SENTENZA N. 378
ANNO 2005
Commento alla decisione di
Giovanni Di Cosimo
Quando
l’intesa non va in porto
(per
gentile concessione del Forum
di Quaderni Costituzionali)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente
- Fernanda CONTRI Giudice
- Guido NEPPI MODONA "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’art. 6 del decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136
(Disposizioni urgenti per garantire la funzionalità di taluni settori della pubblica
amministrazione) e dell’articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2004, n. 186
(Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 maggio 2004, n.
136, recante disposizioni urgenti per garantire la funzionalità di taluni
settori della pubblica amministrazione. Disposizioni per la rideterminazione
delle deleghe legislative ed altre disposizioni connesse) e dell’art. 6, comma
1, del decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136, come modificato dalla suddetta
legge 27 luglio 2004, n. 186, promossi con ricorsi delle Regioni Campania,
Toscana e Friuli-Venezia Giulia notificati il 16, il 21 e il 27 luglio e il 24
settembre 2004 depositati in cancelleria il 23, il 28 luglio, il 5 agosto e il
1° ottobre successivi ed iscritti ai nn. 71, 73, 79 e
92 del registro ricorsi 2004, e nel giudizio di legittimità costituzionale
dell’art. 9, commi 2 e 3, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 24
maggio 2004, n. 17 (Riordino normativo dell’anno 2004 per il settore degli
affari istituzionali), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei
ministri notificato il 23 luglio 2004, depositato in cancelleria il 2 agosto
successivo ed iscritto al n. 78 del registro ricorsi 2004.
Visti gli atti
di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, della Regione
Friuli-Venezia Giulia nonché gli atti di intervento della Autorità portuale di
Trieste;
udito
nell’udienza pubblica del 7 giugno 2005 il Giudice relatore Romano Vaccarella;
uditi gli
avvocati Lucia Bora e Fabio Lorenzoni per la Regione
Toscana, Giandomenico Falcon per la Regione
Friuli-Venezia Giulia, Beniamino Caravita di Toritto per la Autorità portuale
di Trieste e l’avvocato dello Stato Francesco Clemente per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il
16 luglio 2004 (r.r. n. 71 del 2004) la Regione
Campania ha chiesto alla Corte costituzionale di dichiarare l’illegittimità
costituzionale dell’art. 6 del decreto-legge 28 maggio 2004 n. 136
(Disposizioni urgenti per garantire la funzionalità di taluni settori della
pubblica amministrazione), per violazione degli artt. 3, 5, 114, 117, 118 e 120
della Costituzione, dei principî di leale cooperazione e di ragionevolezza,
nonché per lesione della sfera di
competenza della Regione.
1.1.– Premette la
ricorrente che la legge 28 gennaio 1994, n. 84 (Riordino della legislazione in
materia portuale), in un assetto normativo che attribuiva alla competenza
concorrente delle Regioni i soli settori della «navigazione e porti lacuali»,
così lasciando allo Stato la parte più consistente della disciplina e della
organizzazione dei porti, ha regolamentato l’ordinamento e le attività portuali
secondo modalità tali da garantire alle Regioni e agli enti locali
significativi spazi nel procedimento di individuazione del Presidente
dell’Autorità portuale, segnatamente prevedendo, nell’art. 8, che lo stesso
debba essere nominato con decreto del Ministro dei trasporti e della
navigazione, «di intesa con la Regione interessata».
Orbene, ferma
l’operatività di tali disposizioni, con l’art. 6 del decreto impugnato – e,
paradossalmente, nella vigenza del nuovo sistema di autonomie introdotto dalla
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V parte seconda
della Costituzione) – il legislatore statale ha aggiunto, al menzionato art. 8,
un comma 1-bis, in base al quale, esperite le procedure necessarie,
qualora entro trenta giorni non si raggiunga l’intesa, il Ministro può chiedere
al Presidente del Consiglio dei ministri di sottoporre la questione al
Consiglio, il quale provvede con deliberazione motivata.
Ritiene la ricorrente
che la normativa così introdotta sia costituzionalmente illegittima:
a) per violazione degli artt. 3, 5, 114, 117, 118 e 120 della
Costituzione e dei principî di leale cooperazione e di ragionevolezza.
E invero, mentre nel sistema
previgente la nomina dell’organo di vertice dell’Autorità portuale era
«condivisa» con le autonomie locali interessate, nel nuovo assetto lo Stato
potrebbe facilmente eludere la regola procedimentale, essendo facultato a provvedere senza l’apporto regionale, in
conseguenza del mero decorso di un certo termine che, fissato in un lasso di
tempo particolarmente breve, prescinde del tutto dalla causa che ha determinato
la mancata conclusione della procedura.
L’equilibrio tra
istanze ed esigenze plurime, assicurato dalla legge n. 84 del 1994 nella sua
originaria formulazione, sarebbe stato rotto dalla modifica apportata dal
decreto-legge impugnato che, attraverso una formula caratterizzata da un
notevole tasso di genericità sotto più di un profilo, consentirebbe il
superamento dell’intesa con una decisione presa dal solo livello statale.
Da un lato infatti, la
richiesta del Ministro al Presidente del Consiglio – peraltro prefigurata come
semplice possibilità, in contrasto con l’oggettiva necessità dell’intervento in
sostituzione – è subordinata alla sola condizione del mancato raggiungimento
dell’intesa entro trenta giorni.
Dall’altro, non
sarebbe dato comprendere la stessa ragion d’essere di un termine così
configurato, termine la cui brevità e incongruità, rispetto ai tempi imposti
dall’importanza della decisione da assumere, emergerebbe a sol considerare che
esso è destinato ad operare vuoi nell’ipotesi in cui vi sia stata la
designazione degli enti locali, e si debba quindi scegliere nell’ambito della
prima o della seconda terna, vuoi nel caso in cui nessuna indicazione sia stata
data, con conseguente, ancor più ampia discrezionalità nella individuazione del
candidato da nominare.
In particolare
l’assenza di ogni specificazione in ordine alle cause della mancata conclusione
della procedura – perché evidentemente altro è che essa sia stata determinata
dall’inerzia regionale, altro che vi sia stato comportamento omissivo dello
stesso Ministro, e altro ancora che semplicemente non sia stato raggiunto l’accordo,
malgrado la diligenza di tutti gli enti coinvolti – rimarcherebbe
l’irragionevolezza e l’illegittimità di una normativa che, senza approntare
alcuna garanzia a presidio dell’autonomia regionale, lascerebbe l’autorità
statale sostanzialmente arbitra di imporre la propria volontà, vanificando
quell’intesa che, sostanziandosi in una codeterminazione del contenuto
dell’atto, è strumento imprescindibile ai fini dell’attuazione del principio di
leale cooperazione.
Ma a giudizio della ricorrente la normativa censurata sarebbe
altresì illegittima:
b) per violazione degli artt. 3, 5, 114, 117, 118 e 120 della
Costituzione e dei principî di leale cooperazione e di ragionevolezza, sotto un
ulteriore, autonomo profilo.
Se è vero infatti che,
dopo la riforma del Titolo V, spetta alle Regioni, nei limiti dei principî
fondamentali individuati dalla legge statale, regolare le materie «porti e
aeroporti civili», «grandi reti di trasporto e di navigazione» e, più in
generale, «governo del territorio», non può negarsi che le Regioni stesse
abbiano, in parte qua, competenza legislativa concorrente.
Conseguentemente, se
già la legge n. 84 del 1994, non foss’altro perché
elaborata nel precedente ordine costituzionale di competenze, è, a ben vedere,
enunciativa di una disciplina che travalica dalla mera enucleazione dei
principî fondamentali della materia, ancor più confliggerebbe con tali
caratteri la normativa oggi impugnata, che lederebbe precise prerogative
regionali.
In particolare, non
potrebbero rivestire carattere di principî fondamentali norme che, senza avere
una propria portata prescrittiva, si limitano in realtà a distribuire
competenze, posto che la disciplina statale impugnata, lungi dal contenere
criteri volti ad orientare il legislatore regionale nell’esercizio delle
proprie attribuzioni, detterebbe norme di dettaglio autoapplicative,
«non suscettibili di essere sostituite» da parte dell’ente cui ora la relativa
materia appartiene, volte come sono a sancire una pura e semplice attribuzione
di competenza all’organo governativo. Di modo che, se la disciplina previgente,
pur non coerente col novellato art. 117 Cost., poteva essere ritenuta
operativa, in attesa di un intervento legislativo regionale di appropriazione
del settore, la nuova regolamentazione, approvata nella vigenza della legge
costituzionale n. 3 del 2001 e in palese dispregio dei principî da essa posti,
non avrebbe la cedevolezza necessaria a superare lo scrutinio di
costituzionalità.
Né può essere
dimenticato che, come sovente ribadito dalla Corte costituzionale, affinché le
esigenze di carattere unitario consentano di attrarre, insieme alla funzione
amministrativa, anche quella legislativa, è indispensabile un procedimento
volto ad assicurare il raggiungimento di un’intesa in senso «forte», nel
significato cioè di vero e proprio accordo stipulato con la Regione
interessata.
La disciplina
censurata avrebbe peraltro una ricaduta anche nel sistema amministrativo
delineato dall’art. 118 della Costituzione, con ulteriore lesione dell’autonomia
regionale: e invero, posto che il modulo distributivo delle competenze
amministrative imposto da tale norma, nella sua attuale formulazione, non
consente interventi di contenuto organizzatorio a
soggetti che non siano titolari di competenza legislativa nel settore di
riferimento, non spetterebbe allo Stato – titolare della sola potestà di
dettare i principî fondamentali della materia – ma alla Regione fissare la
disciplina di dettaglio e quindi determinare, sulla sua base, l’assetto
organizzativo più idoneo all’esplicazione delle relative funzioni. E sarebbe
certamente incompatibile col nuovo assetto costituzionale che competenze, che
dovrebbero essere esplicazione di autonomia regionale, siano invece concentrate
in organi centrali del governo statale.
Per le ragioni esposte
la Regione Campania chiede alla Corte costituzionale di dichiarare
l’illegittimità dell’art. 6 del decreto-legge 28 maggio 2004 n. 136, per
violazione degli artt. 3, 5, 114, 117, 118 e 120 della Costituzione, dei
principî di leale cooperazione e di ragionevolezza, nonché per lesione della
sfera di competenza della Regione.
1.2.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri, costituitosi in giudizio con la rappresentanza
dell’Avvocatura generale dello Stato, ha dedotto che «la presunta e contestata
irragionevolezza» del disposto dell’impugnato art. 6 del decreto-legge n. 136
del 2004 sarebbe in procinto di venir meno a seguito della conversione in
legge, con radicali modificazioni, del decreto medesimo.
Enuncia anche la
deducente che, con specifica disposizione transitoria, verrà fatta salva la
validità e l’efficacia degli atti posti in essere fino alla data di entrata in
vigore della legge di conversione.
In tale contesto,
essendo stato rafforzato il procedimento volitivo su cui si basa la nomina del
Presidente dell’Autorità portuale, ritiene l’Avvocatura che la Corte
costituzionale dovrà dichiarare l’inammissibilità del ricorso, per cessata
materia del contendere.
1.3.– La Regione Campania,
in vista dell’udienza pubblica, ha depositato delle note in cui, preso atto che
la legge 27 luglio 2004 n. 186, nel convertire il decreto-legge n. 136 dello
stesso anno, ha modificato l’art. 6 nel senso anticipato dalla Presidenza del
Consiglio, riconosce che è in tal modo venuta meno la causa che ha condotto
all’attivazione del ricorso, chiedendo anch’essa alla Corte di dichiarare
cessata la materia del contendere.
2.– Con ricorso notificato il 21 luglio 2004 (r.r.
n. 73 del 2004) anche la Regione Toscana ha chiesto alla Corte
costituzionale di dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 del
decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136, per violazione degli artt. 5, 117 e 118
della Costituzione, del principio di leale collaborazione, nonché dell’art. 77
della Costituzione.
