Sentenza n. 171 del 2018

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SENTENZA N. 171

ANNO 2018

 

 REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Giorgio                       LATTANZI                                       Presidente

-      Aldo                           CAROSI                                            Giudice

-      Marta                          CARTABIA                                             

-      Mario Rosario             MORELLI                                                

-      Giancarlo                    CORAGGIO                                            

-      Giuliano                      AMATO                                                   

-      Silvana                        SCIARRA                                                

-      Daria                           de PRETIS                                               

-      Nicolò                         ZANON                                                   

-      Franco                        MODUGNO                                             

-      Augusto Antonio       BARBERA                                              

-      Giulio                         PROSPERETTI                                        

-      Giovanni                     AMOROSO                                              

-      Francesco                    VIGANÒ                                                  

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 3; 4, comma 4; 5, comma 5; e 7, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 6 marzo 2017, n. 40 (Istituzione e disciplina del servizio civile universale, a norma dell’art. 8 della legge 6 giugno 2016, n. 106), promossi con ricorsi della Regione Veneto e della Regione Lombardia, notificati, rispettivamente, il 1°- 8 giugno e il 1° giugno 2017, depositati in cancelleria il primo il 7 giugno, il secondo il 9 giugno 2017, iscritti rispettivamente ai nn. 43 e 44 del registro ricorsi 2017 e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 28 e 29, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 3 luglio il Giudice relatore Giuliano Amato;

uditi gli avvocati Ezio Zanon e Luigi Manzi per la Regione Veneto, Maria Lucia Tamborino per la Regione Lombardia e l’avvocato dello Stato Leonello Mariani per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso spedito per la notificazione il 1° giugno 2017 e successivamente depositato il 7 giugno 2017 (reg. ric. n. 43 del 2017), la Regione Veneto ha promosso, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, 119, primo comma, e 120 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 4; 5, comma 5; e 7, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 6 marzo 2017, n. 40 (Istituzione e disciplina del servizio civile universale, a norma dell’art. 8 della legge 6 giugno 2016, n. 106).

1.1.– Premette la parte ricorrente che il servizio civile è sorto quale forma di difesa non armata dello Stato, alternativa del servizio militare di leva, quando questo rappresentava un dovere civile obbligatorio per il cittadino ai sensi dell’art. 52 Cost.

Il legame dell’istituto del servizio civile con la difesa dello Stato, tuttavia, si sarebbe attenuato con la sospensione della leva obbligatoria. Come chiarito da questa Corte (è richiamata in particolare la sentenza n. 119 del 2015), infatti, il servizio civile è ora un istituto volontario, al quale si accede per pubblico concorso, che consente di realizzare i doveri inderogabili di solidarietà e di rendersi utili alla propria comunità. Lo stesso concetto di difesa della Patria, d’altronde, avrebbe subito una significativa evoluzione, comprendendo anche attività d’impegno sociale non armato, che si traducono nella prestazione di servizi rientranti nella solidarietà e nella cooperazione a livello nazionale ed internazionale.

Ne consegue, pertanto, che sebbene la disciplina del servizio civile possa essere ascritta alla competenza esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera d), Cost., ciò «non comporta però che ogni aspetto dell’attività dei cittadini che svolgono detto servizio ricada nella competenza statale. Vi rientrano certamente gli aspetti organizzativi e procedurali del servizio. Questo, in concreto, comporta lo svolgimento di attività che investono i più diversi ambiti materiali, come l’assistenza sociale, la tutela dell’ambiente, la protezione civile: attività che, per gli aspetti di rilevanza pubblicistica, restano soggette alla disciplina dettata dall’ente rispettivamente competente, e dunque, se del caso, alla legislazione regionale o alla normativa degli enti locali, fatte salve le sole specificità direttamente connesse alla struttura organizzativa del servizio e alle regole previste per l’accesso ad esso» (sentenza n. 228 del 2004).

1.2.– Ciò premesso, sarebbe in primo luogo illegittimo l’art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 40 del 2017, per violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 120 Cost.

1.2.1.– Ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. n. 40 del 2017, la programmazione relativa alle attività del servizio civile universale è realizzata attraverso un piano triennale, articolato in piani annuali, che definisce gli obbiettivi e gli indirizzi generali in materia, programma gli interventi e ne individua gli standard qualitativi. Il comma 4, in particolare, prevede che i piani sono predisposti «dalla Presidenza del Consiglio dei ministri sentite le amministrazioni competenti per i settori previsti dall’articolo 3 e le regioni e sono approvati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previo parere della Consulta nazionale per il servizio civile universale e della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano».

Nel caso di specie non potrebbe farsi ricorso al criterio della prevalenza, poiché il dovere di difesa (anche se non armata) della Patria non sarebbe il preponderante riferimento costituzionale di un istituto che, dal punto di vista operativo, atterrebbe ad altre materie. Al più, il criterio di prevalenza opererebbe per gli aspetti strettamente organizzativi e procedimentali del sistema, nonché per quelli attinenti all’accesso al servizio civile, ma non riguardo allo svolgimento e alla programmazione delle attività in cui il servizio si concreta.

A fronte dell’intreccio tra competenze statali e regionali, invece, le norme impugnate prevedrebbero "a monte” una generica consultazione delle Regioni, a "valle” un semplice parere della Conferenza Stato-Regioni. Conseguentemente, incidendo sulle funzioni amministrative e legislative regionali, tali disposizioni sarebbero lesive del riparto di competenze delineato dalla Costituzione e del principio di leale collaborazione, che «deve in ogni caso permeare di sé i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie e che può ritenersi congruamente attuato mediante la previsione dell’intesa» (sentenza n. 21 del 2016).

1.3.– In secondo luogo, l’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 40 del 2017 lederebbe gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 120 Cost.

1.3.1.– La disposizione impugnata prevede che i programmi d’intervento di servizio civile «sono presentati da soggetti iscritti all’albo degli enti di servizio civile universale, previa pubblicazione di un avviso pubblico, e sono valutati ed approvati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, con il coinvolgimento delle regioni interessate e nei limiti della programmazione finanziaria prevista all’articolo 24».

Il «programma d’intervento», ai sensi dell’art. 1, comma 2, lettera a), del d.lgs. n. 40 del 2017, è il «documento proposto dagli enti iscritti all’albo degli enti di servizio civile universale, contenente un insieme organico di progetti di servizio civile universale coordinati tra loro e finalizzati ad intervenire in uno o più settori, anche aventi ad oggetto specifiche aree territoriali». I programmi, a loro volta, si articolano in specifici progetti. Ai sensi del successivo art. 5, comma 6, qualora riguardino «specifiche aree territoriali di una singola regione o di più regioni limitrofe, i programmi sono valutati ed approvati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri d’intesa con le regioni interessate».

Dunque, salvo il caso di specifiche aree territoriali di una singola Regione o di più Regioni limitrofe, i programmi d’intervento sono approvati dal Consiglio dei ministri con un generico coinvolgimento regionale.

In virtù del già ricordato intreccio di competenze statali e regionali, invece, sarebbe da ritenersi sempre necessaria l’intesa, sia al fine del rispetto delle attribuzioni regionali, sia come corretta forma di raccordo tra l’azione del Governo e quella delle Regioni.

1.4.– Da ultimo, secondo la Regione Veneto sarebbe illegittimo l’art. 7, comma l, lettera d), del d.lgs. n. 40 del 2017, in quanto lesivo dell’art. 119, primo comma, Cost.

1.4.1.– Siffatta disposizione stabilisce che le Regioni attuano «programmi di servizio civile universale con risorse proprie presso i soggetti accreditati all’albo degli enti di servizio civile universale, previa approvazione della Presidenza del Consiglio dei ministri, consistente nella verifica del rispetto dei principi e delle finalità del servizio civile universale di cui al presente decreto».

L’approvazione si concretizzerebbe in una sorta di controllo preventivo (o al limite di vigilanza) da esercitare su soggetti autonomi, quali le Regioni, relativamente a funzioni di competenza propria, attuate con provvedimenti interamente finanziati con risorse proprie. L’approvazione da parte dello Stato, per quanto limitata alla verifica del rispetto dei principi e delle finalità del servizio civile universale, dunque, sarebbe autoritativa ed unilaterale, senza alcuna forma di accordo con le Regioni, in violazione dell’autonomia di spesa di cui all’art. 119, primo comma, Cost.

