SENTENZA
N. 171
ANNO
2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME
DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI
Presidente
- Aldo CAROSI
Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto
Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
- Francesco VIGANÒ ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt.
3; 4, comma 4; 5, comma 5; e 7, comma 1, lettera d), del decreto
legislativo 6 marzo 2017, n. 40 (Istituzione e disciplina del servizio civile
universale, a norma dell’art. 8 della legge 6 giugno 2016, n. 106),
promossi con ricorsi della Regione Veneto e della Regione Lombardia,
notificati, rispettivamente, il 1°- 8 giugno e il 1° giugno 2017, depositati in
cancelleria il primo il 7 giugno, il secondo il 9 giugno 2017, iscritti
rispettivamente ai nn. 43 e 44 del
registro ricorsi 2017 e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 28 e 29, prima serie speciale, dell’anno 2017.
Visti gli atti di
costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza
pubblica del 3 luglio il Giudice relatore Giuliano Amato;
uditi gli avvocati Ezio
Zanon e Luigi Manzi per la Regione Veneto, Maria Lucia Tamborino
per la Regione Lombardia e l’avvocato dello Stato Leonello Mariani per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto
in fatto
1.– Con ricorso spedito per la notificazione il 1°
giugno 2017 e successivamente depositato il 7 giugno 2017 (reg. ric. n. 43 del
2017), la Regione Veneto ha promosso, in riferimento agli artt. 117, terzo e
quarto comma, 119,
primo comma, e 120
della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4,
comma 4; 5, comma 5; e 7, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 6 marzo
2017, n. 40 (Istituzione e disciplina del servizio civile universale, a norma
dell’art. 8 della legge 6 giugno 2016, n. 106).
1.1.– Premette la parte ricorrente che il
servizio civile è sorto quale forma di difesa non armata dello Stato,
alternativa del servizio militare di leva, quando questo rappresentava un
dovere civile obbligatorio per il cittadino ai sensi dell’art. 52 Cost.
Il legame dell’istituto del servizio civile con
la difesa dello Stato, tuttavia, si sarebbe attenuato con la sospensione della
leva obbligatoria. Come chiarito da questa Corte (è richiamata in particolare
la sentenza n.
119 del 2015), infatti, il servizio civile è ora un istituto volontario, al
quale si accede per pubblico concorso, che consente di realizzare i doveri
inderogabili di solidarietà e di rendersi utili alla propria comunità. Lo
stesso concetto di difesa della Patria, d’altronde, avrebbe subito una
significativa evoluzione, comprendendo anche attività d’impegno sociale non
armato, che si traducono nella prestazione di servizi rientranti nella
solidarietà e nella cooperazione a livello nazionale ed internazionale.
Ne consegue, pertanto, che sebbene la disciplina
del servizio civile possa essere ascritta alla competenza esclusiva statale di
cui all’art. 117, secondo comma, lettera d), Cost.,
ciò «non comporta però che ogni aspetto dell’attività dei cittadini che
svolgono detto servizio ricada nella competenza statale. Vi rientrano
certamente gli aspetti organizzativi e procedurali del servizio. Questo, in
concreto, comporta lo svolgimento di attività che investono i più diversi
ambiti materiali, come l’assistenza sociale, la tutela dell’ambiente, la
protezione civile: attività che, per gli aspetti di rilevanza pubblicistica,
restano soggette alla disciplina dettata dall’ente rispettivamente competente,
e dunque, se del caso, alla legislazione regionale o alla normativa degli enti
locali, fatte salve le sole specificità direttamente connesse alla struttura
organizzativa del servizio e alle regole previste per l’accesso ad esso» (sentenza n. 228 del
2004).
1.2.– Ciò premesso, sarebbe in primo luogo
illegittimo l’art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 40 del 2017, per violazione degli
artt. 117, terzo e quarto comma, e 120 Cost.
1.2.1.– Ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. n. 40
del 2017, la programmazione relativa alle attività del servizio civile
universale è realizzata attraverso un piano triennale, articolato in piani
annuali, che definisce gli obbiettivi e gli indirizzi generali in materia,
programma gli interventi e ne individua gli standard qualitativi. Il comma 4,
in particolare, prevede che i piani sono predisposti «dalla Presidenza del
Consiglio dei ministri sentite le amministrazioni competenti per i settori
previsti dall’articolo 3 e le regioni e sono approvati con decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri, previo parere della Consulta nazionale
per il servizio civile universale e della Conferenza permanente per i rapporti
tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano».
Nel caso di specie non potrebbe farsi ricorso al
criterio della prevalenza, poiché il dovere di difesa (anche se non armata)
della Patria non sarebbe il preponderante riferimento costituzionale di un
istituto che, dal punto di vista operativo, atterrebbe ad altre materie. Al
più, il criterio di prevalenza opererebbe per gli aspetti strettamente
organizzativi e procedimentali del sistema, nonché per quelli attinenti
all’accesso al servizio civile, ma non riguardo allo svolgimento e alla
programmazione delle attività in cui il servizio si concreta.
A fronte dell’intreccio tra competenze statali e
regionali, invece, le norme impugnate prevedrebbero "a monte” una generica
consultazione delle Regioni, a "valle” un semplice parere della Conferenza
Stato-Regioni. Conseguentemente, incidendo sulle funzioni amministrative e
legislative regionali, tali disposizioni sarebbero lesive del riparto di
competenze delineato dalla Costituzione e del principio di leale
collaborazione, che «deve in ogni caso permeare di sé i rapporti tra lo Stato e
il sistema delle autonomie e che può ritenersi congruamente attuato mediante la
previsione dell’intesa» (sentenza n. 21 del
2016).
1.3.– In secondo luogo, l’art. 5, comma 5, del
d.lgs. n. 40 del 2017 lederebbe gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 120 Cost.
1.3.1.– La disposizione impugnata prevede che i
programmi d’intervento di servizio civile «sono presentati da soggetti iscritti
all’albo degli enti di servizio civile universale, previa pubblicazione di un
avviso pubblico, e sono valutati ed approvati dalla Presidenza del Consiglio
dei ministri, con il coinvolgimento delle regioni interessate e nei limiti
della programmazione finanziaria prevista all’articolo 24».
Il «programma d’intervento», ai sensi dell’art.
1, comma 2, lettera a), del d.lgs. n. 40 del 2017, è il «documento proposto
dagli enti iscritti all’albo degli enti di servizio civile universale, contenente
un insieme organico di progetti di servizio civile universale coordinati tra
loro e finalizzati ad intervenire in uno o più settori, anche aventi ad oggetto
specifiche aree territoriali». I programmi, a loro volta, si articolano in
specifici progetti. Ai sensi del successivo art. 5, comma 6, qualora riguardino
«specifiche aree territoriali di una singola regione o di più regioni
limitrofe, i programmi sono valutati ed approvati dalla Presidenza del
Consiglio dei ministri d’intesa con le regioni interessate».
Dunque, salvo il caso di specifiche aree
territoriali di una singola Regione o di più Regioni limitrofe, i programmi
d’intervento sono approvati dal Consiglio dei ministri con un generico
coinvolgimento regionale.
In virtù del già ricordato intreccio di
competenze statali e regionali, invece, sarebbe da ritenersi sempre necessaria
l’intesa, sia al fine del rispetto delle attribuzioni regionali, sia come
corretta forma di raccordo tra l’azione del Governo e quella delle Regioni.
1.4.– Da ultimo, secondo la Regione Veneto
sarebbe illegittimo l’art. 7, comma l, lettera d), del d.lgs. n. 40 del 2017,
in quanto lesivo dell’art. 119, primo comma, Cost.
1.4.1.– Siffatta disposizione stabilisce che le
Regioni attuano «programmi di servizio civile universale con risorse proprie
presso i soggetti accreditati all’albo degli enti di servizio civile
universale, previa approvazione della Presidenza del Consiglio dei ministri,
consistente nella verifica del rispetto dei principi e delle finalità del servizio
civile universale di cui al presente decreto».
L’approvazione si concretizzerebbe in una sorta
di controllo preventivo (o al limite di vigilanza) da esercitare su soggetti
autonomi, quali le Regioni, relativamente a funzioni di competenza propria,
attuate con provvedimenti interamente finanziati con risorse proprie.
L’approvazione da parte dello Stato, per quanto limitata alla verifica del
rispetto dei principi e delle finalità del servizio civile universale, dunque,
sarebbe autoritativa ed unilaterale, senza alcuna forma di accordo con le
Regioni, in violazione dell’autonomia di spesa di cui all’art. 119, primo
comma, Cost.
2.– Con ricorso notificato il 1° giugno 2017 e
successivamente depositato il 9 giugno 2017 (reg. ric. n. 44 del 2017), la
Regione Lombardia ha promosso, in riferimento agli artt. 97, 114, primo comma, 117, 118, primo e terzo comma,
119, primo comma,
e 120, secondo comma,
Cost. e al principio di leale
collaborazione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3; 4,
comma 4; e 7, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 40 del 2017.
