDASSARRE

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

-        Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-        Avv. Massimo VARI

-        Dott. Cesare RUPERTO

-        Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, numero 3 (più correttamente: terzo comma), della legge 30 dicembre 1988, n. 561 (Istituzione del Consiglio della magistratura militare), promosso con ordinanza emessa il 25 febbraio 1994 dalla Corte di cassazione, sezioni unite civili, sul ricorso proposto da Salvatore Messina contro il procuratore generale militare presso la Corte di cassazione ed altri, iscritta al n. 511 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Udito nella camera di consiglio del 25 gennaio 1995 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.

Ritenuto in fatto

La Corte di cassazione, sezioni unite civili, chiamata a giudicare, su ricorso del dott. Salvatore Messina, per la prima volta sull'impugnazione avverso una decisione in sede disciplinare del Consiglio della magistratura militare, ha sollevato, in riferimento all'art. 102 della Costituzione, questione di legittimità costituzione dell'art. 1, numero 3 (più correttamente: terzo comma), della legge 30 dicembre 1988, n. 561 (Istituzione del Consiglio della magistratura militare).

La norma denunciata dispone che il Consiglio della magistratura militare ha, per i magistrati militari, le stesse attribuzioni previste per il Consiglio superiore della magistratura, comprese quelle concernenti i procedimenti disciplinari, sostituiti al Ministro di grazia e giustizia e al procuratore generale presso la Corte di cassazione, rispettivamente, il Ministro della difesa e il procuratore generale militare presso la Corte di cassazione. La stessa disposizione prevede che il procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati militari è regolato dalle norme in vigore per i magistrati ordinari e che il procuratore generale militare presso la Corte di cassazione esercita le funzioni di pubblico ministero e non partecipa alle deliberazioni.

La Corte di cassazione, nel valutare l'ammissibilità del ricorso in relazione alla natura dell'organo che ha emesso la decisione impugnata, ritiene che il Consiglio della magistratura militare, in sede disciplinare, non sia un organo amministrativo ma abbia natura giurisdizionale. Il legislatore, modellando il Consiglio della magistratura militare sul Consiglio superiore della magistratura, ha stabilito che il procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati militari è regolato dalle norme in vigore per i magistrati ordinari, quindi anche dall'art. 17, ultimo comma, della legge 24 marzo 1958, n. 195, che prevede l'impugnabilità dei provvedimenti in materia disciplinare davanti alle sezioni unite della Corte di cassazione. Il giudice rimettente osserva, inoltre, che le funzioni di pubblico ministero nel procedimento disciplinare sono esercitate dal procuratore generale militare e che la costituzione di un ufficio del pubblico ministero è possibile soltanto presso organi giurisdizionali.

La Corte di cassazione ricorda che l'art. 15 della legge 7 marzo 1981, n. 180, nel modificare l'ordinamento giudiziario militare di pace, ha previsto che, fino alla costituzione dell'organo di autogoverno della magistratura militare e comunque per non oltre un anno, i provvedimenti concernenti i magistrati militari, compresi quelli disciplinari, fossero adottati dal Ministro della difesa, sentito un comitato di magistrati militari titolari di determinati uffici. Di questa disposizione è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale nella parte in cui consentiva che potessero essere ancora adottati provvedimenti con la procedura da essa prevista (sentenza n. 266 del 1988). Difatti, dall'art. 108, secondo comma, della Costituzione discende l'obbligo del legislatore di assicurare l'indipendenza della magistratura militare, con il superamento del regime preesistente non conforme a Costituzione e del regime transitorio, che consentiva ancora una dipendenza della magistratura militare dall'esecutivo.