2.– Con ricorso notificato il 1° giugno 2017 e successivamente depositato il 9 giugno 2017 (reg. ric. n. 44 del 2017), la Regione Lombardia ha promosso, in riferimento agli artt. 97, 114, primo comma, 117, 118, primo e terzo comma, 119, primo comma, e 120, secondo comma, Cost. e al principio di leale collaborazione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3; 4, comma 4; e 7, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 40 del 2017.

2.1.– Premette la Regione ricorrente che il servizio civile nasce quale istituto sostitutivo dell’obbligo di leva, che trova quindi il suo riferimento nell’art. 52 Cost. (sentenza n. 164 del 1985).

Con l’istituzione del servizio civile universale – disciplinato dalla legge 6 marzo 2001, n. 64 (Istituzione del servizio civile nazionale) e dal decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77 (Disciplina del Servizio civile nazionale a norma dell’articolo 2 della L. 6 marzo 2001, n. 64) – convivevano, in una prima fase, due forme di servizio civile: obbligatoria per gli obiettori di coscienza, su adesione volontaria per le giovani donne. La sospensione della leva obbligatoria a decorrere dal 1° gennaio 2005, prevista dalla legge 23 agosto 2004, n. 226 (Sospensione anticipata del servizio obbligatorio di leva e disciplina dei volontari di truppa in ferma prefissata, nonché delega al Governo per il conseguente coordinamento con la normativa di settore), ha dato inizio ad una seconda fase, con la partecipazione al servizio civile nazionale di tutti i giovani, di entrambi i sessi, tramite adesione volontaria.

La base costituzionale del servizio civile, quindi, non sarebbe più il solo art. 52 Cost., ma anche l’art. 2 Cost., con riferimento ai doveri di solidarietà (sono richiamate le sentenze n. 119 del 2015, n. 309 del 2013, n. 431 del 2005 e n. 228 del 2004).

Da ciò conseguirebbe che, sebbene la disciplina del servizio civile nazionale possa essere ascritta alla competenza esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera d), Cost., ciò non riguarderebbe ogni aspetto dell’attività dei cittadini che svolgono detto servizio.

2.2.– La Regione Lombardia impugna, in primo luogo, l’art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 40 del 2017, congiuntamente con l’art. 3, tenuto conto che quest’ultimo ne delimiterebbe l’ambito di operatività, indicando i settori di intervento dei piani, attinenti anche a competenze regionali (come per l’assistenza sociale, ad esempio). Il contenuto dell’art. 4, comma 4, sarebbe poi replicato all’art. 7, comma l, lettera a), e, dunque, l’accoglimento del ricorso dovrebbe avere effetti anche su quest’ultima disposizione.

2.2.1.– L’illegittimità delle disposizioni impugnate deriverebbe dalla mancata previsione dello strumento dell’intesa sul decreto di approvazione dei piani.

Il principio di leale collaborazione, infatti, sarebbe stato declinato nella giurisprudenza costituzionale già in epoca risalente (sono richiamate le sentenze n. 8 del 1985 e n. 219 del 1984), negli ambiti ove vi siano aree di sovrapposizione tra competenze e interessi, trovando una rafforzata conferma nel nuovo testo dell’art. 114 Cost., teso a porre sullo stesso piano i diversi livelli di governo (in tal senso viene richiamata la sentenza n. 31 del 2006).

La giurisprudenza costituzionale, specie nella «perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e più in generale dei procedimenti legislativi» (sentenza n. 278 del 2010), avrebbe valorizzato lo strumento dell’intesa (sono richiamate le sentenze n. 251, n. 21, n. 7 e n. l del 2016, n. 88 del 2014, n. 297 e n. 163 del 2012). Il sistema delle conferenze, in particolare, sarebbe «il principale strumento che consente alle Regioni di avere un ruolo nella determinazione del contenuto di taluni atti legislativi statali che incidono su materie di competenza regionale» e «[u]na delle sedi più qualificate per l’elaborazione di regole destinate ad integrare il parametro della leale collaborazione» (sentenza n. 401 del 2007).

Inoltre, dovrebbe considerarsi che l’art. 118, terzo comma, Cost. prevede forme di coordinamento fra Stato e Regioni in talune materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato («immigrazione» e «ordine pubblico e sicurezza»), nonché forme di intesa e coordinamento nella «tutela dei beni culturali». Tali materie sarebbero ricomprese nei settori d’intervento previsti dall’art. 3 del d.lgs. n. 40 del 2017 (in particolare, l’assistenza, il patrimonio storico, artistico e culturale, la promozione della pace tra i popoli, la promozione e la tutela dei diritti umani).

Neppure il criterio della prevalenza dissolverebbe i dubbi di legittimità della legge statale. L’art. 120, secondo comma, Cost., infatti, assocerebbe il principio di leale collaborazione al principio di sussidiarietà (è richiamata la sentenza n. 213 del 2006) e, dunque, la "chiamata” delle funzioni amministrative e legislative a livello statale, giustificata da esigenze di esercizio unitario, non potrebbe prescindere dal raggiungimento dell’intesa (ex plurimis, sono richiamate le sentenze n. 383 del 2005, n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003). In particolare, si tratterebbe dell’intesa "forte” (è richiamata la sentenza n. 207 del 1996), che deve prevedere idonee procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze, al cui eventuale esito negativo potrebbe essere rimessa al Governo una decisione unilaterale (ex plurimis, vengono richiamate le sentenze n. 33 del 2011, n. 121 del 2010 e n. 339 del 2005).

2.3.– Altresì illegittimo sarebbe l’art. 7, comma l, lettera d), del d.lgs. n. 40 del 2017, recante l’approvazione da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri sui programmi d’intervento di servizio civile attuati con risorse regionali.

2.3.1.– Tale disposizione delineerebbe un improprio subprocedimento, al di fuori di quanto previsto dall’art. 8, comma l, lettera d), della legge 6 giugno 2016, n. 106 (Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale), manifestando così la volontà governativa di esercitare un controllo finanziario e di merito sui programmi regionali di servizio civile.

La disciplina incorrerebbe proprio in quelle illegittimità costituzionali da cui questa Corte aveva ritenuto indenne il d.lgs. n. 77 del 2002 (sentenza n. 431 del 2005), poiché in tal caso era assicurato il coinvolgimento delle Regioni e delle Province autonome nell’esercizio delle funzioni amministrative relative al servizio civile nazionale, attraverso una pluralità di strumenti.

Sarebbe così violato il principio di attribuzione, poiché la potestà legislativa esclusiva dello Stato non potrebbe mai estendersi oltre i limiti indicati nell’art. 117, secondo comma, Cost., rientrando nella potestà residuale regionale quanto non esplicitamente incluso nella competenza dello Stato (è richiamata la sentenza n. 261 del 2011).

La disposizione impugnata lederebbe anche l’art. 118 Cost., poiché l’intervento legislativo pregiudicherebbe la concreta operatività delle amministrazioni comunali, anche per ciò che attiene all’esercizio delle funzioni amministrative di competenza regionale, in violazione altresì del principio di buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost.

Infine, verrebbe leso il principio di autonomia della spesa ex art. 119, primo comma, Cost. (tra le altre, sono richiamate le sentenze n. 64 del 2016, n. 77 del 2015 e n. 417 del 2005). Infatti, «il grado e la rilevanza costituzionale dell’autonomia politica della Regione si misura anche sul terreno della sottrazione dei propri organi e dei propri uffici ad un generale potere di sorveglianza da parte del Governo, analogo a quello che spetta invece nei confronti degli enti appartenenti al plesso organizzativo statale, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost.» (sentenza n. 219 del 2013). L’autonomia costituzionale del sistema regionale e l’interesse unitario alla sana gestione amministrativa e finanziaria dovrebbero essere pur sempre contemperati tra loro (come nel controllo sulla gestione operato dalla Corte dei conti, riguardo al quale è richiamata la sentenza n. 29 del 1995). La disposizione impugnata, invece, affiderebbe al Governo l’esercizio di un potere di verifica in danno delle Regioni e delle Province autonome, anche nel caso in cui non sussista alcuno squilibrio finanziario, neppure nei singoli settori d’intervento oggetto di disciplina. Ciò eccederebbe i limiti propri dei principi di coordinamento della finanza pubblica, poiché riserverebbe all’apparato ministeriale un compito improprio, in danno dell’autonomia regionale, nonché in difetto di proporzionalità tra il mezzo impiegato ed il fine perseguito, in violazione del principio di buona amministrazione.

3.– Con due atti depositati rispettivamente il 14 e il 19 luglio 2017, di contenuto parzialmente analogo, si è costituito in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni promosse dalle ricorrenti siano dichiarate inammissibili e comunque non fondate.

