Sentenza n.266 del 1988

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SENTENZA N.266

ANNO 1988

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 15, primo comma, della legge 7 maggio 1981, n. 180 (Modifiche all'ordinamento giudiziario militare di pace) promosso con ordinanza emessa il 4 giugno 1984 dal giudice istruttore presso il Tribunale militare di Bari nel procedimento penale a carico di PORRELLO Antonino iscritta al n. 953 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19 bis dell'anno 1985;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 1988 il Giudice relatore Renato Dell'Andro;

Considerato in diritto

l. - Poichè l'Avvocatura dello Stato solleva eccezione d'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale di cui all'ordinanza in epigrafe, questa Corte non può esimersi dall'esaminare e decidere, in primo luogo, sulla predetta eccezione.

La strada per impostare e risolvere i temi attinenti all'ammissibilità della questione di legittimità costituzionale in discussione é offerta dalla sentenza di questa Corte n. 67 del 1984, che dichiara inammissibile analoga questione (sollevata dal Tribunale militare di Torino con ordinanza del 6 luglio 1982) per l'incertezza del <petitum>. L'ora citata sentenza, che verrà richiamata anche in sede di merito, dopo aver affermato che il legislatore é tenuto, attuando l'art. 15 della legge n. 180 del 1981, ad assolvere senza ulteriori indugi l'impegno di creare l'organo che effettivamente assicuri l'indipendenza della magistratura militare, conclude per l'inammissibilità della sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 15, primo comma, secondo periodo, della legge 7 maggio 1981, n. 180 (in riferimento all'art. 108, secondo comma, Cost.) in quanto la sollevata censura oscillava tra la richiesta di ceduazione della disciplina transitoria prevista dallo stesso articolo e la richiesta di devoluzione della materia di cui alla predetta disciplina al Consiglio superiore della magistratura: il <petitum> proposto con la suindicata ordinanza del Tribunale militare di Torino risultava, in conseguenza, <incerto>.

Tale <incertezza> non é, invece, ravvisabile nell'ordinanza del giudice istruttore presso il Tribunale militare di Bari, emessa in data 4 giugno 1984. In quest'ultima ordinanza si chiede soltanto la caducazione della disciplina transitoria di cui al primo comma dell'art. 15 della legge in esame, non ponendo in discussione nè la questione della permanenza dell'effetto abrogativo prodotto dalla stessa disciplina sulla normativa anteriore all'entrata in vigore della legge n. 180 del 1981 nè, tanto meno, la questione relativa alla devoluzione della materia, di cui al primo comma dell'art. 15 della stessa legge, al Consiglio superi ore della magistratura e, pertanto, all'eventuale conseguente modifica di questo organo.

Nè é dato (anche a prescindere dalle richieste contenute nell'ordinanza di rimessione) porre qui questioni relative alla situazione normativa che conseguirebbe all'eventuale dichiarazione d'illegittimità costituzionale del primo comma dell'art. 15 della legge in esame.

Ed infatti, anche a non voler accogliere la tesi, autorevolmente sostenuta in dottrina, secondo la quale, prodottosi l'effetto abrogativo d'una normativa, ad opera dell'entrata in vigore di altra, diversa disciplina (transitoria o definitiva) non é più possibile far <rivivere> la normativa abrogata (a meno che, s'intende, una <terza legislazione> sulla stessa materia non riproponga, ma, ovviamente, con forza autonoma, e, di regola, ex nunc, i contenuti della normativa abrogata) non va, in ogni caso, disconosciuto che, nelle materie di cui al primo comma dell'articolo in esame, nè l'ordinanza di rimessione richiede il <ritorno> in vigore dell'abrogata normativa nè la sentenza di questa Corte n. 67 del 1984 decide su questioni relative alla permanenza dell'effetto abrogativo della normativa anteriormente vigente. Tali questioni non vanno poste neppure in questa sede, tenuto conto, soprattutto, della dichiarata volontà del legislatore del 1981 di disciplinare la materia relativa allo stato giuridico ed alle garanzie d'indipendenza dei magistrati militari in maniera analoga alla disciplina in vigore per i magistrati ordinari. E', appunto, l'art. 1 della legge n. 180 del 1981 (norma <generale> di modifica dell'intero ordinamento giudiziario militare di pace) che, al secondo comma, recita: <Lo stato giuridico, le garanzie d'indipendenza e l'avanzamento dei magistrati militari sono regolati dalle disposizioni in vigore per i magistrati ordinari, in quanto applicabili...>. Il collegamento tra questa disposizione ed il primo comma dell'art. 15 della stessa legge esclude che la <limitazione> di cui all'inciso <in quanto applicabili> possa riferirsi ad un'assurda <dipendenza> dei magistrati militari dall'esecutivo. Dagli articoli citati risulta la chiara volontà del legislatore del 1981 di <conformare> l'intero ordinamento giudizio militare di pace alla Costituzione : le circostanze nelle quali e stata emanata la legge di riforma del 1981 nonchè le dichiarazioni dei relatori, in sede di lavori preparatori della stessa legge, confermano quel che, del resto chiaramente, dal testo della legge risulta in ordine alla <sottrazione>, anche dei magistrati militari, al potere (nelle materie di cui al primo comma dell'art. 15) dell'esecutivo.