Per colmare il vuoto normativo che derivava dalla pronuncia di illegittimità costituzionale, la legge n. 561 del 1988 ha istituito il Consiglio della magistratura militare. Trattandosi di un organo nuovo, al quale sarebbero attribuite funzioni giurisdizionali, la Corte di cassazione dubita che l'art. 1, terzo comma, della citata legge sia in contrasto con l'art. 102 della Costituzione, che vieta l'istituzione di nuovi giudici speciali, nella parte in cui stabilisce:

a) che in materia disciplinare, il Consiglio della magistratura militare ha le stesse attribuzioni del Consiglio superiore della magistratura; b) che il procedimento disciplinare per i magistrati militari è regolato dalle norme in vigore per i magistrati ordinari;

c) che le funzioni di pubblico ministero sono esercitate dal procuratore generale militare presso la Corte di cassazione.

Considerato in diritto

1.- La questione di legittimità costituzionale concerne le modalità di esercizio della funzione disciplinare da parte del Consiglio della magistratura militare.

La legge istitutiva di tale organo conferisce ad esso, per i magistrati militari, le stesse attribuzioni previste per il Consiglio superiore della magistratura, incluse quelle concernenti la funzione disciplinare, il cui procedimento è regolato dalle norme in vigore per i magistrati ordinari (art. 1, terzo comma, della legge 30 dicembre 1988, n. 561). La Corte di cassazione ritiene che questo rinvio comprenda l'art. 17 della legge 24 marzo 1958, n.195, che ammette il ricorso alle sezioni unite della Corte stessa contro i provvedimenti in materia disciplinare.

Sarebbe così comprovata la natura giurisdizionale dell'organo che ha emesso il provvedimento impugnabile.

L'identità di attribuzioni e di procedura disciplinare previste per il Consiglio della magistratura militare rispetto a quelle proprie del Consiglio superiore della magistratura, alla cui sezione disciplinare è generalmente riconosciuta natura giurisdizionale, unitamente all'esercizio delle funzioni di pubblico ministero nel procedimento disciplinare da parte del procuratore generale militare presso la Corte di cassazione, caratterizzerebbero come giurisdizionale, e non come amministrativo, tale procedimento anche nei confronti dei magistrati militari. Ad avviso del giudice rimettente verrebbe così configurata, con il Consiglio della magistratura militare in sede disciplinare, l'istituzione di un nuovo giudice speciale, vietata dall'art. 102 della Costituzione.

2.- Preliminarmente si deve ricordare che l'istituzione del Consiglio della magistratura militare segue la dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione che, nel contesto della legge che ha riconosciuto ai magistrati militari lo stesso stato giuridico e le garanzie di indipendenza proprie dei magistrati ordinari (art. 1 della legge 7 maggio 1981, n. 180), aveva previsto che "fino alla costituzione dell'organo di autogoverno della magistratura militare" (che era stata così preannunciata ed avrebbe dovuto aver luogo entro un anno) i provvedimenti concernenti la magistratura militare (art. 15, primo comma, della stessa legge), compresi quelli disciplinari, fossero adottati dal Ministro della difesa, sentito un comitato di magistrati militari titolari di alcuni uffici direttivi.

Esaminando quella disciplina, la Corte ha affermato che l'obbligo del legislatore di assicurare l'indipendenza della magistratura militare discende direttamente dall'art. 108, secondo comma, della Costituzione (sentenza n. 266 del 1988). Il parere obbligatorio e non vincolante di un comitato, costituito da componenti non elettivi, non era idoneo a garantire l'indipendenza di quei magistrati.

La legge n. 561 del 1988, emanata per la necessità di istituire con urgenza il Consiglio della magistratura militare e di colmare il vuoto determinato dalla pronuncia di illegittimità costituzionale che aveva colpito l'art. 15 della legge n. 180 del 1981, ha preso a modello il Consiglio superiore della magistratura, sino a definire le attribuzioni e le procedure dell'istituto che si andava a costituire mediante rinvio alle attribuzioni ed alle procedure previste per l'organo di garanzia dell'indipendenza della magistratura ordinaria.