2.1.– Ricordato che il
disposto dell’art. 8, comma 1, della legge n. 84 del 1994, prevede sempre la
necessità dell’intesa con la Regione interessata, osserva la Regione ricorrente
che la norma censurata, invece, ha previsto un’ulteriore articolazione del
procedimento, in quanto essa, dopo il primo comma, inserisce un capoverso il
quale dispone che, esperite le procedure previste, qualora entro trenta giorni
non si raggiunga l’intesa, il Ministro può chiedere al Presidente del Consiglio
di sottoporre la questione al Consiglio
dei ministri, che provvede con deliberazione motivata.
Ritiene la Regione
Toscana che tale disposizione sia illegittima:
a) per violazione degli artt. 5, 117 e 118 della Costituzione
e del principio di leale cooperazione.
Essa invero
svuoterebbe di significato la procedura dell’intesa che, come ripetutamente
evidenziato dalla giurisprudenza costituzionale, deve presiedere e regolare
l’esercizio delle competenze interferenti di Stato e Regioni, in quanto enti
dotati entrambi di rilevanza costituzionale: l’intesa costituisce infatti un
modulo volto a fare in modo che il contenuto degli atti da adottare sia codeterminato, sia cioè il prodotto di un accordo fra il
soggetto cui la decisione è giuridicamente imputata e quello la cui volontà
deve concorrere nella decisione stessa.
Tali principî,
elaborati nella vigenza del precedente assetto normativo, sono tanto più validi
dopo la riscrittura del Titolo V operata dalla legge costituzionale n. 3 del
2001, come il Giudice delle leggi non ha mancato di sottolineare nelle sentenze
nn. 303 del 2003, 6 e 27 del 2004, relativa,
quest’ultima, proprio alla nomina del Presidente di un ente nazionale,
segnatamente ribadendo che l’attività di codeterminazione connessa all’intesa
non può mai essere declassata ad attività consultiva non vincolante.
Ricordato, quindi, che
il Presidente dell’Autorità portuale la rappresenta e ne coordina e determina
in modo incisivo l’attività; che lo stesso presiede il comitato portuale, nei
cui confronti svolge un ruolo propositivo in ordine al piano operativo
triennale, al piano regolatore portuale, ai bilanci e alle gare per
l’affidamento dell’attività di manutenzione ordinaria e straordinaria e per le
forniture; che infine a lui mettono capo sia l’amministrazione delle aree e dei
beni del demanio marittimo compreso nella circoscrizione territoriale, sia le
attività inerenti alle operazioni portuali, alle concessioni sulle aree
demaniali e sulle banchine, la Regione ricorrente sottolinea che tutte queste
funzioni interferiscono con le potestà costituzionalmente garantite delle
Regioni, posto che nella competenza legislativa concorrente di tali enti, in
attuazione dei principî di sussidiarietà e di federalismo amministrativo e in
un’ottica volta a riconoscere sempre maggiore spazio di intervento al
legislatore regionale e centralità al Comune, rientra ormai l’intero settore
dei porti civili, senza più alcuna distinzione tra aree portuali aventi
rilevanza economica regionale, ovvero nazionale o internazionale.
Né può ignorarsi –
aggiunge la ricorrente – che l’Autorità portuale viene ad operare in settori
che involgono materie come governo del territorio, grandi reti di trasporto e di navigazione,
commercio con l’estero, turismo ed industria alberghiera, lavori pubblici:
materie tutte anch’esse di competenza regionale.
La normativa
impugnata, introducendo una procedura di intesa puramente formale, snaturerebbe
dunque il relativo istituto, riducendolo a mero adempimento di carattere
rituale, esperito il quale e decorso il termine di trenta giorni, lo Stato può
procedere come ritiene.
In definitiva la norma
censurata, ignorando che l’intesa, per assolvere alla sua fondamentale funzione
di garanzia delle autonomie regionali, postula l’adozione di una procedura i cui
passaggi garantiscano il superamento di eventuali dissensi, si porrebbe in
aperto contrasto con i principî elaborati dalla Corte costituzionale.
Ma l’art. 6 del
decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136, sarebbe illegittimo anche:
b) per violazione dell’art. 77 della Costituzione, stante
l’evidente mancanza dei presupposti prescritti dal secondo comma di tale norma
per il ricorso alla decretazione di urgenza, in quanto la vigente legislazione
assicura la continuità dell’azione amministrativa attraverso la tempestiva
attivazione del procedimento per la nomina del nuovo Presidente delle Autorità
portuali; attraverso la previsione che l’organo scaduto continui ad operare in
regime di prorogatio per ulteriori quarantacinque giorni; attraverso,
infine, il riconoscimento allo Stato del potere di procedere, ove il
procedimento non si sia ancora concluso allo spirare di tale termine, alla
nomina di un Commissario (come, peraltro, è stato fatto proprio per l’Autorità
portuale di Livorno).
Per le ragioni esposte
la Regione Toscana chiede alla Corte costituzionale di dichiarare
l’illegittimità dell’art. 6 del decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136, per
violazione degli artt. 5, 117, 118, del principio di leale collaborazione,
nonché dell’art. 77 della Costituzione.
2.2.– Il Presidente
del Consiglio dei ministri, costituitosi in giudizio con la rappresentanza
dell’Avvocatura generale dello Stato, ha svolto argomentazioni sostanzialmente
sovrapponibili a quelle esplicitate nel giudizio instaurato dalla Regione
Campania, deducendo che la dedotta illegittimità dell’impugnato art. 6 è
destinata a venir meno a seguito delle modifiche che saranno apportate al
decreto-legge n. 136 del
2.3.– Con memoria
depositata in prossimità dell’udienza, la Regione Toscana, rilevato che
l’originaria disposizione dell’art. 6 del decreto-legge n. 136 del 2004
è stata modificata dalla legge di conversione n. 186 del 2004, «proprio al fine
di tradurre in legge i principi, stabiliti dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 27 del
2004, di effettiva garanzia della leale collaborazione tra Stato e Regione
nella nomina delle cariche in organi nazionali chiamati a svolgere funzioni
interferenti con le attribuzioni regionali costituzionalmente garantite»,
secondo quanto emerge dai lavori preparatori, ha chiesto di dichiarare cessata
la materia del contendere.
3.– Con ricorso notificato il 23 luglio 2004 (r.r.n. 78 del 2004) il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto
alla Corte costituzionale di dichiarare l’illegittimità costituzionale
dell’art. 9, commi 2 e 3, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia 24 maggio 2004, n. 17 (Riordino normativo dell’anno 2004 per il settore
degli affari istituzionali), per violazione dell’art. 117, comma terzo, della
Costituzione.
3.1.– Espone il
ricorrente che il comma 2 dell’impugnata disposizione prevede, in riferimento
alla procedura di designazione e nomina del Presidente dell’Autorità portuale
di Trieste, che, qualora nei termini indicati nel precedente comma non pervenga
alcuna designazione, il Presidente della Regione, previa intesa con il Ministro
delle infrastrutture e dei trasporti, nomina «comunque» il Presidente tra
personalità esperte del settore.
Il capoverso
successivo stabilisce poi che spetta al Presidente della Regione decretare,
d’intesa con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, e nel rispetto
delle previsioni contenute nell’art. 7 della legge n. 84 del 1994, la revoca
del mandato del Presidente, lo scioglimento del comitato portuale nonché le
eventuali nomine commissariali.
Ricorda quindi che, in
base all’art. 8 della legge n. 84 del 1994 – avente natura di legge-quadro del
settore – il Presidente dell’Autorità portuale è invece nominato, previa intesa
con la Regione interessata, con decreto del Ministro dei trasporti e della
navigazione, nell’ambito di una terna di esperti designati dalla Provincia, dai
Comuni e dalle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, norma
nel cui corpo l’art. 6 del decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136 (Disposizioni
urgenti per garantire la funzionalità di taluni settori della pubblica
amministrazione) ha inserito un comma 1-bis volto a stabilire che, in
caso di mancato raggiungimento dell’intesa con la Regione interessata, il
Ministro può chiedere al Presidente del Consiglio di investire della questione
l’organo collegiale, che provvede con deliberazione motivata.
Questo essendo
l’assetto normativo di riferimento, secondo l’Avvocatura la legge regionale
impugnata travalicherebbe dall’ambito delle competenze regionali sotto un
duplice profilo; e invero essa deroga alle previsioni della legge-quadro del
settore, sia in ordine alla procedura e alla competenza in punto di nomina del
Presidente dell’Autorità portuale, sia in ordine alla spettanza dei poteri di
revoca di tale organo, di scioglimento del comitato portuale e di eventuale
nomina di un Commissario: poteri, questi ultimi, di cui la legge n. 84 del 1994
prevede l’esercizio a mezzo di decreti del Ministro delle infrastrutture e dei
trasporti, senza alcuna intesa con la Regione interessata e nei soli casi
tassativamente indicati nel comma 3 dell’art. 7.
Tali disposizioni
della legge quadro costituirebbero principî fondamentali, che, attenendo a
materia (attualmente) di carattere concorrente, il legislatore statale sarebbe
legittimato a dettare e che dovrebbero ritenersi vincolanti e non derogabili
dalle Regioni.
Né sull’esito dello
scrutinio di costituzionalità potrebbe influire la circostanza che il
Friuli-Venezia Giulia è Regione ad autonomia speciale, posto che lo statuto,
adottato con legge costituzionale n. 1 del 1963 e successive modificazioni e
integrazioni – tra cui la legge cost. n. 2 del 2001 (Disposizioni concernenti
l’elezione diretta dei presidenti delle regioni a statuto speciale e delle
province autonome di Trento e Bolzano) –, prevede che la Regione abbia potestà
legislativa esclusiva in determinate materie, tassativamente indicate, tra le
quali non figura quella dei porti e degli aeroporti civili, di modo che, stante
il disposto dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 – volto a
sancire l’applicabilità delle sue disposizioni alle Regioni a statuto speciale
e alle Province autonome di Trento e Bolzano «per le parti in cui prevedono
forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite» –, non può
dubitarsi che anche per essa la materia de qua rientri nell’ambito della
potestà legislativa concorrente di cui all’art. 117, terzo comma, della
Costituzione.
Ricordato quindi che,
per consolidata giurisprudenza della Corte, nella fase di transizione tra il
vecchio e il nuovo sistema di riparto delle competenze la legislazione
regionale deve svolgersi nel rispetto dei principî fondamentali comunque
risultanti dalle norme vigenti, l’Avvocatura sottolinea il carattere di norma
di principio, non derogabile dalle Regioni, dell’art. 8 della legge n. 84 del
1994, come modificato all’art. 6 del decreto-legge n. 136 del 2004, nella parte
in cui riserva al competente organo
statale la nomina del Presidente dell’Autorità portuale, previa intesa
con la Regione interessata: e tanto specialmente con riguardo al porto di
Trieste, soggetto ad un regime peculiare
in quanto «zona franca posta, per mera fictio
iuris, fuori del territorio doganale dello Stato e soggetta ad un regime
particolare previsto dall’Allegato VIII al Trattato di pace del 1947».
3.2.– La Regione
Friuli-Venezia Giulia, costituitasi in giudizio, ha chiesto che la proposta
questione venga dichiarata inammissibile e infondata, riservandosi di esporre i
motivi in separata e successiva memoria.
3.3.– Nel giudizio è altresì
intervenuta l’Autorità portuale di Trieste che, riservato «ad ulteriori atti e
alla discussione orale una più ampia prospettazione delle proprie
argomentazioni», ha chiesto dichiararsi l’ammissibilità e la fondatezza del
ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri.
3.4.– Nella memoria
depositata in prossimità dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri
ricorda che una fattispecie assai simile a quella ora sottoposta all’esame
della Corte è stata da questa esaminata nelle sentenze n. 198 e n. 199 del 2004,
ove trovasi enunciato il principio che «né lo Stato, né le Regioni possono
pretendere, al di fuori delle procedure previste da disposizioni
costituzionali, di risolvere eventuali conflitti di competenza tramite proprie
disposizioni di legge», posto che l’unico rimedio che l’ordinamento riconosce
alle Regioni per contestare la legittimità costituzionale di una legge dello
Stato è il ricorso ex art. 127 della Costituzione.
