SENTENZA N.
59
ANNO 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO
”
- Augusto
Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nei giudizi di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, lettera b),
della legge
della Regione Abruzzo 3 novembre 2015, n. 36 (Disposizioni in materia di acque e di autorizzazione provvisoria degli
scarichi relativi ad impianti di depurazione delle acque reflue urbane in
attuazione dell’art. 124, comma 6, del decreto legislativo n. 152/2006 e
modifica alla L.R. n. 5/2015),
dell’art. 11, comma 6, lettera b),
della legge
della Regione Abruzzo 19 gennaio 2016, n. 5, recante «Disposizioni finanziarie
per la redazione del Bilancio pluriennale 2016-2018 della Regione Abruzzo
(Legge di Stabilità Regionale 2016)», e dell’art. 1, comma 1, lettere a), b)
e c), della legge
della Regione Abruzzo 13 aprile 2016, n. 11 (Modifiche alle leggi regionali
25/2011, 5/2015, 38/1996 e 9/2011), promossi dal Presidente del Consiglio
dei ministri con ricorsi, il primo notificato il 4-5 gennaio 2016, il secondo
spedito per la notifica il 22 marzo 2016 ed il terzo notificato l’8-9 giugno
2016, depositati in cancelleria il 13 gennaio, il 24 marzo ed il 10 giugno 2016
e, rispettivamente, iscritti ai nn. 2, 21 e 29 del
registro ricorsi 2016.
Visti gli atti di costituzione della Regione Abruzzo;
udito nell’udienza pubblica
del 10 gennaio 2017 il Giudice relatore Franco Modugno;
uditi gli avvocati
dello Stato Massimo Salvatorelli e Leonello Mariani per il Presidente del
Consiglio dei ministri e l’avvocato Stefania Valeri per la Regione Abruzzo.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 4-5 gennaio 2016 e
depositato il successivo 13 gennaio (reg. ric. n. 2 del 2016), il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, ha promosso, in via principale, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 2, lettera b), della legge della Regione Abruzzo 3 novembre 2015, n. 36 (Disposizioni in materia di acque e di
autorizzazione provvisoria degli scarichi relativi ad impianti di depurazione
delle acque reflue urbane in attuazione dell’art. 124, comma 6, del decreto
legislativo n. 152/2006 e modifica alla L.R. n. 5/2015), per violazione
dell’art. 117,
secondo comma, lettera e), della
Costituzione, nella parte in cui riserva alla competenza legislativa
esclusiva dello Stato la «tutela della concorrenza».
1.1.– L’Avvocatura generale dello Stato – dopo aver
preliminarmente rammentato che, in materia di concessioni di derivazioni di
acque, l’art. 35 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 (Approvazione del
testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti
elettrici), prevede che le utenze di acqua pubblica siano sottoposte al
pagamento di un canone annuo, regolato sulla media della forza motrice nominale
disponibile nell’anno – rileva che la disposizione regionale censurata
interviene sull’art. 12 della legge
della Regione Abruzzo 3 agosto 2011, n. 25 (Disposizioni in materia di acque
con istituzione del fondo speciale destinato alla perequazione in favore del
territorio montano per le azioni di tutela delle falde e in materia di proventi
relativi alle utenze di acque pubbliche). Tale ultima disposizione era già
stata modificata dal legislatore regionale con l’art. 16 della legge 10 gennaio
2012, n. 1, recante «Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio
annuale 2012 e pluriennale 2012-2014 della Regione Abruzzo (Legge Finanziaria
Regionale 2012)», il quale aveva stabilito un nuovo importo del costo unitario
del canone, associato però alla potenza efficiente, come identificata dai
rapporti annuali del Gestore dei servizi energetici (GSE), di ciascun impianto
idroelettrico e non più alla potenza nominale.
Detto art. 16 era stato
impugnato dallo Stato, che lo aveva ritenuto lesivo delle sue competenze
esclusive in materia di tutela dell’ambiente e tutela della concorrenza, nonché
per contrasto con i principî fondamentali in materia di produzione, trasporto e
distribuzione dell’energia di cui alla legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino
del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle
disposizioni vigenti in materia di energia). La Corte costituzionale, tuttavia
– dopo aver trasferito la questione, in ragione del contenuto sostanzialmente
analogo, sull’art. 3 della legge della Regione Abruzzo 17 luglio 2012, n. 34,
denominata «Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 3 agosto 2011, n. 25
recante: "Disposizioni in materia di acque con istituzione del fondo speciale
destinato alla perequazione in favore del territorio montano per le azioni di
tutela delle falde e in materia di proventi relativi alle utenze di acque
pubbliche”, integrazione alla legge regionale 17 aprile 2003, n. 7 recante:
"Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2003 e
pluriennale 2003-2005 della Regione Abruzzo (legge finanziaria regionale
2003)”, modifiche alla legge regionale 12 aprile 2011, n. 9 recante "Norme in
materia di Servizio Idrico Integrato della Regione Abruzzo” e modifica all’art.
63 della L.R. n. 1/2012 recante: Legge finanziaria regionale 2012» – con la sentenza n. 85
del 2014 aveva dichiarato il ricorso in parte infondato, perché la
disposizione allora censurata non era afferente alla materia dell’ambiente, e
in parte inammissibile, perché non era stato specificato come il riferimento
alla potenza efficiente potesse esplicare influenza sui costi.
La disposizione oggi
impugnata – prosegue la difesa statale – sostituisce il comma 1-bis dell’art. 12 della legge regionale
n. 25 del 2011 e fornisce espressamente una definizione di potenza efficiente,
da intendersi quale «massima potenza elettrica, con riferimento alla potenza
attiva, comunque realizzabile dall’impianto durante un intervallo di tempo di
funzionamento pari a 4 ore, supponendo le parti dell’impianto in funzione in
piena efficienza e nelle condizioni ottimali di portata e di salto».
L’Avvocatura generale
dello Stato ritiene tale disciplina «gravemente violativa
dei principi di concorrenza, la cui tutela è rimessa alla normazione statale
secondo la previsione dell’art. 117, comma 2, lettera e) Cost.». La difesa
dello Stato osserva che la giurisprudenza costituzionale, con le sentenze n. 64
e n. 28 del 2014,
ha riconosciuto che, in relazione al settore dell’attività di generazione
idroelettrica, il legislatore statale ha «affrontato l’esigenza di tutelare la
concorrenza garantendo l’uniformità della disciplina sull’intero territorio
nazionale», prevedendo espressamente, in particolare, che con decreto del
Ministro per lo sviluppo economico, sentita la Conferenza Stato-Regioni, siano
stabiliti i criteri generali per la determinazione, da parte delle Regioni, di
valori massimi delle concessioni ad uso idroelettrico (art. 37, comma 7, del
decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, recante «Misure urgenti per la crescita
del Paese», convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 134). La
circostanza che detto decreto ministeriale non sia stato ancora adottato non
farebbe venire meno la competenza statale esclusiva in materia di «tutela della
concorrenza».