Tale <sottrazione> é, infatti, un corollario dell'esigenza dell'adeguazione alla Costituzione dell'ordinamento giudiziario militare di pace.

Nè é dato qui esaminare questioni, peraltro non sollevate, relative all'eventuale devoluzione delle materie di cui al primo comma dell'art. 15 della legge in discussione al Consiglio superi ore della magistratura. La Costituzione, mentre per la magistratura ordinaria prevede espressamente il Consiglio superiore, disciplinandone, in maniera specifica (art. 104) la composizione, rimette, invece, al legislatore ordinario (art. 108) l'assicurazione delle garanzie d'indipendenza dei magistrati delle giurisdizioni speciali. Spetta, pertanto, alla legge provvedere in ordine alle predette garanzie: in questa sede non può che sottolinearsi che, ove la Costituzione avesse inteso <rimettere> al Consiglio superiore previsto dall'art. 104 anche l'autogoverno dei magistrati delle giurisdizioni speciali, l'avrebbe espressamente dichiarato. Nè per la <razionalità> della previsione d'un unico organo d'autogoverno, per magistrati ordinari e militari, depongono la diversa origine, <logica> e storica, della giurisdizione ordinaria (tutela della generalità dei cittadini e decisioni sulla generalità delle <materie> ecc.; origine dell'esperienza <pretoria> ecc.) e della magistratura militare (tutela di particolari soggetti aventi una specifica qualità e di interessi particolarmente qualificati ecc.; trasformazione dell'originaria giustizia di Capi ecc.). Tutto ciò vale anche quando non si insista sugli eventuali mutamenti, che certo non competono a questa sede, della composizione, peraltro espressamente prevista dall'art. 104 Cost., del Consiglio superiore della magistratura.

2.-Le motivazioni addotte dall'Avvocatura dello Stato a sostegno dell'eccezione d'inammissibilità dell'ordinanza di rimessione non sono condivisibili.

Anzitutto non ha rilievo l'osservazione per la quale il giudice <a quo> non avrebbe dato dimostrazione d'operare in <situazione di non indipendenza>.

Non si riesce ad intendere quale dimostrazione il giudice rimettente debba mai offrire allorchè eccepisce la mancanza delle oggettive garanzie d'indipendenza che il secondo comma dell'art. 108 Cost. impone alla legge d'assicurare a tutti i magistrati delle giurisdizioni speciali, al pubblico ministero presso di esse ed agli estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia. Il secondo comma dell'art. 108 Cost. non sottopone ad alcuna condizione l'assicurazione delle predette, oggettive garanzie d'indipendenza. Nè va dimenticato che, quali che siano i riflessi, <in foro interno>, nel giudicante, della carenza di reali, oggettive garanzie d'indipendenza, le medesime, appunto perchè <garanzie>, valgono a prevenire attacchi all'autonomia ed indipendenza dell'esercizio delle funzioni giudiziarie e, comunque, non sono condizionate, nella loro attuazione, alla concreta esistenza di specifiche aggressioni alle predette autonomia ed indipendenza.

Se é vero che l'indipendenza é, nella materia in esame, forma mentale, costume, coscienza di un'entità professionale, non é men vero che, in mancanza di adeguate, sostanziale garanzie, essa, come é stato rilevato, degrada a velleitaria aspirazione.

Eccepita l'illegittimità costituzionale del primo comma dell'art. 15 della legge 1980 del 1981, non ha rilievo alcuno il fatto che il remittente sia divenuto, opportuno, giudice istruttore presso il tribunale militare di Bari in applicazione dello stesso primo comma dell'art. 15 e che il procedimento a quo sia il primo, opportuno, dei processi trattati dallo stesso remittente nella qualità innanzi indicata.