Peraltro, secondo
l’Avvocatura, le norme impugnate sarebbero volte a disciplinare non già le
funzioni dell’Autorità portuale, ma la costituzione dei suoi organi: esse,
incidendo sugli aspetti ordinamentali di organismi che rientrerebbero nella
categoria degli enti pubblici nazionali, in quanto soggetti costituiti con
legge dello Stato, sottoposti alla vigilanza del Ministro competente e
finanziati dall’erario, verrebbero ad operare nell’ambito della materia –
rimessa alla potestà legislativa esclusiva dello Stato – «ordinamento e
organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali», di
cui all’art. 117, comma secondo, lettera g), della Costituzione.
Ricorda quindi che la
coesistenza di più potestà decisorie in un medesimo settore può realizzarsi o
nell’ambito del procedimento amministrativo destinato a provvedere sul punto
(facendo cioè di quel procedimento un luogo di composizione dei diversi
interessi) o, come nella fattispecie, attraverso l’attribuzione dell’intera
materia ad un unico soggetto istituzionale e la previsione di meccanismi idonei
a consentire la rappresentanza al suo interno di tutti i soggetti titolari di
competenza in parte qua, alla stregua di un’opzione che rientra nella
discrezionalità del legislatore e che si presta ad essere sindacata solo sotto
il profilo del difetto di ragionevolezza.
Né sarebbe sostenibile
la tesi della spettanza alla competenza amministrativa regionale (o addirittura
inferiore) della materia dei porti, perché dirimenti, a questi fini, sarebbero,
da un lato, la qualificazione del porto come bene pubblico, la cui gestione non
potrebbe essere sottratta allo Stato, e, dall’altro, la considerazione che le
Autorità portuali sovrintendono al funzionamento di quelli di maggiori
dimensioni, vere e proprie infrastrutture strategiche del sistema economico
nazionale.
Infine la normativa
statale disciplinerebbe, ad avviso della difesa erariale, adeguati meccanismi
partecipativi, prevedendo non solo l’intesa con la Regione interessata per la
nomina del Presidente, ma la presenza nel comitato esecutivo dell’Autorità di
rappresentanti degli enti locali.
3.5.– Nella sua
memoria la Regione Friuli-Venezia Giulia contesta l’assunto
dell’Avvocatura dello Stato, secondo il quale i commi 2 e 3 dell’art. 9 della
legge regionale n. 17 del 2004 sarebbero illegittimi per contrasto con i
principî fondamentali della materia contenuti, rispettivamente, negli artt. 8 e
7 della legge n. 84 del 1994, attributivi, l’uno, del potere di nomina del
Presidente dell’Autorità portuale al Ministro delle infrastrutture e dei
trasporti, d’intesa con la Regione interessata, e l’altro dei poteri di revoca
del mandato del Presidente, di scioglimento del comitato e di nomina del
commissario – da esercitarsi peraltro nei soli casi tassativamente elencati nel
comma 3 dell’art. 7 – al medesimo Ministro, senza intesa con la Regione.
Contesta, inoltre, l’argomento secondo cui il carattere di norma di principio
dell’art. 8 sarebbe particolarmente visibile proprio in relazione al porto di
Trieste, in considerazione della sua natura «davvero peculiare – appunto
internazionale od extraterritoriale … (di) zona franca posta, per mera fictio iuris fuori del territorio doganale
dello Stato e soggetta ad un regime doganale particolare previsto dall’Allegato
VIII al Trattato di pace del 1947».
Premette la Regione di
aver già precisato, sia nel ricorso per conflitto di attribuzione n. 21 del
2004 sia nel ricorso in via principale
n. 79 del 2004, proposto contro l’art. 6 del decreto-legge n. 136 del 2004, che
quest’ultima disposizione, a suo avviso, non ha abrogato l’art. 9, comma 2,
della legge regionale n. 17 del 2004, essendo essa intervenuta a precisare un
elemento della procedura prevista dall’art. 8, comma 1, della legge n. 84 del
1994, la quale, però, non trova più applicazione nel suo territorio, per essere
ivi vigente, come norma speciale, il menzionato art. 9; di avere nondimeno
impugnato, in via puramente cautelativa, sia il decreto-legge n. 136 del 2004,
sia la legge di conversione n. 186 del 2004, avendo il Governo contestato la
legittimità della normativa regionale. Chiarisce anche che la materia del
contendere non potrebbe ritenersi cessata neppure se il rapporto tra fonte
legislativa statale e fonte legislativa regionale venisse ricostruito in
termini di successione nel tempo di norme aventi il medesimo campo di
applicazione: e invero, quanto all’art. 9, comma 3, della legge regionale, esso
disciplina i poteri di revoca del presidente, di scioglimento del comitato
portuale e di nomina del commissario, di cui non si occupano affatto le norme
statali sopravvenute; quanto al comma 2 della medesima disposizione, perché le
norme statali sopravvenute sono state da essa impugnate nella parte in cui
prevedono i poteri ministeriali di nomina e di gestione dell’intera procedura.
Secondo la Regione,
posto che nel precedente assetto costituzionale le Regioni «non avevano alcuna
competenza in materia di porti», in relazione alla legge n. 84 del 1994 non si
poneva affatto un problema di distinzione tra principî fondamentali e norme di
dettaglio, chiaro essendo soltanto che tale complesso normativo, attraverso la
previsione dell’intesa con la Regione interessata e il coinvolgimento nella
procedura degli enti locali, riconosceva l’incidenza della funzione in
questione sull’economia regionale e l’importanza del contributo delle comunità
di base.
Con l’entrata in
vigore delle legge costituzionale n. 3 del 2001 il settore dei porti è stato
attribuito alla potestà legislativa concorrente delle Regioni:
conseguentemente, queste hanno ora, da un lato, il potere di dettare la
disciplina sostanziale della materia, nell’ambito dei principî fondamentali
risultanti dalla legislazione precedente o di quelli dettati ex novo dal
legislatore statale e, dall’altro, il potere di allocare le funzioni
amministrative ex art. 118 della Costituzione.
Sostiene in
particolare la Regione che la giurisprudenza costituzionale avrebbe chiarito
che i principi fondamentali di cui all’art. 117, comma terzo, della
Costituzione non possono consistere nel riconoscimento di funzioni
amministrative (sentenza n. 50 del 2005),
ma che tali funzioni lo Stato può autoattribuirsi in
attuazione dell’art. 118, comma primo, della Costituzione, e «nel rispetto dei
principî di proporzionalità, ragionevolezza e leale collaborazione ».
Conseguentemente
l’evocazione, quale parametro della
sostenuta illegittimità della normativa regionale impugnata, dell’art.
117, comma terzo, della Costituzione, dovrebbe ritenersi del tutto inadeguata,
perché l’affermazione della competenza ministeriale, contenuta negli artt. 7 e
8 della legge n. 84 del 1994, non potrebbe giustificarsi a titolo di principio
fondamentale della materia, ma alla stregua del criterio della sussidiarietà:
la normativa regionale avrebbe perciò potuto essere censurata solo in relazione
all’art. 118 della Costituzionale e non già con riferimento alla norma
costituzionale in effetti evocata.
Né sarebbe possibile
trasporre il motivo in termini di violazione dell’art. 118 della Costituzione,
ostandovi il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui
all’art. 27 della legge n. 87 del 1953, nonché il carattere di giudizio di
parti del giudizio di costituzionalità in via principale.
Peraltro, anche ove si
fosse di contrario avviso sul punto, le impugnate norme regionali non
violerebbero il principio di sussidiarietà, ma ne rappresenterebbero una
significativa applicazione: posto infatti che la nomina del Presidente
dell’Autorità portuale «non richiede … una considerazione della situazione
complessiva del Paese», essa potrebbe e dovrebbe essere rimessa ad organo
regionale, mentre il principio dell’adeguatezza e la considerazione del rilievo
nazionale dell’ente sarebbero soddisfatti, l’uno, dalla previsione che le
valutazioni iniziali partano dagli enti locali, e l’altro, da quella
dell’intesa con il Ministro.
In definitiva, mentre
non vi sarebbe alcuna ragione per allocare in capo a quest’ultimo l’intera
procedura e il provvedimento finale, l’affermazione della responsabilità
regionale sarebbe non solo adeguata, ma la più adeguata possibile nel vigente
assetto costituzionale, anche in vista di una corretta impostazione dei
rapporti con gli enti locali interessati.
Inconferente sarebbe
pure, ad avviso della Regione, il richiamo alla peculiare natura del porto di
Trieste, in quanto tale regime non imporrebbe affatto la competenza
ministeriale per la nomina del Presidente dell’Autorità portuale, ma
inciderebbe solo sul rapporto con le autorità doganali (non a caso, osserva,
l’art. 6, comma 12, della legge n. 84 del 1994, prevede specifici poteri del
Ministro in relazione ai punti franchi).
Con riguardo, poi,
alle censure formulate nei confronti del comma terzo, dell’art. 9 della legge
regionale n. 17 del 2004 – nel richiamare le argomentazioni già svolte sia in
relazione all’infondatezza del richiamo all’art. 117, comma terzo, della
Costituzione, sia in ordine all’insussistenza della violazione dell’art. 118,
comma primo, della Costituzione «comunque non invocato nel ricorso» – sostiene
la deducente che l’inesistenza di esigenze di carattere unitario sarebbe ancora
più evidente con riguardo ai poteri di revoca e di nomina del commissario,
essendo, i primi, vincolati a determinati presupposti e riguardando, i secondi,
un organo destinato a rimanere in carica per un periodo limitato di tempo.
Rileva infine che la
norma regionale, sancendo il rispetto delle previsioni contenute nell’art. 7
della legge n. 84 del 1994, intende chiaramente richiamare i casi di revoca ivi
elencati.
3.6.– Anche
l’Autorità portuale di Trieste ha depositato una memoria, nella quale,
ricapitolati i punti salienti della legge n. 84 del 1994, sottolinea che nella
disciplina dei porti entrano in gioco interessi di rilievo e di portata nazionali,
accanto a interessi territorialmente limitati: in particolare il porto di
Trieste, per la sua connotazione geografica, costituirebbe uno snodo essenziale
nei traffici con il mercato asiatico, e segnatamente con la Cina.
La circostanza che il
complesso meccanismo di nomina del Presidente dell’Autorità portuale ha
determinato di fatto in molti scali italiani una situazione di paralisi che si
è protratta per anni, andrebbe valutata in tale quadro di riferimento.
Esposti quindi i vari
momenti della vicenda che ha condotto alla nomina dell’attuale Presidente
dell’Autorità portuale di Trieste nonché all’emanazione, da un lato, della
legge regionale n. 17 del 2004 e, dall’altra, del decreto-legge n. 136 del
2004, convertito con modificazioni dalla legge n. 186 dello stesso anno,
l’interveniente sostiene preliminarmente la piena ammissibilità del suo
intervento nel giudizio proposto dal Presidente del Consiglio, alla stregua di
una giurisprudenza costituzionale che va manifestando significativi segni di
apertura in ordine all’ammissibilità degli interventi di soggetti terzi anche
nei giudizi fra Stato e Regioni. Né del resto sarebbe seriamente sostenibile la
sua estraneità al giudizio relativo ad una legge, come quella impugnata
dall’Avvocatura, che modificherebbe radicalmente la natura e la collocazione di
essa esponente.
Ciò posto, secondo la
deducente una legge regionale che allochi in capo a organi regionali funzioni
statali, come la legge adottata dal Friuli-Venezia Giulia, sarebbe in contrasto
con gli artt. 117 e 118 della Costituzione, con la VIII disposizione
transitoria e finale, comma secondo, con l’art. 7 della legge n. 131 del 2003
nonché con l’art. 65 dello statuto del Friuli-Venezia Giulia, norme tutte che
esprimono il «principio della non apprendibilità
diretta» delle funzioni statali da parte delle Regioni e della necessità che a
tanto provveda una legge dello stesso Stato.
