Sentenza n. 37 del 2005

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SENTENZA N. 37

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Valerio              ONIDA                                                      Presidente

- Carlo                 MEZZANOTTE                                           Giudice

- Guido                NEPPI MODONA                                            “

- Piero Alberto     CAPOTOSTI                                                     “

- Annibale            MARINI                                                            “

- Franco               BILE                                                                  “

- Giovanni Maria FLICK                                                               “

- Francesco          AMIRANTE                                                      “

- Ugo                   DE SIERVO                                                      “

- Romano             VACCARELLA                                               “

- Paolo                 MADDALENA                                                 “

- Alfio                  FINOCCHIARO                                               “

- Alfonso             QUARANTA                                                     “

- Franco               GALLO                                                              “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 35 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2003), promosso con ricorso della Regione Emilia-Romagna, notificato il 1° marzo 2003, depositato il 7 successivo ed iscritto al n. 25 del registro ricorsi 2003.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 16 novembre 2004 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;

uditi gli avvocati Franco Mastragostino e Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna, e l’avvocato dello Stato Giancarlo Mandò per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. ¾ Con ricorso notificato il 1° marzo 2003 e depositato il successivo 7 marzo, la Regione Emilia-Romagna ha proposto questione di legittimità costituzionale di numerose disposizioni della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2003), impugnando, in particolare, anche l’art. 35, rubricato “Misure di razionalizzazione in materia di organizzazione scolastica”.

La Regione, dopo aver sostenuto che la norma denunciata sarebbe illegittima «nel suo complesso», in quanto non si limiterebbe a dettare principî fondamentali nella materia dell’istruzione, attribuita alla competenza concorrente di Stato e Regioni (art. 117, terzo comma, Cost.), svolge più specifiche censure d’incostituzionalità avverso i commi 2 ed 1 del medesimo art. 35.

Quanto al comma 2, esso dispone che, «con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono fissati i criteri e i parametri per la definizione delle dotazioni organiche dei collaboratori scolastici in modo da conseguire nel triennio 2003-2005 una riduzione complessiva del 6 per cento della consistenza numerica della dotazione organica determinata per l’anno scolastico 2002-2003»; altresì precisando che «per ciascuno degli anni considerati, detta riduzione non deve essere inferiore al 2 per cento».

Ad avviso della ricorrente, la disposizione violerebbe gli artt. 117, terzo comma, 3 e 97 Cost., giacché verrebbe a determinare una riduzione dell’organico dei collaboratori scolastici «a prescindere da qualunque criterio di correlazione con la necessità della formazione scolastica, in relazione al numero degli studenti», che, secondo la ricorrente, sarebbe peraltro aumentato. In definitiva, la scelta operata dallo Stato con la disposizione denunciata sarebbe stata assunta “in astratto”, quale pura misura di risparmio, «senza un collegamento con le necessità razionalmente accertate», non potendo sostenersi, peraltro, che la “riduzione del personale” costituisca, in quanto tale, “un principio della legislazione scolastica”.

È poi censurato il comma 1, il quale stabilisce che, fermo restando quanto previsto dall’articolo 22 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, e segnatamente dal comma 4, «le cattedre costituite con orario inferiore all’orario obbligatorio d’insegnamento dei docenti, definito dal contratto collettivo nazionale di lavoro, sono ricondotte a 18 ore settimanali, anche mediante l’individuazione di moduli organizzativi diversi da quelli previsti dai decreti costitutivi delle cattedre, salvaguardando l’unitarietà d’insegnamento di ciascuna disciplina e con particolare attenzione alle aree delle zone montane e delle isole minori». La medesima disposizione precisa che, in sede di prima attuazione e fino all’entrata in vigore delle norme di riforma in materia di istruzione e formazione, essa «trova applicazione ove, nelle singole istituzioni scolastiche, non vengano a determinarsi situazioni di soprannumerarietà, escluse quelle derivanti dall’utilizzazione, per il completamento fino a 18 ore settimanali di insegnamento, di frazioni di orario già comprese in cattedre costituite fra più scuole».