Alla luce di tale quadro
normativo, il ricorrente lamenta che la disciplina regionale censurata avrebbe
«l’effetto di alterare le condizioni concorrenziali sul territorio nazionale,
discriminando gli operatori idroelettrici insediati in Abruzzo», così violando
l’art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost. Tutte le Regioni, infatti, adottano canoni parametrati alla potenza
nominale media di concessione, con valori oscillanti tra i 13 e i 37 euro per Kw, mentre la disposizione regionale impugnata, nel
definire la potenza efficiente come quella «teoricamente producibile durante
quattro ore di ipotetico funzionamento, in condizioni ottimali di portata e di
salto, sfruttando la massima efficienza possibile dell’impianto», prevede una
diversa grandezza di riferimento la quale, essendo sovrastimata, può discostarsi
di molto dal valore della potenza nominale. Conseguentemente, l’importo dei
canoni potrebbe risultare triplicato, sino a raggiungere un ammontare pari a un
terzo dell’attuale prezzo di vendita dell’energia elettrica.
2.– Con memoria depositata l’11 febbraio 2016 si è
costituita in giudizio la Regione Abruzzo, chiedendo che sia dichiarata cessata
la materia del contendere o, in subordine, l’infondatezza del ricorso.
2.1.– La difesa della
resistente ripercorre, innanzitutto, l’evoluzione della legislazione regionale
in materia di canoni idroelettrici, per poi rilevare come, successivamente alla
proposizione del ricorso, sia stata approvata la legge della Regione Abruzzo 19
gennaio 2016, n. 5, recante «Disposizioni finanziarie per la redazione del Bilancio
pluriennale 2016-2018 della Regione Abruzzo (Legge di stabilità Regionale
2016)», il cui art. 11, comma 6, è intervenuto sull’art. 12 della legge
regionale n. 25 del 2011. In particolare, il legislatore regionale ha disposto
la sostituzione del comma 1-bis del
suddetto art. 12, come precedentemente modificato dalla disposizione censurata,
sostanzialmente ripristinando – secondo la difesa della Regione – la previsione
antecedente alla normativa impugnata che, per la definizione di potenza
efficiente, rinviava alla definizione ufficiale utilizzata dal GSE e
dall’Autorità per l’energia elettrica ed il gas (AEEG).
Osserva la Regione
Abruzzo che su tale previsione antecedente la Corte costituzionale era stata
già chiamata a pronunciarsi su ricorso dello Stato, dichiarato in parte
infondato e in parte inammissibile con la sentenza n. 85 del
2014: in detta occasione, si affermò, per un verso, che «l’unico principio
fondamentale della materia è quello dell’onerosità della concessione e della
proporzionalità del canone alla entità dello sfruttamento della risorsa
pubblica e all’utilità economica che il concessionario ne ricava»; per un
altro, che il Presidente del Consiglio dei ministri non aveva dimostrato quale
influenza sui costi avesse il riferimento alla potenza efficiente. Nella
richiamata pronuncia, inoltre, non si fece alcun riferimento all’art. 37, comma
7, del d.l. n. 83 del 2012, che neppure oggi – a
parere della resistente – potrebbe considerarsi «parametro legislativo
influente ai fini della connotazione di un conflitto, in difetto della
emanazione del relativo D.M. di attuazione».
In ragione della novella
legislativa, che ripropone una disposizione già previamente impugnata e non dichiarata
illegittima, così «uniformandosi, sul piano precettivo, alla lettura
costituzionalmente orientata» fornita dalla Corte costituzionale, la difesa
regionale chiede, pertanto, che sia dichiarata cessata la materia del
contendere.
2.2.– In via subordinata, la Regione Abruzzo ritiene il
ricorso infondato.
Osserva, infatti, che il
Presidente del Consiglio dei ministri non si sarebbe discostato da quanto già
argomentato in sede di impugnazione della legge regionale n. 1 del 2012,
limitandosi ad ipotizzare una presunta triplicazione del canone «in maniera del
tutto teorica», di modo che anche in questo caso – come in quello deciso dalla
Corte costituzionale con la sentenza n. 85 del
2014 – non sarebbe stato specificato «in che modo il riferimento alla
potenza efficiente influisca sui costi e quale sia il "verso economico” di tale
effetto».
La Regione Abruzzo
rileva, poi, che l’art. 35 del r.d. n. 1775 del 1933
sancisce il principio generale di onerosità della concessione di derivazione di
acque pubbliche determinato sulla base dell’entità dello sfruttamento della
risorsa, che rappresenta – secondo quanto chiarito dalle sezioni unite della
Corte di cassazione (sentenza 30 giugno 2009, n. 15234) – l’unico principio
fondamentale della materia, assieme alla proporzionalità del canone
all’effettiva entità dello sfruttamento e all’utilità che il concessionario ne
ricava. Al contrario, secondo quanto avrebbe affermato anche la Corte
costituzionale nella sentenza n. 85 del
2014, non può considerarsi principio fondamentale la determinazione del
canone in base a un importo fisso per ogni cavallo nominale di forza motrice.
In applicazione dei
principî ora ricordati, la Regione Abruzzo avrebbe «inteso discostarsi dal
criterio della potenza nominale concessa investendo la potenza efficiente lorda
come parametro oggettivo», in attuazione della competenza legislativa di cui all’art.
117, terzo comma, Cost. in materia di «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia». La legittimità di tale
scelta deriverebbe dall’impossibilità di considerare principio fondamentale una
previsione – quella dell’art. 35 del r.d. n. 1775 del
1933 – che costituisce una mera misurazione della tariffa (viene richiamata la sentenza n. 64 del
2014), mentre, a fronte della scarsità della risorsa idrica, sarebbe
ragionevole l’aumento del canone attuato con la disposizione censurata, la
quale consente che a un aumento del quantitativo di risorsa sottratta
corrisponda un aumento del canone in misura progressiva.
Quanto, poi, al comma 7
dell’art. 37 del d.l. n. 83 del 2012, la Regione
Abruzzo ritiene che esso debba leggersi in combinato disposto coi commi 4, 5 e
6 del medesimo articolo: prospettiva nella quale i criteri generali di
determinazione dei canoni idrici che devono essere fissati con decreto
ministeriale dovrebbero ritenersi diretti ad assicurare una omogenea disciplina
sul territorio nazionale «solo nei casi di scadenza, rinuncia, revoca e
decadenza delle concessioni di grande derivazione». Conseguentemente, la
disposizione impugnata non potrebbe ritenersi in contrasto con l’evocata
disposizione statale, dal momento che essa «si rivolge esclusivamente agli
attuali concessionari, ovvero a coloro che attualmente utilizzano l’acqua per
uso idroelettrico e non si trovano nelle condizioni previste dall’art. 37
richiamato». Inoltre, la difesa regionale rileva che la Regione Abruzzo è, con
riferimento alla determinazione dei canoni, in linea con le altre Regioni
italiane, le quali peraltro applicano canoni anche molto diversi tra loro, così
che, a condividere le argomentazioni del Presidente del Consiglio dei ministri,
dovrebbe concludersi che «l’intero sistema attuale di regolazione dei canoni
finirebbe per risultare "anticoncorrenziale”».