2.1.– Premette la Regione ricorrente che il
servizio civile nasce quale istituto sostitutivo dell’obbligo di leva, che
trova quindi il suo riferimento nell’art. 52 Cost. (sentenza n. 164 del
1985).
Con l’istituzione del servizio civile universale
– disciplinato dalla legge 6 marzo 2001, n. 64 (Istituzione del servizio civile
nazionale) e dal decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77 (Disciplina del
Servizio civile nazionale a norma dell’articolo 2 della L. 6 marzo 2001, n. 64)
– convivevano, in una prima fase, due forme di servizio civile: obbligatoria
per gli obiettori di coscienza, su adesione volontaria per le giovani donne. La
sospensione della leva obbligatoria a decorrere dal 1° gennaio 2005, prevista
dalla legge 23 agosto 2004, n. 226 (Sospensione anticipata del servizio
obbligatorio di leva e disciplina dei volontari di truppa in ferma prefissata,
nonché delega al Governo per il conseguente coordinamento con la normativa di
settore), ha dato inizio ad una seconda fase, con la partecipazione al servizio
civile nazionale di tutti i giovani, di entrambi i sessi, tramite adesione
volontaria.
La base costituzionale del servizio civile,
quindi, non sarebbe più il solo art. 52 Cost., ma
anche l’art. 2 Cost., con riferimento ai doveri di
solidarietà (sono richiamate le sentenze n. 119 del 2015,
n. 309 del 2013,
n. 431 del 2005
e n. 228 del
2004).
Da ciò conseguirebbe che, sebbene la disciplina
del servizio civile nazionale possa essere ascritta alla competenza esclusiva
statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera d), Cost.,
ciò non riguarderebbe ogni aspetto dell’attività dei cittadini che svolgono
detto servizio.
2.2.– La Regione Lombardia impugna, in primo
luogo, l’art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 40 del 2017, congiuntamente con l’art.
3, tenuto conto che quest’ultimo ne delimiterebbe l’ambito di operatività,
indicando i settori di intervento dei piani, attinenti anche a competenze
regionali (come per l’assistenza sociale, ad esempio). Il contenuto dell’art.
4, comma 4, sarebbe poi replicato all’art. 7, comma l, lettera a), e, dunque,
l’accoglimento del ricorso dovrebbe avere effetti anche su quest’ultima
disposizione.
2.2.1.– L’illegittimità delle disposizioni
impugnate deriverebbe dalla mancata previsione dello strumento dell’intesa sul
decreto di approvazione dei piani.
Il principio di leale collaborazione, infatti,
sarebbe stato declinato nella giurisprudenza costituzionale già in epoca
risalente (sono richiamate le sentenze n. 8 del 1985 e
n. 219 del 1984),
negli ambiti ove vi siano aree di sovrapposizione tra competenze e interessi,
trovando una rafforzata conferma nel nuovo testo dell’art. 114 Cost., teso a porre sullo stesso piano i diversi livelli di
governo (in tal senso viene richiamata la sentenza n. 31 del
2006).
La giurisprudenza costituzionale, specie nella
«perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e più
in generale dei procedimenti legislativi» (sentenza n. 278 del
2010), avrebbe valorizzato lo strumento dell’intesa (sono richiamate le
sentenze n. 251,
n. 21, n. 7 e n. l del 2016, n. 88 del 2014,
n. 297 e n. 163 del 2012).
Il sistema delle conferenze, in particolare, sarebbe «il principale strumento
che consente alle Regioni di avere un ruolo nella determinazione del contenuto
di taluni atti legislativi statali che incidono su materie di competenza
regionale» e «[u]na delle sedi più qualificate per
l’elaborazione di regole destinate ad integrare il parametro della leale
collaborazione» (sentenza
n. 401 del 2007).
Inoltre, dovrebbe considerarsi che l’art. 118,
terzo comma, Cost. prevede forme di coordinamento fra
Stato e Regioni in talune materie di competenza legislativa esclusiva dello
Stato («immigrazione» e «ordine pubblico e sicurezza»), nonché forme di intesa
e coordinamento nella «tutela dei beni culturali». Tali materie sarebbero
ricomprese nei settori d’intervento previsti dall’art. 3 del d.lgs. n. 40 del
2017 (in particolare, l’assistenza, il patrimonio storico, artistico e
culturale, la promozione della pace tra i popoli, la promozione e la tutela dei
diritti umani).
Neppure il criterio della prevalenza
dissolverebbe i dubbi di legittimità della legge statale. L’art. 120, secondo
comma, Cost., infatti, assocerebbe il principio di
leale collaborazione al principio di sussidiarietà (è richiamata la sentenza n. 213 del
2006) e, dunque, la "chiamata” delle funzioni amministrative e legislative
a livello statale, giustificata da esigenze di esercizio unitario, non potrebbe
prescindere dal raggiungimento dell’intesa (ex
plurimis, sono richiamate le sentenze n. 383 del 2005,
n. 6 del 2004
e n. 303 del
2003). In particolare, si tratterebbe dell’intesa "forte” (è richiamata la sentenza n. 207 del
1996), che deve prevedere idonee procedure per consentire reiterate
trattative volte a superare le divergenze, al cui eventuale esito negativo
potrebbe essere rimessa al Governo una decisione unilaterale (ex plurimis,
vengono richiamate le sentenze n. 33 del 2011,
n. 121 del 2010
e n. 339 del
2005).
2.3.– Altresì illegittimo sarebbe l’art. 7,
comma l, lettera d), del d.lgs. n. 40 del 2017, recante l’approvazione da parte
della Presidenza del Consiglio dei ministri sui programmi d’intervento di
servizio civile attuati con risorse regionali.
2.3.1.– Tale disposizione delineerebbe un
improprio subprocedimento, al di fuori di quanto previsto dall’art. 8, comma l,
lettera d), della legge 6 giugno 2016, n. 106 (Delega al Governo per la riforma
del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile
universale), manifestando così la volontà governativa di esercitare un
controllo finanziario e di merito sui programmi regionali di servizio civile.
La disciplina incorrerebbe proprio in quelle
illegittimità costituzionali da cui questa Corte aveva ritenuto indenne il
d.lgs. n. 77 del 2002 (sentenza n. 431 del
2005), poiché in tal caso era assicurato il coinvolgimento delle Regioni e
delle Province autonome nell’esercizio delle funzioni amministrative relative
al servizio civile nazionale, attraverso una pluralità di strumenti.
Sarebbe così violato il principio di
attribuzione, poiché la potestà legislativa esclusiva dello Stato non potrebbe
mai estendersi oltre i limiti indicati nell’art. 117, secondo comma, Cost., rientrando nella potestà residuale regionale quanto
non esplicitamente incluso nella competenza dello Stato (è richiamata la sentenza n. 261 del
2011).
La disposizione impugnata lederebbe anche l’art.
118 Cost., poiché l’intervento legislativo
pregiudicherebbe la concreta operatività delle amministrazioni comunali, anche
per ciò che attiene all’esercizio delle funzioni amministrative di competenza
regionale, in violazione altresì del principio di buon andamento dell’azione
amministrativa di cui all’art. 97 Cost.
Infine, verrebbe leso il principio di autonomia
della spesa ex art. 119, primo comma, Cost. (tra le
altre, sono richiamate le sentenze n. 64 del 2016,
n. 77 del 2015
e n. 417 del
2005). Infatti, «il grado e la rilevanza costituzionale dell’autonomia
politica della Regione si misura anche sul terreno della sottrazione dei propri
organi e dei propri uffici ad un generale potere di sorveglianza da parte del
Governo, analogo a quello che spetta invece nei confronti degli enti
appartenenti al plesso organizzativo statale, ai sensi dell’art. 117, secondo
comma, lettera g), Cost.» (sentenza n. 219 del
2013). L’autonomia costituzionale del sistema regionale e l’interesse
unitario alla sana gestione amministrativa e finanziaria dovrebbero essere pur
sempre contemperati tra loro (come nel controllo sulla gestione operato dalla
Corte dei conti, riguardo al quale è richiamata la sentenza n. 29 del
1995). La disposizione impugnata, invece, affiderebbe al Governo
l’esercizio di un potere di verifica in danno delle Regioni e delle Province
autonome, anche nel caso in cui non sussista alcuno squilibrio finanziario,
neppure nei singoli settori d’intervento oggetto di disciplina. Ciò eccederebbe
i limiti propri dei principi di coordinamento della finanza pubblica, poiché
riserverebbe all’apparato ministeriale un compito improprio, in danno
dell’autonomia regionale, nonché in difetto di proporzionalità tra il mezzo
impiegato ed il fine perseguito, in violazione del principio di buona
amministrazione.
3.– Con due atti depositati rispettivamente il
14 e il 19 luglio 2017, di contenuto parzialmente analogo, si è costituito in
entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni
promosse dalle ricorrenti siano dichiarate inammissibili e comunque non
fondate.