La norma impugnata
sarebbe inoltre incostituzionale per sviamento della funzione legislativa:
essa, procedendo attraverso meccanismi unilaterali, si sarebbe infatti
appropriata, secondo un modus procedendi già
ritenuto illegittimo dalla Corte nelle sentenze n. 198
e n. 199 del
2004, di competenze che la legge nazionale di principio non prevede.
La legge ragionale
avrebbe, in realtà, un carattere provocatorio, posto che, al di là della sua
palese incostituzionalità, giammai essa potrebbe correttamente applicarsi ad un
procedimento in corso. E di tanto sarebbe ben consapevole la stessa Regione, la
quale, nelle conclusioni esposte nel conflitto di attribuzione (reg. confl. n. 21 del 2004), ha chiesto alla Corte di dichiarare
che «non spetta allo Stato nominare con decreto ministeriale, senza previa
intesa con la Regione, il Presidente dell’Autorità portuale di Trieste»;
laddove, se avesse ritenuto applicabile la legge regionale, avrebbe dovuto
invocare tout court la declaratoria della non spettanza allo Stato del
potere di nomina.
L’esclusiva competenza
statale a disciplinare il procedimento de quo e a procedere alla nomina,
ai sensi dell’art. 117, comma secondo, lettera g) della Costituzione, si
radicherebbe sul carattere di enti pubblici non economici delle Autorità
portuali, secondo quanto ritenuto a più riprese anche dal Consiglio di Stato e
dalla Corte dei conti.
Del resto sarebbe
certamente errato far rientrare all’interno della materia porti e aeroporti
civili tutto ciò che è disciplinato dalla legge n. 84 del 1994, atteso che il
porto emerge non già staticamente, ma dinamicamente, quale centro di attività
cruciali sotto il profilo economico-sociale, alla stregua di un approccio
ricostruttivo del riparto delle competenze contenuto nella Costituzione, già
seguito dalla Corte nelle sentenze n. 363 del
2003 e n. 37
del 2005.
Infine, anche a voler ritenere
che l’oggetto del giudizio di costituzionalità inerisca alla materia porti e
aeroporti civili, ai sensi del nuovo art. 117 della Costituzione, la norma
impugnata sarebbe comunque illegittima per violazione dei principî fondamentali
della materia: non sarebbe invero possibile dubitare del fatto che tra questi
rientri anche la disposizione che attribuisce al Ministro delle infrastrutture
e dei trasporti la competenza ad effettuare la nomina. Né, in contrario,
potrebbe invocarsi la giurisprudenza costituzionale in ordine ai requisiti
propri della norma di principio, la quale dovrebbe, da un lato, essere
espressione di scelte politiche fondamentali e, dall’altro, presentare un
elevato grado di astrattezza: la stessa Corte avrebbe infatti in più occasioni
riconosciuto la legittimità costituzionale di disposizioni legislative statali
contenenti principî dettagliati ed autoapplicativi,
sulla base del rilievo che «la nozione di principio fondamentale … non ha e non
può avere caratteri di rigidità e di universalità, perché le materie hanno
diversi livelli di definizione che possono mutare nel tempo».
4.– Con ricorso notificato il
27 luglio 2004 (r.r. n. 79 del 2004) la Regione
Friuli-Venezia Giulia ha chiesto alla Corte costituzionale di dichiarare
l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 del decreto-legge 28 maggio 2004, n.
136, per violazione della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto
speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), e delle relative norme di
attuazione, degli artt. 117 e 118 della Costituzione, in relazione all’art. 10
della legge costituzionale n. 3 del 2001, nonché del principio di leale
collaborazione tra lo Stato e le Regioni.
4.1.– Premesso che, in
base a quanto stabilito dall’art. 70, ultimo comma, dello statuto, è stato
costituito, con legge 9 luglio 1967, n. 589 (Istituzione dell’Ente autonomo del
porto di Trieste), l’Ente autonomo del porto di Trieste, quale ente pubblico
economico, sottoposto alla vigilanza del Ministero della marina mercantile, la
ricorrente osserva che l’art. 8, comma 1 della legge n. 84 del 1994, nella sua
originaria formulazione, attribuiva un ruolo di codeterminazione alla Regione
nella nomina del Presidente dell’Autorità portuale, coinvolgendo nella relativa
procedura le Province, i Comuni e le Camere di commercio territorialmente
competenti. Sennonché l’art. 6 del decreto-legge n. 136 del
Sarebbero stati in tal
modo palesemente ristretti e sminuiti gli spazi di intervento della Regione,
per giunta in un assetto costituzionale che, a seguito della riforma del Titolo
V, ha visto l’espansione delle competenze di tale ente.
In realtà la
disposizione censurata, pur avendo carattere generale ed astratto, si inserisce
in modo specifico nel quadro della vicenda che da oltre un anno impedisce la
nomina del Presidente dell’Autorità portuale di Trieste; vicenda della quale la
ricorrente riproduce ampiamente l’esposizione contenuta nel ricorso per
conflitto n. 21 del 2004.
Ricorda la Regione,
per quel che interessa in questa sede, che, non essendo stata raggiunta
l’intesa prevista dalla legge ed avendo il Ministro proceduto alla nomina di un
Commissario alla scadenza del mandato del Presidente, la Regione elaborava una
nuova disciplina del settore che, approvata, diventava la legge 24 maggio 2004
n. 17, con la quale la Regione, in attuazione del nuovo riparto di competenze
sancito dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, viene in sostanza ad
invertire i ruoli assegnati dalla legge n. 84 del 1994 al Presidente della
Regione e al Ministro, conferendo al primo la responsabilità del procedimento e
il compito finale della nomina; al secondo la funzione di dare la propria
intesa, a salvaguardia degli interessi generali del sistema portuale.
A soli due giorni di
distanza dalla pubblicazione della legge regionale n. 17 del 2004, il Governo
adottava il decreto-legge n. 136 del 2004, il cui art. 6, oggetto
dell’impugnativa proposta, rende meramente facoltativa l’intesa con la Regione,
posto che alla nomina del Presidente dell’Autorità portuale il Consiglio dei
ministri può pervenire per il solo fatto che l’intesa stessa non sia stata
raggiunta nel termine di trenta giorni.
Esplicita inoltre che,
benché la disciplina statale intervenga a precisare un elemento della procedura
prevista dalla legge n. 84 del 1994 che, a seguito della citata legge
regionale, non dovrebbe trovare applicazione nel territorio della Regione,
sussiste comunque il suo interesse alla decisione del ricorso, in quanto, da un
lato, l’affermazione predetta potrebbe non essere condivisa, e, dall’altro
lato, l’accoglimento dell’impugnazione già deliberata dal Governo, avverso la
legge regionale, renderebbe applicabile anche con riferimento al porto di
Trieste la disciplina generale, e quindi la disposizione censurata.
Segnatamente la
Regione articola i seguenti motivi di impugnativa:
a) Violazione
dell’art. 117, comma terzo, e dell’art. 118 della Costituzione, in collegamento
con l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del
Ribadito che la legge
regionale n. 17 del 2004 farebbe puntuale applicazione dell’art. 118 Cost., che
attribuisce all’ente titolare della funzione legislativa il potere di
allocazione delle funzioni amministrative, la Regione osserva che la legge
statale impugnata disattenderebbe il principio – più volte ribadito dalla
giurisprudenza costituzionale – secondo cui, nelle materie di competenza
regionale, la legge statale, nel rispetto dei criteri di proporzionalità e di
ragionevolezza, può assegnare allo Stato (e regolare) solo funzioni
amministrative che debbano essere esercitate unitariamente, salva in ogni caso
la necessità dell’adozione di un iter in cui assumano «il dovuto risalto
le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese,
che devono essere condotte in base al principio di lealtà» (Corte
costituzionale n.
303 del 2003; n.
6 del 2004).
E in effetti, mentre
la legge regionale ha conservato il potere di codeterminazione del Ministro, in
considerazione del principio fondamentale espresso dalla legge n. 84 del 1994,
la norma impugnata non solo avrebbe declassato l’intesa, trasformandola da
forte a debole, ma avrebbe ribadito una competenza ministeriale non più
adeguata al nuovo assetto costituzionale.
A giudizio della
Regione, infatti, la nomina del Presidente dell’Autorità portuale non sarebbe
funzione che debba essere necessariamente svolta in sede centrale, sembrando
semmai più consono ai principî di sussidiarietà e di proporzionalità una nomina
regionale, alla quale lo Stato dia il suo consenso, mentre il criterio
dell’adeguatezza, stabilito dall’art. 118 della Costituzione, rende
evidentemente preferibile che le valutazioni di base partano dalle comunità
locali, secondo un modulo già insito nella legge n. 84 del 1994 e «che non v’è
ragione di non far valere anche per la competenza regionale».
Conseguentemente,
qualora si ritenga che l’art. 6 del decreto-legge n. 136 del 2004, abbia
abrogato l’art. 9 della legge regionale n. 17 del 2004, così ripristinando il
potere ministeriale di nomina, lo stesso, alla luce delle sentenze n. 303 del 2003
e n. 6 del 2004,
«in relazione alla Regione Friuli-Venezia Giulia», dovrebbe essere dichiarato
costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 118, commi primo e
secondo, della Costituzione.
b) Violazione
dell’art. 117, comma terzo, e dell’art. 118 della Costituzione, in collegamento
con l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, e del principio di
leale collaborazione, «in relazione alla possibilità di procedere a nomina
senza intesa con la Regione».
In ordine a tale profilo
la Regione, ricordato che la norma statale impugnata disciplina una materia in
cui la Regione ha competenza legislativa, salva la determinazione, da parte
dello Stato, dei principî fondamentali, rileva che, per consolidata
giurisprudenza costituzionale, ove lo Stato eserciti una funzione
amministrativa in materia regionale, è necessaria l’intesa con la Regione
interessata: si tratterebbe di intesa forte, nel senso che il suo mancato
raggiungimento costituirebbe ostacolo insuperabile alla conclusione del
procedimento (sentenze n. 303 del 2003
e n. 233 del
2004).
Peraltro, poiché non è
ipotizzabile che l’intesa necessaria alla nomina del Presidente dell’Autorità
portuale risulti di fatto impossibile, posto che entrambe le parti – Stato e
Regione – sono tenute ad improntare il proprio comportamento al principio della
leale collaborazione, e poiché esistono meccanismi atti a garantire comunque il
funzionamento dell’organo (come l’attribuzione delle funzioni di vicepresidente
al comandante del porto), è evidente l’insussistenza della necessità di
provvedere unilateralmente all’investitura, non essendovi alcun pericolo di
lesione di interessi di rango costituzionale.
In definitiva, l’art.
6 del decreto-legge n. 136 del 2004 lederebbe la sfera costituzionale di
competenza della Regione perché non solo abbasserebbe la tutela dell’autonomia
regionale rispetto alla norma previgente, ma opererebbe «questa deminutio dopo che la Regione Friuli-Venezia Giulia
è stata dotata di competenza costituzionale in materia di porti, competenza che
… può essere derogata … solo prevedendo un’intesa forte».
c) In subordine al
punto b: violazione dell’art. 117, comma terzo, e dell’art. 118 Cost., in
collegamento con l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, e del
principio di leale collaborazione, in quanto si prevede che il conflitto venga
risolto con la semplice prevalenza di una delle parti.
Il fatto che l’organo
individuato come competente all’adozione della decisione finale non costituisca
un’istanza «neutra» o realmente equidistante tra Ministro e Regione, ma
piuttosto una propaggine del primo, costituirebbe, in presenza di interessi
costituzionali di pari dignità e tali da non mettere in gioco la linea politica
del Governo, un ulteriore aspetto della denunciata illegittimità.
d) In ulteriore subordine al punto b: violazione dell’art. 117,
comma terzo, e dell’art. 118 Cost., in collegamento con l’art. 10 della legge
costituzionale n. 3 del 2001, e del principio di leale collaborazione, in
quanto si prevede che il semplice passaggio di 30 giorni consenta la
sostituzione del Governo all’intesa.