La Regione Abruzzo
esclude, altresì, che la disposizione censurata possa considerarsi invasiva di
competenze esclusive statali. La potestà regionale di determinazione dei
canoni, infatti, troverebbe fondamento negli artt. 86 e 89 del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti
amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del
capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), come peraltro sarebbe stato
ripetutamente confermato tanto dalla giurisprudenza della Corte di cassazione e
del Tribunale Superiore delle Acque pubbliche, quanto da decisioni della Corte
costituzionale (si richiama, oltre alla sentenza n. 85 del
2014, la sentenza
n. 1 del 2008).
La resistente, inoltre,
reputa inconferente il richiamo effettuato dal Presidente del Consiglio dei
ministri alla sentenza
n. 28 del 2014 della Corte costituzionale. Ad avviso della Regione Abruzzo,
in detta sentenza la Corte avrebbe bensì ricondotto alla materia «tutela della
concorrenza» i commi 4, 5, 6, 7 e 8 dell’art. 37 del d.l.
n. 83 del 2012, ma solo perché dette disposizioni «mirano ad agevolare
l’accesso degli operatori economici al mercato dell’energia secondo condizioni
uniformi sul territorio nazionale». Nondimeno, con la disposizione impugnata il
legislatore regionale avrebbe voluto esclusivamente «regolare i canoni legati
alle derivazioni in atto da molti anni e non certo i criteri e le gare per le
concessioni di grandi derivazioni idroelettriche, che sono riservate – senza
possibilità di contestazioni di sorta – allo Stato», come è noto sin dalla
adozione del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della
direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia
elettrica), e come si evince altresì dalla sentenza n. 339 del
2011 della Corte costituzionale. Pertanto, poiché la censurata disposizione
regionale riguarda concessioni già in essere, per queste ultime non potrebbe
presentarsi alcun problema di accesso al mercato e, conseguentemente, il
richiamo del ricorrente all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. dovrebbe
reputarsi privo di fondamento.
Parimente inconferente,
infine, sarebbe il richiamo da parte del Presidente del Consiglio dei ministri
alla sentenza n.
64 del 2014 della Corte costituzionale. La Regione Abruzzo, infatti, con la
disposizione impugnata non avrebbe definito alcun criterio generale per la
determinazione dei valori massimi dei canoni. Secondo la resistente, peraltro,
la disposizione impugnata sarebbe conforme alla direttiva 23 ottobre 2000, n.
2000/60/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un
quadro per l’azione comunitaria in materia di acque), la quale impone il
principio del recupero dei costi ambiente, recepito dall’art. 154 del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), nonché dal
decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 24
febbraio 2015, n. 39 (Regolamento recante i criteri per la definizione del
costo ambientale e del costo della risorsa per i vari settori d’impiego
dell’acqua).
3.– Con un successivo ricorso, spedito per la
notifica il 22 marzo 2016 e depositato il successivo 24 marzo (reg. ric. n. 21
del 2016), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in via principale, questione
di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 6, lettera b), della legge della Regione Abruzzo n.
5 del 2016 – sostitutivo del già
menzionato art. 12, comma 1-bis,
della legge regionale n. 25 del 2011, nel testo risultante dalla sostituzione
operata con l’art. 1, comma 2, lettera b),
della legge regionale n. 36 del 2015, impugnato con il ricorso n. 2 del 2016 –
ancora per violazione dell’art. 117, secondo comma,
lettera e), Cost., nella parte in
cui riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la «tutela della
concorrenza».
3.1.– Dopo aver
ricostruito il quadro normativo statale e regionale in cui detta disposizione
si inserisce, il ricorrente osserva che essa – rinviando per la definizione di
potenza efficiente alla definizione ufficiale utilizzata dal GSE e dall’AEEG –
solo apparentemente è caratterizzata da profili di novità, trattandosi, in realtà,
di previsione avente portata normativa equivalente a quella impugnata con il
precedente ricorso n. 2 del 2016. L’Avvocatura generale dello Stato precisa, in
particolare, che il parametro della potenza efficiente con rinvio alla
definizione del GSE era già previsto dall’art. 16 della legge regionale n. 1
del 2012, il quale era stato oggetto di ricorso dinanzi alla Corte
costituzionale, dichiarato inammissibile perché non era stato dimostrato «come
il riferimento alla potenza efficiente [influisse] sui costi e quale [fosse] il
"verso economico” di tale effetto» (sentenza n. 85 del
2014).
Il Presidente del Consiglio dei ministri, pertanto,
in primo luogo ripropone i medesimi argomenti già utilizzati per contestare la
legittimità costituzionale della disposizione regionale impugnata con il
ricorso n. 2 del 2016, che dimostrerebbero come, anche in questo caso, la
disposizione regionale si ponga in contrasto con i principî in materia di tutela della
concorrenza posti dall’art. 37, comma 7, del d.l. n.
83 del 2012 e, conseguentemente, violi l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
In secondo luogo, pone in evidenza come la
disposizione impugnata preveda la stessa definizione di potenza efficiente che
GSE e AEEG adottano dal 2014, ai sensi della delibera AEEGSI 179/2014/R/EFR,
con il che apparirebbe evidente come il censurato art. 11, comma 6, lettera b), riproponga una definizione del tutto
equivalente a quella contenuta nella legge regionale n. 36 del 2015 e, perciò,
sia inidoneo a determinare la cessazione della materia del contendere nel
giudizio instaurato avverso di essa, richiamandosi a tal proposito quanto
stabilito dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (si evocano le sentenze n. 249 del
2014 e n.
272 del 2009).
4.– Con memoria depositata il 29 aprile 2016 si è costituita, anche nel
giudizio instaurato con il ricorso n. 21 del 2016, la Regione Abruzzo,
chiedendo che sia dichiarata cessata la materia del contendere o, in subordine,
l’infondatezza del ricorso.
4.1.– Ricostruita,
innanzitutto, l’evoluzione della legislazione regionale in materia di canoni
idroelettrici, la difesa regionale rileva che la disposizione oggetto di
censura è stata espressamente abrogata ad opera dell’art. 1, comma 3, della
legge della Regione Abruzzo 13 aprile 2016, n. 11 (Modifiche alle leggi
regionali 25/2011, 5/2015, 38/1996 e 9/2011), il cui art. 1, comma 1, lettera b), ha inoltre sostituito il comma 1-bis dell’art. 12 della citata legge
regionale n. 25 del 2011, nel testo risultante dalla sostituzione operata con
la suddetta disposizione impugnata.
