SENTENZA N. 135
ANNO 1975
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente
Avv. Giovanni Battista BENEDETTI
Dott. Luigi OGGIONI
Avv. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 3, primo comma, e 65 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214 (testo unico delle leggi sull'ordinamento della Corte dei conti), e dell'art. 29, primo comma, del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 (testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanze emesse il 25 ottobre 1973 dalla Corte suprema di cassazione - sezioni unite civili - sui ricorsi di Todaro Lucio ed altri contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, la Corte dei conti ed altri, iscritte ai nn. da 178 a 183 del registro ordinanze 1974 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 159 del 19 giugno 1974;
2) ordinanza emessa il 15 giugno 1974 dal Consiglio di Stato - sezione IV - sul ricorso di Ferrucci Alfonso contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, la Corte dei conti ed altri, iscritta al n. 512 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3 del 3 gennaio 1975.
Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di costituzione della Corte dei conti e di Ferrucci Alfonso;
udito nell'udienza pubblica del 5 marzo 1975 il Giudice relatore Vezio Crisafulli;
uditi l'avv. Paolo Barile, per Ferrucci Alfonso ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri e per la Corte dei Conti.
Ritenuto in fatto
1. - Con sei ordinanze identicamente motivate ed emesse il 25 ottobre 1973 la Corte suprema di cassazione - sezioni unite civili - ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 108, comma secondo, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, primo comma, e 65 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, recante il testo unico delle leggi sull'ordinamento della Corte dei conti, nella parte in cui rispettivamente stabiliscono "La Corte a sezioni riunite... decide... in prima ed ultima istanza sui reclami del personale della Corte stessa" e "Spetta alla Corte a sezioni riunite la definizione in forma contenziosa di tutti i reclami dei suoi impiegati ed agenti o di chiunque vi abbia interesse relativi alla nomina, promozione e disciplina, o comunque attinenti al rapporto di impiego, per motivi di incompetenza, eccesso di potere o violazione di legge": dubitandosi se con tale sistema sia realizzata l'esigenza che l'organo giudicante si trovi in posizione di assoluta terzietà o indifferenza rispetto agli interessi in giuoco nella controversia sottopostagli.
2. - Con ordinanza emessa il 15 giugno 1974 nel corso di un procedimento promosso su ricorso di Ferrucci Alfonso contro il Presidente del Consiglio dei ministri ed altri, il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - sezione IV - dopo aver respinto perché manifestamente infondate le eccezioni dedotte dalla parte privata in riferimento all'art. 108 Costituzione, strettamente analoghe a quelle proposte dalla Corte suprema di cassazione, con le ordinanze sopra menzionate, ha sollevato, a sua volta, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, primo comma, ultima parte, e 65 del citato r.d. n. 1214 del 1934, nonché dell'art. 29, primo comma, del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, recante "Approvazione del t.u. delle leggi sul Consiglio di Stato" limitatamente all'inciso "quando non si tratti di materia spettante alla giurisdizione della Corte dei conti".
L'ordinanza premette che, nonostante sia stato proposto dall'Amministrazione resistente regolamento preventivo di giurisdizione, il giudizio in corso non potrebbe considerarsi sospeso e quindi non sarebbe preclusa la possibilità di sollevare questioni di legittimità costituzionale. Il contrasto con l'art. 3 viene poi ravvisato nella diversità di disciplina fra le controversie concernenti i magistrati della Corte dei conti e tutte le altre che in materia di pubblico impiego vengono, invece, concentrata nella cognizione dell'ordinaria giurisdizione amministrativa, tanto più che quest'ultima, a differenza della precedente, si articola ormai in due distinti gradi di giudizio ed offre pertanto una maggior tutela giudiziaria.
3. - In entrambi i giudizi si é costituita la Corte dei conti in persona del suo Presidente ed ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentati e difesi dall'Avvocato generale dello Stato, con deduzioni depositate rispettivamente il 31 maggio, il 12 ed il 17 dicembre 1974.
Nel giudizio promosso dal Consiglio di Stato viene eccepita preliminarmente la inammissibilità della questione, perché sollevata dopo l'avvenuta proposizione del regolamento di giurisdizione innanzi alla Corte di cassazione. Nel merito, in entrambi i giudizi viene chiesta una dichiarazione di non fondatezza delle questioni, argomentando fra l'altro dall'art. 103 e dalla VI disp. trans. della Costituzione, che avrebbero fatto salve tutte le competenze giurisdizionali attribuite alla Corte dei conti dalle leggi esistenti al momento dell'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, e dalla presenza nel giudizio innanzi alla Corte dei conti delle più ampie garanzie di difesa.