3.1.– Premette la difesa statale che nel disegno di cui alla legge n. 64 del 2001 e al d.lgs. n. 77 del 2002, dal punto di vista organizzativo, il servizio civile si era articolato su un livello centrale, facente capo all’Ufficio nazionale per il servizio civile, e su una pluralità di livelli periferici, ciascuno dei quali afferente ad una distinta Regione o Provincia autonoma. All’Ufficio nazionale spettavano l’organizzazione, l’attuazione, lo svolgimento, la programmazione, l’indirizzo, il coordinamento ed il controllo del servizio. Le Regioni e le Province autonome, invece, curavano l’attuazione degli interventi secondo le rispettive competenze, esprimendo, attraverso la Conferenza Stato-Regioni, un parere sul piano d’intervento formulato annualmente dall’Ufficio nazionale.

Le criticità manifestatesi in ordine alla realizzazione degli interventi avrebbero indotto il legislatore a superare tale modello organizzativo, con la previsione di una programmazione unitaria e coordinata degli interventi, sebbene aperta al contributo delle autonomie locali, nonché di un unico sistema di valutazione, monitoraggio e controllo, in grado di assicurare omogeneità di trattamento e d’intervento su tutto il territorio nazionale.

3.2.– Venendo alle singole questioni, secondo la difesa statale sarebbero in primo luogo inammissibili, e comunque non fondate, quelle promosse da entrambe le ricorrenti riguardo all’art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 40 del 2017 (in connessione con l’art. 3 nel ricorso della Regione Lombardia).

3.2.1.– In via preliminare, l’inammissibilità delle censure deriverebbe dalla mancata contestuale impugnazione dell’art. 6 del d.lgs. n. 40 del 2017, che, in attuazione dell’art. 8, comma 1, lettera d), della legge n. 106 del 2016, radica in capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri il potere di programmazione, organizzazione e attuazione del servizio civile universale, di cui la predisposizione e l’approvazione dei piani sarebbero espressione.

3.2.2.– Nel merito, l’art. 3, recante tra l’altro una mera elencazione descrittiva delle materie, e l’art. 4 del d.lgs. n. 40 del 2017 non comporterebbero alcuna sovrapposizione di competenze statali e regionali, rientrando il servizio civile universale, in applicazione del criterio della prevalenza, nel concetto ampio di difesa della Patria.

Il coinvolgimento dei diversi livelli di governo, inoltre, sarebbe assicurato attraverso una pluralità di strumenti, tali da delineare un sistema conforme ai principi dettati già dalla sentenza n. 228 del 2004. Il principio di leale collaborazione, d’altronde, sarebbe pur sempre caratterizzato da una naturale elasticità nelle sue varie declinazioni (è richiamata in particolare la sentenza n. 31 del 2006), in modo che il grado di coinvolgimento delle Regioni sia adeguato e proporzionato.

Rispetto alla previgente normativa, anzi, il d.lgs. n. 40 del 2017 conterrebbe una significativa apertura nei confronti delle Regioni, consultate sia nella predisposizione dei piani, sia nell’approvazione degli stessi, potendo così rappresentare adeguatamente ed efficacemente i fabbisogni dei rispettivi territori nei vari settori di intervento e di concorrere all’individuazione dei programmi e degli strumenti più idonei a soddisfarli, in coerenza con le politiche settoriali. Il vincolo che scaturisce dalla programmazione generale, d’altronde, sarebbe talmente ampio, elastico e di indirizzo da non poter costituire un vulnus della potestà legislativa regionale.

Pretendere che la cooperazione e la leale collaborazione si attuino nella forma dell’intesa, addirittura dell’intesa forte di cui all’art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3), significherebbe "degradare” il servizio civile universale a materia oggetto di competenza concorrente. Cosa ben diversa, invece, sarebbe il servizio civile volontario organizzato a livello locale, che risponderebbe, invece, a finalità che si esauriscono in prestazioni personali effettuate spontaneamente a favore di altri individui o della collettività, estranee alla difesa della Patria (è richiamata la sentenza n. 309 del 2013).

3.2.3.– Con specifico riferimento alle censure promosse dalla Regione Lombardia, non fondate sarebbero le doglianze mosse in relazione all’art. 118, terzo comma, Cost.

Le materie dell’immigrazione e della tutela dei beni culturali non figurerebbero, infatti, tra i settori di intervento nei quali si realizzano le finalità del servizio civile universale.

Quand’anche, con evidente forzatura del dato letterale, le si volesse ricondurre alle lettere g) (promozione e tutela dei diritti umani) e d) (patrimonio storico, artistico e culturale) dell’art. 3 del d.lgs. n. 40 del 2017, non sarebbe comunque leso l’art. 118, terzo comma, Cost., che si limiterebbe a prescrivere forme di coordinamento e d’intesa, senza però imporre l’adozione dell’uno o dell’altro strumento. Spetterebbe alla discrezionalità del legislatore statale, dunque, la scelta della modalità di coinvolgimento più opportuna a realizzare un armonico coordinamento e contemperamento degli interessi statali e regionali coinvolti. E, sebbene questa Corte abbia sempre più valorizzato l’intesa (è citata la sentenza n. 251 del 2016), quest’ultima non sarebbe l’unico strumento attraverso il quale si realizzerebbe la collaborazione fra i diversi livelli di governo.

3.3.− Per quanto concerne la questione relativa all’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 40 del 2017, promossa dalla Regione Veneto, secondo l’Avvocatura generale dello Stato la ricorrente incorrerebbe in un evidente errore d’impostazione.

Il principio di leale collaborazione, infatti, potrebbe articolarsi in differenti gradi di coinvolgimento regionale, a seconda del livello di programmazione in cui la codeterminazione della decisione deve concretizzarsi.

Più il livello di programmazione è generale e rispondente ad esigenze di coordinamento unitario e uniforme su tutto il territorio nazionale del servizio civile, più il coinvolgimento dovrebbe realizzarsi attraverso forme di codeterminazione della decisione elastiche (quali l’interpello, le consultazioni, gli scambi di informazioni o il parere). In questo senso, l’espressione «coinvolgimento delle regioni» dovrebbe essere letta come formula ampia e onnicomprensiva delle diverse e flessibili fasi dialogiche tra Stato e Regioni. In particolare, tale coinvolgimento dovrebbe intendersi quale partecipazione al processo di approvazione dei programmi, così che il sistema garantisca che le esigenze territoriali di ciascuna Regione siano coerentemente oggetto di valutazione ed apprezzamento qualificato.

Quando, invece, il livello di programmazione è più specifico e riguarda un ambito territoriale limitato, il coinvolgimento regionale dovrebbe realizzarsi nella forma dell’intesa, come previsto dall’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 40 del 2017 per i programmi di intervento che riguardano specifiche aree territoriali di una singola Regione o di più Regioni limitrofe.

Il legislatore delegato, dunque, avrebbe adottato una gradualità degli strumenti di leale collaborazione, rapportata al livello d’interesse coinvolto (sono richiamate le sentenze n. 213 e n. 63 del 2006, n. 467 e n. 50 del 2005), pur nell’affermata centralità dello Stato nelle materie di sua competenza esclusiva (è richiamata in particolare la sentenza n. 31 del 2006).

3.4.– Da ultimo, in riferimento alle questioni promosse da entrambe le ricorrenti riguardo all’art. 7, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 40 del 2017, le stesse sarebbero inammissibili e comunque non fondate.

3.4.1.– L’inammissibilità delle censure regionali deriverebbe dalla mancata contestuale impugnazione dell’art. 5, comma 9, del medesimo d.lgs., recante una norma d’identico tenore.

3.4.2.– Nel merito, la verifica del rispetto dei principi e delle finalità del servizio civile universale atterrebbe senza dubbio all’organizzazione del servizio civile, di competenza esclusiva dello Stato. Si tratterebbe, infatti, di profili tesi ad assicurare quel coordinamento, strumentale all’esercizio unitario della funzione, che giustifica l’attribuzione allo Stato dei poteri di programmazione, organizzazione, accreditamento e controllo del servizio civile universale (è richiamata in particolare la sentenza n. 431 del 2005). Inoltre, l’approvazione non si risolverebbe in un controllo né finanziario, né di merito. Lo Stato, infatti, non svolgerebbe un sindacato sulle modalità di allocazione ed utilizzo delle risorse finanziarie regionali o sul contenuto dei programmi, se non al limitato fine di verificarne la coerenza con i principi e le finalità del servizio civile universale. Il provvedimento statale di approvazione, dunque, non costituirebbe un atto autoritativo ed unilaterale di controllo, né un’autorizzazione di spesa, ma un mero atto di coordinamento, anche al fine di evitare abusi e distorsioni del sistema.