Anche tale norma contrasterebbe – secondo la Regione ricorrente - con i parametri sopra indicati (artt. 117, terzo comma, 3 e 97 Cost.), soffrendo «della stessa complessiva irrazionalità» del comma 2, pure denunciato.

Inoltre, il comma 1 non lascerebbe «alcuno spazio alla potestà concorrente della Regione nel determinare il livello del servizio scolastico, né all’autonomia stessa delle istituzioni scolastiche».

2. ¾ Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata infondata.

Ad avviso della difesa erariale, le misure di razionalizzazione in materia di organizzazione scolastica, di cui all’impugnato art. 35 della legge n. 289 del 2002, non inciderebbero sulle competenze regionali, in quanto attinenti all’ordinamento e all’organizzazione amministrativa dello Stato.

In particolare, la prevista riduzione graduale delle dotazioni dei collaboratori scolastici non contrasterebbe con i principî di ragionevolezza e buona amministrazione, giacché si tratterebbe di misura di razionalizzazione dell’organizzazione, da attuare secondo criteri e parametri da fissare, che si inserisce ragionevolmente nel quadro «del necessario e coordinato contenimento della spesa pubblica».

3. ¾ In prossimità dell’udienza hanno depositato memorie illustrative entrambe le parti.

3.1. ¾ La Regione Emilia-Romagna, nell’insistere per l’incostituzionalità dell’art. 35 della legge n. 289 del 2002, rammenta che, come precisato dalla sentenza n. 13 del 2004 di questa Corte, il compito dello Stato nella materia dell’istruzione è soltanto quello di fissare i principî entro i quali può operare la legislazione regionale. Non vi sarebbe, dunque, spazio alcuno per un «potere ministeriale di fissare in via amministrativa i criteri e i parametri delle dotazioni organiche dei collaboratori scolastici». Del resto, la norma denunciata neppure prevede una qualche forma di collaborazione con le Regioni, negando in tal modo la «necessità di adeguare le dotazioni organiche agli obiettivi formativi e alle esigenze di servizio che sono nella cura delle Regioni stesse».

Ad avviso della ricorrente, la disposizione censurata, «se ambientata nella materia istruzione», sarebbe, pertanto, incompatibile con il nuovo art. 117, terzo comma, Cost.; né, comunque, potrebbe giustificarsi anche nel caso in cui la si volesse collocare «nell’ambito delle misure di razionalizzazione della spesa pubblica», non potendo lo Stato assumere tale profilo al fine di operare unilateralmente «ogni tipo di incursione […] in materia di competenza regionale».

La Regione osserva inoltre che, là dove lo Stato agisca nel perseguimento di un interesse unitario, utilizzando le cosiddette competenze trasversali, è necessario che il suo intervento «non sia unilaterale e compressivo degli interessi» regionali, pena l’irrimediabile lesione dei principî di leale collaborazione e di proporzionalità. E sarebbe «proprio questo il caso della norma impugnata», la quale prevede un taglio generalizzato delle dotazioni organiche, «senza alcuna flessibilità e aderenza rispetto alle situazioni concrete», in base unicamente ad esigenze astratte di riduzione della spesa e non considerando le «esigenze del servizio pubblico educativo». In tal senso, rileva la ricorrente, proprio nella Regione Emilia-Romagna si registrerebbe, nel periodo 2002-2004 (secondo i dati dell’Ufficio scolastico regionale), un aumento della popolazione scolastica e tale incremento riguarderebbe segnatamente le fasce «particolarmente bisognose di sostegno didattico» (portatori di handicap): ciò a fronte di una progressiva riduzione degli organici nello stesso periodo. Sarebbe, quindi, evidente «la scarsa razionalità di un sistema calibrato unicamente su esigenze di puro risparmio, in una materia comunque rimessa alla concorrente competenza legislativa regionale».