4. - Si é costituito anche il sig. Alfonso Ferrucci, con memoria prodotta il 12 novembre 1974, chiedendo l'accoglimento della questione sollevata dal Consiglio di Stato, previa eventuale riunione del relativo giudizio a quelli sorti per effetto delle ordinanze emesse dalle Sezioni unite della Corte suprema di cassazione.
5. - Alla pubblica udienza le parti hanno insistito nelle rispettive conclusioni.
Considerato in diritto
1. - I giudizi promossi dalle sei ordinanze della Corte di cassazione a sezioni unite e dalla successiva ordinanza del Consiglio di Stato hanno tutti ad oggetto gli artt. 3, primo comma, e 65 del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti 12 luglio 1934, n. 1214 (cui si aggiunge, nell'ordinanza del Consiglio di Stato, l'art. 29 del testo unico 26 giugno 1924, n. 1054, limitatamente all'inciso "quando non si tratti di materia spettante alla giurisdizione della Corte dei conti"), per violazione degli artt. 108, secondo comma, e 3 Cost., e vanno pertanto decisi con unica sentenza.
2. - Dev'essere preliminarmente accolta l'eccezione di inammissibilità della questione sollevata dal Consiglio di Stato, con ordinanza emessa dopo che era stata proposta dalla parte resistente istanza alle sezioni unite della Corte di cassazione per regolamento preventivo di giurisdizione.
Già in una precedente occasione (sent. n. 73 del 1973) questa Corte, nel dichiarare la non fondatezza delle censure di illegittimità costituzionale che erano state mosse nei confronti di tale istituto, ebbe a rilevare come esso risulti ampiamente giustificato da esigenze di economia processuale, consentendo di ottenere una sollecita e definitiva pronuncia sulla giurisdizione (dove questa sia dubbia e contestata), con evidente vantaggio per tutte le parti, che devono ritenersi egualmente interessate ad una decisione sul merito della causa, della quale sia certa la provenienza dal giudice a ciò competente.
Tale essendo la ratio del regolamento preventivo di giurisdizione, non pare dubbio che la stessa valga identicamente sia che l'istanza ne sia proposta davanti ad un giudice ordinario, sia che (come nel caso in esame) sia proposta invece davanti al giudice amministrativo. D'altronde, l'ordinanza del Consiglio di Stato, pur richiamando, sul punto testé accennato, la contraria giurisprudenza del Consiglio medesimo, ha piuttosto insistito, nella motivazione, sulla mancanza di effetto sospensivo dell'istanza per regolamento nel giudizio a quo.
Se si prescinde, perciò, dalla ipotesi in cui sia chiesta la sospensiva del provvedimento impugnato, discende dal già detto che, dopo e per effetto della proposizione della istanza di regolamento di giurisdizione, anche il giudice amministrativo, così di primo come di secondo grado, non é più legittimato a sollevare questioni di legittimità costituzionale che siano rilevanti per la definizione, nel merito, del giudizio davanti ad esso instaurato, ovvero, come nel caso di specie, proprio per la risoluzione della questione di giurisdizione: ogni potere in ordine alla quale ultima é ormai trasferito alla Corte regolatrice.
3. - Nel merito, questa Corte é dunque chiamata a pronunciarsi sulla sola questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, primo comma, e 65 del citato t.u. del 1934, nei termini in cui é prospettata dalle ordinanze della Corte di cassazione: dubitandosi, cioé, che la giurisdizione della Corte dei conti in ordine al rapporto di impiego dei propri magistrati (cosiddetta giurisdizione "domestica") contrasti con l'art. 108, secondo comma, Cost., prescrivente che "la legge assicura l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali", nonché con l'art. 3 (richiamato peraltro, quest'ultimo, sullo sfondo e senza che nessuno specifico profilo di illegittimità sia, in riferimento ad esso, dedotto né risulti sia stato prospettato dalle parti nei giudizi davanti alla Corte di cassazione).
Ciò posto, é da premettere, in linea generale, che, contrariamente all'assunto delle ordinanze, la sopravvivenza della giurisdizione "domestica" cui sono sottoposti i magistrati (e gli altri dipendenti) della Corte dei conti deve ritenersi consentita - in principio - dal sistema normativo risultante dagli artt. 102, 103, secondo comma, e dalla VI disposizione finale e transitoria della Costituzione.
Per quanto sicuramente orientata in senso sfavorevole nei confronti delle giurisdizioni speciali, infatti, la Costituzione, nell'art. 102, secondo l'interpretazione generalmente accoltane e più volte affermata nella giurisprudenza di questa Corte, si limita a porre il divieto di istituirne di nuove; mentre, a sua volta, la VIdisp. trans., prescrivendo la revisione delle giurisdizioni speciali esistenti, non ne impone la incondizionata soppressione (ed eventuale trasformazione in sezioni specializzate, come suggerito dallo stesso art. 102, secondo comma), ma usa la parola "revisione" nel suo proprio senso lessicale, facendo obbligo al legislatore di prenderle in esame, sia per sopprimerle, sia per adeguarne la disciplina ai nuovi principi costituzionali.