La Regione Abruzzo
afferma che quest’ultima è stata in vigore dal 1° gennaio 2016 sino al 14
aprile 2016 e non ha avuto applicazione: per un verso, il breve arco temporale
di vigenza non avrebbe, di fatto, consentito ai titolari delle concessioni
idroelettriche di effettuare il pagamento dei canoni sulla base di quanto
previsto da detta disposizione; per un altro, tale adempimento non sarebbe
stato sollecitato dalla struttura regionale competente, la quale ha ritenuto di
attendere la definizione della questione di legittimità costituzionale
pendente.
La difesa regionale – per
il caso in cui la Corte costituzionale ritenesse l’abrogazione e la mancata
applicazione non sufficienti a determinare la cessata materia del contendere –
procede, poi, a illustrare quelle che ritiene siano le innovazioni sostanziali
apportate con la nuova disposizione regionale e la loro portata satisfattiva
rispetto alle doglianze prospettate nel ricorso statale.
La nuova formulazione
dell’art. 12, comma 1-bis, della
legge regionale n. 25 del 2011 rinvia, per la definizione di potenza
efficiente, alla «definizione ufficiale utilizzata per la potenza efficiente
netta dall’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas e il Sistema Idrico
(AEEGSI)». Secondo la Regione Abruzzo, la circostanza che quest’ultima faccia
riferimento alla potenza efficiente netta – pari alla potenza risultante dalla
differenza tra la potenza efficiente lorda dell’impianto e quella assorbita dai
suoi servizi ausiliari e dalle perdite nei trasformatori della centrale –
parametra la determinazione dei canoni idroelettrici a una potenza reale, «tale
da non incidere negativamente sulla capacità delle imprese Abruzzesi di operare
in pari condizioni sul mercato unico dell’energia elettrica». Non vi sarebbe,
pertanto, alcun contrasto con il parametro costituzionale evocato dal
Presidente del Consiglio dei ministri.
Tanto premesso, la
resistente osserva, altresì, che con la disposizione censurata il legislatore
regionale ha inteso uniformarsi alle più recenti esigenze di tutela e
salvaguardia del bene acqua, «individuando un criterio diverso dalla potenza
nominale introdotto dal R.D. 1775/1933 e certamente più attuale». D’altro
canto, quella della potenza efficiente è definizione tecnica utilizzata già per
altri aspetti legali ed economici e, pertanto, il suo uso al fine di
determinare il reale potenziale di produttività idroelettrica di un impianto
sarebbe in linea con il quadro generale di riferimento.
4.2.– In via subordinata, la Regione Abruzzo ritiene il
ricorso infondato.
A tal proposito la difesa
regionale – dopo aver sottolineato come le argomentazioni del Presidente del
Consiglio dei ministri non siano, di nuovo, sufficienti a chiarire in qual modo
il riferimento alla potenza efficiente influisca sui costi e quale sia il
"verso economico” di tale effetto e come, quindi, non appaia suffragata da
adeguati riscontri l’opinata violazione dei principî in materia di tutela della
concorrenza di cui all’art. 37, comma 7, del d.l. n.
83 del 2012 – ripropone i medesimi argomenti già utilizzati per
replicare alle censure di costituzionalità mosse alla disposizione regionale
impugnata con il ricorso n. 2 del 2016.
5.– Con un ulteriore e successivo ricorso,
notificato l’8-9 giugno 2016 e depositato il successivo 10 giugno (reg. ric. n.
29 del 2016), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in via principale, questione
di legittimità costituzionale, tra gli altri, dell’art. 1, comma 1, lettere a), b)
e c), della legge della Regione
Abruzzo n. 11 del 2016 – sostitutivo dei commi 1, 1-bis e 1-ter del più volte
menzionato art. 12 della legge
regionale n. 25 del 2011, nel testo risultante dalla sostituzione operata con
l’art. 11, comma 6, della legge della Regione Abruzzo n. 5 del 2016,
parzialmente impugnato con il ricorso n. 21 del 2016 – novamente
per violazione dell’art. 117, secondo comma,
lettera e), Cost., nella parte in
cui riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la «tutela della
concorrenza».
5.1.– Ricostruito il quadro normativo statale in
tema di determinazione dei canoni, il ricorrente osserva che le disposizioni
impugnate provvedono a fissare il costo unitario per l’uso idroelettrico, per
le utenze con potenza nominale superiore a 220 Kw, in
euro 35,00 per ogni Kw di potenza efficiente; a
rinviare, per la definizione di potenza efficiente, a quella ufficiale
utilizzata per la potenza efficiente netta dall’Autorità per l’energia
elettrica e il gas e il sistema idrico (AEEGSI); a stabilire che il canone
annuo, calcolato applicando il valore per ogni Kw di
potenza nominale, sia versato a titolo di acconto ogni anno entro il 28
febbraio; a prevedere che il Servizio regionale, una volta certificata la
potenza efficiente da organismo terzo, quantifichi l’importo complessivo a
conguaglio; a disporre, infine, che nulla è dovuto nel caso in cui detto
conguaglio risulti inferiore a quanto versato anticipatamente a titolo di
acconto e che, in caso di mancata comunicazione della potenza efficiente, il
canone dovuto è triplicato rispetto al canone dovuto calcolato sulla potenza
nominale media di concessione.
Tali disposizioni riprodurrebbero sostanzialmente,
secondo l’Avvocatura generale dello Stato, le disposizioni oggetto dei ricorsi
n. 2 e n. 21 del 2016 «e [presenterebbero] quindi i medesimi profili di
illegittimità costituzionale». La differenza tra di esse sarebbe, in effetti,
solo apparente, perché non solo non è mutata la definizione di potenza efficiente,
ma «lo scostamento di valori riveniente dal riferimento alla potenza efficiente
netta contenuto nella norma che si impugna è, rispetto a quello risultante
dalle precedenti definizioni e previsioni normative, assolutamente marginale».
In ragione di ciò, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che
l’abrogazione dell’art. 11, comma 6, della legge regionale n. 5 del 2016 da
parte dell’art. 1, comma 3, della legge regionale n. 11 del 2016 e la
contestuale riproduzione del suo contenuto nelle disposizioni oggetto di questo
nuovo ricorso si risolva «nel tentativo del legislatore regionale abruzzese di
eludere la definizione dei giudizi di legittimità costituzionale» già
instaurati, il che, secondo la giurisprudenza costituzionale, dovrebbe portare
al trasferimento della questione sulle norme riproduttive di quelle già
impugnate (vengono novamente richiamate le sentenze n. 249 del 2014
e n. 272 del
2009).
Sulla falsariga degli argomenti utilizzati nei due
precedenti ricorsi, il Presidente del Consiglio dei ministri rileva che se,
come stabilito dalla giurisprudenza costituzionale, «l’unico principio
fondamentale della materia è quello della onerosità della concessione e della
proporzionalità del canone alla entità dello sfruttamento della risorsa
pubblica e all’utilità economica che il concessionario ne ricava», il parametro
della potenza efficiente non è però proporzionato né all’entità dello
sfruttamento né all’utilità economica. Applicando il parametro della potenza
efficiente, infatti, il canone concessorio sarebbe
sino a tre volte maggiore rispetto a quello calcolato applicando il parametro
della potenza nominale media: il che inciderebbe sulla capacità delle imprese
di operare in condizioni di parità sul mercato unico dell’energia elettrica.