3.2. ¾ Il Presidente del Consiglio dei ministri deduce anzitutto l’inammissibilità della questione sollevata in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., in quanto parametri che non sarebbero evocabili dalla Regione nel giudizio in via principale, giacché la loro ipotizzata lesione non si tradurrebbe comunque in una compressione dell’autonomia regionale. Secondo l’Avvocatura dello Stato, la questione sarebbe inammissibile anche là dove viene ipotizzata la lesione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, non potendo la Regione dolersi di ciò. Inoltre, nella memoria si sostiene che l’impugnazione dell’art. 35 nel suo complesso è priva di puntuale motivazione e lo scrutinio della Corte dovrebbe quindi essere circoscritto soltanto alle censure specifiche dei commi 1 e 2 e non riguardare le «altre ed eterogenee disposizioni contenute nei successivi commi» del medesimo articolo.

Quanto alla denuncia del comma 1, ad avviso della difesa erariale la disposizione enuncerebbe un principio fondamentale della materia dell’istruzione, giacché riguarderebbe la «uniforme conformazione dell’orario di insegnamento di ogni cattedra, per tutte le scuole dell’intero territorio nazionale». Né potrebbe sostenersi che la norma incida sulla potestà legislativa concorrente delle Regioni «di determinare il livello del servizio scolastico», il quale sarebbe «del tutto indifferente» alla disposta riconduzione dell’orario di cattedra all’orario di lavoro degli insegnanti, quale previsione destinata ad operare nel rispetto dell’art. 22 della legge n. 448 del  2001.

In relazione al comma 2, l’Avvocatura premette che la programmata contrazione degli organici dei collaboratori scolastici non si tradurrebbe «nella diretta ed automatica riduzione del personale effettivamente ed attualmente addetto al servizio». Né, del resto, sarebbe contestabile che la legge statale, in coerenza ad esigenze di razionalizzazione di specifici settori «anche con riguardo al processo di trasferimento di funzioni e di risorse alle Regioni», nonché per esigenze di contenimento della spesa pubblica, possa prevedere una graduale riduzione delle dotazioni organiche di propri dipendenti, rientrando ciò nella competenza esclusiva in materia di ordinamento e di organizzazione amministrativa dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera g), Cost.). Sicché, non potrebbe neppure contestarsi la legittimità della disposizione denunciata là dove rimette ad un decreto interministeriale l’individuazione dei criteri generali per definire le dotazioni dei collaboratori scolastici, nel rispetto dei limiti quantitativi di legge, giacché essa non pregiudicherebbe la sfera di autonomia regionale, nel rispetto di quella delle istituzioni scolastiche, «nell’assumere, nell’ambito della programmazione delle rete scolastica e della gestione del servizio scolastico, i conseguenti interventi coerenti con le specifiche realtà locali».

Considerato in diritto

1. ¾ La Regione Emilia-Romagna ha proposto questione di legittimità costituzionale di numerose disposizioni della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2003).

Viene qui trattata, distintamente rispetto alle altre questioni prospettate con il medesimo ricorso e riservate a separate decisioni, l’impugnazione relativa all’art. 35, che reca disposizioni in materia di organizzazione scolastica.

2. ¾ La prima denuncia riguarda l’art. 35 “nel suo complesso”, in quanto non si limiterebbe a dettare principî fondamentali nella materia dell’istruzione, attribuita alla competenza concorrente di Stato e Regioni (art. 117, terzo comma, Cost.).

È poi censurato il comma 2 del medesimo art. 35, il quale prevede che «con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono fissati i criteri e i parametri per la definizione delle dotazioni organiche dei collaboratori scolastici in modo da conseguire nel triennio 2003-2005 una riduzione complessiva del 6 per cento della consistenza numerica della dotazione organica determinata per l’anno scolastico 2002-2003. Per ciascuno degli anni considerati, detta riduzione non deve essere inferiore al 2 per cento».

La norma contrasterebbe, ad avviso della Regione, con gli artt. 117, terzo comma, 3 e 97 Cost., giacché la riduzione dell’organico dei collaboratori scolastici avverrebbe «a prescindere da qualunque criterio di correlazione con la necessità della formazione scolastica, in relazione al numero degli studenti». Lungi dal potersi sostenere che la riduzione del personale costituisca, in quanto tale, “un principio della legislazione scolastica”, la disposizione denunciata porrebbe, quindi, soltanto un’astratta misura di risparmio, sganciata dalle “necessità razionalmente accertate”.