Risulta altresì con certezza, come pure questa Corte ha in precedenza ritenuto (sent. n. 17 del 1965), che da quel generale sfavore di cui appaiono circondate, nel testo costituzionale, le giurisdizioni speciali, sono esenti quelle del Consiglio di Stato, della Corte dei conti e dei tribunali militari, che la stessa VI disp. trans. esplicitamente sottrae al predetto obbligo di revisione, considerandole "a parte tra le giurisdizioni speciali" (così la sent. n. 1 del 1967, con puntuale riguardo alla Corte dei conti). Per quel che più particolarmente interessa in questa sede, é da osservare ulteriormente che il comma secondo dell'art. 103, oltre a ribadire nei termini più lati e parzialmente innovativi la giurisdizione della Corte medesima nelle materie "di contabilità pubblica", dotandola, per questa parte, di garanzia costituzionale (sent. n. 110 del 1970; n. 68 del 1971; n.211 del 1972 e n. 205 del 1974), ne richiama poi genericamente quella "nelle altre (materie) specificate dalla legge". E non vi ha dubbio che tale formula abbia riferimento (non importa ai fini del presente giudizio stabilire se soltanto od anche) alle altre materie, diverse dalla contabilità pubblica, che, anteriormente alla nuova Costituzione dello Stato ed al momento della sua entrata in vigore, erano dalla legge attribuite alla giurisdizione della Corte dei conti, ivi compresi perciò i rapporti di impiego con i suoi magistrati e dipendenti, alla stessa sottoposti fin dal 1862.
Ciò non equivale necessariamente a ritenere che anche la giurisdizione "domestica" della Corte dei conti sia stata "costituzionalizzata" e lascia impregiudicato il problema (che non rileva nel presente giudizio) se tutte le singole norme attualmente disciplinanti i modi di esercizio di essa e lo stesso organo che la esplica siano, per ciò solo, esenti dal sindacato di questa Corte, ove abbiano a formare oggetto di particolari censure. Ma porta bensì ad escludere che quella speciale giurisdizione, in quanto implicitamente richiamata e presupposta dall'art. 103 ed espressamente sottratta ad obbligo di revisione in forza della VI disposizione transitoria, sia - di per sé - in contrasto con la Costituzione.
E poiché le censure proposte dalle ordinanze delle sezioni unite della Corte di cassazione investono proprio nel suo insieme la sopravvivenza della giurisdizione "domestica" della Corte dei conti, quanto precede potrebbe già essere sufficiente a farne ritenere la infondatezza.
4. - La gravità della questione e l'autorità del giudice a quo inducono tuttavia a scendere ad un esame analitico delle ragioni addotte nelle ordinanze, prescindendo - in ipotesi - dalle conclusioni fin qui raggiunte.
La questione viene prospettata essenzialmente sotto un duplice profilo. Da una parte, per la mancanza "di dispositivi idonei a garantire la completa diversificazione tra gli organi di vertice della Corte dei conti e le sezioni riunite, investite della funzione di giudicare sulla legittimità di atti amministrativi della Corte", e cioé di atti emanati dai detti organi o alla formazione dei quali gli stessi abbiano concorso in modo determinante. D'altra parte, per "il pericolo immanente nel sistema di un interesse sostanzialmente, anche se non formalmente, diretto" dei membri del collegio giudicante in questioni di principio riguardanti il loro stato giuridico ed economico.
Entrambi i profili sono da disattendere.
5. - Quanto al primo profilo, con riferimento al quale il Consiglio di Stato, nella sua ordinanza, aveva dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale eccepita dalla parte privata, é agevole rilevare che, a partire dalla riforma del 1933, gli organi della Corte dei conti cui sono attribuite funzioni di amministrazione del personale risultano, dal punto di vista istituzionale, nettamente distinti dalle sezioni riunite, che potranno esser chiamate a giudicare degli atti da quelli comunque promananti. Nessun compito di carattere amministrativo in materia residua ormai alle sezioni riunite, ed é perciò escluso che queste - come organo differenziato - abbiano a giudicare in ordine ad atti, suscettibili di essere considerati come loro propri.