3. - La sollevata questione di legittimità costituzionale é certamente rilevante, nella specie, in quanto il primo comma dell'art. 15 della legge n. 180 del 1981 é regola che incide in modo diretto sulla giurisdizione dell'organo e sull'esercizio della medesima. Questa Corte, con la sentenza n. 25 del 1976, nel rigettare l'eccezione d'inammissibilità, per difetto di rilevanza, della questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, secondo comma, del d.l. n. 654 del 1948, in riferimento agli artt. 101, secondo comma, e 108, secondo comma, Cost., esplicitamente afferma che la rilevanza della predetta questione appare <incontestabile dal momento che trattasi precisamente di accertare la costituzionalità della normativa vigente per la nomina di parte dei componenti del C.G.A. in sede giurisdizionale, questione che incide in modo diretto sulla giurisdizione dell'organo, o quanto meno sull'esercizio della medesima>. Va, poi, tenuto conto che la questione di legittimità costituzionale attualmente sollevata dal giudice <a quo> attiene non soltanto alla regolarità della sua costituzione ma anche, e soprattutto, alla carenza di adeguate garanzie in ordine all'esercizio della potestà giurisdizionale.

Ove s'accedesse ad una diversa conclusione, le norme ordinarie relative alla costituzione del giudice, ordinario o speciale ed all'effettivo esercizio della potestà giurisdizionale, sarebbero assurdamente sottratte al vaglio di costituzionalità di questa Corte, potendo le parti non aver interesse a sollevare, in giudizio, eccezioni relative alla non regolare costituzione del giudice od alla mancanza di adeguate garanzie d'indipendenza degli organi giudiziari coinvolti nella decisione dei vari casi di specie.

4. -La questione sottoposta all'esame di questa Corte é, peraltro, certamente diversa da quella decisa dalla sentenza n. 29 del 1987. In quest'ultima si trattava di norme elettorali relative ad organi la cui composizione elettiva é espressamente prevista dalla Costituzione: nella presente sede é posta in discussione, invece, una norma <transitoria> che, si sostiene, per la sua illegittima permanenza, appunto impedisce l'attuazione della definitiva disciplina relativa all'autogoverno dei magistrati militari, da attuarsi attraverso la costituzione d'un regolare organo a composizione (anche) elettiva.

In conseguenza di quanto sopra rilevato, non risultando, in alcun modo, incerto il <petitum> di cui all'ordinanza del giudice <a quo>; non esistendo alcun altro motivo d'inammissibilità della questione sollevata dalla stessa ordinanza; poichè non é consentito decidere in base alla sola considerazione dell'eventuale <vuoto di disciplina> che verrebbe a prodursi in conseguenza della dichiarazione d'illegittimità costituzionale del primo comma dell'art. 15 della legge n. 180 del 1981 (vuoto di disciplina che spetterebbe, in ogni caso, al legislatore colmare) va rigettata l'eccezione d'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata dall'ordinanza di rimessione.

5. - Nel merito, la questione in esame é fondata.

Anche al fine della decisione di merito della stessa questione vale partire dalla sentenza di questa Corte n. 67 del 14 marzo 1984.

Va preliminarmente osservato che, pur essendo stato impugnato l'intero primo comma dell'art. 15 della legge in esame, poichè é da presumere che i provvedimenti relativi alle nomine, trasferimenti e conferimento di funzioni, di cui al primo periodo del predetto primo comma, <immediatamente necessari per l'attuazione> della legge in parola (che si dispone vengano assunti con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro della difesa, sentito il procuratore generale militare) siano già stati adottati, l'attenzione va rivolta, in particolare, al secondo periodo del precitato primo comma dell'art.; anche se i problemi relativi alla <dipendenza>, in materia, dei componenti degli organi giudiziari militari dal Ministro della difesa si pongano, ovviamente, anche, e maggiormente, per le procedure indicate nel primo periodo del più volte citato primo comma dell'art. 15.