Osserva la Regione che
il censurato art. 6 non richiede, perché scatti la possibilità di definire la
procedura a mezzo di delibera del Consiglio dei ministri, altro che il decorso
del termine di trenta giorni dal momento in cui sono state esperite le
«procedure di cui al comma 1» – e cioè trenta giorni dal ricevimento della
prima o della seconda terna di candidati o trenta giorni dalla scadenza del
termine per le designazioni –, laddove è principio consolidato che, anche in
caso di intesa debole, lo Stato può decidere unilateralmente solo dopo aver
cercato l’accordo con reiterate trattative.
Per le ragioni esposte
insiste dunque la Regione Friuli-Venezia Giulia affinché la Corte dichiari
illegittimo l’art. 6 del decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136, per violazione
degli artt. 117, comma terzo, e 118 della Costituzione, in relazione all’art.
10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, nonché del principio di leale
collaborazione.
4.2.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri, costituitosi in giudizio con la rappresentanza
dell’Avvocatura generale dello Stato, ha dedotto argomentazioni sostanzialmente
sovrapponibili a quelle svolte nel giudizio instaurato dalla Regione Campania,
osservando che la pretesa illegittimità dell’impugnato art. 6 è destinata a
venir meno a seguito delle modifiche apportate al decreto-legge n. 136 del
4.3.– Nel giudizio è altresì intervenuta l’Autorità portuale di
Trieste che, riservata «ad ulteriori atti e alla discussione orale una più
ampia prospettazione delle proprie argomentazioni», ha chiesto dichiararsi
l’improponibilità, l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso proposto
dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.
4.4.– Con memoria
depositata in prossimità dell’udienza, la Regione Friuli-Venezia Giulia contesta
l’assunto della difesa erariale in ordine alla sopravvenuta cessazione della
materia del contendere dal momento che – quand’anche l’art. 1, comma 2, della legge
di conversione, che fa salvi «gli effetti degli atti compiuti ai sensi
dell’art. 8, comma 1-bis, della legge 28 gennaio 1994, n. 84, introdotto
dall’art. 6 del decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136, fino alla data di entrata
in vigore della presente legge», fosse interpretato, come sembra prospettare
l’Avvocatura, nel senso di ritenere salvi non già gli atti, ma gli effetti
degli atti medio tempore adottati – la portata lesiva della norma
impugnata sarebbe solo ridotta, ma non eliminata. Tale lettura infatti, pur
comportando la necessità dell’avvio di una nuova procedura di nomina,
lascerebbe in piedi il vulnus costituito dalla salvezza, sia pure per un
periodo limitato di tempo, del provvedimento adottato dal Ministro in mancanza
di intesa con la Regione e anzi in motivata opposizione della stessa.
4.5.– L’Autorità portuale di
Trieste nella sua memoria, ripercorsi i vari momenti della vicenda
sfociata negli atti normativi e amministrativi ora impugnati innanzi alla Corte
costituzionale e dedotta l’inammissibilità del ricorso proposto dalla Regione
Friuli-Venezia Giulia per sopravvenuta caducazione, con effetto ex tunc, della disposizione impugnata, espone
considerazioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle svolte nel giudizio
instaurato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri (r.r.
n. 78 del 2004), in punto di rilevanza dei porti nel sistema economico
complessivo e di natura giuridica (enti pubblici non economici) delle Autorità
portuali; ribadisce, conseguentemente, la esclusiva competenza dello Stato a
disciplinare il procedimento di nomina del Presidente e ad effettuarla, ex art.
117, comma secondo, lettera g) della Costituzione; sottolinea la natura
di principio fondamentale della materia della norma che attribuisce al Ministro
la competenza in ordine alla nomina del Presidente dell’Autorità portuale.
Del tutto infondato
sarebbe poi l’assunto relativo alla illegittima "appropriazione”, da parte
dello Stato, di una funzione ormai regionale, atteso che, a prescindere
dall’incostituzionalità della legge n. 17 del 2004, con la quale la Regione
Friuli-Venezia Giulia avrebbe in sostanza ritenuto di «farsi giustizia da sé»,
i principî enunciati nelle richiamate pronunce della Corte costituzionale n. 303 del 2003
e n. 6 del 2004
si applicherebbero solo nel caso in cui lo Stato attragga a sé funzioni nuove
ricadenti in materia regionale, e non già quando lo Stato disciplini una
funzione già sua.
Considerato allora che
l’intesa prevista dall’art. 8 della legge n. 84 del 1994 rivestirebbe carattere
debole, la norma impugnata sarebbe pienamente legittima, in quanto funzionale
alla conclusione del procedimento.
Evidenziato poi che le
intese c.d. deboli – la cui ratio andrebbe ravvisata nell’esigenza di
tutelare superiori interessi nazionali, altrimenti pregiudicati dall’impasse
derivante dalla necessità di trovare l’accordo tra tutte le parti – sono state
ritenute legittime dalla Corte costituzionale, segnatamente in relazione a
quelle funzioni che si collocano «all’incrocio» tra una pluralità di
competenze, segnala la deducente che la validità della ricostruzione in termini
di "intesa debole” del meccanismo delineato nella norma impugnata sarebbe
confermata da numerosi argomenti, quali la partecipazione al procedimento di
soggetti diversi dalle Regioni; la rilevanza nazionale ed internazionale degli
interessi coinvolti; l’esigenza di rapida chiusura del procedimento; la sicura
spettanza allo Stato del potere di nomina.
Infine, la
costituzionalità dell’art. 6 del decreto-legge n. 136 del
Infine la previsione
della sostituzione della delibera consiliare all’intesa all’esito del semplice
passaggio di trenta giorni risponderebbe in pieno al principio di efficienza e
funzionalità dell’azione amministrativa sancito nell’art. 97 della
Costituzione.
5.– Con ricorso del 21 settembre 2004 (n. 92 del 2004 R.R.) la
Regione Friuli-Venezia Giulia ha chiesto alla Corte costituzionale di
dichiarare l’illegittimità costituzionale della legge 27 luglio 2004, n.
5.1.– Premette la
ricorrente che la proposizione del presente ricorso segue quella di altri due
giudizi da essa instaurati, l’uno contro l’art. 6 del decreto-legge, oggetto
della legge di conversione ora impugnata, e l’altro a mezzo di conflitto di
attribuzione, promosso contro l’atto di nomina del Presidente dell’Autorità
portuale di Trieste.
Ricorda quindi come la
legge n. 186 del 2004, convertendo, con modificazioni, l’art. 6 del
decreto-legge n. 136 del 2004, abbia riscritto l’art. 8, comma 1-bis
della legge n. 84 del 1994, nel senso di rafforzare – anche se in maniera non
ancora costituzionalmente esaustiva – il ruolo della regione nella procedura di
nomina del Presidente dell’Autorità portuale; ma che all’operatività della
nuova normativa è stata sottratta proprio la vicenda relativa al porto di
Trieste, posto che con l’art. 1, comma 2, sono stati «fatti salvi gli effetti
degli atti compiuti» in base al modificato art. 6 del decreto, «fino al momento
di entrata in vigore della presente legge».
Sostiene la Regione
che anche il nuovo art. 6 del decreto-legge n. 136 del 2004 e l’art. 1, comma
2, della legge n. 186 del 2004, sono lesivi delle sue competenze
costituzionali.
Segnatamente, per
quanto attiene all’art. 1, comma 2, della legge n. 186 del 2004, la norma,
tenendo fermi gli effetti degli atti adottati ai sensi di una norma
incostituzionale, risulterebbe affetta dai medesimi vizi di costituzionalità
denunciati nel ricorso proposto contro l’art. 6 del decreto-legge n. 136 del
2004 (r.r. n. 79 del 2004), senza che sul suo
perdurante interesse alla declaratoria di illegittimità di tale disposizione
possa influire il fatto che con la legge regionale n. 17 del 2004 la Regione ha
esercitato, nel quadro dei principî fondamentali stabiliti dalla legge statale,
la potestà legislativa che la Costituzione le attribuisce in materia di porti:
e invero la relativa disciplina è stata impugnata dallo Stato, di guisa che
l’eventuale accoglimento della questione renderebbe applicabile anche al porto
di Trieste la normativa generale.
L’esponente ripropone
pertanto tutte le argomentazioni svolte nel ricorso proposto avverso l’art. 6
del decreto-legge n. 136 del 2004, norma della quale ha sostenuto
l’illegittimità:
a) per violazione dell’art. 117, comma terzo, e dell’art. 118
della Costituzione, in collegamento con l’art. 10 della legge costituzionale n.
3 del
b) per violazione dei medesimi parametri di cui innanzi,
nonché del principio di leale collaborazione, in relazione alla possibilità che
si proceda alla nomina senza intesa della Regione;
c) in subordine, rispetto al punto b), per violazione
delle norme e dei principî costituzionali evocati, in relazione alla previsione
che il conflitto venga risolto con la semplice prevalenza di una delle parti
nonché, in via ulteriormente gradata, in relazione alla previsione «che il
semplice passaggio di trenta giorni consenta la sostituzione del Governo
all’intesa».
Chiarisce anche la
Regione che la portata lesiva della norma non verrebbe meno ove essa fosse
interpretata nel senso di ritenere salvi, fino all’entrata in vigore della
legge di conversione, non già gli atti, ma gli effetti degli atti adottati ai
sensi dell’art. 6, nella sua originaria formulazione: a ben vedere infatti tale
lettura della disposizione, pur comportando la necessità dell’avvio di una
nuova procedura di nomina, lascerebbe in piedi la lesione derivante dalla
salvezza, sia pure per un periodo limitato di tempo, del provvedimento adottato
dal Ministro in mancanza di intesa con la Regione e anzi in motivata
opposizione della stessa.
In ogni caso, ad
avviso della deducente, l’art. 1, comma 2, della legge n. 186 del 2004, sarebbe
illegittimo per violazione dell’art. 3 della Costituzione nonché per eccesso di
potere legislativo (come diffusamente argomentato negli atti introduttivi dei
due precedenti giudizi).
Sottolineato, in
particolare, che il decreto-legge n. 136 del 2004 è stato adottato a soli due
giorni di distanza dalla pubblicazione (avvenuta il 26 maggio) della legge regionale
n. 17 del 2004; che il successivo 3 giugno il Consiglio dei ministri ha
autorizzato la nomina del Presidente dell’Autorità portuale di Trieste; che il
giorno
Ma, a parte ciò, a
giudizio della Regione, l’art. 6 del decreto-legge n. 136 del 2004, come
riformulato in sede di conversione del decreto, ove inteso nel senso della
perdurante competenza ministeriale all’atto finale di nomina, avrebbe un suo specifico
profilo di illegittimità: infatti, fermo il rilievo relativo alla
inapplicabilità della disciplina generale al porto di Trieste e della
sussistenza dell’interesse alla decisione in ragione soltanto dell’impugnativa
proposta dal Presidente del Consiglio avverso la legge regionale, il nuovo art.
6, mantenendo in capo al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti il
potere di nomina – pur nell’ambito della terna formulata dal Presidente della
Giunta regionale – perpetuerebbe la violazione dell’art. 117, comma terzo, e
dell’art. 118 della Costituzione, in collegamento con l’art. 10 della legge
costituzionale n. 3 del 2001.
In tale contesto alla
reiezione della questione di costituzionalità potrebbe pervenirsi solo qualora
l’espressione «il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti indica il
prescelto», all’interno della terna formulata dal Presidente della Regione,
venisse intesa nel senso che compete al Ministro la manifestazione dell’intesa
su uno dei tre nomi per i quali è stato dato il gradimento della Regione, fermo
il principio che spetta in ogni caso al Presidente di questa la competenza ad
effettuare la nomina, in conformità, dunque, a quanto prevede ora la legge
regionale n. 17 del 2004.