3.1.– Premette la difesa statale che nel disegno
di cui alla legge n. 64 del 2001 e al d.lgs. n. 77 del 2002, dal punto di vista
organizzativo, il servizio civile si era articolato su un livello centrale,
facente capo all’Ufficio nazionale per il servizio civile, e su una pluralità
di livelli periferici, ciascuno dei quali afferente ad una distinta Regione o
Provincia autonoma. All’Ufficio nazionale spettavano l’organizzazione,
l’attuazione, lo svolgimento, la programmazione, l’indirizzo, il coordinamento
ed il controllo del servizio. Le Regioni e le Province autonome, invece,
curavano l’attuazione degli interventi secondo le rispettive competenze,
esprimendo, attraverso la Conferenza Stato-Regioni, un parere sul piano d’intervento
formulato annualmente dall’Ufficio nazionale.
Le criticità manifestatesi in ordine alla
realizzazione degli interventi avrebbero indotto il legislatore a superare tale
modello organizzativo, con la previsione di una programmazione unitaria e coordinata
degli interventi, sebbene aperta al contributo delle autonomie locali, nonché
di un unico sistema di valutazione, monitoraggio e controllo, in grado di
assicurare omogeneità di trattamento e d’intervento su tutto il territorio
nazionale.
3.2.– Venendo alle singole questioni, secondo la
difesa statale sarebbero in primo luogo inammissibili, e comunque non fondate,
quelle promosse da entrambe le ricorrenti riguardo all’art. 4, comma 4, del
d.lgs. n. 40 del 2017 (in connessione con l’art. 3 nel ricorso della Regione
Lombardia).
3.2.1.– In via preliminare, l’inammissibilità
delle censure deriverebbe dalla mancata contestuale impugnazione dell’art. 6
del d.lgs. n. 40 del 2017, che, in attuazione dell’art. 8, comma 1, lettera d),
della legge n. 106 del 2016, radica in capo alla Presidenza del Consiglio dei
ministri il potere di programmazione, organizzazione e attuazione del servizio
civile universale, di cui la predisposizione e l’approvazione dei piani
sarebbero espressione.
3.2.2.– Nel merito, l’art. 3, recante tra
l’altro una mera elencazione descrittiva delle materie, e l’art. 4 del d.lgs.
n. 40 del 2017 non comporterebbero alcuna sovrapposizione di competenze statali
e regionali, rientrando il servizio civile universale, in applicazione del criterio
della prevalenza, nel concetto ampio di difesa della Patria.
Il coinvolgimento dei diversi livelli di
governo, inoltre, sarebbe assicurato attraverso una pluralità di strumenti,
tali da delineare un sistema conforme ai principi dettati già dalla sentenza n. 228 del
2004. Il principio di leale collaborazione, d’altronde, sarebbe pur sempre
caratterizzato da una naturale elasticità nelle sue varie declinazioni (è
richiamata in particolare la sentenza n. 31 del
2006), in modo che il grado di coinvolgimento delle Regioni sia adeguato e
proporzionato.
Rispetto alla previgente normativa, anzi, il
d.lgs. n. 40 del 2017 conterrebbe una significativa apertura nei confronti
delle Regioni, consultate sia nella predisposizione dei piani, sia
nell’approvazione degli stessi, potendo così rappresentare adeguatamente ed
efficacemente i fabbisogni dei rispettivi territori nei vari settori di
intervento e di concorrere all’individuazione dei programmi e degli strumenti
più idonei a soddisfarli, in coerenza con le politiche settoriali. Il vincolo
che scaturisce dalla programmazione generale, d’altronde, sarebbe talmente
ampio, elastico e di indirizzo da non poter costituire un vulnus della potestà
legislativa regionale.
Pretendere che la cooperazione e la leale
collaborazione si attuino nella forma dell’intesa, addirittura dell’intesa
forte di cui all’art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131
(Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3), significherebbe "degradare”
il servizio civile universale a materia oggetto di competenza concorrente. Cosa
ben diversa, invece, sarebbe il servizio civile volontario organizzato a
livello locale, che risponderebbe, invece, a finalità che si esauriscono in
prestazioni personali effettuate spontaneamente a favore di altri individui o
della collettività, estranee alla difesa della Patria (è richiamata la sentenza n. 309 del
2013).
3.2.3.– Con specifico riferimento alle censure
promosse dalla Regione Lombardia, non fondate sarebbero le doglianze mosse in
relazione all’art. 118, terzo comma, Cost.
Le materie dell’immigrazione e della tutela dei
beni culturali non figurerebbero, infatti, tra i settori di intervento nei
quali si realizzano le finalità del servizio civile universale.
Quand’anche, con evidente forzatura del dato
letterale, le si volesse ricondurre alle lettere g) (promozione e tutela dei
diritti umani) e d) (patrimonio storico, artistico e culturale) dell’art. 3 del
d.lgs. n. 40 del 2017, non sarebbe comunque leso l’art. 118, terzo comma, Cost., che si limiterebbe a prescrivere forme di
coordinamento e d’intesa, senza però imporre l’adozione dell’uno o dell’altro
strumento. Spetterebbe alla discrezionalità del legislatore statale, dunque, la
scelta della modalità di coinvolgimento più opportuna a realizzare un armonico
coordinamento e contemperamento degli interessi statali e regionali coinvolti.
E, sebbene questa Corte abbia sempre più valorizzato l’intesa (è citata la sentenza n. 251 del
2016), quest’ultima non sarebbe l’unico strumento attraverso il quale si
realizzerebbe la collaborazione fra i diversi livelli di governo.
3.3.− Per quanto concerne la questione
relativa all’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 40 del 2017, promossa dalla Regione
Veneto, secondo l’Avvocatura generale dello Stato la ricorrente incorrerebbe in
un evidente errore d’impostazione.
Il principio di leale collaborazione, infatti,
potrebbe articolarsi in differenti gradi di coinvolgimento regionale, a seconda
del livello di programmazione in cui la codeterminazione della decisione deve
concretizzarsi.
Più il livello di programmazione è generale e
rispondente ad esigenze di coordinamento unitario e uniforme su tutto il
territorio nazionale del servizio civile, più il coinvolgimento dovrebbe
realizzarsi attraverso forme di codeterminazione della decisione elastiche
(quali l’interpello, le consultazioni, gli scambi di informazioni o il parere).
In questo senso, l’espressione «coinvolgimento delle regioni» dovrebbe essere
letta come formula ampia e onnicomprensiva delle diverse e flessibili fasi
dialogiche tra Stato e Regioni. In particolare, tale coinvolgimento dovrebbe
intendersi quale partecipazione al processo di approvazione dei programmi, così
che il sistema garantisca che le esigenze territoriali di ciascuna Regione
siano coerentemente oggetto di valutazione ed apprezzamento qualificato.
Quando, invece, il livello di programmazione è
più specifico e riguarda un ambito territoriale limitato, il coinvolgimento
regionale dovrebbe realizzarsi nella forma dell’intesa, come previsto dall’art.
5, comma 6, del d.lgs. n. 40 del 2017 per i programmi di intervento che
riguardano specifiche aree territoriali di una singola Regione o di più Regioni
limitrofe.
Il legislatore delegato, dunque, avrebbe
adottato una gradualità degli strumenti di leale collaborazione, rapportata al
livello d’interesse coinvolto (sono richiamate le sentenze n. 213 e n. 63 del 2006,
n. 467 e n. 50 del 2005),
pur nell’affermata centralità dello Stato nelle materie di sua competenza esclusiva
(è richiamata in particolare la sentenza n. 31 del
2006).
3.4.– Da ultimo, in riferimento alle questioni
promosse da entrambe le ricorrenti riguardo all’art. 7, comma 1, lettera d),
del d.lgs. n. 40 del 2017, le stesse sarebbero inammissibili e comunque non
fondate.
3.4.1.– L’inammissibilità delle censure
regionali deriverebbe dalla mancata contestuale impugnazione dell’art. 5, comma
9, del medesimo d.lgs., recante una norma d’identico tenore.
3.4.2.– Nel merito, la verifica del rispetto dei
principi e delle finalità del servizio civile universale atterrebbe senza
dubbio all’organizzazione del servizio civile, di competenza esclusiva dello
Stato. Si tratterebbe, infatti, di profili tesi ad assicurare quel
coordinamento, strumentale all’esercizio unitario della funzione, che
giustifica l’attribuzione allo Stato dei poteri di programmazione,
organizzazione, accreditamento e controllo del servizio civile universale (è
richiamata in particolare la sentenza n. 431 del
2005). Inoltre, l’approvazione non si risolverebbe in un controllo né
finanziario, né di merito. Lo Stato, infatti, non svolgerebbe un sindacato
sulle modalità di allocazione ed utilizzo delle risorse finanziarie regionali o
sul contenuto dei programmi, se non al limitato fine di verificarne la coerenza
con i principi e le finalità del servizio civile universale. Il provvedimento
statale di approvazione, dunque, non costituirebbe un atto autoritativo ed
unilaterale di controllo, né un’autorizzazione di spesa, ma un mero atto di
coordinamento, anche al fine di evitare abusi e distorsioni del sistema.