La sentenza n. 67 del 1984, dopo aver ricordato che la legge n. 180 del 1981 é stata emanata nell'intento di dare attuazione al dettato costituzionale di cui all'art. 108, secondo comma; che il legislatore, assumendo come modello il Consiglio superiore della magistratura, ha previsto, appunto con la norma impugnata, l'istituzione di apposito organo, denominato di <autogoverno della magistratura militare>, disponendo in via transitoria, per la durata di non più d'un anno dalla entrata in vigore della legge, che i provvedimenti relativi alle nomine, trasferimenti e conferimenti di funzioni del personale della magistratura militare venissero adottati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro della difesa, sentito un comitato composto dal procuratore generale militare presso la Corte di Cassazione, dal presidente e dal procuratore generale e dai presidenti delle sezioni distaccate della Corte militare di appello; sottolineata la formulazione letterale, particolarmente energica, attraverso la quale e indicato il termine (<non più di un anno>) di valenza del procedimento di cui al secondo periodo del primo comma dell'art. 15 della legge in esame nonchè il carattere d'urgenza attribuito alla legge; conseguentemente dichiara che il legislatore <é tenuto, attuando l'art. 15 della legge n. 180 del 1981, ad assolvere senza ulteriori indugi l'impegno di creare l'organo che effettivamente assicuri l'indipendenza della giurisdizione militare>.

Vero é che l'obbligo del legislatore d'assicurare l'indipendenza della magistratura militare discende direttamente dall'art. 108, secondo comma, Cost. Va dato atto che, con la legge n. 180 del 1981, il legislatore ha inteso porre fine al regime previgente, indubbiamente non conforme a Costituzione, in tema d'ordinamento giudiziario militare di pace; e va dato anche atto che l'impegno, ex art. 15 della stessa legge, di costituire un apposito organo di <autogoverno della magistratura militare> equivale ad esplicito riconoscimento del dovere, allo stesso legislatore incombente ex art. 108, secondo comma, Cost.

Senonchè, il non aver previsto alcun termine per la costituzione dell'organo d'autogoverno della magistratura militare e l'aver introdotto, con l'art. 15 della legge in discussione, un sistema (di provvedimenti, compresi quelli disciplinari, di nomina, trasferimento e conferimento di funzioni del personale della magistratura militare) non dissimile, come si sa tra breve, da quello previgente (sistema che, comunque, doveva aver vigore per non più di un anno mentre sono trascorsi quasi sette anni) induce a ritenere ormai violato il secondo comma dell'art. 108 Cost.

Non si discute qui sulla necessaria gradualità nel dare completa attuazione al disposto costituzionale ora ricordato; ma (ormai) non é più tollerabile che, a quasi sette anni dall'entrata in vigore della legge n. 180 del 1981, venga ancora seguito un procedimento, relativo a tutti i provvedimenti, compresi quelli disciplinari, concernenti la magistratura militare, che ancora consente una <dipendenza> (almeno in ordine ai provvedimenti stessi) della predetta magistratura dall'esecutivo.

Va sottolineato che il parere del comitato, di cui all'art. 15 della legge in esame, costituito da componenti non elettivi e, pertanto, non rappresentativi, non può valere a garantire l'indipendenza di cui all'art. 108, secondo comma, Cost. Che se poi si considera che tal parere (il primo comma dell'art. 15 in discussione si esprime attraverso la formula <sentito un comitato...>) anche se obbligatorio non e vincolante e che il decreto del Presidente della Repubblica, relativo ai provvedimenti in discussione, e emanato <su proposta del Ministro della difesa> senza alcun altro intervento, si dovrà convenire che il sistema procedimentale in esame sostanzialmente non si discosta da quello vigente anteriormente alla legge n. 180 del 1981, sicuramente contrastante con la Costituzione, come riconosciuto dallo stesso legislatore del 1981.

Va chiarito che la decisione che qui si va ad assumere non tocca in alcun modo gli atti amministrativi e giurisdizionali già posti in essere in conseguenza del disposto di cui alla norma impugnata, tenuto conto della ricordata, necessaria gradualità nella completa attuazione della normativa costituzionale in materia e delle difficoltà contingenti che hanno potuto <rallentare> la preindicata attuazione. Ciò che non può esser tollerato é la protrazione ulteriore dell'inerzia del legislatore nell'integralmente mandare ad effetto il chiaro, inequivocabile disposto di cui all'art. 108, secondo comma, Cost.

L'illegittimità costituzionale del primo comma dell'art. 15 della legge in esame, che qui si va a dichiarare, derivata, appunto, dall'inerzia legislativa protrattasi per si lungo tempo, non incide, ripetesi, in alcun modo su quanto finora avvenuto, sia in via amministrativa sia in via giurisdizionale, sotto il vigore della citata norma ordinaria.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 15, primo comma, della legge 7 maggio 1981, n. 180, nella parte in cui consente che i provvedimenti di cui allo stesso articolo si ano ulteriormente adottati con la procedura indicata nella medesima disposizione.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 08/03/88.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Renato DELL'ANDRO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 09 Marzo 1988.