Si osserva, in particolare, che, dovendo i
produttori idroelettrici abruzzesi pagare un canone più elevato, essi non
sarebbero in grado di competere con gli operatori stabiliti in altre regioni
italiane, i quali, dovendo invece corrispondere canoni più bassi, sarebbero «in
condizione di produrre a costi più contenuti e, quindi, di offrire sul mercato
dell’energia elettrica prezzi proporzionalmente inferiori a quelli degli
impianti abruzzesi». Le disposizioni censurate, pertanto, contrastando con i
principî in materia di tutela della concorrenza posti dall’art. 37, comma 7,
del d.l. n. 83 del 2012, violerebbero l’art. 117,
secondo comma, lettera e), Cost.
6.– Con memoria depositata il 19 luglio 2016 si è costituita, anche nel
giudizio instaurato con il ricorso n. 29 del 2016, la Regione Abruzzo,
chiedendo che ne sia dichiarata l’infondatezza.
6.1.– Ripercorsa
ampiamente l’evoluzione della legislazione regionale in tema di canoni
idroelettrici, la difesa regionale insiste, innanzitutto, nel sostenere che
l’art. 37, comma 7, del d.l. n. 83 del 2012 si
limiterebbe a disciplinare le procedure di gara per l’affidamento delle nuove
concessioni nel settore idroelettrico, di modo che, applicandosi il parametro
della potenza efficiente di cui alla disposizione impugnata per la
quantificazione dei canoni dovuti dagli attuali concessionari, non vi sarebbe
contrasto tra la normativa regionale e quella statale.
La Regione Abruzzo
rileva, poi, che, alla luce del novellato Titolo V della Costituzione, la
disciplina afferente alle derivazioni di acqua pubblica andrebbe ricondotta
alla potestà legislativa concorrente in materia di «produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia», nell’ambito della quale, in ragione di
quanto sarebbe stato affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 85 del
2014, «il parametro della "potenza nominale” non costituisce un caposaldo
inamovibile e insuperabile per il legislatore regionale, il quale, infatti, può
legittimamente intervenire nella determinazione dei canoni idroelettrici, con
l’unico limite del rispetto del principio di onerosità e proporzionalità della
concessione».
La difesa regionale,
inoltre, ribadisce novamente come le argomentazioni
utilizzate dal Presidente del Consiglio dei ministri, non discostandosi da
quelle proposte nelle precedenti impugnative, non siano in grado di dimostrare
i lamentati effetti sperequativi sul sistema concorrenziale correlati alla
determinazione del canone in base alla potenza efficiente. Il ricorrente, in
particolare, si sarebbe limitato a una mera illustrazione della differenza tra
potenza efficiente netta e potenza efficiente lorda, non supportata però da una
dimostrazione tecnico-scientifica sulla paventata maggiore incidenza dei costi.
Al contrario, il rinvio alla potenza efficiente netta operato dalla
disposizione impugnata farebbe sì che il valore di riferimento sia «sicuramente
inferiore» rispetto a quello della potenza efficiente lorda, tanto che il
legislatore regionale ha dovuto disciplinare l’ipotesi in cui il dato della
potenza efficiente, così calcolato, sia inferiore a quello della potenza
nominale.
La Regione Abruzzo
osserva, altresì, che, in assenza del decreto ministeriale previsto dall’art.
37, comma 7, del d.l. n. 83 del 2012, le Regioni non
possono non determinare i canoni avendo quali soli parametri, secondo quanto
affermato nella sentenza
n. 85 del 2014 della Corte costituzionale, i principî dell’onerosità della
concessione e della proporzionalità del canone all’entità dello sfruttamento e
all’utilità economica che se ne ricava; principî cui il legislatore regionale
avrebbe ispirato la propria azione, «potenziando l’applicazione del criterio
della proporzionalità, attraverso una più realistica e ragionevole parametrazione
del canone alla effettiva entità dello sfruttamento della risorsa pubblica e
all’utilità economica che il concessionario ne ricava».
Dopo aver riproposto le
osservazioni e gli argomenti già svolti nelle precedenti memorie di
costituzione, la Regione Abruzzo assume che, contrariamente a quanto sostenuto
dal ricorrente, la disposizione impugnata avrebbe una portata innovativa
sostanziale rispetto alle precedenti disposizioni regionali in materia, in
particolare perché la potenza efficiente netta rappresenterebbe una potenza
reale, che può essere anche inferiore alla potenza nominale.
Infine, la resistente
ritiene che con la disposizione censurata si sarebbe finito «per perseguire una
finalità pro-concorrenziale», creando una situazione di riequilibrio del
mercato laddove, per un verso, il Ministero competente non ha ancora adottato
il decreto ministeriale di cui all’art. 37, comma 7, del d.l.
n. 83 del 2012 e, per un altro, mediante il medesimo decreto-legge, che ha
modificato l’art. 12 del d.lgs. n. 79 del 1999, sono state prorogate le
concessioni in essere sino al 31 dicembre 2017. Tale circostanza, assieme a
quella che il concessionario uscente continua a gestire l’impianto fino al
subentro dell’aggiudicatario della gara «alle stesse condizioni stabilite dalle
normative e dal disciplinare di concessione vigenti» (art. 12, comma 8-bis, del d.lgs. n. 79 del 1999),
renderebbe evidente come, almeno fino al 31 dicembre 2017, non sussistano in
Italia i presupposti per un mercato competitivo.
Considerato in diritto
1.– Con tre distinti ricorsi, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, in via principale, questioni
di legittimità costituzionale di diverse disposizioni contenute in tre distinte
leggi regionali abruzzesi, le quali – intervenendo tutte, in vario modo,
sull’art. 12 della legge della Regione Abruzzo 3 agosto 2011, n. 25
(Disposizioni in materia di acque con istituzione del fondo speciale destinato alla
perequazione in favore del territorio montano per le azioni di tutela delle
falde e in materia di proventi relativi alle utenze di acque pubbliche) – prescrivono che, ai fini della determinazione del
canone idroelettrico per le utenze con potenza nominale superiore a 220 kw, si faccia riferimento alla potenza efficiente.
Il ricorrente ritiene che con le
disposizioni censurate la Regione Abruzzo abbia invaso la competenza esclusiva
statale in materia di «tutela della concorrenza» di cui all’art. 117, secondo
comma, lettera e) della Costituzione.
1.1.– Con l’art. 1, comma 2, lettera b), della legge della Regione Abruzzo 3 novembre 2015, n. 36 (Disposizioni in materia di
acque e di autorizzazione provvisoria degli scarichi relativi ad impianti di
depurazione delle acque reflue urbane in attuazione dell’art. 124, comma 6, del
decreto legislativo n. 152/2006 e modifica alla L.R. n. 5/2015) – impugnato con il primo ricorso (reg. ric. n. 2 del
2016) – il legislatore regionale ha definito autonomamente la nozione di
potenza efficiente.