Le Regioni, d’altronde, non potrebbero
pretendere che sia loro riservato un trattamento diverso da quello previsto, in
via generale, per tutti gli altri soggetti, pubblici e privati, legittimati ad
attivare progetti di servizio autofinanziati. Tutti i progetti di servizio
civile universale, infatti, quale che sia la fonte e la modalità di
finanziamento, dovrebbero essere rispettosi della normativa statale di
riferimento e coerenti con i principi e le finalità da questa indicati.
In questa prospettiva, la verifica demandata
alla Presidenza del Consiglio dei ministri risulterebbe essenziale. In primo
luogo, per ragioni di carattere giuridico-formale, perché in sua assenza la
qualificazione dell’intervento proposto verrebbe in definitiva lasciata
all’esclusiva valutazione del soggetto promotore e finanziatore. In secondo
luogo, per altrettanto evidenti ragioni di ordine organizzativo-funzionale,
tenuto conto che anche per i progetti autofinanziati gli adempimenti
amministrativi rimarrebbero in capo all’amministrazione statale (pubblicazione
del bando di selezione dei volontari, stipula dei relativi contratti,
erogazione dell’assegno mensile, controlli, monitoraggi e verifiche ispettive).
3.4.3.– Con specifico riferimento alle doglianze
della Regione Lombardia, non si comprenderebbe la ragione per la quale la
disposizione impugnata violerebbe anche l’art. 118 Cost,
dal momento che l’attrazione alla competenza statale delle funzioni si
giustificherebbe proprio in ragione di quell’esigenza di esercizio unitario dei
compiti postulata dal carattere nazionale ed universale del servizio civile
Del tutto oscuro sarebbe il riferimento operato
agli artt. 97 e 118 Cost. per dimostrare la
compressione dell’esercizio di funzioni amministrative di spettanza regionale,
nonché il pregiudizio alla concreta operatività delle amministrazioni comunali.
Le affermazioni sarebbero caratterizzare da un’assoluta apoditticità e
genericità, mere petizioni di principio prive di qualsiasi aggancio testuale e,
soprattutto, di qualsiasi indicazione circa le funzioni amministrative in
questione.
4.– In prossimità dell’udienza del 17 aprile
2018 entrambe le Regioni hanno presentato memorie.
4.1.– Con riferimento alle questioni relative
all’art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 40 del 2017, le ricorrenti ritengono non
fondate le eccezioni d’inammissibilità dedotte dalla difesa statale. In
particolare, la mancata contestuale impugnazione dell’art. 6 del d.lgs. n. 40
del 2017 sarebbe del tutto irrilevante, venendo in contestazione non
l’attribuzione alla Presidenza del Consiglio dei ministri della funzione di
programmazione ivi prevista in via generale, ma l’assenza di un adeguato
coinvolgimento regionale nell’approvazione dei piani. Pertanto, sarebbe proprio
la disposizione impugnata, che prevede a tal fine il mero parere della
Conferenza Stato-Regioni, a determinare la lesione delle prerogative regionali.
4.1.1.– La Regione Veneto specifica, inoltre,
che non ogni attività solidaristica potrebbe essere ricondotta al concetto di
«difesa non armata» della Patria, la quale dovrebbe comunque riferirsi ad una
potenziale aggressione esterna o interna. Non a caso, l’art. 3 del d.lgs. n. 40
del 2017 prevedrebbe solo alla lettera g) la difesa non armata come settore
d’intervento in cui si realizzano le finalità del servizio civile universale,
mentre tutte le altre attività sarebbero elencate e previste in modo distinto e
difficilmente potrebbero essere qualificate come attività difensive. Per tali
profili, pertanto, il fondamento costituzionale della disciplina in esame
sarebbero i valori di solidarietà di uguaglianza e di sviluppo della persona
umana, e non l’art. 52 Cost.
4.1.2.– La Regione Lombardia sottolinea, infine,
che le argomentazioni della difesa statale, in ogni caso, non supererebbero le
eccezioni proposte dalla ricorrente, in quanto i riferimenti a «immigrazione» e
«tutela dei beni culturali», di cui all’art. 118 Cost.,
non dovrebbero essere letti come "materie”, ma come "servizi”, che
rientrerebbero nelle lettere g) e d) dell’art. 3 del d.lgs. n. 40 del 2017.
Inoltre, l’art. 118 Cost. si riferirebbe a forme di
coordinamento ed intesa e non a un mero coinvolgimento rimesso alla
discrezionalità del legislatore statale.
4.2.– Riguardo alla questione concernente l’art.
5, comma 5, del d.lgs. n. 40 del 2017, secondo la Regione Veneto il legislatore
statale avrebbe previsto una differenza tra un livello di programmazione
generale e un livello di programmazione locale, senza che però a ciò sia
collegato un differente grado di dettaglio dei programmi. Conseguentemente,
anche la programmazione generale potrebbe essere di estremo dettaglio, con la
necessità, quindi, dell’intesa, alla luce del principio di leale collaborazione.
L’argomentazione della difesa statale potrebbe
essere convincente solo se la legislazione prevedesse piani d’intervento
generali a maglie larghe e piani d’intervento d’area di dettaglio. Invece, i
piani d’intervento generali potrebbero riguardare anche una singola Regione e,
pertanto, non vi sarebbe motivo alcuno di non richiedere anche per essi
l’intesa con la stessa.
4.3.– Infine, in relazione alle questioni
riferite all’art. 7, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 40 del 2017, secondo
entrambe le ricorrenti l’eccezione d’inammissibilità per la mancata contestuale
impugnazione dell’art. 5, comma 9, tra l’altro priva di argomentazione, sarebbe
non fondata, perché non si vedrebbe il motivo per cui tale mancata impugnazione
possa portare di per sé all’inammissibilità della questione. Inoltre, l’art. 5,
comma 9, non solo opererebbe in via residuale, ma non farebbe riferimento alle
Regioni, indicando tra i destinatari gli «altri enti pubblici territoriali».
4.3.1.– La Regione Veneto sottolinea che il d.lgs.
n. 40 del 2017 non individuerebbe in modo esplicito né i criteri, né le
finalità del controllo attribuito alla Presidenza del Consiglio dei ministri,
che, dunque, dovrebbero essere desunti dalla legge delega. I criteri ivi
indicati, però, sarebbero necessariamente generali e non potrebbero assumere il
ruolo di parametro di riferimento per la valutazione dei programmi regionali,
per la loro non sufficiente determinatezza. Un controllo fondato su parametri
così vaghi, pertanto, rappresenterebbe un’evidente lesione dell’autonomia di
spesa della Regione.
5.– Anche la difesa statale ha presentato
ulteriori memorie in cui, oltre a ribadire le conclusioni già illustrate nei
due atti di costituzione, ha eccepito un ulteriore motivo d’inammissibilità,
relativo a tutte le censure promosse dalle ricorrenti.
5.1.– La Conferenza unificata, in data 24
novembre 2016, ha espresso, ai sensi dell’art. 1, comma 4, della legge n. 106
del 2016, parere favorevole sullo schema del d.lgs. n. 40 del 2017, con talune
proposte emendative, riferite anche alle disposizioni impugnate, accolte dal
Governo. Dal processo verbale della relativa seduta, inoltre, non risulterebbe
alcuna manifestazione di dissenso da parte delle Regioni ricorrenti.
Pertanto, si sarebbe determinata l’acquiescenza
delle Regioni rispetto al contenuto del decreto, con la conseguente
inammissibilità dell’impugnativa. Infatti, la giurisprudenza di questa Corte, a
detta della difesa statale, sarebbe da tempo orientata nel senso di ritenere
inammissibili i ricorsi proposti avverso atti alla cui formazione i ricorrenti
abbiano contribuito con il proprio assenso (è richiamata sentenza n. 507 del
2002). Solo la manifestazione esplicita del dissenso, anteriore
all’approvazione della normativa oggetto di concertazione e puntualmente
documentato, renderebbe ammissibile un’impugnativa, da parte della Regione
dissenziente, dell’atto normativo, nel testo poi definitivamente approvato
(viene citata la sentenza
n. 275 del 2011).
6.– All’udienza del 17 aprile 2018, su istanza
della Regione Veneto accolta dalle altre parti, è stato disposto il rinvio
della discussione di entrambi i giudizi, successivamente fissata per l’udienza
del 3 luglio 2018. Tale rinvio trovava giustificazione nell’entrata in vigore
del decreto legislativo 13 aprile 2018, n. 43 (Disposizioni integrative e
correttive al decreto legislativo 6 marzo 2017, n. 40, concernente:
«Istituzione e disciplina del servizio civile universale, a norma dell’articolo
8 della legge 6 giugno 2016, n. 106»), recante interventi correttivi al d.lgs.
n. 40 del 2017.
7.– In prossimità dell’udienza del 3 luglio 2018
tutte le parti hanno presentato memorie.
