SENTENZA
N. 126
ANNO
2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME
DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI
Presidente
- Aldo CAROSI
Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano
AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto
Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel
giudizio di legittimità costituzionale dell’art.
33, commi 3, 9, 10, 12 e 13, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133
(Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche,
la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del
dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito,
con modificazioni, nella legge 11 novembre 2014, n. 164, promosso dal
Consiglio di Stato, nel procedimento vertente tra il Comune di Napoli e la
Presidenza del Consiglio dei ministri e altri, con sentenza
non definitiva del 23 maggio 2017, iscritta al n. 121 del registro ordinanze
2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima
serie speciale, dell’anno 2017.
Visti gli atti di
costituzione di Fallimento Bagnolifutura spa, di Invitalia - Agenzia nazionale per l’attrazione degli
investimenti e lo sviluppo d’impresa spa, nonché l’atto d’intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza
pubblica del 22 maggio 2018 il Giudice relatore Giuliano Amato;
uditi l’avvocato Fabio Cintioli per Invitalia - Agenzia
nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa spa e
l’avvocato dello Stato Fabrizio Fedeli per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ritenuto
in fatto
1.– Il Consiglio di Stato, con sentenza non
definitiva del 23 maggio 2017 (reg. ord. n. 121 del 2017), ha sollevato due
distinte questioni di legittimità costituzionale relative all’art. 33 del
decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei
cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese,
la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la
ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, nella legge
11 novembre 2014, n. 164.
1.1.– In primo luogo, è censurato – in
riferimento agli artt.
117, secondo comma, lettera m), e terzo comma, nonché 118, primo comma,
della Costituzione – l’art. 33, commi 3, 9, 10 e 13, nella parte in cui non è
previsto che l’approvazione del programma di rigenerazione urbana, quanto al
comprensorio Bagnoli-Coroglio, sia preceduta
dall’intesa tra lo Stato e la Regione Campania e da una specifica
valorizzazione del ruolo del Comune.
In secondo luogo, il giudice rimettente censura
– in riferimento agli artt.
42, 101 e 117, primo comma,
Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU),
firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4
agosto 1955, n. 848, e all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU,
firmato a Parigi il 20 marzo 1952 – l’art. 33, comma 12, nel «testo vigente».
In particolare, viene censurato l’inciso relativo all’importo da riconoscere al
Fallimento Bagnolifutura spa, importo che «è versato
alla curatela fallimentare mediante strumenti finanziari, di durata non
superiore a quindici anni decorrenti dalla data di entrata in vigore della presente
disposizione, emessi su mercati regolamentati dal Soggetto Attuatore, anche al
fine di soddisfare ulteriori fabbisogni per interventi necessari all’attuazione
del programma di cui al comma 8».
2.– Riferisce il giudice rimettente che il
giudizio a quo trae origine dall’appello promosso nei confronti di due sentenze
del Tribunale amministrativo regionale per la Campania: la sentenza della
seconda sezione - Napoli, 22 marzo 2016, n. 1471 e la sentenza della prima
sezione - Napoli, 20 luglio 2016, n. 3754.
2.1.– La prima pronuncia ha respinto il ricorso
del Comune di Napoli per l’annullamento dei decreti del Presidente del
Consiglio dei ministri 3 settembre 2015 e 15 ottobre 2015, intervenuti in
attuazione dell’art. 33 del d.l. n. 133 del 2014,
come convertito, nel testo introdotto dall’art. 11, comma 16-quater, del
decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti
territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di
sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del
Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni
industriali), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 125.