A risultati non dissimili si perviene anche impostando il problema sotto l'aspetto soggettivo, vale a dire con riguardo alle persone dei magistrati della Corte che, nella loro qualità di Presidente, o di Segretario generale o di Presidente di sezione o di componenti del Consiglio di presidenza, del Consiglio di amministrazione o della Commissione di disciplina, abbiano prima posto in essere (o abbiano concorso a porre in essere) taluno degli atti concernenti i magistrati della Corte e si trovino poi a far parte delle sezioni riunite, chiamate a sindacarne la legittimità. Una siffatta coincidenza nelle stesse persone di funzioni amministrative e di funzioni giudicanti, aventi ad oggetto il modo di esercizio delle prime, non é necessaria conseguenza del sistema, ma potrebbe soltanto verificarsi come accidentale eventualità, nel qual caso soccorrerebbero gli istituti della astensione e della ricusazione: l'una e l'altra sicuramente applicabili al processo dinanzi alla Corte dei conti, in punto di diritto, stante il rinvio dell'art. 26 del relativo regolamento, regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038, alle norme del codice di procedura civile; ed applicabili altresì in linea di fatto, utilizzando il congegno predisposto dall'art. 2, secondo comma, della legge n. 161 del 1953, a norma del quale il Presidente, sentito il Consiglio di presidenza, assegna annualmente alle singole sezioni, ed a quelle riunite, un "congruo numero di magistrati".
Né può fondatamente ritenersi che, pur realizzandosi la doverosa separazione personale tra coloro che, avendo formato o concorso a formare atti relativi al personale di magistratura, potrebbero avere interesse alla loro conservazione e coloro cui spetta conoscere in sede giurisdizionale, sussista tuttavia una sorta di condizionamento di questi ultimi da parte dei primi, a causa dei poteri di supremazia anche disciplinare, e comunque inerenti allo stato giuridico ed alla carriera dei magistrati della Corte, attribuiti agli organi di vertice della stessa (e perciò esplicati dalle persone che ne sono titolari). A prescindere dal rilievo che le norme che tali poteri conferiscono non sono, e non sono state, oggetto di specifica censura, le stesse ordinanze di rimessione ne riconoscono la rispondenza "ad imprescindibili esigenze organizzative", che consentirebbero - come soggiungono - di ipotizzarne "una giustificazione plausibile sul piano costituzionale". Ma deve sopra tutto osservarsi che l'attribuzione di quei poteri ad organi della Corte dei conti era necessaria per realizzare l'indipendenza (esterna) della Corte medesima e dei suoi componenti, in special modo "di fronte al Governo", così come prescritto dall'art. 100, ultimo comma, Cost. (ed infatti una situazione sotto certi aspetti analoga é dato riscontrare altresì nell'ordinamento del Consiglio di Stato, al quale contestualmente si riferisce la norma costituzionale adesso ricordata).
Proprio perché i magistrati della Corte dei conti non devono dipendere dal Governo (né dal Governo nel suo complesso, né dal Presidente del Consiglio, né dall'uno o dall'altro ministro o ministero), la competenza ad adottare o proporre i provvedimenti ad essi relativi, non poteva che essere affidata alla Corte stessa, e cioé, in termini concreti, a determinati suoi organi.
6. - Quanto al secondo profilo di incostituzionalità, é sufficiente rilevare che la fondamentale esigenza che il giudice sia disinteressato rispetto alla controversia sulla quale deve decidere, e perciò realmente imparziale, non può essere intesa in modo così lato e generico da farvi rientrare anche l'interesse che egli, come privato cittadino, possa avere a una determinata soluzione di problemi di principio inerenti a quella controversia, non essendoci giudice che non sia, al tempo stesso, elettore, pubblico dipendente, proprietario od affittuario, creditore o debitore, e via dicendo, ed insomma inserito in situazioni e rapporti della vita associata regolati dal diritto oggettivo dello Stato, al quale, nell'esercizio della potestà giurisdizionale conferitagli, deve dare concreta attuazione.
Non per questo, tuttavia, un giudice si rende incompatibile per difetto di terzietà, com'é confermato anche dall'art. 51 cod. proc. civ., che, al n. 1, gli fa obbligo di astenersi solo "se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto": con chiara allusione ad un interesse diretto, e perciò giuridicamente rilevante, sia nella causa sottopostagli, sia in altra effettivamente pendente davanti ad un diverso giudice.
7. - Da qualunque punto di vista, dunque, si consideri la questione proposta dalle ordinanze della Corte di cassazione, deve sempre concludersi per la sua infondatezza.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, primo comma, ultima parte, e 65 del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti 12 luglio 1934, n. 1214, e dell'art. 29, primo comma, del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, recante "Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato", limitatamente all'inciso "quando non si tratti di materia spettante alla giurisdizione della Corte dei conti", sollevata dal Consiglio di Stato con l'ordinanza di cui in epigrafe;
b) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt.3, primo comma, e 65 del testo unico n. 1214 del 1934, sopra citato, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 108 della Costituzione, dalle sezioni unite della Corte di cassazione con le ordinanze di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 giugno 1975.
Francesco Paolo BONIFACIO – Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria l'11 giugno 1975.