7.1.– La Regione Lombardia, oltre a ribadire le
conclusioni rassegnate nel ricorso introduttivo, ha replicato alle
argomentazioni della difesa statale, nonché preso in considerazione le
innovazioni introdotte dal d.lgs. n. 43 del 2018 che, in ogni caso,
lascerebbero impregiudicate le censure relative all’art. 7, comma 1, lettera
d).
7.1.1.– La parte ricorrente sottolinea, in primo
luogo, che le modifiche apportate, rispettivamente, dagli artt. 2 e 3 del
d.lgs. n. 43 del 2018 all’art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 40 del 2017, nonché
all’art. 7, comma 1, lettera a), non muterebbero la sostanza delle disposizioni
impugnate. Il legislatore statale, infatti, ha introdotto l’intesa in sede di
Conferenza Stato-Regioni – ai sensi dell’art. 3, comma 3, del decreto
legislativo 28 agosto 1997 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di
interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza
Stato - città ed autonomie locali) – sul decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri per l’approvazione dei piani di servizio civile universale.
Tuttavia, qualora non si raggiunga l’intesa, il Consiglio dei ministri può
comunque provvedere con deliberazione motivata.
La nuova formulazione dell’art. 4, comma 4,
dunque, non avrebbe carattere satisfattivo, poiché consentirebbe il superamento
unilaterale del dissenso regionale per il raggiungimento dell’intesa, mentre
sarebbe stato necessario prevedere un’intesa forte. Ciò contrasterebbe altresì
con l’esigenza di unitarietà che, in quanto espressione dell’art. 118, primo
comma, Cost., sarebbe il fondamento della chiamata in
sussidiarietà e, conseguentemente, dell’intesa stessa (sul punto si richiama la
sentenza n. 121
del 2010).
Inoltre, il Governo non avrebbe dato alcun
elemento che comprovi la mancata applicazione delle disposizioni impugnate,
mentre, anzi, vi sarebbe stata una prima fase sperimentale di esecuzione delle
stesse (di cui all’avviso della Presidenza del Consiglio dei ministri -
Dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale del 3 agosto 2017).
Non si determinerebbero, in definitiva, le
condizioni richieste dalla giurisprudenza costituzionale perché debba essere
dichiarata la cessazione della materia del contendere (sul punto sono
richiamate le sentenze n. 246, n. 228, n. 218 e n. 187 del 2013
e n. 300 del
2012) e la questione dovrebbe essere trasferita sulla nuova formulazione
dell’art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 40 del 2017 (vengono richiamate le sentenze
n. 219 del 2013
e n. 162 del
2007).
7.1.2.– La Regione Lombardia, in secondo luogo,
contesta l’eccezione d’inammissibilità dell’Avvocatura generale dello Stato,
per intervenuta acquiescenza alla luce del parere favorevole espresso dalla
Conferenza unificata sullo schema del decreto legislativo impugnato.
Le pronunce richiamate dalla difesa statale a
sostegno di tale tesi, adottate da questa Corte in sede di conflitto di
attribuzione, non sarebbero pertinenti, in quanto relative al perfezionamento
d’intese, che si sostanziano in una paritaria codeterminazione del contenuto
dei provvedimenti da adottare (ex plurimis, sono richiamate le sentenze n. 121 del 2010,
n. 21 del 2006
e n. 27 del 2004).
Questione del tutto differente, invece, sarebbe l’espressione del parere sugli
schemi di provvedimenti legislativi, che mai potrebbe assumere quel carattere
negoziale proprio degli atti d’intesa.
7.2.− Anche la Regione Veneto, oltre a
ribadire le argomentazioni di cui al ricorso introduttivo, ha replicato alle
eccezioni d’inammissibilità sollevate dalla difesa statale, argomentando
altresì riguardo alle innovazioni introdotte dal d.lgs. n. 43 del 2018.
7.2.1.− Siffatte innovazioni non sarebbero
satisfattive delle ragioni espresse nel ricorso.
Il legislatore statale, infatti, avrebbe
previsto una mera intesa debole, mentre sarebbe stato necessario stabilire
strumenti di cooperazione con meccanismi per il superamento delle divergenze
basati sulla reiterazione delle trattative o su specifici strumenti di
mediazione, senza la possibilità dell’assunzione unilaterale dell’atto da parte
dell’autorità centrale in caso di mancato raggiungimento dell’intesa entro un
determinato periodo di tempo (ex plurimis, sono richiamate le sentenze n. 239 del 2013,
n. 179 del 2012,
n. 165 del 2011
e n. 378 del
2005).
Dunque, sarebbero sostanzialmente rimaste
immutate, sia la lesione alle competenze regionali lamentate con l’originario
ricorso, sia l’essenza della norma impugnata, che contemplerebbe comunque la
possibilità di una decisione unilaterale su materie di competenza anche regionale.
Pertanto, dovrebbe disporsi il trasferimento della questione di legittimità
costituzionale dall’art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 40 del 2017, dalla sua
versione originale a quella novellata (da ultimo, è richiamata la sentenza n. 44 del
2018).
7.2.2.− Inoltre, non sarebbe fondata
l’eccezione d’inammissibilità sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato
per intervenuta acquiescenza.
Com’è noto, infatti, nel processo costituzionale
non troverebbe applicazione tale istituto, per cui la circostanza che in sede
di Conferenza unificata sia stato dato un parere favorevole allo schema di
decreto legislativo non precluderebbe la possibilità di proporre
successivamente ricorso avverso il medesimo (tra le tante, si richiamano le
sentenze n. 187
e n. 165 del
2011, n. 40
del 2010, n.
98 del 2007, n.
74 del 2001 e n.
20 del 2000).
7.3.− L’Avvocatura generale dello Stato,
oltre a dar conto delle vicende successive alla proposizione dei ricorsi, ha
insistito nel rigetto degli stessi, ribadendo le eccezioni d’inammissibilità e
le ragioni di non fondatezza argomentate nell’atto di costituzione.
7.3.1.− In particolare, troverebbe
conferma l’inammissibilità delle censure regionali relative all’art. 4, comma
4, del d.lgs. n. 40 del 2017, in quanto il potere statale di programmazione,
organizzazione e attuazione del servizio civile universale, di cui al
successivo art. 6, non sarebbe stato oggetto di censura da parte delle
ricorrenti. Inoltre, tale potere sarebbe disciplinato già dall’art. 8, comma 1,
lettera d), della legge n. 106 del 2016, che si limiterebbe a prevedere un
generico coinvolgimento regionale nella sola fase di realizzazione dei
programmi da parte di enti locali, altri enti pubblici territoriali ed enti del
terzo settore. Siffatta disposizione della legge di delega non sarebbe stata
oggetto d’impugnazione da parte delle Regioni, con conseguente ulteriore
ragione d’inammissibilità dei ricorsi.
7.3.2.− Con riferimento alle novità
introdotte dal d.lgs. n. 43 del 2018, la difesa statale sottolinea che le stesse
comporterebbero, in relazione alle censure promosse nei confronti dell’art. 4,
comma 4, del d.lgs. n. 40 del 2017, la totale cessazione della materia del
contendere, poiché per l’approvazione dei piani è ora necessaria l’intesa con
la Conferenza Stato-Regioni.
La competenza legislativa esclusiva dello Stato
in materia, inoltre, renderebbe del tutto coerente il richiamo all’intesa ex
art. 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed
ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra
lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed
unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni,
delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie
locali), tenuto conto, tra l’altro, che la stessa distinzione tra intesa debole
e intesa forte non avrebbe più ragione di esistere. Come sottolineato da questa
Corte, infatti, anche per le intese di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 281 del
1997 sarebbero comunque previsti meccanismi di superamento del dissenso,
sostanzialmente basati sulla necessità di una pregnante e stringente
motivazione. Eventuali difetti di questa motivazione e della dialettica ad essa
sottesi, semmai, potrebbero essere fatti valere dalle Regioni nelle sedi
appropriate, anche in sede di giudizio sui conflitti d’attribuzione (sul punto
è richiamata la sentenza
n. 1 del 2016).
Ricorrerebbero, quindi, i presupposti richiesti
dalla giurisprudenza costituzionale per la cessazione della materia del contendere
(viene richiamata, da ultimo, la sentenza n. 59 del
2017), ossia il carattere satisfattivo delle modifiche legislative e la
mancata applicazione delle disposizioni impugnate (circostanza, quest’ultima,
documentata dall’amministrazione competente).
Considerato
in diritto
1.– La Regione Veneto (reg. ric. n. 43 del 2017)
e la Regione Lombardia (reg. ric. n. 44 del 2017) hanno impugnato diverse
disposizioni del decreto legislativo 6 marzo 2017, n. 40 (Istituzione e
disciplina del servizio civile universale, a norma dell’art. 8 della legge 6
giugno 2016, n. 106).
In particolare, entrambe le Regioni censurano
l’art. 4, comma 4 – la Regione Lombardia in connessione con l’art. 3 – e l’art.