Il TAR Campania ha rilevato che le citate
disposizioni legislative hanno disciplinato la bonifica ambientale e la
rigenerazione urbana delle aree di rilevante interesse nazionale, con
particolare riferimento al comprensorio di Bagnoli-Coroglio,
prevedendo uno specifico programma alla cui formazione, approvazione e
attuazione sono preposti un Commissario straordinario del Governo e un
«Soggetto attuatore». Successivamente, i decreti impugnati hanno provveduto
all’adozione di numerosi adempimenti previsti dal citato art. 33, con la
costituzione di una «cabina di regia» e la nomina del Commissario straordinario
e del Soggetto attuatore. Riguardo a quest’ultimo – già individuato per legge
in Invitalia - Agenzia nazionale per l’attrazione
degli investimenti e lo sviluppo d’impresa spa (da ora: Invitalia
spa) – ne sono stati definiti i compiti, i primi interventi con i relativi
finanziamenti e i rapporti con il Commissario straordinario, con il
trasferimento alla stessa Agenzia della proprietà delle aree e degli immobili
interessati dagli interventi, precedentemente in proprietà di Bagnolifutura spa, in fallimento. Ai sensi dell’originaria
formulazione dell’art. 33, comma 12, inoltre, è stata stabilita la costituzione
di una società per azioni allo scopo della salvaguardia e riqualificazione
delle aree e degli immobili limitrofi al comprensorio di Bagnoli-Coroglio, riconoscendo alla procedura fallimentare di Bagnolifutura spa un indennizzo determinato sulla base del
valore di mercato delle aree e degli immobili trasferiti, da versare mediante
azioni o altri strumenti finanziari emessi dalla stessa società. Il successivo
art. 11-bis del decreto-legge 30 dicembre 2015, n. 210 (Proroga di termini
previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, nella
legge 25 febbraio 2016, n. 21, nondimeno, ha eliminato la società di scopo e
ridefinito il meccanismo d’indennizzo della curatela fallimentare. Tale
indennizzo, infatti, veniva riconosciuto per un importo corrispondente al
valore di mercato delle aree e degli immobili trasferiti, come rilevato
dall’Agenzia del demanio alla data del trasferimento della proprietà, da
versare alla curatela fallimentare mediante strumenti finanziari di durata non
superiore a quindici anni.
Il TAR Campania ha altresì respinto le questioni
di legittimità costituzionale sollevate dalla parte ricorrente, sia in virtù
della riscrittura del comma 12 da parte del d.l. n.
210 del 2015, come convertito, sia perché il Comune di Napoli non sarebbe stato
legittimato a lamentare la violazione di prerogative regionali.
Con la seconda pronuncia, invece, è stato
respinto il ricorso proposto dal Fallimento Bagnolifutura
spa per l’annullamento del d.P.C.m. 15 ottobre 2015.
In particolare, riguardo alle questioni di legittimità costituzionale sollevate
dalla ricorrente in relazione all’indennizzo, il TAR Campania ha ritenuto che
la novella di cui all’art. 11-bis del d.l. n. 210 del
2015, come convertito, faceva sì che i futuri sub-procedimenti, ancora non
avviati, avrebbero dovuto necessariamente conformarsi al nuovo contesto
giuridico, venendo così meno l’attualità dell’interesse a ricorrere.
2.2.– Ciò premesso, secondo il giudice
rimettente, l’art. 33, commi 3, 9, 10 e 13, del d.l.
n. 133 del 2014, come convertito, sarebbe lesivo dell’art. 117, secondo comma,
lettera m), e terzo comma, nonché dell’art. 118, primo comma, Cost.
2.2.1.– La questione dovrebbe ritenersi
senz’altro rilevante, poiché nei confronti degli atti amministrativi impugnati
sono state sollevate in assoluta prevalenza doglianze di illegittimità derivata
dall’asserita incostituzionalità della legislazione presupposta. L’accoglimento
della questione, quindi, produrrebbe l’illegittimità degli atti impugnati.