Le Regioni, d’altronde, non potrebbero pretendere che sia loro riservato un trattamento diverso da quello previsto, in via generale, per tutti gli altri soggetti, pubblici e privati, legittimati ad attivare progetti di servizio autofinanziati. Tutti i progetti di servizio civile universale, infatti, quale che sia la fonte e la modalità di finanziamento, dovrebbero essere rispettosi della normativa statale di riferimento e coerenti con i principi e le finalità da questa indicati.

In questa prospettiva, la verifica demandata alla Presidenza del Consiglio dei ministri risulterebbe essenziale. In primo luogo, per ragioni di carattere giuridico-formale, perché in sua assenza la qualificazione dell’intervento proposto verrebbe in definitiva lasciata all’esclusiva valutazione del soggetto promotore e finanziatore. In secondo luogo, per altrettanto evidenti ragioni di ordine organizzativo-funzionale, tenuto conto che anche per i progetti autofinanziati gli adempimenti amministrativi rimarrebbero in capo all’amministrazione statale (pubblicazione del bando di selezione dei volontari, stipula dei relativi contratti, erogazione dell’assegno mensile, controlli, monitoraggi e verifiche ispettive).

3.4.3.– Con specifico riferimento alle doglianze della Regione Lombardia, non si comprenderebbe la ragione per la quale la disposizione impugnata violerebbe anche l’art. 118 Cost, dal momento che l’attrazione alla competenza statale delle funzioni si giustificherebbe proprio in ragione di quell’esigenza di esercizio unitario dei compiti postulata dal carattere nazionale ed universale del servizio civile

Del tutto oscuro sarebbe il riferimento operato agli artt. 97 e 118 Cost. per dimostrare la compressione dell’esercizio di funzioni amministrative di spettanza regionale, nonché il pregiudizio alla concreta operatività delle amministrazioni comunali. Le affermazioni sarebbero caratterizzare da un’assoluta apoditticità e genericità, mere petizioni di principio prive di qualsiasi aggancio testuale e, soprattutto, di qualsiasi indicazione circa le funzioni amministrative in questione.

4.– In prossimità dell’udienza del 17 aprile 2018 entrambe le Regioni hanno presentato memorie.

4.1.– Con riferimento alle questioni relative all’art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 40 del 2017, le ricorrenti ritengono non fondate le eccezioni d’inammissibilità dedotte dalla difesa statale. In particolare, la mancata contestuale impugnazione dell’art. 6 del d.lgs. n. 40 del 2017 sarebbe del tutto irrilevante, venendo in contestazione non l’attribuzione alla Presidenza del Consiglio dei ministri della funzione di programmazione ivi prevista in via generale, ma l’assenza di un adeguato coinvolgimento regionale nell’approvazione dei piani. Pertanto, sarebbe proprio la disposizione impugnata, che prevede a tal fine il mero parere della Conferenza Stato-Regioni, a determinare la lesione delle prerogative regionali.

4.1.1.– La Regione Veneto specifica, inoltre, che non ogni attività solidaristica potrebbe essere ricondotta al concetto di «difesa non armata» della Patria, la quale dovrebbe comunque riferirsi ad una potenziale aggressione esterna o interna. Non a caso, l’art. 3 del d.lgs. n. 40 del 2017 prevedrebbe solo alla lettera g) la difesa non armata come settore d’intervento in cui si realizzano le finalità del servizio civile universale, mentre tutte le altre attività sarebbero elencate e previste in modo distinto e difficilmente potrebbero essere qualificate come attività difensive. Per tali profili, pertanto, il fondamento costituzionale della disciplina in esame sarebbero i valori di solidarietà di uguaglianza e di sviluppo della persona umana, e non l’art. 52 Cost.

4.1.2.– La Regione Lombardia sottolinea, infine, che le argomentazioni della difesa statale, in ogni caso, non supererebbero le eccezioni proposte dalla ricorrente, in quanto i riferimenti a «immigrazione» e «tutela dei beni culturali», di cui all’art. 118 Cost., non dovrebbero essere letti come "materie”, ma come "servizi”, che rientrerebbero nelle lettere g) e d) dell’art. 3 del d.lgs. n. 40 del 2017. Inoltre, l’art. 118 Cost. si riferirebbe a forme di coordinamento ed intesa e non a un mero coinvolgimento rimesso alla discrezionalità del legislatore statale.

4.2.– Riguardo alla questione concernente l’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 40 del 2017, secondo la Regione Veneto il legislatore statale avrebbe previsto una differenza tra un livello di programmazione generale e un livello di programmazione locale, senza che però a ciò sia collegato un differente grado di dettaglio dei programmi. Conseguentemente, anche la programmazione generale potrebbe essere di estremo dettaglio, con la necessità, quindi, dell’intesa, alla luce del principio di leale collaborazione.

L’argomentazione della difesa statale potrebbe essere convincente solo se la legislazione prevedesse piani d’intervento generali a maglie larghe e piani d’intervento d’area di dettaglio. Invece, i piani d’intervento generali potrebbero riguardare anche una singola Regione e, pertanto, non vi sarebbe motivo alcuno di non richiedere anche per essi l’intesa con la stessa.

4.3.– Infine, in relazione alle questioni riferite all’art. 7, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 40 del 2017, secondo entrambe le ricorrenti l’eccezione d’inammissibilità per la mancata contestuale impugnazione dell’art. 5, comma 9, tra l’altro priva di argomentazione, sarebbe non fondata, perché non si vedrebbe il motivo per cui tale mancata impugnazione possa portare di per sé all’inammissibilità della questione. Inoltre, l’art. 5, comma 9, non solo opererebbe in via residuale, ma non farebbe riferimento alle Regioni, indicando tra i destinatari gli «altri enti pubblici territoriali».

4.3.1.– La Regione Veneto sottolinea che il d.lgs. n. 40 del 2017 non individuerebbe in modo esplicito né i criteri, né le finalità del controllo attribuito alla Presidenza del Consiglio dei ministri, che, dunque, dovrebbero essere desunti dalla legge delega. I criteri ivi indicati, però, sarebbero necessariamente generali e non potrebbero assumere il ruolo di parametro di riferimento per la valutazione dei programmi regionali, per la loro non sufficiente determinatezza. Un controllo fondato su parametri così vaghi, pertanto, rappresenterebbe un’evidente lesione dell’autonomia di spesa della Regione.

5.– Anche la difesa statale ha presentato ulteriori memorie in cui, oltre a ribadire le conclusioni già illustrate nei due atti di costituzione, ha eccepito un ulteriore motivo d’inammissibilità, relativo a tutte le censure promosse dalle ricorrenti.

5.1.– La Conferenza unificata, in data 24 novembre 2016, ha espresso, ai sensi dell’art. 1, comma 4, della legge n. 106 del 2016, parere favorevole sullo schema del d.lgs. n. 40 del 2017, con talune proposte emendative, riferite anche alle disposizioni impugnate, accolte dal Governo. Dal processo verbale della relativa seduta, inoltre, non risulterebbe alcuna manifestazione di dissenso da parte delle Regioni ricorrenti.

Pertanto, si sarebbe determinata l’acquiescenza delle Regioni rispetto al contenuto del decreto, con la conseguente inammissibilità dell’impugnativa. Infatti, la giurisprudenza di questa Corte, a detta della difesa statale, sarebbe da tempo orientata nel senso di ritenere inammissibili i ricorsi proposti avverso atti alla cui formazione i ricorrenti abbiano contribuito con il proprio assenso (è richiamata sentenza n. 507 del 2002). Solo la manifestazione esplicita del dissenso, anteriore all’approvazione della normativa oggetto di concertazione e puntualmente documentato, renderebbe ammissibile un’impugnativa, da parte della Regione dissenziente, dell’atto normativo, nel testo poi definitivamente approvato (viene citata la sentenza n. 275 del 2011).

6.– All’udienza del 17 aprile 2018, su istanza della Regione Veneto accolta dalle altre parti, è stato disposto il rinvio della discussione di entrambi i giudizi, successivamente fissata per l’udienza del 3 luglio 2018. Tale rinvio trovava giustificazione nell’entrata in vigore del decreto legislativo 13 aprile 2018, n. 43 (Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 6 marzo 2017, n. 40, concernente: «Istituzione e disciplina del servizio civile universale, a norma dell’articolo 8 della legge 6 giugno 2016, n. 106»), recante interventi correttivi al d.lgs. n. 40 del 2017.