5.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi in
giudizio a mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto alla Corte di
rigettare il ricorso, dichiarando la legittimità costituzionale della legge n.
186 del
Rileva preliminarmente
l’Avvocatura che la norma di cui all’art. 9, comma 2, della legge regionale n.
17 del 2004, eccede chiaramente l’ambito di competenza della Regione, atteso
che le disposizioni della legge quadro in materia portuale – della legge n. 84
del 1994 – che disciplinano la procedura di nomina del Presidente dell’Autorità
portuale, devono essere ritenute norme di principio assolutamente vincolanti
per le Regioni, vertendo esse, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, del nuovo
Titolo V della Costituzione, su materia
di competenza concorrente.
Quanto al
decreto-legge n. 136 del 2004, l’Avvocatura ne ribadisce la piena
costituzionalità, rilevando che la contestata disposizione di cui all’art. 6
non ha inciso sulla disciplina anteatta se non nel
senso di aver previsto un termine – quello, appunto, di trenta giorni – volto
ad accelerare la procedura di codecisione fra Stato e
Regione. L’allegata circostanza – secondo cui la norma, così come riformulata,
avrebbe consentito al Ministro di superare, nelle more, l’espresso dissenso
della Regione Friuli-Venezia Giulia sul candidato prescelto – non rileverebbe
che in via di mero fatto, e sarebbe, quindi, priva di rilievo giuridico.
La pretesa
illegittimità dell’art. 1, comma 2, della legge n. 186 del 2004, derivante
dalla presunta incostituzionalità dell’art. 6 del decreto-legge n. 136 del
2004, non sarebbe dunque, ad avviso della deducente, fondata.
In ordine poi all’art.
6, comma 1, del decreto-legge n. 136 del 2004, nella formulazione assunta dopo
le modifiche apportate in sede di conversione, dalla legge n. 186 del 2004,
sostiene l’interveniente che la procedura ora prevista, da un lato, esalta le
prerogative del Presidente della giunta regionale, rafforzando il procedimento
volitivo concordato che è alla base dell’atto di nomina del Presidente
dell’Autorità portuale, dall’altro, consente, con una norma acceleratoria di
chiusura, di pervenire comunque, entro termini ragionevoli, alla conclusione
del procedimento.
5.3.– Nel giudizio è intervenuta
l’Autorità portuale di Trieste che, riservata «ad ulteriori atti e alla
discussione orale una più ampia prospettazione delle proprie argomentazioni»,
ha chiesto dichiararsi l’improponibilità, l’inammissibilità e l’infondatezza
del ricorso proposto dalla Regione Friuli-Venezia Giulia.
5.4.– Nella memoria
depositata in prossimità dell’udienza, la Regione Friuli-Venezia Giulia, in
merito all’illegittimità derivata dell’art. 1, comma 2, della legge n. 186 del
2004, contesta, in primo luogo, l’assunto secondo cui rivestirebbe
carattere di «mero fatto», privo di rilievo giuridico, la circostanza che il
disposto dell’art. 6 del decreto-legge n. 136 del 2004 avrebbe permesso al
Ministro «di piegare» il procedimento ai propri fini e di superare il dissenso
della Regione sul nominativo proposto dal Ministro stesso: il ricorso infatti
non si esaurirebbe affatto nella prospettazione di siffatta circostanza –
comunque rilevante sul piano giuridico – ma sarebbe volto a far valere, contro
la norma di sanatoria, tutti i motivi di illegittimità addotti nei confronti
dell’art. 6 del decreto-legge n. 136 del 2004, la violazione del principio di
eguaglianza nonché l’eccesso di potere legislativo.
Sottolineato poi che
la difesa erariale non ha preso alcuna posizione sulla questione interpretativa
del testo dell’art. 6, come riformulato in sede di conversione, insiste per
l’accoglimento del ricorso.
5.5.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri, evidenziato che il presente giudizio attiene alla
legittimità costituzionale di una norma statale che prevede un’intesa debole
tra Stato e Regione in relazione alla nomina del Presidente dell’Autorità
portuale, sostiene che giammai il riparto di competenze voluto dalla
Costituzione potrebbe essere inteso nel senso che allo Stato venisse sottratta
la gestione dei propri beni demaniali, quali sono le zone portuali. Afferma
inoltre che, essendo in ogni caso i porti di maggiori dimensioni vere e proprie
infrastrutture strategiche del sistema economico nazionale, correttamente
l’organo di vertice dell’Autorità deputata a gestirli deve essere regolato e
prescelto a livello centrale.
Né sarebbe corretto,
metodologicamente, scrutinare la legittimità delle norme impugnate alla luce
del criterio acritico e inappagante della inadeguatezza, in parte qua,
dell’intesa debole, perché, a ben vedere, sancito il principio per cui i
rapporti tra soggetti di rango costituzionale devono essere improntati alla
leale collaborazione, l’intesa necessaria a soddisfare tale criterio non
sarebbe né dovrebbe essere né quella forte, né quella debole, ma semplicemente
l’intesa «leale».
La difesa erariale
esamina quindi alcuni punti nevralgici della disciplina dettata dalla legge n.
84 del 1994, e segnatamente gli articoli 9 e 5: il primo che, definendo
composizione e funzioni del Comitato portuale e facendone l’organo
amministrativo di maggior rilevo
dell’ente, chiamato, tra l’altro, ad approvare il piano operativo e il
bilancio, prevede che ne facciano parte in quota paritaria, tre membri in
rappresentanza delle istanze centrali e tre in rappresentanza di quelle locali;
il secondo, che, al comma 8, attribuisce addirittura alle Regioni un potere
sostitutivo nei confronti dello Stato quanto alla realizzazione delle grandi
infrastrutture in tutti i porti compresi nel proprio territorio (ad eccezione
soltanto di quelli finalizzati alla difesa militare).
In tale contesto
sarebbe, ad avviso dell’Avvocatura, quanto meno improprio sostenere che la
normativa sia, nel suo complesso, irriguardosa delle competenze regionali, per
il solo fatto che sulla nomina del Presidente dell’Autorità portuale non sia
prevista un’intesa forte con la Regione.
Del resto la Corte
costituzionale avrebbe chiarito, fin dalla sentenza n. 379 del 1992
(con riferimento ad un contesto in cui l’intesa, attenendo ai rapporti tra
Consiglio superiore della Magistratura e Ministro di grazia e giustizia, era
sicuramente di tipo debole), che l’intesa implica un preciso vincolo di metodo,
e in particolare il rispetto di una serie di oneri procedimentali la cui
inosservanza è giustiziabile sia in sede ordinaria, sia, soprattutto, innanzi
alla Corte costituzionale in sede di conflitto di attribuzioni.
In particolare nella
fattispecie, ai fini dell’esercizio di una competenza a titolarità congiunta,
quale quella della gestione delle grandi infrastrutture portuali, si sarebbe
preferito il modulo dell’affidamento delle attribuzioni rilevanti ad un ente
terzo, l’Autorità portuale, appunto, recuperando la necessaria partecipazione
tra Stato e Regione nella fase della costituzione dell’organo stesso.
L’Avvocatura ricorda,
quindi, che la nomina degli organi di un ente pubblico costituisce un atto
necessario e dovuto, la cui mancata adozione, come nel caso del Presidente
dell’Autorità portuale, può essere fonte di gravi disfunzioni e di
responsabilità giuridica e politica del Governo nazionale. In tale contesto
l’adozione del decreto-legge n. 136 del 2004 – emanato al fine di superare la
situazione di stallo determinata dall’atteggiamento ostruzionistico della
Regione – sarebbe pienamente giustificata: e invero l’intesa forte, prevista
dall’art. 8 della legge n. 84 del 1994, si era trasformata in un liberum veto, contro il quale non vi era
altra difesa che la decretazione d’urgenza.
In definitiva, da un
lato, il disposto dell’art. 6 del decreto-legge n. 136 del 2004, nella sua
originaria formulazione dovrebbe ritenersi legittimo in quanto improntato al
principio dell’intesa leale; dall’altro lato, il testo della medesima norma,
risultante dalle modifiche adottate in sede di conversione, non sarebbe
certamente qualificabile come norma di dettaglio, che illegittimamente
regolerebbe una questione rientrante ora nella competenza legislativa della
Regione, costituendo al contrario principio fondamentale, come diffusamente
argomentato nel ricorso in via principale proposto contro la legge regionale,
con la quale la Regione ha cercato di imporre la propria interpretazione in ordine
al riparto delle competenze legislative, senza rispettare la procedura di cui
all’art. 127 della Costituzione.
5.6.– L’Autorità portuale di
Trieste ripropone, nella sua memoria, argomentazioni difensive già
esplicitate nelle memorie depositate negli altri giudizi, insistendo sul
rilievo che gli asseriti vizi di eccesso di potere legislativo e di violazione
della leale cooperazione, che inficerebbero la normativa impugnata, sarebbero
stati impropriamente evocati da parte di
chi ha platealmente abusato del proprio potere legislativo per autoassegnarsi
funzioni di competenza statale. Sostiene inoltre che la pretesa applicazione,
peraltro indimostrata, del disposto
dell’art. 6 del decreto-legge n. 136 del 2004, nell’originaria versione, alla
sola nomina del Presidente dell’Autorità portuale di Trieste avrebbe carattere
di mero fatto, priva di rilievo giuridico.
Quanto, poi, alla
presunta illegittimità della clausola di salvezza contenuta nell’art. 1, comma
2, della legge di conversione, essa sarebbe assolutamente legittima, in quanto
«espressione di valori costituzionalmente ineccepibili, quali quelli della
certezza e della continuità dei rapporti giuridici», fermo peraltro il
principio che i rapporti sorti sulla base del decreto-legge non convertito e
fatti salvi dalla legge ben possono essere aggrediti davanti al giudice comune.
Infine, quanto alle
censure formulate nei confronti dell’art. 6 del decreto-legge, come modificato
in sede di conversione, la deducente, dato atto della scarsa chiarezza del
dettato normativo, e dei dubbi «sulla bontà e (sulla stessa costituzionalità)
della macchinosa soluzione inserita in sede parlamentare», evidenzia che le
questioni, per vero molteplici, poste dalla norma impugnata sono totalmente
ignorate dalla ricorrente, la quale si limita a sostenerne l’illegittimità
sotto l’unico, paradossale profilo della
spettanza regionale del potere di nomina.
Considerato in diritto
1.– Sia pure in
riferimento a diversi testi legislativi, tutti i ricorsi (r.r.
nn. 71, 73, 78, 79 e 92 del 2004) investono le
questioni della spettanza e delle modalità di esercizio del potere di nomina
del Presidente dell’Autorità portuale: ciò che impone la riunione dei relativi
procedimenti.
2.– Preliminarmente,
devono essere dichiarati inammissibili gli interventi spiegati – nei
procedimenti di cui ai ricorsi nn. 78, 79 e 92 r.r. del 2004 – dall’Autorità portuale di Trieste, non
essendo sufficiente a legittimare l’intervento nei giudizi promossi in via
principale avverso leggi statali o regionali la circostanza che l’interveniente
sia destinatario della disciplina recata dalle leggi oggetto della questione di
competenza costituzionale (sentenze n. 150 del
2005; n. 167
del 2004; n.
303 del 2003).
3.– Ancora in via
preliminare, deve essere dichiarata – aderendo alla concorde richiesta delle
Regioni ricorrenti e del Presidente del Consiglio dei ministri – la cessazione
della materia del contendere relativamente ai ricorsi nn.
71 e 73 proposti, rispettivamente, dalle Regioni Campania e Toscana per la
dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 6 del decreto-legge 28
maggio 2004, n. 136 (Disposizioni urgenti per garantire la funzionalità di
taluni settori della pubblica amministrazione), in quanto entrambe le Regioni
hanno espressamente dichiarato che le loro ragioni di doglianza sono state integralmente
soddisfatte dalle sostanziali modifiche apportate alla norma censurata dalla
legge di conversione 27 luglio 2004, n. 186 (Conversione in legge, con
modificazioni, del decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136, recante disposizioni
urgenti per garantire la funzionalità di taluni settori della pubblica
amministrazione. Disposizioni per la rideterminazione delle deleghe legislative
ed altre disposizioni connesse).