Con l’art. 11, comma 6, lettera b), della legge della Regione Abruzzo 19
gennaio 2016, n. 5, recante «Disposizioni
finanziarie per la redazione del Bilancio pluriennale 2016-2018 della Regione
Abruzzo (Legge di Stabilità Regionale 2016)» – adottato a seguito del primo
ricorso e impugnato con il secondo (reg. ric. n. 21 del 2016) – il legislatore
regionale ha rinviato, per la nozione di
potenza efficiente, a quella ufficiale utilizzata dal Gestore dei servizi
energetici (GSE) e dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas (AEEG).
Con l’art. 1, comma 1, lettere a), b) e c), della legge della Regione Abruzzo 13
aprile 2016, n. 11 (Modifiche alle leggi regionali 25/2011, 5/2015, 38/1996 e
9/2011) – adottato a seguito del secondo ricorso e impugnato con il terzo (reg.
ric. n. 29 del 2016) – il legislatore abruzzese ha, infine, rideterminato il costo unitario del canone,
ancorandolo alla potenza efficiente, e, per la definizione di quest’ultima, ha
rinviato alla nozione di potenza efficiente netta adoperata dall’Autorità per
l’energia elettrica e il gas e il sistema idrico (AEEGSI). Ha, inoltre,
disciplinato le modalità per la riscossione del canone idroelettrico.
1.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta, come
detto, che tutte le censurate disposizioni siano invasive della competenza
esclusiva statale in materia di «tutela della concorrenza» di cui all’art. 117,
secondo comma, lettera e), Cost.
Esse, infatti, si porrebbero in contrasto con quanto previsto dall’art. 37,
comma 7, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita
del Paese), convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 134, il quale ha disposto che «[a]l fine di assicurare
un’omogenea disciplina sul territorio nazionale delle attività di generazione
idroelettrica e parità di trattamento tra gli operatori economici, con decreto
del Ministro dello sviluppo economico, previa intesa in sede di Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di
Trento e di Bolzano, sono stabiliti i criteri generali per la determinazione,
secondo principi di economicità e ragionevolezza, da parte delle regioni, di
valori massimi dei canoni delle concessioni ad uso idroelettrico». Con tale
disposizione, come avrebbe riconosciuto questa Corte con le sentenze n. 64
e n. 28 del 2014,
il legislatore statale sarebbe intervenuto al fine di tutelare la concorrenza
nel settore, garantendo l’uniformità della disciplina sull’intero territorio
nazionale.
In tutte le altre Regioni, rileva il
ricorrente, i canoni sono parametrati alla potenza nominale media, conformemente
a quanto previsto dalla normativa statale di riferimento, con valori oscillanti
tra i 13 e i 37 euro per Kw. Il diverso parametro
della potenza efficiente, adottato dalle disposizioni regionali impugnate,
determinerebbe un sensibile aumento dei canoni concessori, fino a triplicarli,
alterando le condizioni concorrenziali a detrimento degli operatori insediati
in Abruzzo.
La potenza efficiente è, infatti,
quella teoricamente producibile durante quattro ore di funzionamento in
condizioni ottimali di portata e di salto, sfruttando la massima efficienza
possibile dell’impianto. Si tratterebbe, quindi, di una potenza sovrastimata,
che può risultare di molto superiore alla potenza nominale media.
2.– In considerazione della sostanziale identità dei motivi
di censura e della connessione esistente tra i ricorsi, i tre giudizi, come
sopra delimitati, devono essere riuniti e decisi con un’unica sentenza.
Resta riservata a separate pronunce la
decisione delle altre questioni promosse con il ricorso n. 29 del 2016.
3.– Preliminarmente, va disattesa la richiesta, formulata
dalla Regione Abruzzo, di dichiarare cessata la materia del contendere in
relazione ai giudizi introdotti con i ricorsi n. 2 e n. 21 del 2016, in ragione
dell’abrogazione delle disposizioni regionali impugnate dal Presidente del
Consiglio dei ministri.
3.1.– Secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte, perché possa dichiararsi la cessazione della materia del contendere è
necessario il concorso di due requisiti: lo ius superveniens deve avere carattere
satisfattivo delle pretese avanzate con l’atto introduttivo del giudizio e le
disposizioni oggetto d’impugnazione non devono avere avuto medio tempore applicazione (da ultimo, sentenze n. 8 del
2017, n. 257,
n. 253, n. 242 e n. 199 del 2016).
Nel caso di specie, è palese come non
sussista già il primo dei suddetti requisiti. L’abrogazione delle disposizioni
censurate, difatti, è stata contestualmente accompagnata dall’approvazione di
disposizioni, non a caso parimente impugnate dal Presidente del Consiglio dei
ministri con i ricorsi n. 21 e n. 29 del 2016, dal contenuto sostanzialmente
identico: anch’esse ancorano la determinazione del canone idroelettrico, per le
utenze con potenza nominale superiore a 220 Kw, al
parametro della potenza efficiente (quand’anche netta, come stabilito dalle
disposizioni regionali censurate con il terzo ricorso statale, e non lorda,
come invece previsto dalle disposizioni oggetto delle prime due impugnative).
Né rileva, in proposito, la circostanza che la novella legislativa successiva
al ricorso n. 2 del 2016, del resto impugnata con il ricorso n. 21 del 2016,
avrebbe riprodotto una disposizione già previamente impugnata e non dichiarata
illegittima, tanto più che la correlata decisione di questa Corte al riguardo –
la sentenza n.
85 del 2014 – è una pronuncia d’inammissibilità.
4.– Venendo all’esame del merito delle questioni, va
premesso che, in materia di derivazioni di acqua a scopo idroelettrico e, in
particolare, in tema di determinazione dei canoni di concessione, la normativa
di riferimento affonda le sue radici nel regio decreto 11 dicembre 1933, n.
1775 (Approvazione del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e
sugli impianti elettrici).
L’art. 6 di detto testo unico, tanto
nella formulazione originaria quanto in quella oggi vigente a seguito della
sostituzione operata dall’art. 1 del decreto legislativo 12 luglio 1993, n. 275
(Riordino in materia di concessione di acque pubbliche), stabilisce che le
utenze di acqua pubblica hanno per oggetto grandi e piccole derivazioni e
precisa, per quanto qui rileva, che sono grandi derivazioni quelle che per
produzione di forza motrice eccedono la potenza nominale media annua di
kilowatt 3000. L’art. 35 del medesimo regio decreto stabilisce che le utenze di
acqua pubblica sono sottoposte al pagamento di un canone annuo, ancorato a ogni
kilowatt di potenza nominale.
L’art. 18 della legge 5 gennaio 1994,
n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), ha stabilito che i canoni
relativi alle utenze di acqua pubblica costituiscono il corrispettivo per gli
usi delle acque prelevate e ne ha fissato l’importo in relazione alle diverse
utilizzazioni. Per quel che concerne le concessioni di derivazione ad uso
idroelettrico, ha determinato il canone, per ogni kilowatt di potenza nominale
concessa o riconosciuta, in lire 20.467.