7.– In prossimità dell’udienza del 3 luglio 2018 tutte le parti hanno presentato memorie.

7.1.– La Regione Lombardia, oltre a ribadire le conclusioni rassegnate nel ricorso introduttivo, ha replicato alle argomentazioni della difesa statale, nonché preso in considerazione le innovazioni introdotte dal d.lgs. n. 43 del 2018 che, in ogni caso, lascerebbero impregiudicate le censure relative all’art. 7, comma 1, lettera d).

7.1.1.– La parte ricorrente sottolinea, in primo luogo, che le modifiche apportate, rispettivamente, dagli artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 43 del 2018 all’art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 40 del 2017, nonché all’art. 7, comma 1, lettera a), non muterebbero la sostanza delle disposizioni impugnate. Il legislatore statale, infatti, ha introdotto l’intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni – ai sensi dell’art. 3, comma 3, del decreto legislativo 28 agosto 1997 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato - città ed autonomie locali) – sul decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per l’approvazione dei piani di servizio civile universale. Tuttavia, qualora non si raggiunga l’intesa, il Consiglio dei ministri può comunque provvedere con deliberazione motivata.

La nuova formulazione dell’art. 4, comma 4, dunque, non avrebbe carattere satisfattivo, poiché consentirebbe il superamento unilaterale del dissenso regionale per il raggiungimento dell’intesa, mentre sarebbe stato necessario prevedere un’intesa forte. Ciò contrasterebbe altresì con l’esigenza di unitarietà che, in quanto espressione dell’art. 118, primo comma, Cost., sarebbe il fondamento della chiamata in sussidiarietà e, conseguentemente, dell’intesa stessa (sul punto si richiama la sentenza n. 121 del 2010).

Inoltre, il Governo non avrebbe dato alcun elemento che comprovi la mancata applicazione delle disposizioni impugnate, mentre, anzi, vi sarebbe stata una prima fase sperimentale di esecuzione delle stesse (di cui all’avviso della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale del 3 agosto 2017).

Non si determinerebbero, in definitiva, le condizioni richieste dalla giurisprudenza costituzionale perché debba essere dichiarata la cessazione della materia del contendere (sul punto sono richiamate le sentenze n. 246, n. 228, n. 218 e n. 187 del 2013 e n. 300 del 2012) e la questione dovrebbe essere trasferita sulla nuova formulazione dell’art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 40 del 2017 (vengono richiamate le sentenze n. 219 del 2013 e n. 162 del 2007).

7.1.2.– La Regione Lombardia, in secondo luogo, contesta l’eccezione d’inammissibilità dell’Avvocatura generale dello Stato, per intervenuta acquiescenza alla luce del parere favorevole espresso dalla Conferenza unificata sullo schema del decreto legislativo impugnato.

Le pronunce richiamate dalla difesa statale a sostegno di tale tesi, adottate da questa Corte in sede di conflitto di attribuzione, non sarebbero pertinenti, in quanto relative al perfezionamento d’intese, che si sostanziano in una paritaria codeterminazione del contenuto dei provvedimenti da adottare (ex plurimis, sono richiamate le sentenze n. 121 del 2010, n. 21 del 2006 e n. 27 del 2004). Questione del tutto differente, invece, sarebbe l’espressione del parere sugli schemi di provvedimenti legislativi, che mai potrebbe assumere quel carattere negoziale proprio degli atti d’intesa.

7.2.− Anche la Regione Veneto, oltre a ribadire le argomentazioni di cui al ricorso introduttivo, ha replicato alle eccezioni d’inammissibilità sollevate dalla difesa statale, argomentando altresì riguardo alle innovazioni introdotte dal d.lgs. n. 43 del 2018.

7.2.1.− Siffatte innovazioni non sarebbero satisfattive delle ragioni espresse nel ricorso.

Il legislatore statale, infatti, avrebbe previsto una mera intesa debole, mentre sarebbe stato necessario stabilire strumenti di cooperazione con meccanismi per il superamento delle divergenze basati sulla reiterazione delle trattative o su specifici strumenti di mediazione, senza la possibilità dell’assunzione unilaterale dell’atto da parte dell’autorità centrale in caso di mancato raggiungimento dell’intesa entro un determinato periodo di tempo (ex plurimis, sono richiamate le sentenze n. 239 del 2013, n. 179 del 2012, n. 165 del 2011 e n. 378 del 2005).

Dunque, sarebbero sostanzialmente rimaste immutate, sia la lesione alle competenze regionali lamentate con l’originario ricorso, sia l’essenza della norma impugnata, che contemplerebbe comunque la possibilità di una decisione unilaterale su materie di competenza anche regionale. Pertanto, dovrebbe disporsi il trasferimento della questione di legittimità costituzionale dall’art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 40 del 2017, dalla sua versione originale a quella novellata (da ultimo, è richiamata la sentenza n. 44 del 2018).

7.2.2.− Inoltre, non sarebbe fondata l’eccezione d’inammissibilità sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato per intervenuta acquiescenza.

Com’è noto, infatti, nel processo costituzionale non troverebbe applicazione tale istituto, per cui la circostanza che in sede di Conferenza unificata sia stato dato un parere favorevole allo schema di decreto legislativo non precluderebbe la possibilità di proporre successivamente ricorso avverso il medesimo (tra le tante, si richiamano le sentenze n. 187 e n. 165 del 2011, n. 40 del 2010, n. 98 del 2007, n. 74 del 2001 e n. 20 del 2000).

7.3.− L’Avvocatura generale dello Stato, oltre a dar conto delle vicende successive alla proposizione dei ricorsi, ha insistito nel rigetto degli stessi, ribadendo le eccezioni d’inammissibilità e le ragioni di non fondatezza argomentate nell’atto di costituzione.

7.3.1.− In particolare, troverebbe conferma l’inammissibilità delle censure regionali relative all’art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 40 del 2017, in quanto il potere statale di programmazione, organizzazione e attuazione del servizio civile universale, di cui al successivo art. 6, non sarebbe stato oggetto di censura da parte delle ricorrenti. Inoltre, tale potere sarebbe disciplinato già dall’art. 8, comma 1, lettera d), della legge n. 106 del 2016, che si limiterebbe a prevedere un generico coinvolgimento regionale nella sola fase di realizzazione dei programmi da parte di enti locali, altri enti pubblici territoriali ed enti del terzo settore. Siffatta disposizione della legge di delega non sarebbe stata oggetto d’impugnazione da parte delle Regioni, con conseguente ulteriore ragione d’inammissibilità dei ricorsi.

7.3.2.− Con riferimento alle novità introdotte dal d.lgs. n. 43 del 2018, la difesa statale sottolinea che le stesse comporterebbero, in relazione alle censure promosse nei confronti dell’art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 40 del 2017, la totale cessazione della materia del contendere, poiché per l’approvazione dei piani è ora necessaria l’intesa con la Conferenza Stato-Regioni.

La competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia, inoltre, renderebbe del tutto coerente il richiamo all’intesa ex art. 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali), tenuto conto, tra l’altro, che la stessa distinzione tra intesa debole e intesa forte non avrebbe più ragione di esistere. Come sottolineato da questa Corte, infatti, anche per le intese di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 281 del 1997 sarebbero comunque previsti meccanismi di superamento del dissenso, sostanzialmente basati sulla necessità di una pregnante e stringente motivazione. Eventuali difetti di questa motivazione e della dialettica ad essa sottesi, semmai, potrebbero essere fatti valere dalle Regioni nelle sedi appropriate, anche in sede di giudizio sui conflitti d’attribuzione (sul punto è richiamata la sentenza n. 1 del 2016).

Ricorrerebbero, quindi, i presupposti richiesti dalla giurisprudenza costituzionale per la cessazione della materia del contendere (viene richiamata, da ultimo, la sentenza n. 59 del 2017), ossia il carattere satisfattivo delle modifiche legislative e la mancata applicazione delle disposizioni impugnate (circostanza, quest’ultima, documentata dall’amministrazione competente).

Considerato in diritto

1.– La Regione Veneto (reg. ric. n. 43 del 2017) e la Regione Lombardia (reg. ric. n. 44 del 2017) hanno impugnato diverse disposizioni del decreto legislativo 6 marzo 2017, n. 40 (Istituzione e disciplina del servizio civile universale, a norma dell’art. 8 della legge 6 giugno 2016, n. 106).