4.– Venendo al merito,
le questioni poste dai ricorsi nn. 78, 79 e 92 del 2004,
concernono tutte la legittimità costituzionale di norme che, incidendo sulla
disciplina di cui all’art. 8 della legge 28 gennaio 1994, n. 84 (Riordino della
legislazione in materia portuale), mirano a creare meccanismi volti a superare
la situazione di stallo che si crea quando, in fatto, non si realizza l’intesa
che, per la nomina del Presidente dell’Autorità portuale, il citato art. 8
prevede debba raggiungersi tra Ministro dei trasporti (ora delle infrastrutture
e dei trasporti) e Regione interessata.
4.1.– La legge n. 84
del 1994, dopo aver distinto (nell’ambito della categoria II) in tre classi i
porti marittimi – non finalizzati alla difesa militare e alla sicurezza dello
Stato (categoria I) – secondo che essi siano "di rilevanza economica internazionale
(classe I), "di rilevanza economica nazionale” (classe II) ovvero "di rilevanza
economica regionale e interregionale "(classe III) ed aver previsto che
l’appartenenza a tali classi è determinata con decreto del Ministro in
relazione all’entità del traffico, alla capacità operativa ed al livello di
servizi di collegamento con l’entroterra (art. 4), prevede l’istituzione
dell’Autorità portuale in taluni porti (elencati dall’art. 6, comma 1),
comunque tutti appartenenti alle prime due classi della categoria II (art. 4,
comma 1-bis).
Gli organi
dell’Autorità portuale – che "ha personalità giuridica di diritto pubblico ed è
dotata di autonomia amministrativa (…) nonché (…) di bilancio e finanziaria”
(art. 6, comma 2), ma è soggetta alla vigilanza del Ministro (art. 12) e al
controllo della Corte dei conti (art. 6, comma 4) – sono costituiti (art. 7)
dal comitato portuale, dal segretariato generale, dal collegio dei revisori dei
conti e, quale vertice dell’Autorità, dal Presidente, che ne «ha la rappresentanza,
resta in carica quattro anni e può essere riconfermato una sola volta» (art. 8,
comma 2).
L’art. 8, comma 1,
dispone che «il Presidente è nominato, previa intesa con la Regione
interessata, con decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione,
nell’ambito di una terna di esperti di massima e comprovata qualificazione
professionale nei settori dell’economia dei trasporti e portuale designati
rispettivamente dalla provincia, dai comuni e dalle camere di commercio,
industria, artigianato e agricoltura, la cui competenza territoriale coincide,
in tutto o in parte, con la circoscrizione di cui all’articolo 6, comma 7. La
terna è comunicata al Ministro dei trasporti e della navigazione tre mesi prima
della scadenza del mandato. Il Ministro, con atto motivato, può chiedere di
comunicare entro trenta giorni dalla richiesta una seconda terna di candidati
nell’ambito della quale effettuare la nomina. Qualora non pervenga nei termini
alcuna designazione, il Ministro nomina il presidente, previa intesa con la
Regione interessata, comunque tra personalità che risultano esperte e di
massima e comprovata qualificazione professionale nei settori dell’economia dei
trasporti e portuale».
4.2.– Non è revocabile
in dubbio che quest’ultima norma – richiedendo l’intesa con la Regione
interessata sia nell’ipotesi di nomina effettuata a seguito della formulazione
della terna sia nell’ipotesi di mancata designazione – esige che la nomina del
Presidente sia frutto in ogni caso di una codeterminazione del Ministro e della
Regione.
Altrettanto indubbio è
che questa inequivoca volontà originaria della legge non può essere
misconosciuta – qualificando come "debole” l’intesa in questione – dopo che la
riforma del Titolo V della Costituzione ha inserito la materia dei "porti e
aeroporti civili” tra quelle di "legislazione concorrente” previste dall’art.
117, terzo comma, Cost.: anzi, deve dirsi che la norma statale de qua,
in quanto attributiva al Ministro di funzioni amministrative in materia
contemplata dall’art. 117, terzo comma, Cost., è costituzionalmente legittima
proprio perché prevede una procedura che, attraverso strumenti di leale
collaborazione, assicura adeguatamente la partecipazione della Regione
all’esercizio in concreto della funzione amministrativa da essa allocata a
livello centrale (sentenza
n. 6 del 2004).
Ne discende che ab
origine l’art. 8 della legge n. 84 del 1994 esigeva, ed a fortiori
esige oggi – alla luce della sopravvenuta legge costituzionale n. 3 del 2001 –
«una paritaria codeterminazione del contenuto dell’atto» di nomina, quale
«forma di attuazione del principio di leale cooperazione tra lo Stato e la
Regione», ed esclude ogni «possibilità di declassamento dell’attività di codeterminazione
connessa all’intesa in una mera attività consultiva non vincolante» (sentenza n. 27 del
2004); con la conseguenza che il mancato raggiungimento dell’intesa, quale
prevista dalla norma, costituiva e costituisce «ostacolo insuperabile alla
conclusione del procedimento» (sentenza n. 6 del
2004).
4.3.– In presenza di
tale situazione normativa, sia lo Stato – dapprima attraverso l’art. 6 del
decreto-legge n. 136 del 2004, quindi attraverso le modifiche ad esso apportate
dalla legge di conversione n. 186 del 2004 – sia la Regione Friuli-Venezia
Giulia, hanno posto in essere norme volte a superare la situazione di stallo
che si determina – come, in concreto, si è determinata relativamente
all’Autorità portuale di Trieste – in caso di mancato raggiungimento
dell’intesa.
A tale proposito, va
detto che l’esigenza di leale cooperazione, insita nell’intesa, non esclude a
priori la possibilità di meccanismi idonei a superare l’ostacolo che, alla
conclusione del procedimento, oppone il mancato raggiungimento di un accordo
sul contenuto del provvedimento da adottare; anzi, la vastità delle materie
oggi di competenza legislativa concorrente comporta comunque, specie quando la
rilevanza degli interessi pubblici è tale da rendere imperiosa l’esigenza di
provvedere, l’opportunità di prevedere siffatti meccanismi, fermo il loro
carattere sussidiario rispetto all’impegno leale delle parti nella ricerca di
una soluzione condivisa.
Tali meccanismi, quale
che ne sia la concreta configurazione, debbono in ogni caso essere rispettosi
delle esigenze insite nella scelta, operata dal legislatore costituzionale, con
il disciplinare la competenza legislativa in quella data materia: e pertanto
deve trattarsi di meccanismi che non stravolgano il criterio per cui alla legge
statale compete fissare i principî fondamentali della materia; che non
declassino l’attività di codeterminazione connessa all’intesa in una mera
attività consultiva; che prevedano l’allocazione delle funzioni amministrative
nel rispetto dei principî di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di
cui all’art. 118 Cost.
Si tratta di criteri
(forse, in assoluto non esaustivi) dei quali questa Corte ha già fatto uso in
alcune decisioni aventi ad oggetto discipline che, ad esempio in tema di
interventi intesi ad evitare interruzioni nella fornitura di energia elettrica
(sentenza n. 6
del 2004) e di stoccaggio di rifiuti speciali (sentenza n. 62 del
2005), prevedevano strumenti sostitutivi dell’intesa quando a questa fosse
risultato impossibile pervenire; criteri sulla base dei quali è possibile
decidere i ricorsi in esame.
5.– La legge della
Regione Friuli-Venezia Giulia 24 maggio 2004, n. 17, dopo aver pedissequamente
trascritto l’art. 8, comma 1, della legge statale n. 84 del 1994 – ma attribuendo
al Presidente della Regione i poteri (di promuovere il procedimento, di
chiedere la designazione di una seconda terna di candidati, di ricercare
l’intesa in attuazione del principio di leale cooperazione) che la norma
statale riconosce al Ministro (art. 9, comma 1) – prevede (comma 2) che,
«qualora nei termini di cui al comma 1 non pervenga alcuna designazione, il
Presidente della Regione, previa intesa con il Ministro delle infrastrutture e
dei trasporti, nomina comunque il Presidente dell’Autorità portuale di Trieste
tra personalità che risultano esperte e di massima e comprovata qualificazione
professionale nei settori dell’economia, dei trasporti e portuale» e che (comma
3) sempre al Presidente della Regione, d’intesa con il Ministro, spetta il potere
di revoca del mandato del Presidente dell’Autorità, di scioglimento del
comitato portuale e di nomine commissariali «nel rispetto delle previsioni di
cui all’articolo 7 della legge» n. 84 del 1994.
Il ricorso (r.r. n. 78 del 2004) del Presidente del Consiglio dei
ministri con il quale si lamenta la violazione dell’art. 117, comma terzo,
Cost. – essendo tale materia governata, in assenza di qualsiasi disciplina
speciale contenuta nello statuto della Regione, dalla citata norma
costituzionale ex art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 – è
fondato.
Va premesso che la
legge n. 84 del 1994 costituiva la legge generale, ed oggi costituisce la
legge-quadro in materia di porti, dal momento che essa – come peraltro annuncia
il suo art. 1 – ne disciplina compiutamente, sulla base della loro
classificazione (che non può che essere ispirata a principî uniformi per tutto
il territorio nazionale), tra l’altro, l’organizzazione amministrativa, i
compiti affidati ai singoli organi, la composizione di questi, i loro rapporti
con le autorità statali sia centrali che periferiche (e, in particolare, con le
autorità marittime), i principî regolatori delle attività ed operazioni
interessanti il porto, la vigilanza ed i controlli sulla gestione,
l’organizzazione del lavoro portuale.
E’ in tale contesto
che va inquadrata la previsione normativa circa la spettanza al Ministro del
potere di nomina del Presidente dell’Autorità portuale, la cui costituzione, va
ricordato, è prevista per i porti aventi rilevanza economica internazionale o
nazionale (classi I e II della categoria II); previsione che armonicamente si
inserisce nel complesso quadro, descritto dalla legge statale, nel quale si
iscrivono, in particolare, i compiti attribuiti al Presidente («coordinamento
delle attività svolte nel porto dalle pubbliche amministrazioni, nonché
coordinamento e controllo delle attività soggette ad autorizzazione e
concessione, e dei servizi portuali»; amministrazione delle «aree e beni del
demanio marittimo»; autorizzazione delle operazioni portuali e concessione di
aree e banchine; potere di indire, presiedendola, una conferenza di servizi con
le amministrazioni interessate a lavori di escavazione e manutenzione dei
fondali; ecc.).
Il Presidente, in
sintesi, è posto al vertice di una complessa organizzazione che vede coinvolti,
e soggetti al suo coordinamento, anche organi schiettamente statali (presiede,
tra l’altro, il comitato portuale del quale fanno parte il comandante del porto
e, in rappresentanza dei Ministeri delle finanze e dei lavori pubblici, un
dirigente dei servizi doganali ed uno dell’ufficio speciale del genio civile),
e gli è assegnato un ruolo fondamentale, anche di carattere propulsivo, perché
il porto assolva alla sua funzione (di rilevanza internazionale o nazionale,
secondo la classe di appartenenza), comunque interessante l’economia nazionale.
Ne discende che se la
scelta, operata dal legislatore statale nel 1994, di coinvolgere la Regione nel
procedimento di nomina del Presidente costituisce riconoscimento del ruolo del
porto nell’economia regionale e, prima ancora, locale (donde il potere di
proposta riconosciuto alla Provincia, al Comune ed alla Camera di commercio),
la scelta del legislatore costituente del 2001 – di inserire la materia "porti
e aeroporti civili” nel terzo comma dell’art. 117 Cost. – non può essere intesa
quale "declassamento” degli interessi dell’intera comunità nazionale connessi
all’attività dei più importanti porti: interessi, anche questi, la cui cura è,
con la vastità dei compiti assegnatigli ed il ruolo riconosciutogli, affidata
in primo luogo al Presidente, e pertanto la sua nomina, come era attribuita al
Ministro dalla legge generale del 1994, così resta a lui attribuita dalla
medesima legge-quadro che ancora oggi governa la materia.