7, comma 1, lettera d), mentre la sola Regione Veneto impugna l’art. 5, comma
5, del d.lgs. n. 40 del 2017.
2.– In considerazione della parziale identità
delle norme denunciate e delle censure proposte, i due giudizi devono essere
riuniti per essere trattati congiuntamente e decisi con un’unica pronuncia.
3.– Un primo gruppo di censure, promosse da
entrambe le ricorrenti, concerne l’art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 40 del 2017,
ove si prevede che l’attività di programmazione del servizio civile universale
è predisposta «dalla Presidenza del Consiglio dei ministri sentite le amministrazioni
competenti per i settori previsti dall’articolo 3 e le regioni e sono approvati
con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previo parere della
Consulta nazionale per il servizio civile universale e della Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di
Trento e di Bolzano».
La sola Regione Lombardia censura tale
disposizione in connessione con l’art. 3, che individua i settori di intervento
nei quali si realizzano le finalità del servizio civile universale.
3.1.– Secondo la Regione Veneto, la disposizione
impugnata sarebbe lesiva degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 120 della
Costituzione. Infatti, a fronte delle forme d’intesa previste nel caso di
attività dove sono particolarmente intrecciati i compiti dei vari livelli di
governo, si stabilirebbe una modalità di programmazione del servizio civile
universale decisa con l’acquisizione di un semplice parere della Conferenza
Stato-Regioni, preceduta da una generica consultazione delle Regioni.
3.2.– La Regione Lombardia, invece, asserisce
che gli artt. 3 e 4 del d.lgs. n. 40 del 2017 violerebbero il principio di
leale collaborazione di cui agli artt. 114, primo comma, e 118, terzo comma, Cost., il principio di attribuzione di cui all’art. 117 Cost. e il principio di sussidiarietà, come declinato
all’art. 118, primo comma, e all’art. 120, secondo comma, Cost.
Anche per tale parte ricorrente, in settori che rientrerebbero chiaramente in
ambiti di competenza legislativa e amministrativa delle Regioni, sarebbe
necessaria l’intesa in Conferenza Stato-Regioni sulla programmazione.
4.– La sola Regione Veneto censura l’art. 5,
comma 5, del d.lgs. n. 40 del 2017, in forza del quale i programmi di
intervento «sono presentati da soggetti iscritti all’albo degli enti di
servizio civile universale, previa pubblicazione di un avviso pubblico, e sono
valutati ed approvati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, con il
coinvolgimento delle regioni interessate e nei limiti della programmazione
finanziaria prevista all’articolo 24».
Tale disposizione lederebbe gli artt. 117, terzo
e quarto comma, e 120 Cost., poiché, in virtù
dell’intreccio di competenze, sarebbe da ritenersi necessaria un’intesa, sia al
fine del rispetto delle attribuzioni regionali, sia come corretta forma di
raccordo tra l’azione del Governo e quella delle Regioni.
5.– Da ultimo, entrambe le ricorrenti impugnano
l’art. 7, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 40 del 2017. Ivi, è stabilito che
le Regioni «attuano programmi di servizio civile universale con risorse proprie
presso i soggetti accreditati all’albo degli enti di servizio civile
universale, previa approvazione della Presidenza del Consiglio dei ministri,
consistente nella verifica del rispetto dei principi e delle finalità del servizio
civile universale di cui al presente decreto.».
5.1.– La Regione Veneto ritiene tale
disposizione lesiva dell’art. 119, primo comma, Cost.,
in quanto l’approvazione si concretizzerebbe in una sorta atto di controllo
preventivo, autoritativo ed unilaterale, senza alcuna forma di accordo con le
Regioni, relativamente a funzioni di competenza delle stesse e attuate con
provvedimenti interamente finanziati con risorse proprie.
5.2.– Secondo la Regione Lombardia, invece,
sarebbero violati i principi di buona amministrazione, proporzionalità e
ragionevolezza, di cui all’art. 97 Cost., incidendo
sul principio di attribuzione ex art. 117 Cost., e il
principio di autonomia finanziaria di spesa di cui all’art. 119, primo comma, Cost. L’approvazione, infatti, costituirebbe un improprio e
illegittimo subprocedimento all’interno del procedimento regionale, espressione
della volontà governativa di esercitare un controllo finanziario e di merito
dei programmi regionali di servizio civile.
6.– Prima di esaminare le singole questioni deve
rigettarsi l’eccezione d’inammissibilità sollevata dalla difesa statale,
relativa a tutte le censure promosse dalle Regioni ricorrenti, per intervenuta
acquiescenza, desumibile dal parere favorevole sullo schema del d.lgs. n. 40 del
2017 espresso dalla Conferenza unificata.
Com’è noto, infatti, l’istituto
dell’acquiescenza non è applicabile nel giudizio di legittimità costituzionale
in via principale (ex plurimis,
sentenze n. 169
del 2017, n.
231 del 2016, n.
215 e n. 124
del 2015, n.
139 del 2013, n.
71 del 2012 e n.
187 del 2011).
7.– Ciò premesso, possono essere prese in esame
le questioni promosse da entrambe le ricorrenti in relazione all’art. 4, comma
4, del d.lgs. n. 40 del 2017, dalla sola Regione Lombardia in connessione con
l’art. 3.
7.1.– In via preliminare, devono essere
esaminate le sopravvenute modifiche all’art. 4, comma 4, di cui all’art. 2 del
decreto legislativo 13 aprile 2018, n. 43 (Disposizioni integrative e
correttive al decreto legislativo 6 marzo 2017, n. 40, concernente:
«Istituzione e disciplina del servizio civile universale, a norma dell’articolo
8 della legge 6 giugno 2016, n. 106»).
7.1.1.– Tali modifiche, in primo luogo, non
possono ritenersi idonee a determinare la cessazione della materia del contendere.
Com’è noto, a tal fine sono necessarie la
sopravvenuta abrogazione o modificazione delle norme censurate in senso
satisfattivo della pretesa avanzata con il ricorso, nonché la mancata
applicazione, medio tempore, delle norme abrogate o modificate (ex plurimis,
sentenze n. 44
del 2018, n.
59 del 2017, n.
246, n. 228
e n. 187 del
2013).
Se la seconda delle condizioni indicate potrebbe
dirsi realizzata – poiché, come confermato dalla Presidenza del Consiglio dei
ministri - Dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale, la
prima fase sperimentale non ha comportato l’adozione dei piani – le modifiche
introdotte dal d.lgs. n. 43 del 2018 non possono ritenersi satisfattive delle
ragioni delle ricorrenti.
L’art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 40 del 2017,
infatti, viene censurato non tanto per la previsione del mero parere della
Conferenza Stato-Regioni sul decreto di adozione dei piani, quanto per la
mancata previsione dell’intesa "forte” di cui all’art. 8, comma 6, della legge
5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della
Repubblica alla L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3). La
novella legislativa, invece, ha introdotto l’intesa ex art. 3, comma 3, del
decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle
attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le
materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei
comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali), che, decorso il
termine ivi previsto, può essere superata con delibera motivata del Consiglio
dei ministri.
7.1.2.– Ciò precisato, non può ritenersi
possibile il trasferimento delle questioni sulla nuova formulazione dell’art.
4, comma 4.
Com’è noto, «la questione di legittimità deve
essere trasferita quando la disposizione impugnata sia stata modificata
marginalmente, senza che ne sia conseguita l’alterazione della sua portata
precettiva (sentenze n. 30 e n.193 del 2012).
Il trasferimento deve invece escludersi se, a seguito della modifica, la
disposizione risulti dotata "di un contenuto radicalmente innovativo rispetto
alla norma originaria” (sentenza n. 219 del
2013); nel qual caso la nuova disposizione va impugnata con autonomo
ricorso, senza che sia possibile il trasferimento che altrimenti "supplirebbe
impropriamente all’onere di impugnazione” (sentenze n. 40 del 2016,
n. 17 del 2015,
n. 138 del 2014
e n. 300 del
2012; nello stesso senso, sentenza n. 32 del
2012)» (sentenza
n. 44 del 2018).
È indubbio che l’intesa, debole o forte che sia,
costituisce comunque un atto radicalmente diverso dal parere. Nel primo caso,
infatti, la Conferenza Stato-Regioni partecipa alla definizione del contenuto
dell’atto; nel secondo caso, invece, svolge un mero ruolo consultivo in
relazione ad un contenuto predeterminato da un altro soggetto.
Da ciò si desume l’insussistenza dei presupposti
per il trasferimento della questione sulla disposizione sopravvenuta e,
pertanto, lo scrutinio di costituzionalità deve essere effettuato sul testo
originario dell’art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 40 del 2017.