Con il decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato
alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo
1997, n. 59), è stata conferita alle Regioni competenti per territorio l’intera
gestione del demanio idrico (art. 86), specificando che detta gestione
comprende, tra le altre, le funzioni amministrative relative alla
determinazione dei canoni di concessione e all’introito dei relativi proventi
(art. 88).
Nel conferire tali funzioni, il citato
decreto legislativo ha peraltro fatto temporaneamente salva la competenza dello
Stato in materia di grandi derivazioni, prevedendo che, fino all’entrata in
vigore delle norme di recepimento della direttiva 19 dicembre 1996, n. 96/92/CE
(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente norme comuni per
il mercato interno dell’energia elettrica), le concessioni sono rilasciate
dallo Stato d’intesa con la Regione interessata ovvero, in caso di mancata
intesa nel termine di sessanta giorni, dal Ministro dell’industria, del
commercio e dell’artigianato (art. 29, comma 3). Successivamente, con il
decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE
recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica), è stata
data attuazione a tale direttiva e si è pertanto realizzata la condizione cui
la sopracitata disposizione subordinava il trasferimento delle competenze alle
Regioni.
L’art. 12, comma 11, dello stesso
d.lgs. n. 79 del 1999 prevedeva, inoltre, che con altro decreto legislativo
sarebbero state stabilite le modalità per la fissazione dei canoni demaniali di
concessione.
In seguito, con la riforma del Titolo
V della Parte II della Costituzione è stata attribuita alle Regioni ordinarie,
ai sensi dell’art. 117, terzo comma, la competenza legislativa concorrente in
materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia».
Con l’art. 154, comma 3, del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), si è disposto,
poi, che «[a]l fine di assicurare un’omogenea disciplina sul territorio
nazionale, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto
con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sono
stabiliti i criteri generali per la determinazione, da parte delle regioni, dei
canoni di concessione per l’utenza di acqua pubblica». Con lo stesso decreto
legislativo si è proceduto, nell’art. 175, all’abrogazione della citata legge
n. 36 del 1994, il cui art. 18 determinava il canone idroelettrico.
Infine, è intervenuto il già
menzionato art. 37, comma 7, del d.l. n. 83 del 2012,
il quale demanda a un decreto ministeriale, adottato previa intesa in sede di
Conferenza permanente, di stabilire i criteri generali per la determinazione, da
parte delle Regioni, dei valori massimi dei canoni delle concessioni ad uso
idroelettrico.
4.1.– Alla luce dell’evoluzione del quadro normativo di
riferimento, questa Corte, chiamata a pronunciarsi circa il riparto di
competenze tra Stato e Regioni in materia di canoni idroelettrici, ha affermato
che la
determinazione e la quantificazione della misura di detti canoni devono essere
ricondotte alla competenza legislativa concorrente in materia di «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», di cui all’art. 117, terzo
comma, Cost. (sentenze n. 158 del 2016, n. 85 e n. 64 del 2014).
È invece ascrivibile alla «tutela della concorrenza», di competenza esclusiva
statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., la disciplina di cui all’art. 37, comma 7, del
decreto-legge n. 83 del 2012, ovvero la definizione, con decreto ministeriale,
dei «criteri generali» che condizionano la determinazione, da parte delle
Regioni, dei valori massimi dei canoni (sentenze n. 158 del
2016 e n. 28
del 2014).
Si è
altresì precisato che, in attesa del decreto
ministeriale, oggi come allora ancora non adottato, la competenza regionale
alla determinazione della misura dei canoni idroelettrici non può ritenersi
paralizzata, poiché in assenza del suddetto decreto la disposizione legislativa che ad esso rinvia «non è
ancora pienamente operante ed efficace» (sentenza n. 158 del
2016). Le Regioni, salvo l’onere di adeguarsi a quanto verrà stabilito
dallo Stato, hanno attualmente titolo, nell’ambito della propria
competenza ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., a determinare i canoni
idroelettrici nel rispetto del principio fondamentale «della onerosità della
concessione e della proporzionalità del canone alla entità dello sfruttamento
della risorsa pubblica e all’utilità economica che il concessionario ne ricava»
(sentenza n. 158
del 2016; nello stesso senso, sentenza n. 64 del
2014), nonché dei principî di economicità e ragionevolezza, previsti
espressamente dallo stesso art. 37, comma 7, del d.l.
n. 83 del 2012 e condizionanti l’esercizio della competenza regionale già prima
della definizione con decreto ministeriale dei criteri generali (sentenza n. 158 del
2016).
4.2.– Le Regioni, in altri termini, sono
competenti a determinare e a quantificare, nel rispetto dei sopra
ricordati principî, la misura dei canoni
idroelettrici, dovendosi ricondurre tale intervento alla materia di potestà
concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale
dell’energia». È loro precluso, però, adottare «criteri generali» per detta
determinazione, essendo tale attività ascrivibile alla competenza esclusiva
statale in materia di «tutela della concorrenza»: nella perdurante attesa che
sia adottato il ricordato decreto ministeriale, in tale ambito restano pur
sempre fermi, ove stabiliti, i criteri previsti dalla normativa statale di
riferimento.
5.– Ai fini della risoluzione delle
odierne questioni, questa Corte è, allora, chiamata a valutare se le impugnate
disposizioni regionali abruzzesi abbiano invaso la competenza esclusiva
statale, in materia di «tutela della concorrenza», a dettare «criteri generali»
o se, invece, si siano limitate a determinare e quantificare la misura dei
canoni idroelettrici, nell’ambito della competenza regionale in materia di
«produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia».
La
disciplina statale di cui al citato art. 37, comma 7, del decreto-legge n. 83 del 2012 – intervenuta
successivamente all’atto introduttivo del giudizio conclusosi con la sentenza n. 85 del
2014 – è diretta, infatti, a porre criteri che, al fine di evitare effetti
anticoncorrenziali, garantiscano omogeneità sull’intiero
territorio nazionale nella determinazione dei canoni idroelettrici, siano essi
dovuti dai concessionari futuri come dagli attuali, contrariamente a quanto
sostenuto dalla difesa regionale.
6.– Le questioni sono fondate, poiché tutte le censurate
disposizioni regionali sono invasive della competenza esclusiva statale in
materia di «tutela della concorrenza».
6.1.– A differenza di quanto compiuto dalla Regione Piemonte con la legge
scrutinata da questa Corte con la sentenza n. 158 del
2016, la Regione Abruzzo non si è limitata, in effetti, a quantificare il
costo unitario del canone, competenza certo di sua spettanza e che incontra il
limite del rispetto dei principî fondamentali in materia di «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia». Essa ha, invece, adottato un
criterio per la determinazione della misura del canone idroelettrico – la
potenza efficiente – diverso da quello, previsto dagli artt. 6 e 35 del r.d. n. 1775 del 1933, della potenza nominale media, il
quale, ad oggi e finché non sia adottato il più volte rammentato decreto
ministeriale, è inderogabile da parte delle Regioni.