In breve, l’originaria
previsione in tema di potere di nomina si coordina con l’insieme della legge
contribuendo, quale sua organica articolazione, all’equilibrio che essa
realizza tra istanze centrali, regionali e locali; sicché tale previsione
continua a costituire principio fondamentale della materia, alla pari delle
altre sulla composizione degli organi e sui loro compiti e poteri.
Non coglie nel segno,
pertanto, la Regione quando contesta la pertinenza del parametro costituzionale
invocato dal Presidente del Consiglio dei ministri (art. 117, terzo comma,
della Costituzione) e sostiene che, semmai, quello pertinente sarebbe
costituito dall’art. 118 della Costituzione, potendosi «l’affermazione della
competenza ministeriale … giustificare (solo) alla stregua del criterio della
sussidiarietà»; nulla, infatti, si oppone a che, laddove vi sia un intreccio di
interessi locali, regionali, nazionali ed internazionali, armonicamente
coordinati in un sistema compiuto, possa qualificarsi principio fondamentale della
materia anche l’allocazione, ex lege statale, a livello centrale del
potere di nomina di chi tali interessi deve coordinare e gestire.
Tale rilievo è
sufficiente – con assorbimento di ogni altro profilo – per dichiarare
costituzionalmente illegittimo l’art. 9, comma 2, della legge della Regione
Friuli-Venezia Giulia, in quanto contrastante con il principio fondamentale
secondo il quale il potere di nomina del Presidente dell’Autorità portuale
(qui, di Trieste) compete, previa intesa con la Regione, al Ministro delle
infrastrutture e dei trasporti. Per le medesime ragioni deve essere dichiarata
l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 3, della medesima legge che,
in contrasto con il principio fondamentale posto (quale logica conseguenza del
potere di nomina) dall’art. 7 della legge n. 84 del
6.– L’art. 6 del decreto-legge
n. 136 del
6.1.– Con ricorso (n.
79 del 2004) notificato il 27 luglio 2004 – e, pertanto, coevo alla promulgazione
della legge (n. 186 del 2004) di conversione, con modificazioni, del
decreto-legge n. 136 – la Regione Friuli-Venezia Giulia ha sollecitato la
dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma, per contrasto con
gli artt. 117, comma terzo, e 118 Cost., per l’ipotesi che essa pretenda di
ripristinare nella Regione la competenza del Ministro viceversa attribuita,
dalla legge regionale n. 17 del 2004, al Presidente della Regione stessa; in
subordine, in quanto la norma elimina l’intesa con la Regione, attribuisce alla
parte ministeriale la prevalenza sulla Regione in caso di mancata intesa e ciò,
peraltro, sulla base del mero decorso del breve termine di trenta giorni.
6.2.– Le medesime
censure sono state riproposte, con il ricorso n. 92 del 2004, dalla Regione
Friuli-Venezia Giulia, in relazione all’art. 1, comma 2, della legge di
conversione 27 luglio 2004, n. 186, secondo il quale «sono fatti salvi gli
effetti degli atti compiuti», in base al (poi modificato) art. 6 del
decreto-legge, fino al momento di entrata in vigore della legge di conversione.
6.3.– Preliminarmente,
deve escludersi che il sopravvenire della legge di conversione, con le
sostanziali modifiche apportate al testo originario dell’art. 6 del
decreto-legge n. 136 del 2004, abbia fatto venir meno l’interesse alla
decisione del ricorso, dal momento che la legge di conversione – facendo salvi
gli effetti degli atti compiuti nelle more del procedimento legislativo di
conversione – ha conferito al testo originario del citato art. 6 piena vigenza,
tra il 28 maggio e il 27 luglio 2004, quale fondamento avente forza di legge di
provvedimenti amministrativi.
La circostanza che
l’art. 1, comma 2, della legge n. 186 del 2004 farebbe salvi, secondo la sua
formulazione letterale, non già gli atti compiuti, ma soltanto i loro effetti,
è priva di qualsiasi rilevanza e non vale a rendere improcedibile il presente
giudizio di legittimità costituzionale: la tesi contraria presupporrebbe che,
contrariamente a quanto concordemente riferito da tutte le parti, gli atti
compiuti in base alla norma poi modificata (e quindi, segnatamente, la nomina
del Presidente dell’Autorità portuale di Trieste) abbiano automaticamente perso
efficacia con l’entrata in vigore della legge di conversione, e non abbiano
pertanto continuato a produrre effetti oltre quella data. Il fatto che, al
contrario, l’atto di nomina adottato sulla base della norma qui censurata sia
tuttora, pacificamente, efficace, rende palese che la questione posta con
riguardo al tenore letterale dell’art. 1, comma 2, della legge n. 186 del 2004
è di natura sterilmente lessicale, priva di consistenza giuridica.
6.4.– Dovendosi
esaminare nel merito la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 del
decreto-legge n. 136 del 2004 solo perché, come si è chiarito, l’art. 1, comma
2, della legge di conversione ne ha fatto salvi (nel modo che si è detto) gli
effetti, a tale esame può procedersi in relazione al ricorso n. 92 del 2004 –
che quest’ultima norma impugna – e non già al ricorso n. 79 del
6.5.– Il primo motivo
di ricorso, con il quale si censura la pretesa della legge statale di
ripristinare nella Regione una competenza ministeriale che legittimamente la
legge regionale n. 17 del
6.6.– Fondati sono, viceversa,
gli altri motivi di ricorso.
Non è revocabile in
dubbio, infatti, che la norma impugnata si risolve nel rompere, a danno della
Regione, l’equilibrio – realizzato, come si è detto (sub 5), anche grazie
alla disciplina dell’attribuzione e delle modalità di esercizio del potere di
nomina – tra istanze ed esigenze di vario livello assicurato dalla legge n. 84
del 1994, nella sua originaria formulazione, e nel degradare l’intesa, prevista
dall’art. 8, comma 1, della medesima legge, al rango di mero parere non
vincolante, in quanto attribuisce al Ministro il potere – quali che siano le
ragioni del mancato raggiungimento dell’intesa e per ciò solo che siano decorsi
trenta giorni – di chiedere che la nomina sia effettuata dal Consiglio dei
ministri, e cioè da un organo del quale il Ministro fa parte.
E’ ben vero che, come
si è già accennato (sub 4.3.), questa Corte ha talvolta ritenuto che
l’istanza costituita, quale vertice del potere politico-amministrativo, dal
Consiglio dei ministri fosse adeguata a superare lo stallo determinato dal
mancato raggiungimento dell’intesa, ma ciò ha fatto in ipotesi nelle quali non
solo vi era una particolarmente pressante esigenza di provvedere (sentenza n. 6 del
2004), ma vi era altresì un intreccio con materie di competenza legislativa
esclusiva dello Stato (sentenza n. 62 del
2005).
Nel caso di specie, il
meccanismo escogitato per superare la situazione di paralisi determinata dal
mancato raggiungimento dell’intesa è tale da svilire il potere di
codeterminazione riconosciuto alla Regione, dal momento che la mera previsione
della possibilità per il Ministro di far prevalere il suo punto di vista,
ottenendone l’avallo dal Consiglio dei ministri, è tale da rendere quanto mai
debole, fin dall’inizio del procedimento, la posizione della Regione che non
condivida l’opinione del Ministro e da incidere sulla effettività del potere di
codeterminazione che, ma (a questo punto) solo apparentemente, l’art. 8, comma
1, continua a riconoscere alla Regione.
Deve conseguentemente,
assorbito ogni altro profilo, dichiararsi l’illegittimità costituzionale, per
violazione dell’art. 117, comma terzo, Cost., dell’art. 1, comma 2, della legge
n. 186 del 2004, e dell’art. 6 del decreto-legge n. 136 del 2004.
7.– Con il medesimo
ricorso n. 92 del 2004, la Regione Friuli-Venezia Giulia impugna altresì, per
contrasto con gli artt. 117, comma terzo, e 118 Cost. (in collegamento con
l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001), l’art. 6 del decreto-legge
n. 136 del 2004, come riformulato dalla legge di conversione n. 186 del 2004.
Tale norma aggiunge,
al comma 1, dell’art. 8 della legge n. 84 del 1994, un comma 1-bis a
tenore del quale, «esperite le procedure di cui al comma 1, qualora entro
trenta giorni non si raggiunga l’intesa con la regione interessata, il Ministro
delle infrastrutture e dei trasporti indica il prescelto nell’ambito di una
terna formulata a tal fine dal Presidente della Giunta regionale, tenendo conto
anche delle indicazioni degli enti locali e delle camere di commercio,
industria, artigianato e agricoltura interessati. Ove il presidente della
giunta regionale non provveda alla indicazione della terna entro trenta giorni
dalla richiesta allo scopo indirizzatagli dal Ministro delle infrastrutture e
dei trasporti, questi chiede al Presidente del Consiglio di sottoporre la
questione al Consiglio dei ministri, che provvede con deliberazione motivata».
Il motivo di ricorso,
che si sostanzia nel ribadire la competenza del Presidente della Regione
Friuli-Venezia Giulia per la nomina del Presidente dell’Autorità portuale di
Trieste, è infondato per le ragioni già esposte a giustificazione della
dichiarazione d’illegittimità costituzionale della legge regionale n. 17 del
2004.
per
questi motivi
LA
CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, commi 2 e 3, della legge della
Regione Friuli-Venezia Giulia 24 maggio 2004, n. 17 ( Riordino normativo
dell’anno 2004 per il settore degli affari istituzionali);
2) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, della legge 27 luglio
2004, n. 186 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28
maggio 2004, n. 136, recante disposizioni urgenti per garantire la funzionalità
di taluni settori della pubblica amministrazione. Disposizioni per la
rideterminazione delle deleghe legislative ed altre disposizioni connesse) e
dell’art. 6 del decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136;
3) dichiara
inammissibile l’intervento spiegato dall’Autorità portuale di Trieste nei
giudizi di cui ai ricorsi n. 78, n. 79 e n. 92 proposti, il primo dal Presidente
del Consiglio dei ministri e gli altri due dalla Regione Friuli-Venezia Giulia;
4) dichiara
cessata la materia del contendere relativamente ai ricorsi proposti dalla
Regione Campania (n. 71 del 2004), dalla
Regione Toscana (n. 73 del 2004) e dalla Regione Friuli-Venezia Giulia (n. 79
del 2004) avverso l’art. 6 del decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136
(Disposizioni urgenti per garantire la funzionalità di taluni settori della
pubblica amministrazione);
5) dichiara non
fondata la questione di legittimità costituzionale dell’ art. 6 del
decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136, come modificato dalla legge 27 luglio
2004, n. 186, sollevata, in riferimento agli articoli 117, comma terzo, e 118
della Costituzione, dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, con il ricorso n. 92
del 2004.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 settembre 2005.
F.to:
Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente
Romano VACCARELLA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 7 ottobre 2005.
Allegato:
Ordinanza letta all’udienza
del 7 giugno 2005
LA CORTE COSTITUZIONALE
ritenuto che,
secondo la sua costante giurisprudenza, è inammissibile l’intervento, nei giudizi
promossi in via principale nei confronti di leggi regionali o statali, di
soggetti diversi da quelli titolari delle competenze legislative oggetto di
contestazione, ancorché tali soggetti siano, o si assumano, destinatari attuali
o potenziali degli effetti prodotti dalle leggi impugnate e, pertanto, anche
dall’eventuale dichiarazione d’incostituzionalità di tali leggi (cfr., da
ultimo, sent. n.
150 del 2005);
P.Q.M.
dichiara inammissibili
gli interventi spiegati dall’Autorità portuale di Trieste nei giudizi
introdotti dai ricorsi nn. 78, 79 e 92 del 2004.
Firmato: Piero Alberto Capotosti,
Presidente