In particolare, entrambe le Regioni censurano l’art. 4, comma 4 – la Regione Lombardia in connessione con l’art. 3 – e l’art. 7, comma 1, lettera d), mentre la sola Regione Veneto impugna l’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 40 del 2017.

2.– In considerazione della parziale identità delle norme denunciate e delle censure proposte, i due giudizi devono essere riuniti per essere trattati congiuntamente e decisi con un’unica pronuncia.

3.– Un primo gruppo di censure, promosse da entrambe le ricorrenti, concerne l’art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 40 del 2017, ove si prevede che l’attività di programmazione del servizio civile universale è predisposta «dalla Presidenza del Consiglio dei ministri sentite le amministrazioni competenti per i settori previsti dall’articolo 3 e le regioni e sono approvati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previo parere della Consulta nazionale per il servizio civile universale e della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano».

La sola Regione Lombardia censura tale disposizione in connessione con l’art. 3, che individua i settori di intervento nei quali si realizzano le finalità del servizio civile universale.

3.1.– Secondo la Regione Veneto, la disposizione impugnata sarebbe lesiva degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 120 della Costituzione. Infatti, a fronte delle forme d’intesa previste nel caso di attività dove sono particolarmente intrecciati i compiti dei vari livelli di governo, si stabilirebbe una modalità di programmazione del servizio civile universale decisa con l’acquisizione di un semplice parere della Conferenza Stato-Regioni, preceduta da una generica consultazione delle Regioni.

3.2.– La Regione Lombardia, invece, asserisce che gli artt. 3 e 4 del d.lgs. n. 40 del 2017 violerebbero il principio di leale collaborazione di cui agli artt. 114, primo comma, e 118, terzo comma, Cost., il principio di attribuzione di cui all’art. 117 Cost. e il principio di sussidiarietà, come declinato all’art. 118, primo comma, e all’art. 120, secondo comma, Cost. Anche per tale parte ricorrente, in settori che rientrerebbero chiaramente in ambiti di competenza legislativa e amministrativa delle Regioni, sarebbe necessaria l’intesa in Conferenza Stato-Regioni sulla programmazione.

4.– La sola Regione Veneto censura l’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 40 del 2017, in forza del quale i programmi di intervento «sono presentati da soggetti iscritti all’albo degli enti di servizio civile universale, previa pubblicazione di un avviso pubblico, e sono valutati ed approvati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, con il coinvolgimento delle regioni interessate e nei limiti della programmazione finanziaria prevista all’articolo 24».

Tale disposizione lederebbe gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 120 Cost., poiché, in virtù dell’intreccio di competenze, sarebbe da ritenersi necessaria un’intesa, sia al fine del rispetto delle attribuzioni regionali, sia come corretta forma di raccordo tra l’azione del Governo e quella delle Regioni.

5.– Da ultimo, entrambe le ricorrenti impugnano l’art. 7, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 40 del 2017. Ivi, è stabilito che le Regioni «attuano programmi di servizio civile universale con risorse proprie presso i soggetti accreditati all’albo degli enti di servizio civile universale, previa approvazione della Presidenza del Consiglio dei ministri, consistente nella verifica del rispetto dei principi e delle finalità del servizio civile universale di cui al presente decreto.».

5.1.– La Regione Veneto ritiene tale disposizione lesiva dell’art. 119, primo comma, Cost., in quanto l’approvazione si concretizzerebbe in una sorta atto di controllo preventivo, autoritativo ed unilaterale, senza alcuna forma di accordo con le Regioni, relativamente a funzioni di competenza delle stesse e attuate con provvedimenti interamente finanziati con risorse proprie.

5.2.– Secondo la Regione Lombardia, invece, sarebbero violati i principi di buona amministrazione, proporzionalità e ragionevolezza, di cui all’art. 97 Cost., incidendo sul principio di attribuzione ex art. 117 Cost., e il principio di autonomia finanziaria di spesa di cui all’art. 119, primo comma, Cost. L’approvazione, infatti, costituirebbe un improprio e illegittimo subprocedimento all’interno del procedimento regionale, espressione della volontà governativa di esercitare un controllo finanziario e di merito dei programmi regionali di servizio civile.

6.– Prima di esaminare le singole questioni deve rigettarsi l’eccezione d’inammissibilità sollevata dalla difesa statale, relativa a tutte le censure promosse dalle Regioni ricorrenti, per intervenuta acquiescenza, desumibile dal parere favorevole sullo schema del d.lgs. n. 40 del 2017 espresso dalla Conferenza unificata.

Com’è noto, infatti, l’istituto dell’acquiescenza non è applicabile nel giudizio di legittimità costituzionale in via principale (ex plurimis, sentenze n. 169 del 2017, n. 231 del 2016, n. 215 e n. 124 del 2015, n. 139 del 2013, n. 71 del 2012 e n. 187 del 2011).

7.– Ciò premesso, possono essere prese in esame le questioni promosse da entrambe le ricorrenti in relazione all’art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 40 del 2017, dalla sola Regione Lombardia in connessione con l’art. 3.

7.1.– In via preliminare, devono essere esaminate le sopravvenute modifiche all’art. 4, comma 4, di cui all’art. 2 del decreto legislativo 13 aprile 2018, n. 43 (Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 6 marzo 2017, n. 40, concernente: «Istituzione e disciplina del servizio civile universale, a norma dell’articolo 8 della legge 6 giugno 2016, n. 106»).

7.1.1.– Tali modifiche, in primo luogo, non possono ritenersi idonee a determinare la cessazione della materia del contendere.

Com’è noto, a tal fine sono necessarie la sopravvenuta abrogazione o modificazione delle norme censurate in senso satisfattivo della pretesa avanzata con il ricorso, nonché la mancata applicazione, medio tempore, delle norme abrogate o modificate (ex plurimis, sentenze n. 44 del 2018, n. 59 del 2017, n. 246, n. 228 e n. 187 del 2013).

Se la seconda delle condizioni indicate potrebbe dirsi realizzata – poiché, come confermato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale, la prima fase sperimentale non ha comportato l’adozione dei piani – le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 43 del 2018 non possono ritenersi satisfattive delle ragioni delle ricorrenti.

L’art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 40 del 2017, infatti, viene censurato non tanto per la previsione del mero parere della Conferenza Stato-Regioni sul decreto di adozione dei piani, quanto per la mancata previsione dell’intesa "forte” di cui all’art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3). La novella legislativa, invece, ha introdotto l’intesa ex art. 3, comma 3, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali), che, decorso il termine ivi previsto, può essere superata con delibera motivata del Consiglio dei ministri.

7.1.2.– Ciò precisato, non può ritenersi possibile il trasferimento delle questioni sulla nuova formulazione dell’art. 4, comma 4.

Com’è noto, «la questione di legittimità deve essere trasferita quando la disposizione impugnata sia stata modificata marginalmente, senza che ne sia conseguita l’alterazione della sua portata precettiva (sentenze n. 30 e n.193 del 2012). Il trasferimento deve invece escludersi se, a seguito della modifica, la disposizione risulti dotata "di un contenuto radicalmente innovativo rispetto alla norma originaria” (sentenza n. 219 del 2013); nel qual caso la nuova disposizione va impugnata con autonomo ricorso, senza che sia possibile il trasferimento che altrimenti "supplirebbe impropriamente all’onere di impugnazione” (sentenze n. 40 del 2016, n. 17 del 2015, n. 138 del 2014 e n. 300 del 2012; nello stesso senso, sentenza n. 32 del 2012)» (sentenza n. 44 del 2018).

È indubbio che l’intesa, debole o forte che sia, costituisce comunque un atto radicalmente diverso dal parere. Nel primo caso, infatti, la Conferenza Stato-Regioni partecipa alla definizione del contenuto dell’atto; nel secondo caso, invece, svolge un mero ruolo consultivo in relazione ad un contenuto predeterminato da un altro soggetto.

Da ciò si desume l’insussistenza dei presupposti per il trasferimento della questione sulla disposizione sopravvenuta e, pertanto, lo scrutinio di costituzionalità deve essere effettuato sul testo originario dell’art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 40 del 2017.

7.2.– Sempre in via preliminare, la difesa statale ha eccepito l’inammissibilità delle censure regionali per la mancata contestuale impugnazione dell’art. 6 del d.gs. n. 40 del 2017, che attribuisce alla Presidenza del Consiglio dei ministri la competenza in materia di programmazione, organizzazione e attuazione del servizio civile universale. Si tratterebbe, inoltre, di una disposizione il cui contenuto sarebbe già indicato dall’art. 8, comma l, lettera d), della legge 6 giugno 2016, n. 106 (Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale), ove chiaramente si attribuisce allo Stato la competenza in materia di programmazione, prevedendo un intervento delle Regioni solo per la realizzazione dei programmi, tra l’altro nella forma di un generico coinvolgimento. Tale disposizione di delega non sarebbe stata al tempo impugnata dalle ricorrenti.