La ricorrente denuncia, infine, il comma 1 dell’art. 35, il quale stabilisce che, «fermo restando quanto previsto dall’articolo 22 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, ed in particolare dal comma 4, le cattedre costituite con orario inferiore all’orario obbligatorio d’insegnamento dei docenti, definito dal contratto collettivo nazionale di lavoro, sono ricondotte a 18 ore settimanali, anche mediante l’individuazione di moduli organizzativi diversi da quelli previsti dai decreti costitutivi delle cattedre, salvaguardando l’unitarietà d’insegnamento di ciascuna disciplina e con particolare attenzione alle aree delle zone montane e delle isole minori. In sede di prima attuazione e fino all’entrata in vigore delle norme di riforma in materia di istruzione e formazione, il disposto di cui al presente comma trova applicazione ove, nelle singole istituzioni scolastiche, non vengano a determinarsi situazioni di soprannumerarietà, escluse quelle derivanti dall’utilizzazione, per il completamento fino a 18 ore settimanali di insegnamento, di frazioni di orario già comprese in cattedre costituite fra più scuole».

La norma, ad avviso della Regione, sarebbe irrazionale al pari del censurato comma 1; peraltro, essa non lascerebbe «alcuno spazio alla potestà concorrente della Regione nel determinare il livello del servizio scolastico, né all’autonomia stessa delle istituzioni scolastiche». Anche tale disposizione violerebbe, dunque, gli artt. 117, terzo comma, 3 e 97 Cost.

3. ¾ Le questioni sono in parte inammissibili e in parte infondate.

La ricorrente denuncia, anzitutto, l’art. 35 della legge n. 289 del 2002 “nel suo complesso”.

L’articolo così impugnato si compone, invero, di ben 9 commi, che toccano ambiti diversi di disciplina. La regolamentazione varia dall’orario scolastico (comma 1) agli organici dei collaboratori scolastici e alle relative mansioni (commi 2 e 3); dai compiti di istituto del personale amministrativo tecnico e ausiliario (ATA) (comma 4) all’inidoneità al servizio dei docenti e dello stesso personale ATA (commi 5 e 6); ed ancora, dall’integrazione scolastica dei soggetti portatori di handicap (comma 7) all’incremento delle risorse per la valorizzazione del personale docente e, infine, all’affidamento in appalto dei servizi di pulizia da parte delle istituzioni scolastiche (commi da 7 a 9).

Si tratta, dunque, di norme eterogenee: alcune di esse direttamente concernono lo status del personale scolastico, altre l’organizzazione scolastica, altre ancora investono il profilo dell’autonomia delle istituzioni scolastiche.

Dinanzi a un siffatto quadro normativo, la ricorrente si limita a sostenere, senza null’altro aggiungere, che l’intero articolo non conterrebbe principî fondamentali della legislazione statale nella materia dell’istruzione. Ma una tale censura non raggiunge il livello di specificità che si richiede ai fini di uno scrutinio di merito, giacché nel ricorso sono del tutto omesse le ragioni per cui le disposizioni contenute nell’art. 35, singolarmente considerate, determinerebbero una lesione delle attribuzioni regionali.

Sicché, alla luce della giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, sentenza n. 303 del 2003), la questione così formulata deve essere dichiarata inammissibile.

4. ¾ La prima delle censure specifiche proposte dalla ricorrente investe, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, 3 e 97 Cost., il comma 2 dell’art. 35, il quale stabilisce che, con decreto ministeriale, vengano fissati i criteri e i parametri per la definizione delle dotazioni organiche dei collaboratori scolastici in modo da conseguire nel triennio 2003-2005 una riduzione complessiva del 6 per cento della consistenza numerica della dotazione organica determinata per l’anno scolastico 2002-2003.