Che questo
sia il significato delle disposizioni impugnate emerge nitidamente dalla loro
lettera: dette disposizioni, difatti, intervenendo a volta a volta sull’art. 12
della legge regionale n. 25 del 2011, affiancano alla quantificazione del costo
unitario del canone la potenza efficiente quale grandezza di riferimento – il
criterio, appunto – attraverso cui determinare la potenza prodotta
dall’impianto idroelettrico e calcolare il canone complessivo dovuto dal
concessionario. La circostanza è ammessa apertamente, del resto, dalla stessa resistente,
la quale in tutte le tre memorie di costituzione afferma che, con la normativa
impugnata, «ha inteso discostarsi dal criterio della potenza nominale concessa
investendo la potenza efficiente lorda come parametro oggettivo».
6.2.– Sono, dunque, invasivi dell’ambito materiale di competenza esclusiva
statale e, pertanto, vanno dichiarati costituzionalmente illegittimi l’art. 1,
comma 2, lettera b), della legge
della Regione Abruzzo n. 36 del 2015 (impugnato con il ricorso n. 2 del 2016) e
l’art. 11, comma 6, lettera b), della
legge della Regione Abruzzo n. 5 del 2016 (impugnato con il ricorso n. 21 del
2016). Entrambi, difatti, sono rivolti all’utilizzazione della potenza
efficiente per il calcolo del canone complessivo dovuto dai concessionari:
l’uno in quanto, sostituendo il comma 1-bis
dell’art. 12 della legge regionale n. 25 del 2011, espressamente la definisce;
l’altro in quanto, novamente sostituendo il citato
comma 1-bis, per la sua definizione
rinvia a quella adoperata dal GSE e dall’AEEG.
6.3.– Vanno, invece, prese partitamente in esame le lettere a), b) e c) dell’art. 1, comma 1, della legge
della Regione Abruzzo n. 11 del 2016 (impugnato con il ricorso n. 29 del 2016).
6.3.1.– La lettera a), sostitutiva del
comma 1 dell’art. 12 della legge regionale n. 25 del 2011, non è intieramente riconducibile alla competenza esclusiva
statale.
Essa,
infatti, è innanzitutto diretta a (ri)quantificare e
(ri)determinare il canone idroelettrico per le utenze
con potenza nominale superiore a 220 Kw, attività che,
come si è detto, è ascrivibile alla potestà concorrente nella materia
«produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e, pertanto,
spetta alle Regioni nel rispetto dei principi fondamentali posti dalla
legislazione statale. Tuttavia, la disposizione de qua stabilisce che il costo unitario
per l’uso idroelettrico è di € 35,00, oltre ai relativi aggiornamenti al tasso
di inflazione programmata, «per ogni Kw di potenza
efficiente», così discostandosi dalla normativa statale, la quale prevede
invece che esso sia dovuto per ogni Kw di potenza
nominale media. Detto altrimenti, nell’esercitare la propria competenza alla
determinazione del costo unitario del canone idroelettrico, la Regione ha pro parte invaso la competenza esclusiva
statale in materia di «tutela della concorrenza», adottando, ancora una volta,
un parametro, per il calcolo del canone complessivo dovuto dai concessionari,
diverso da quello della potenza nominale media.
L’art. 1,
comma 1, lettera a), della legge
della Regione Abruzzo n. 11 del 2016 va pertanto dichiarato illegittimo per la
sola parte in cui, nello stabilire il costo unitario del canone per l’uso
idroelettrico, prevede che esso sia dovuto «per ogni Kw
di potenza efficiente» anziché «per ogni Kw di
potenza nominale media». Come detto, fintanto che non intervenga il decreto
ministeriale di cui all’art. 37, comma 7, del d.l. n.
83 del 2012, è soltanto il criterio della «potenza nominale media», posto dagli
artt. 6 e 35 del r.d. n. 1775 del 1933, quello cui le
Regioni possono parametrare i canoni idroelettrici.
6.3.2.– Le lettere b) e c) – sostitutive, rispettivamente, dei
commi 1-bis e 1-ter dell’art. 12 della legge regionale n. 25 del 2011 –
intervengono in toto, invece, nella
materia «tutela della concorrenza» e, pertanto, debbono essere integralmente
dichiarate costituzionalmente illegittime.
Con la
prima, infatti, il legislatore regionale rinvia, per la definizione di potenza
efficiente, a quella di potenza efficiente netta utilizzata dall’AEEGSI,
sostanzialmente riproducendo le disposizioni impugnate con i ricorsi n. 2 e n.
21 del 2016; con la seconda, pone norme correlate all’adozione del criterio
della potenza efficiente, poiché provvede a disciplinare le modalità di
riscossione del canone idroelettrico calcolato in base a detto criterio.
6.3.3.– La dichiarazione d’illegittimità costituzionale deve essere estesa in via
conseguenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme
sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), alla lettera
d) del medesimo art. 1, comma 1, la
quale inserisce, dopo il comma 1-ter
dell’art. 12 della legge regionale n. 25 del 2011, il comma 1-ter-1. Tale ultima disposizione
stabilisce, per l’anno 2016, al 31 maggio 2016 il termine di cui al primo
periodo dell’art. 12, comma 1-ter,
della legge regionale n. 25 del 2011, come sostituito dalla citata lettera c), ed è, perciò, in stretta e
inscindibile connessione con quest’ultima.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
riservata a separata pronuncia la decisione sulle altre questioni
promosse con il ricorso n. 29 del 2016;
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2,
lettera b), della legge della Regione
Abruzzo 3 novembre 2015, n. 36 (Disposizioni in materia di acque e di autorizzazione provvisoria degli
scarichi relativi ad impianti di depurazione delle acque reflue urbane in
attuazione dell’art. 124, comma 6, del decreto legislativo n. 152/2006 e
modifica alla L.R. n. 5/2015);
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, comma 6, lettera b), della legge della Regione Abruzzo 19
gennaio 2016, n. 5, recante «Disposizioni
finanziarie per la redazione del Bilancio pluriennale 2016-2018 della Regione
Abruzzo (Legge di Stabilità Regionale 2016)»;
3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera a), della legge della Regione Abruzzo 13
aprile 2016, n. 11 (Modifiche alle
leggi regionali 25/2011, 5/2015, 38/1996 e 9/2011), nella parte in cui, nello stabilire
il costo unitario del canone per l’uso idroelettrico, prevede che esso sia
dovuto «per ogni Kw di potenza efficiente» anziché
«per ogni Kw di potenza nominale media»;
4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettere b) e c),
della legge della Regione Abruzzo n. 11 del 2016;
5) dichiara
in via conseguenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87
(Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale),
l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera d), della legge della Regione Abruzzo n.
11 del 2016.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 gennaio 2017.
F.to:
Paolo GROSSI,
Presidente
Franco MODUGNO,
Redattore
Roberto MILANA,
Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 24 marzo 2017.