Questa omologazione di disciplina, pur nella distinzione degli organi, rende evidente l'evoluzione complessiva dell'ordinamento giudiziario militare di pace, diretta a perseguire l'assimilazione della magistratura militare a quella ordinaria.

3.- L'esercizio della funzione disciplinare nell'ambito del pubblico impiego, della magistratura e delle libere professioni, si esprime con modalità diverse, che caratterizzano i relativi procedimenti a volte come amministrativi, altre volte come giurisdizionali, in continuità con la tradizione oppure in rispondenza a scelte del legislatore, la cui discrezionalità in materia di responsabilità disciplinare spazia entro un ambito molto ampio (sentenza n. 145 del 1976).

Questa pur rilevante differenziazione non oscura tuttavia l'affinità delle diverse procedure, segnalata sin da una remota ricostruzione sistematica dei poteri disciplinari delle pubbliche amministrazioni ad opera di autorevole dottrina, che ha sottolineato come il procedimento che si tiene dinanzi ai consigli amministrativi di disciplina offre numerosi punti di contatto con i procedimenti giudiziari, tanto che la regola è la conformità del primo a questi.

Tale accostamento trova ragione nella natura sanzionatoria delle "pene disciplinari", che sono destinate ad incidere sullo stato della persona nell'impiego o nella professione. L'irrogazione anche di queste sanzioni, che toccano le condizioni di vita della persona incidendo sulla sua sfera lavorativa, richiede il rispetto di garanzie nella contestazione degli addebiti, nell'istruttoria, nella partecipazione dell'interessato al procedimento, nella valutazione e nel giudizio, in attuazione di principi spesso elaborati prima dalla dottrina e dalla giurisprudenza e poi legislativamente definiti.

Queste garanzie sono ispirate a principi analoghi a quelli che si dispiegano con piena e più estesa attuazione nei procedimenti giurisdizionali, ai quali esse sono coessenziali. L'affinità dei principi si manifesta con maggiore evidenza in alcuni procedimenti disciplinari, la cui regolamentazione esplicitamente rinvia, in modo integrativo o residuale, alle norme (richiamate in quanto applicabili) del processo penale, le quali sono improntate alla massima garanzia in ragione del peculiare contenuto afflittivo delle sanzioni che in quel processo si irrogano.

4.- Il parametro di valutazione della questione di legittimità costituzionale, indicato dal giudice rimettente, è rappresentato dal divieto di istituire giudici speciali, stabilito dall'art. 102 della Costituzione.

Questa disposizione, pur perseguendo il principio di unità della giurisdizione, che riflette le garanzie di indipendenza proprie della magistratura e si combina con esse, non impone l'unicità degli organi di giurisdizione, nè esclude che possano ancora permanere giudici non regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario, la cui indipendenza sia egualmente assicurata (art. 108).

La stessa Costituzione, prevedendoli espressamente (art. 103), ha mantenuto differenziati dalla magistratura ordinaria, e tra di loro di stinti, gli organi della giustizia amministrativa, di quella contabile ed i tribunali militari. Ha inoltre considerato gli organi speciali di giurisdizione esistenti (VI disposizione transitoria), senza imporne tuttavia la scomparsa, giacchè essi trovano collocazione accanto agli organi giurisdizionali ordinari nella previsione della ricorribilità in Cassazione delle loro sentenze (art. 111).

Ciò ha consentito di affermare che "per quanto sicuramente orientata in senso sfavorevole nei confronti delle giurisdizioni speciali, la Costituzione, nell'art. 102, secondo l'interpretazione generalmente accoltane e più volte affermata dalla giurisprudenza di questa Corte, si limita a porre il divieto di istituirne di nuovi.

Mentre, a sua volta, la VI disposizione transitoria, prescrivendo la revisione delle giurisdizioni speciali esistenti, non ne impone la incondizionata soppressione (...) ma usa la parola <revisione> nel suo proprio senso lessicale, facendo obbligo al legislatore di prenderle in esame, sia per sopprimerle, sia per adeguarne la disciplina ai nuovi principi costituzionali" (sentenza n. 135 del 1975).