7.2.– Sempre in via preliminare, la difesa
statale ha eccepito l’inammissibilità delle censure regionali per la mancata
contestuale impugnazione dell’art. 6 del d.gs. n. 40 del 2017, che attribuisce
alla Presidenza del Consiglio dei ministri la competenza in materia di
programmazione, organizzazione e attuazione del servizio civile universale. Si
tratterebbe, inoltre, di una disposizione il cui contenuto sarebbe già indicato
dall’art. 8, comma l, lettera d), della legge 6 giugno 2016, n. 106 (Delega al
Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la
disciplina del servizio civile universale), ove chiaramente si attribuisce allo
Stato la competenza in materia di programmazione, prevedendo un intervento
delle Regioni solo per la realizzazione dei programmi, tra l’altro nella forma
di un generico coinvolgimento. Tale disposizione di delega non sarebbe stata al
tempo impugnata dalle ricorrenti.
L’eccezione non è fondata.
Le ricorrenti, infatti, non contestano
l’attribuzione allo Stato della potestà di programmazione in materia di
servizio civile nazionale. Oggetto di censura, invece, è la mancata previsione
di un adeguato coinvolgimento regionale sul decreto di adozione dei piani,
poiché per tali profili la programmazione interferirebbe con competenze delle
Regioni.
Correttamente, pertanto, è stato impugnato il
solo art. 4, comma 4, che, nel declinare le modalità in cui la programmazione
deve esercitarsi, lederebbe, a detta delle ricorrenti, le competenze regionali
e il principio di leale collaborazione, di per sé non violati dalla mera
attribuzione allo Stato delle funzioni programmatorie, bensì dalle modalità di
esercizio delle stesse.
7.3.– Nel merito le questioni non sono fondate.
7.3.1.– Le disposizioni oggetto di censura
disciplinano taluni aspetti organizzativi e procedurali del servizio civile
nazionale, che devono essere ricondotti alla potestà esclusiva statale in materia
di «difesa» ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera d), Cost.
Come già affermato da questa Corte, infatti,
l’art. 52 Cost. configura la difesa della Patria come
sacro dovere, che ha un’estensione più ampia dell’obbligo di prestare servizio
militare. Si tratta di un dovere che si collega intimamente e indissolubilmente
all’appartenenza alla comunità nazionale e trascende lo stesso dovere del
servizio militare.
Da ciò derivano, pertanto, la possibilità e
l’utilità di adempiere ad esso anche attraverso adeguate attività di impegno
sociale non armato (sentenza n. 164 del
1985). Si tratta di attività che corroborano il tessuto connettivo della
società, con ciò rafforzando il senso di appartenenza alla comunità nazionale e
realizzando in tal modo una difesa della Patria non meno pregnante di quella
propria del servizio militare (sentenza n. 119 del
2015).
Il legame tra gli artt. 52 e 2 Cost., riconosciuto anche dalle parti ricorrenti,
costituiva una caratteristica del servizio civile già quando lo stesso era
disciplinato quale alternativa alla leva obbligatoria. La sospensione di
quest’ultima, pur configurando ora tale servizio quale frutto di una scelta
volontaria, non muta né la natura, né le finalità dell’istituto.
La volontarietà, che caratterizza ormai lo
stesso servizio militare, riguarda, d’altronde, solo la scelta iniziale, in
quanto il rapporto è poi definito da una dettagliata disciplina dei diritti e
dei doveri, «che permette di configurare il servizio civile come autonomo
istituto giuridico in cui prevale la dimensione pubblica, oggettiva e
organizzativa. D’altra parte, il dovere di difendere la Patria deve essere
letto alla luce del principio di solidarietà espresso nell’art. 2 della
Costituzione, le cui virtualità trascendono l’area degli "obblighi
normativamente imposti”, chiamando la persona ad agire non solo per imposizione
di una autorità, ma anche per libera e spontanea espressione della profonda
socialità che caratterizza la persona stessa.» (sentenza n. 228 del
2004).
7.3.2.– Alla luce di tale ricostruzione,
pertanto, la disciplina del servizio civile nazionale, anche di quello di
natura volontaria, non può che rientrare nella competenza statale prevista
dall’art. 117, secondo comma, lettera d), Cost., ove
si riserva alla legislazione esclusiva dello Stato non solo la materia «forze
armate», ma anche la «difesa», che, come sottolineato, comprende altresì forme
di difesa "civile”, concorrenti con la difesa "armata” della Patria (sentenze n. 119 del 2015
e n. 228 del
2004).
Come già affermato da questa Corte, nella
potestà esclusiva dello Stato rientrano gli aspetti organizzativi e procedurali
del servizio, mentre quelli concernenti i vari settori materiali restano
soggetti alla disciplina dettata dall’ente rispettivamente competente (sentenze
n. 431 del 2005
e n. 228 del
2004).
La legge regionale, dunque, può senz’altro
intervenire negli ambiti di propria competenza, nel rispetto però delle linee
d’indirizzo e coordinamento tracciate a livello centrale e delle norme di
produzione statale recanti le caratteristiche uniformi per tutti i progetti di
servizio civile nazionale, non potendosi mai rovesciare il rapporto
logico-giuridico che esiste tra le due legislazioni (sentenza n. 309 del
2013).
Quanto affermato, nondimeno, non esclude che, al
fine di assicurare la partecipazione dei diversi livelli di governo coinvolti,
l’esercizio delle funzioni ammnistrative sia improntato al rispetto del
principio di leale collaborazione (sentenza n. 58 del
2007). Le esigenze di una disciplina unitaria, d’altronde, in un
ordinamento a struttura regionalista fondato sui principi di cui all’art. 5 Cost., non possono ignorare la tutela delle autonomie
territoriali, attraverso strumenti idonei a fornire risposte pragmatiche e
sufficientemente flessibili, specie nei casi nei quali lo Stato, pur
nell’esercizio di sue competenze esclusive, interferisce con materie attribuite
alle Regioni (sentenza
n. 61 del 2018).
7.3.3.– Ciò precisato, l’art. 4 del d.lgs. n. 40
del 2017 disciplina la programmazione del servizio civile universale,
realizzata con un piano triennale, articolato per piani annuali e attuato
attraverso gli specifici programmi d’intervento proposti dagli enti di servizio
civile universale.
Attraverso i piani, tenuto conto del contesto
nazionale, internazionale, delle specificità delle aree geografiche e delle
risorse disponibili, sono definiti gli obiettivi generali del servizio civile,
gli interventi, con l’indicazione di quelli prioritari, nonché i relativi
standard qualitativi. Gli interventi possono riguardare i vari settori previsti
dall’art. 3 del medesimo d.lgs. n. 40 del 2017, che attengono ad ambiti
diversi, di competenza statale e regionale. Ai sensi dell’impugnato art. 4,
comma 4 – nella sua formulazione originaria – i piani sono predisposti dalla
Presidenza del Consiglio dei ministri, con il coinvolgimento delle Regioni, e
approvati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentita la
Conferenza Stato-Regioni.
Tale disciplina può essere senz’altro ricondotta
agli aspetti organizzativi e procedurali del servizio civile universale, di
competenza esclusiva dello Stato, in quanto tesa a garantire l’unitarietà del
servizio.
La funzione di programmazione – allocata in capo
allo Stato (nella specie all’Ufficio nazionale per il servizio civile) già dal
decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77 (Disciplina del Servizio civile
nazionale a norma dell’articolo 2 della L. 6 marzo 2001, n. 64) – risulta
coessenziale alla realizzazione degli obiettivi generali e delle finalità del
servizio civile universale. La natura "nazionale” del servizio, infatti, rende
necessaria l’attribuzione allo Stato del potere di dettare le linee generali
sugli interventi, indicando quelli prioritari, e di disciplinare le
caratteristiche minime che gli stessi interventi debbano avere. L’attuazione da
parte delle Regioni, d’altronde, deve pur sempre avvenire «nel rispetto delle
linee di programmazione, indirizzo e coordinamento tracciate a livello
centrale» (sentenza
n. 431 del 2005).
Dunque, in virtù dell’ascrizione della
disciplina alla competenza esclusiva statale, non vi è alcuna lesione del
riparto costituzionale di competenze. L’incidenza sulle attribuzioni regionali,
invece, è una conseguenza della stessa natura del titolo d’intervento dello
Stato, non dell’allocazione in capo a quest’ultimo di funzioni amministrative
in materie di potestà delle Regioni, senza che possa così configurarsi una
violazione dell’art. 118 Cost. Non sussiste, infatti,
quella chiara sovrapposizione di competenze che richiede che gli interventi
statali siano concertati con le Regioni attraverso il coinvolgimento delle
stesse in sede d’intesa (sentenza n. 61 del
2018).
Il legislatore statale, nondimeno, tenuto conto
che il principio di leale collaborazione permea l’ordinamento nel suo complesso
(tra le tante, sentenze n. 21 del 2016
e n. 50 del 2008),
ha comunque previsto varie forme di partecipazione delle Regioni. Il d.lgs. n.
40 del 2017, infatti, stabilisce un coinvolgimento regionale su tutti gli
aspetti della programmazione, ivi compresi gli standard dei programmi e dei
progetti, sia nella fase di predisposizione dei piani, sia in quella di
approvazione degli stessi. Rispetto al d.lgs. n. 77 del 2002, che prevedeva
solo un parere della Conferenza Stato-Regioni sulla determinazione delle
caratteristiche dei progetti di servizio civile (art. 6, comma 1) e sulla
programmazione delle risorse (art. 4, comma 1), anzi, la disciplina in esame
costituisce un deciso avanzamento nel senso del coinvolgimento regionale.