Giova premettere che i collaboratori scolastici rientrano nell’ambito del personale cosiddetto ATA e cioè amministrativo, tecnico e ausiliario. Il ruolo di tale personale è stato unificato in base al d.P.R. 31 maggio 1974, n. 420. Si trattava, in buona parte, di dipendenti dello Stato, inseriti in ruoli provinciali gestiti dall’ufficio scolastico provinciale, ad eccezione di una quota soltanto di personale: quello di segreteria negli istituti magistrali e quello subalterno nelle scuole elementari, dipendente dai Comuni, nonché il personale di segreteria amministrativa e di servizio degli istituti tecnici e dei licei scientifici, dipendente dalle Province.

Tuttavia, in base all’art. 8 della legge 3 maggio 1999, n. 124, tutto il personale amministrativo, tecnico ed ausiliario in forza agli enti locali è stato trasferito alle dipendenze dello Stato e sono state abrogate le norme che prevedevano la fornitura di detto personale da parte dei Comuni e delle Province.

Attualmente, dunque, tutto il personale ATA è alle dipendenze dello Stato; lo sono, quindi, anche i collaboratori scolastici, inquadrati, secondo il CCNL 2002/2005, come personale ausiliario nel profilo di area A, che svolge mansioni esecutive.

È evidente, pertanto, che la disposizione censurata detta una norma di contenimento della spesa pubblica attraverso la contrazione graduale degli organici di personale che è alle dipendenze dello Stato, sicché un tale intervento deve essere ascritto alla materia dell’ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato, di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost.

È infondata, pertanto, la censura che evoca il contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost.

Una volta esclusa la violazione della competenza legislativa della Regione, ne consegue, altresì, l’inammissibilità, per difetto di interesse all’impugnativa, dei motivi di censura che fanno leva sui parametri degli artt. 3 e 97 Cost. (da ultimo, sentenze n. 287 e n. 4 del 2004).

5. ¾ Il comma 1 dell’art. 35, anch’esso denunciato per contrasto con gli artt. 117, terzo comma, 3 e 97 Cost., disciplina le modalità di riconduzione dell’orario di insegnamento a quello obbligatorio di servizio dei docenti. La Regione si duole che la disposizione, al pari del già esaminato comma 2, sia irrazionale in quanto volta a contenere la spesa pubblica senza badare alle esigenze del servizio scolastico; essa, peraltro, non lascerebbe alcuno spazio alla potestà legislativa concorrente delle Regioni e all’autonomia delle istituzioni scolastiche.

La norma denunciata si limita, invero, a ricondurre l’orario di insegnamento a quello obbligatorio di servizio dei docenti e ciò per tutte le scuole del territorio nazionale, enunciando così un principio al quale devono attenersi le istituzioni scolastiche, ancorché dotate di autonomia. Non si determina, pertanto, alcuna lesione delle attribuzioni legislative regionali, né dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, la quale, come già affermato da questa Corte (sentenza n. 13 del 2004), pur prescindendo dalla questione se le Regioni ne possano far valere la violazione, non può in ogni caso risolversi nella incondizionata libertà di autodeterminazione, ma esige soltanto che a tali istituzioni siano lasciati adeguati spazi che le leggi statali e quelle regionali, nell’esercizio della potestà legislativa concorrente, non possono pregiudicare. E che tali spazi, oltre a quelli che spettano alla competenza legislativa concorrente delle Regioni, non siano illegittimamente occupati dalla disposizione denunciata è altresì provato dal fatto che, contrariamente a quanto asserito dalla ricorrente, essa non spiega effetto sulla determinazione del livello del servizio scolastico.

Infondata è dunque la censura che evoca il contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., mentre inammissibili sono quelle che fanno riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., giacché la disposizione non incide sulle competenze attribuite dalla Costituzione alle Regioni stesse.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservate a separate decisioni le restanti questioni di legittimità costituzionale della legge 27 dicembre 2002, n. 289, sollevate dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe;

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 35, commi da 3 a 9, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2003), sollevata, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna, con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dei commi 1 e 2 del medesimo art. 35 della legge n. 289 del 2002, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna, con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dei commi 1 e 2 dello stesso art. 35 della legge n. 289 del 2002, sollevate, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 2005.

Valerio ONIDA, Presidente

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2005.