L’eccezione non è fondata.

Le ricorrenti, infatti, non contestano l’attribuzione allo Stato della potestà di programmazione in materia di servizio civile nazionale. Oggetto di censura, invece, è la mancata previsione di un adeguato coinvolgimento regionale sul decreto di adozione dei piani, poiché per tali profili la programmazione interferirebbe con competenze delle Regioni.

Correttamente, pertanto, è stato impugnato il solo art. 4, comma 4, che, nel declinare le modalità in cui la programmazione deve esercitarsi, lederebbe, a detta delle ricorrenti, le competenze regionali e il principio di leale collaborazione, di per sé non violati dalla mera attribuzione allo Stato delle funzioni programmatorie, bensì dalle modalità di esercizio delle stesse.

7.3.– Nel merito le questioni non sono fondate.

7.3.1.– Le disposizioni oggetto di censura disciplinano taluni aspetti organizzativi e procedurali del servizio civile nazionale, che devono essere ricondotti alla potestà esclusiva statale in materia di «difesa» ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera d), Cost.

Come già affermato da questa Corte, infatti, l’art. 52 Cost. configura la difesa della Patria come sacro dovere, che ha un’estensione più ampia dell’obbligo di prestare servizio militare. Si tratta di un dovere che si collega intimamente e indissolubilmente all’appartenenza alla comunità nazionale e trascende lo stesso dovere del servizio militare.

Da ciò derivano, pertanto, la possibilità e l’utilità di adempiere ad esso anche attraverso adeguate attività di impegno sociale non armato (sentenza n. 164 del 1985). Si tratta di attività che corroborano il tessuto connettivo della società, con ciò rafforzando il senso di appartenenza alla comunità nazionale e realizzando in tal modo una difesa della Patria non meno pregnante di quella propria del servizio militare (sentenza n. 119 del 2015).

Il legame tra gli artt. 52 e 2 Cost., riconosciuto anche dalle parti ricorrenti, costituiva una caratteristica del servizio civile già quando lo stesso era disciplinato quale alternativa alla leva obbligatoria. La sospensione di quest’ultima, pur configurando ora tale servizio quale frutto di una scelta volontaria, non muta né la natura, né le finalità dell’istituto.

La volontarietà, che caratterizza ormai lo stesso servizio militare, riguarda, d’altronde, solo la scelta iniziale, in quanto il rapporto è poi definito da una dettagliata disciplina dei diritti e dei doveri, «che permette di configurare il servizio civile come autonomo istituto giuridico in cui prevale la dimensione pubblica, oggettiva e organizzativa. D’altra parte, il dovere di difendere la Patria deve essere letto alla luce del principio di solidarietà espresso nell’art. 2 della Costituzione, le cui virtualità trascendono l’area degli "obblighi normativamente imposti”, chiamando la persona ad agire non solo per imposizione di una autorità, ma anche per libera e spontanea espressione della profonda socialità che caratterizza la persona stessa.» (sentenza n. 228 del 2004).

7.3.2.– Alla luce di tale ricostruzione, pertanto, la disciplina del servizio civile nazionale, anche di quello di natura volontaria, non può che rientrare nella competenza statale prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera d), Cost., ove si riserva alla legislazione esclusiva dello Stato non solo la materia «forze armate», ma anche la «difesa», che, come sottolineato, comprende altresì forme di difesa "civile”, concorrenti con la difesa "armata” della Patria (sentenze n. 119 del 2015 e n. 228 del 2004).

Come già affermato da questa Corte, nella potestà esclusiva dello Stato rientrano gli aspetti organizzativi e procedurali del servizio, mentre quelli concernenti i vari settori materiali restano soggetti alla disciplina dettata dall’ente rispettivamente competente (sentenze n. 431 del 2005 e n. 228 del 2004).

La legge regionale, dunque, può senz’altro intervenire negli ambiti di propria competenza, nel rispetto però delle linee d’indirizzo e coordinamento tracciate a livello centrale e delle norme di produzione statale recanti le caratteristiche uniformi per tutti i progetti di servizio civile nazionale, non potendosi mai rovesciare il rapporto logico-giuridico che esiste tra le due legislazioni (sentenza n. 309 del 2013).

Quanto affermato, nondimeno, non esclude che, al fine di assicurare la partecipazione dei diversi livelli di governo coinvolti, l’esercizio delle funzioni ammnistrative sia improntato al rispetto del principio di leale collaborazione (sentenza n. 58 del 2007). Le esigenze di una disciplina unitaria, d’altronde, in un ordinamento a struttura regionalista fondato sui principi di cui all’art. 5 Cost., non possono ignorare la tutela delle autonomie territoriali, attraverso strumenti idonei a fornire risposte pragmatiche e sufficientemente flessibili, specie nei casi nei quali lo Stato, pur nell’esercizio di sue competenze esclusive, interferisce con materie attribuite alle Regioni (sentenza n. 61 del 2018).

7.3.3.– Ciò precisato, l’art. 4 del d.lgs. n. 40 del 2017 disciplina la programmazione del servizio civile universale, realizzata con un piano triennale, articolato per piani annuali e attuato attraverso gli specifici programmi d’intervento proposti dagli enti di servizio civile universale.

Attraverso i piani, tenuto conto del contesto nazionale, internazionale, delle specificità delle aree geografiche e delle risorse disponibili, sono definiti gli obiettivi generali del servizio civile, gli interventi, con l’indicazione di quelli prioritari, nonché i relativi standard qualitativi. Gli interventi possono riguardare i vari settori previsti dall’art. 3 del medesimo d.lgs. n. 40 del 2017, che attengono ad ambiti diversi, di competenza statale e regionale. Ai sensi dell’impugnato art. 4, comma 4 – nella sua formulazione originaria – i piani sono predisposti dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, con il coinvolgimento delle Regioni, e approvati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentita la Conferenza Stato-Regioni.

Tale disciplina può essere senz’altro ricondotta agli aspetti organizzativi e procedurali del servizio civile universale, di competenza esclusiva dello Stato, in quanto tesa a garantire l’unitarietà del servizio.

La funzione di programmazione – allocata in capo allo Stato (nella specie all’Ufficio nazionale per il servizio civile) già dal decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77 (Disciplina del Servizio civile nazionale a norma dell’articolo 2 della L. 6 marzo 2001, n. 64) – risulta coessenziale alla realizzazione degli obiettivi generali e delle finalità del servizio civile universale. La natura "nazionale” del servizio, infatti, rende necessaria l’attribuzione allo Stato del potere di dettare le linee generali sugli interventi, indicando quelli prioritari, e di disciplinare le caratteristiche minime che gli stessi interventi debbano avere. L’attuazione da parte delle Regioni, d’altronde, deve pur sempre avvenire «nel rispetto delle linee di programmazione, indirizzo e coordinamento tracciate a livello centrale» (sentenza n. 431 del 2005).

Dunque, in virtù dell’ascrizione della disciplina alla competenza esclusiva statale, non vi è alcuna lesione del riparto costituzionale di competenze. L’incidenza sulle attribuzioni regionali, invece, è una conseguenza della stessa natura del titolo d’intervento dello Stato, non dell’allocazione in capo a quest’ultimo di funzioni amministrative in materie di potestà delle Regioni, senza che possa così configurarsi una violazione dell’art. 118 Cost. Non sussiste, infatti, quella chiara sovrapposizione di competenze che richiede che gli interventi statali siano concertati con le Regioni attraverso il coinvolgimento delle stesse in sede d’intesa (sentenza n. 61 del 2018).

Il legislatore statale, nondimeno, tenuto conto che il principio di leale collaborazione permea l’ordinamento nel suo complesso (tra le tante, sentenze n. 21 del 2016 e n. 50 del 2008), ha comunque previsto varie forme di partecipazione delle Regioni. Il d.lgs. n. 40 del 2017, infatti, stabilisce un coinvolgimento regionale su tutti gli aspetti della programmazione, ivi compresi gli standard dei programmi e dei progetti, sia nella fase di predisposizione dei piani, sia in quella di approvazione degli stessi. Rispetto al d.lgs. n. 77 del 2002, che prevedeva solo un parere della Conferenza Stato-Regioni sulla determinazione delle caratteristiche dei progetti di servizio civile (art. 6, comma 1) e sulla programmazione delle risorse (art. 4, comma 1), anzi, la disciplina in esame costituisce un deciso avanzamento nel senso del coinvolgimento regionale.