Si tratta di strumenti di partecipazione
adeguati e rispettosi del principio di leale collaborazione (tra l’altro
ulteriormente rafforzati in seguito alle modifiche di cui al d.lgs. n. 43 del
2018). Un eccessivo dettaglio dei piani e dei programmi, tale da interferire
con la programmazione regionale nelle materie in cui il servizio civile si
realizza, semmai, potrebbe comportare un vizio degli stessi atti amministrativi
con cui detti piani sono adottati, per il mancato rispetto dei criteri
individuati dallo stesso art. 4, comma 4.
8.– Anche le questioni promosse dalla Regione
Veneto in relazione all’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 40 del 2017 non sono
fondate.
8.1.– L’art. 5 disciplina la valutazione e
l’approvazione dei programmi di intervento, articolati in progetti presentati
dai soggetti iscritti all’albo degli enti di servizio civile universale. Non
c’è dubbio che in tal caso le competenze regionali necessitano uno spazio
maggiore rispetto alla disciplina delle linee generali della programmazione, in
quanto la realizzazione dei progetti può incidere direttamente su attività di
competenza delle Regioni e sui relativi territori.
Il d.lgs. n. 77 del 2002 prevedeva, a tal
proposito, un sistema articolato in base all’attinenza territoriale dei
progetti d’intervento. L’art. 6, infatti, attribuiva all’Ufficio nazionale per
il servizio civile, sentite le Regioni e le Province autonome, l’esame e
l’approvazione dei progetti di rilevanza nazionale, presentati da enti e
amministrazioni nazionali. Per gli enti ed organizzazioni che svolgevano
attività nell’ambito delle competenze regionali e sul relativo territorio,
invece, la valutazione e l’approvazione dei progetti spettavano alle Regioni,
che dovevano comunque comunicare i progetti approvati all’Ufficio nazionale per
il nulla osta. Sulla conformità di tale sistema al riparto di competenze
costituzionali questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi con la sentenza n. 228 del
2004.
Il d.lgs. n. 40 del 2017 accentra nella
Presidenza del Consiglio dei ministri la valutazione di tutti i progetti, senza
però sacrificare l’autonomia regionale. Quando il progetto riguarda una
specifica Regione o più Regioni limitrofe, infatti, l’approvazione non può
prescindere dall’intesa con queste ultime (art. 5, comma 6). Per i progetti
che, invece, hanno un impatto che eccede i territori di specifiche Regioni,
spetta alla Presidenza del Consiglio dei ministri il compito, sia di effettuare
la valutazione e l’approvazione degli stessi nei limiti della programmazione
finanziaria prevista, sia di indentificare, in relazione ai caratteri degli
stessi progetti, le forme più appropriate di coinvolgimento delle Regioni (art.
5, comma 5). Dunque, non rileva la natura nazionale o regionale dell’ente che
presenta il progetto, bensì l’impatto territoriale di quest’ultimo.
La disciplina di cui all’impugnato art. 5, comma
5, rientra nella potestà esclusiva statale, in quanto ha ad oggetto la
valutazione di programmi e progetti che eccedono le specificità dei singoli
territori, che devono essere necessariamente valutati e approvati dallo Stato,
poiché si tratta degli strumenti attraverso i quali si realizzano in concreto
gli obiettivi del servizio civile universale. Il coinvolgimento regionale,
comunque salvaguardato, potrà realizzarsi nelle forme più opportune in
relazione alla specificità degli interventi, con l’eventuale possibilità per le
Regioni di far valere l’illegittimità dello strumento prescelto quando non
adeguato.
9.– Da ultimo, debbono esaminarsi le questioni
promosse da entrambe le ricorrenti riguardo all’art. 7, comma 1, lettera d),
del d.lgs. n. 40 del 2017.
9.1.– In via preliminare, deve essere rigettata
l’eccezione d’inammissibilità, sollevata dalla difesa statale riguardo ad
entrambi i ricorsi, in virtù della mancata impugnazione del comma 9 dell’art. 5
del d.lgs. n. 40 del 2017, che individua in via generale i soggetti legittimati
ad attuare – con risorse proprie – i programmi di servizio civile. Si tratta,
in particolare, delle amministrazioni pubbliche, degli enti locali, degli altri
enti pubblici territoriali e degli enti del terzo settore. Il successivo art.
7, comma 1, lettera d), prevede tale possibilità con specifico riferimento alle
Regioni.
A prescindere dalla dubbia applicabilità
dell’art. 5, comma 9, alle Regioni, che non sono ivi esplicitamente menzionate,
la mancata impugnazione dello stesso non costituisce, di per sé, un motivo
d’inammissibilità. Infatti, l’art. 7, comma 1, lettera d), è comunque
astrattamente idoneo a ledere le prerogative regionali e il risultato di un
eventuale accoglimento della questione, anzi, sarebbe anche quello di chiarire
la non applicazione alle Regioni dello stesso art. 5, comma 9, confermando così
la sussistenza dell’interesse a ricorrere.
9.2.– Nel merito le questioni non sono fondate.
9.2.1.– L’art. 24 del d.lgs. n. 40 del 2017, nel
disciplinare il fondo per il servizio civile nazionale, prevede che lo
stanziamento delle relative risorse, da destinare all’attuazione degli
interventi di servizio civile universale, sia oggetto di una specifica
programmazione, attraverso un documento approvato dalla Presidenza del
Consiglio dei ministri, sentita, tra gli altri, la Conferenza Stato-Regioni.
L’art. 7, comma 1, lettera d), qui impugnato,
attribuisce alle Regioni la possibilità di dare attuazione, con risorse
proprie, dunque al di fuori della programmazione di cui all’art. 24, ai
programmi di servizio civile universale. Tuttavia, tale attuazione è
subordinata all’approvazione della Presidenza del Consiglio dei ministri,
consistente nella verifica del rispetto dei principi e delle finalità del
servizio civile universale.
L’approvazione prevista dalla disposizione
impugnata attiene precipuamente all’organizzazione del servizio civile,
espressione di quei poteri di programmazione, organizzazione, accreditamento e
controllo del servizio civile universale attribuiti alla potestà esclusiva
statale, senza che possa configurarsi una lesione delle competenze regionali.
D’altronde, sebbene avvenga con risorse
regionali, l’attuazione dei progetti di servizio civile universale deve pur
sempre essere coerente con la normativa statale di riferimento e con i principi
e le finalità da questa indicati. Per tali aspetti, pertanto, il ruolo delle
Regioni non può essere diverso da quello delle altre amministrazioni.
L’intervento dello Stato, quindi, costituisce un
atto di coordinamento amministrativo, limitato alla verifica del rispetto dei
principi e delle finalità del servizio civile universale, che in alcun modo è
idoneo a ledere le competenze amministrative regionali. Esso, inoltre, non si
configura come un controllo di merito sull’attuazione dei programmi, né come un
controllo finanziario, non introducendo alcun vincolo all’autonomia finanziaria
delle Regioni di cui all’art. 119 Cost.
Si tratta, in definitiva, del potere di valutare
la coerenza degli interventi con quanto previsto dai piani approvati ai sensi
del precedente art. 4, allo stesso modo di quanto avviene per i progetti
valutati nell’ambito delle risorse previste dal successivo art. 24, ai sensi
dell’art. 5, comma 5. La qual cosa non potrebbe essere diversamente,
trattandosi, come già sottolineato, di interventi di servizio civile nazionale,
che devono comunque essere conformi agli obiettivi e agli indirizzi generali in
materia di servizio civile universale, nonché agli standard qualitativi. È su
tali criteri, dunque, che si basa la verifica attribuita allo Stato in sede di
approvazione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondate le questioni
di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 4, del decreto legislativo 6
marzo 2017, n. 40 (Istituzione e disciplina del servizio civile universale, a
norma dell’art. 8 della legge 6 giugno 2016, n. 106), promosse dalla Regione
Veneto, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 120 della
Costituzione, e, in connessione con l’art. 3, dalla Regione Lombardia, in
riferimento agli artt. 114, primo comma, 117, 118, primo e terzo comma, e 120,
secondo comma, Cost., e al principio di leale
collaborazione, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara
non
fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 5, del
d.lgs. n. 40 del 2017, promosse dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt.
117, terzo e quarto comma, e 120 Cost., con il
ricorso iscritto al n. 43 del registro ricorsi 2017;
dichiara non fondate le
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, lettera d), del
d.lgs. n. 40 del 2017, promosse dalla Regione Veneto, in riferimento all’art.
119, primo comma, Cost., e dalla Regione Lombardia,
in riferimento agli artt. 97, 117 e 119, primo comma, Cost.,
con i ricorsi indicati in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Giuliano AMATO, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2018.