Le previsioni costituzionali di una riserva di legge per le norme sull'ordinamento giudiziario e "su ogni magistratura", della garanzia di indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali (art. 108) e della ricorribilità delle loro sentenze (art. 111) prefigurano che anche i "giudici speciali" possano permanere e siano inseriti nel contesto del sistema della giurisdizione.

Il criterio per determinare il contenuto del divieto costituzionale di istituire giudici speciali risiede dunque nella loro "novità".

Ed essendo prevista la revisione, non necessariamente soppressiva, dei giudici speciali, la novità va riferita non solo ai profili soggettivi della articolazione degli organi di giurisdizione speciale, ma anche ai profili oggettivi della competenza di settore attribuita ad una cognizione diversa da quella del giudice ordinario, in una ineliminabile connessione tra il giudice e la materia oggetto della sua giurisdizione.

5.- Il Consiglio della magistratura militare, nell'esercizio delle sue funzioni disciplinari, non costituisce un nuovo giudice speciale nel senso indicato dall'art. 102 della Costituzione.

La configurazione giurisdizionale del procedimento disciplinare per i magistrati ordinari risponde, come si è già precisato, alla tradizione.

La giurisdizione disciplinare, affidata, prima della Costituzione ed immediatamente dopo la sua entrata in vigore, ad appositi Tribunali disciplinari (regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511), cui era rimessa l'adozione delle sentenze in materia, è stata successivamente attribuita, in adempimento a quanto prescrive l'art. 105 della Costituzione, al Consiglio superiore della magistratura e conferita alla Sezione disciplinare in cui esso si articola (sentenza n. 12 del 1971), mantenendosi la scelta legislativa per un procedimento disciplinare che si esprime nei modi e nelle forme, quindi con le garanzie proprie della giurisdizione (sentenze n. 220 del 1994 e n. 289 del 1992).

La condizione dei magistrati militari è oggi del tutto assimilata, per stato giuridico, garanzie di indipendenza ed articolazione di carriera, a quella dei magistrati ordinari. Parallelamente l'ordinamento giuridico militare di pace si è modellato su quello previsto per la magistratura ordinaria, convergendo nella diretta attribuzione alla Corte di cassazione delle funzioni di legittimità, un tempo attribuite al Tribunale supremo militare, con una unificazione nel vertice dell'ordinamento per la funzione giudicante, rimarcata dalla costituzione di un ufficio del procuratore generale militare presso la Corte stessa (art. 5 della legge n. 180 del 1981).

Il rifluire della magistratura militare nell'alveo della posizione propria della magistratura ordinaria, pur mantenendosene ancora organizzativamente distinta, è significativamente comprovato dalla titolarità della presidenza del Consiglio della magistratura militare attribuita per legge al Presidente dell'organo supremo della giurisdizione ordinaria. Sicchè la scelta, conforme a questa impostazione, di configurare anche il procedimento disciplinare per i magistrati militari in forme giurisdizionali non rappresenta, nonostante l'inevitabile attribuzione della competenza ad un organismo organizzativamente nuovo, l'introduzione di una nuova giurisdizione e di un nuovo giudice speciale, trovando la giurisdizionalità della funzione disciplinare radicamento in quella già prevista per la magistratura ordinaria, cui anche la magistratura militare, oramai ad essa pienamente equiparata, accede, pur mantenendo una distinzione organizzativo-ordinamentale.

La questione di legittimità costituzionale è, pertanto, infondata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, numero 3 (più correttamente: terzo comma), della legge 30 dicembre 1988, n. 561 (Istituzione del Consiglio della magistratura militare), sollevata, in riferimento all'art. 102 della Costituzione, dalla Corte di cassazione, sezione unite civili, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 febbraio 1995.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Cesare MIRABELLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 1 marzo 1995.