Si tratta di strumenti di partecipazione adeguati e rispettosi del principio di leale collaborazione (tra l’altro ulteriormente rafforzati in seguito alle modifiche di cui al d.lgs. n. 43 del 2018). Un eccessivo dettaglio dei piani e dei programmi, tale da interferire con la programmazione regionale nelle materie in cui il servizio civile si realizza, semmai, potrebbe comportare un vizio degli stessi atti amministrativi con cui detti piani sono adottati, per il mancato rispetto dei criteri individuati dallo stesso art. 4, comma 4.

8.– Anche le questioni promosse dalla Regione Veneto in relazione all’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 40 del 2017 non sono fondate.

8.1.– L’art. 5 disciplina la valutazione e l’approvazione dei programmi di intervento, articolati in progetti presentati dai soggetti iscritti all’albo degli enti di servizio civile universale. Non c’è dubbio che in tal caso le competenze regionali necessitano uno spazio maggiore rispetto alla disciplina delle linee generali della programmazione, in quanto la realizzazione dei progetti può incidere direttamente su attività di competenza delle Regioni e sui relativi territori.

Il d.lgs. n. 77 del 2002 prevedeva, a tal proposito, un sistema articolato in base all’attinenza territoriale dei progetti d’intervento. L’art. 6, infatti, attribuiva all’Ufficio nazionale per il servizio civile, sentite le Regioni e le Province autonome, l’esame e l’approvazione dei progetti di rilevanza nazionale, presentati da enti e amministrazioni nazionali. Per gli enti ed organizzazioni che svolgevano attività nell’ambito delle competenze regionali e sul relativo territorio, invece, la valutazione e l’approvazione dei progetti spettavano alle Regioni, che dovevano comunque comunicare i progetti approvati all’Ufficio nazionale per il nulla osta. Sulla conformità di tale sistema al riparto di competenze costituzionali questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi con la sentenza n. 228 del 2004.

Il d.lgs. n. 40 del 2017 accentra nella Presidenza del Consiglio dei ministri la valutazione di tutti i progetti, senza però sacrificare l’autonomia regionale. Quando il progetto riguarda una specifica Regione o più Regioni limitrofe, infatti, l’approvazione non può prescindere dall’intesa con queste ultime (art. 5, comma 6). Per i progetti che, invece, hanno un impatto che eccede i territori di specifiche Regioni, spetta alla Presidenza del Consiglio dei ministri il compito, sia di effettuare la valutazione e l’approvazione degli stessi nei limiti della programmazione finanziaria prevista, sia di indentificare, in relazione ai caratteri degli stessi progetti, le forme più appropriate di coinvolgimento delle Regioni (art. 5, comma 5). Dunque, non rileva la natura nazionale o regionale dell’ente che presenta il progetto, bensì l’impatto territoriale di quest’ultimo.

La disciplina di cui all’impugnato art. 5, comma 5, rientra nella potestà esclusiva statale, in quanto ha ad oggetto la valutazione di programmi e progetti che eccedono le specificità dei singoli territori, che devono essere necessariamente valutati e approvati dallo Stato, poiché si tratta degli strumenti attraverso i quali si realizzano in concreto gli obiettivi del servizio civile universale. Il coinvolgimento regionale, comunque salvaguardato, potrà realizzarsi nelle forme più opportune in relazione alla specificità degli interventi, con l’eventuale possibilità per le Regioni di far valere l’illegittimità dello strumento prescelto quando non adeguato.

9.– Da ultimo, debbono esaminarsi le questioni promosse da entrambe le ricorrenti riguardo all’art. 7, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 40 del 2017.

9.1.– In via preliminare, deve essere rigettata l’eccezione d’inammissibilità, sollevata dalla difesa statale riguardo ad entrambi i ricorsi, in virtù della mancata impugnazione del comma 9 dell’art. 5 del d.lgs. n. 40 del 2017, che individua in via generale i soggetti legittimati ad attuare – con risorse proprie – i programmi di servizio civile. Si tratta, in particolare, delle amministrazioni pubbliche, degli enti locali, degli altri enti pubblici territoriali e degli enti del terzo settore. Il successivo art. 7, comma 1, lettera d), prevede tale possibilità con specifico riferimento alle Regioni.

A prescindere dalla dubbia applicabilità dell’art. 5, comma 9, alle Regioni, che non sono ivi esplicitamente menzionate, la mancata impugnazione dello stesso non costituisce, di per sé, un motivo d’inammissibilità. Infatti, l’art. 7, comma 1, lettera d), è comunque astrattamente idoneo a ledere le prerogative regionali e il risultato di un eventuale accoglimento della questione, anzi, sarebbe anche quello di chiarire la non applicazione alle Regioni dello stesso art. 5, comma 9, confermando così la sussistenza dell’interesse a ricorrere.

9.2.– Nel merito le questioni non sono fondate.

9.2.1.– L’art. 24 del d.lgs. n. 40 del 2017, nel disciplinare il fondo per il servizio civile nazionale, prevede che lo stanziamento delle relative risorse, da destinare all’attuazione degli interventi di servizio civile universale, sia oggetto di una specifica programmazione, attraverso un documento approvato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, sentita, tra gli altri, la Conferenza Stato-Regioni.

L’art. 7, comma 1, lettera d), qui impugnato, attribuisce alle Regioni la possibilità di dare attuazione, con risorse proprie, dunque al di fuori della programmazione di cui all’art. 24, ai programmi di servizio civile universale. Tuttavia, tale attuazione è subordinata all’approvazione della Presidenza del Consiglio dei ministri, consistente nella verifica del rispetto dei principi e delle finalità del servizio civile universale.

L’approvazione prevista dalla disposizione impugnata attiene precipuamente all’organizzazione del servizio civile, espressione di quei poteri di programmazione, organizzazione, accreditamento e controllo del servizio civile universale attribuiti alla potestà esclusiva statale, senza che possa configurarsi una lesione delle competenze regionali.

D’altronde, sebbene avvenga con risorse regionali, l’attuazione dei progetti di servizio civile universale deve pur sempre essere coerente con la normativa statale di riferimento e con i principi e le finalità da questa indicati. Per tali aspetti, pertanto, il ruolo delle Regioni non può essere diverso da quello delle altre amministrazioni.

L’intervento dello Stato, quindi, costituisce un atto di coordinamento amministrativo, limitato alla verifica del rispetto dei principi e delle finalità del servizio civile universale, che in alcun modo è idoneo a ledere le competenze amministrative regionali. Esso, inoltre, non si configura come un controllo di merito sull’attuazione dei programmi, né come un controllo finanziario, non introducendo alcun vincolo all’autonomia finanziaria delle Regioni di cui all’art. 119 Cost.

Si tratta, in definitiva, del potere di valutare la coerenza degli interventi con quanto previsto dai piani approvati ai sensi del precedente art. 4, allo stesso modo di quanto avviene per i progetti valutati nell’ambito delle risorse previste dal successivo art. 24, ai sensi dell’art. 5, comma 5. La qual cosa non potrebbe essere diversamente, trattandosi, come già sottolineato, di interventi di servizio civile nazionale, che devono comunque essere conformi agli obiettivi e agli indirizzi generali in materia di servizio civile universale, nonché agli standard qualitativi. È su tali criteri, dunque, che si basa la verifica attribuita allo Stato in sede di approvazione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 4, del decreto legislativo 6 marzo 2017, n. 40 (Istituzione e disciplina del servizio civile universale, a norma dell’art. 8 della legge 6 giugno 2016, n. 106), promosse dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 120 della Costituzione, e, in connessione con l’art. 3, dalla Regione Lombardia, in riferimento agli artt. 114, primo comma, 117, 118, primo e terzo comma, e 120, secondo comma, Cost., e al principio di leale collaborazione, con i ricorsi indicati in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 40 del 2017, promosse dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 120 Cost., con il ricorso iscritto al n. 43 del registro ricorsi 2017;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 40 del 2017, promosse dalla Regione Veneto, in riferimento all’art. 119, primo comma, Cost., e dalla Regione Lombardia, in riferimento agli artt. 97, 117 e 119, primo comma, Cost., con i ricorsi indicati in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2018.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Giuliano AMATO, Redattore

Filomena PERRONE, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2018.