Riguardo alla violazione delle competenze
regionali, dovrebbero estendersi al caso di specie le conclusioni raggiunte
dalla giurisprudenza costituzionale in materia di conflitti di attribuzione. In
particolare, questa Corte ha affermato che «la figura dei conflitti di
attribuzione non si restringe alla sola ipotesi di contestazione circa
l’appartenenza del medesimo potere, che ciascuno dei soggetti contendenti
rivendichi per sé, ma si estende a comprendere ogni ipotesi in cui
dall’illegittimo esercizio di un potere altrui consegua la menomazione di una
sfera di attribuzioni costituzionalmente assegnate all’atro soggetto (sentenza n. 110 del
1970; si vedano anche le sentenze n. 99 del 1991
e n. 285 del
1990)» (sentenza
n. 195 del 2007). Dunque, sebbene la Regione Campania abbia chiesto il
rigetto delle impugnazioni promosse dal Comune di Napoli, quest’ultimo non incontrerebbe
alcun limite nel sollevare la detta questione in un giudizio pendente, la
quale, in ogni caso, potrebbe comunque essere sollevata d’ufficio dal giudice.
2.2.2.– Nel merito, le disposizioni censurate
sarebbero lesive degli indicati parametri costituzionali, in virtù della
mancata previsione dell’intesa tra Stato e Regione, nonché dell’assenza di un
più adeguato coinvolgimento procedimentale del Comune nell’approvazione del
programma di rigenerazione urbana.
Secondo la ormai costante giurisprudenza
costituzionale, l’urbanistica e l’edilizia devono essere ricondotte alla
materia del «governo del territorio», di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.,
di competenza concorrente (vengono richiamate l’ordinanza n. 314
del 2012; le sentenze n. 309 del 2011,
n. 362 e n. 303 del 2003).
In tale ambito, con specifico riferimento ai poteri urbanistici dei Comuni, la
legge potrebbe sì modificarne le caratteristiche o l’estensione, ovvero
subordinarli a preminenti interessi pubblici, a condizione però di non
annullarli o comprimerli radicalmente e di garantire adeguate forme di
partecipazione dei Comuni interessati ai procedimenti che ne condizionano
l’autonomia (fra le molte, sono richiamate le sentenze n. 46 del 2014,
n. 478 del 2002,
n. 378 del 2000,
n. 357 del 1998,
n. 286 e n. 83 del 1997
e n. 61 del 1994).
Nondimeno, il rispetto delle autonomie comunali dovrebbe armonizzarsi con la
verifica e la protezione di «concorrenti interessi generali, collegati ad una
valutazione più ampia delle esigenze diffuse nel territorio» (sentenza n. 378 del
2000). Il che giustificherebbe l’eventuale emanazione di disposizioni
legislative che incidano su funzioni già assegnate agli enti locali (è
richiamata in particolare la sentenza n. 286 del
1997).
Ciò premesso, questa Corte avrebbe individuato
nell’art. 118, primo comma, Cost. un peculiare elemento di flessibilità,
diretto a superare la corrispondenza tra titolarità delle funzioni legislative
e delle funzioni amministrative (sono richiamate le sentenze n. 232 del
2011, n. 278
del 2010, n.
6 del 2004 e n.
303 del 2003). La questione, dunque, sarebbe incentrata intorno ai concetti
di necessità e adeguatezza dell’intervento statale (è richiamata la sentenza n. 189 del
2015). Il meccanismo della chiamata in sussidiarietà, infatti, richiederebbe,
da un lato, che la valutazione dell’interesse unitario alla base
dell’allocazione in capo allo Stato delle funzioni amministrative sia
proporzionata e ragionevole; dall’altro lato, che siano previste adeguate forme
di coinvolgimento delle Regioni interessate nello svolgimento delle funzioni
allocate in capo agli organi centrali, in modo da contemperare le ragioni
dell’esercizio unitario di date competenze e la garanzia delle funzioni
costituzionalmente attribuite alle Regioni stesse. La legislazione statale,
quindi, «può aspirare a superare il vaglio di legittimità costituzionale solo
in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto
risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le
intese, che devono essere condotte in base al principio di lealtà» (sentenza n. 261 del
2015).
Nella fattispecie in esame, in via teorica,
ricorrerebbero i presupposti per l’accentramento in capo allo Stato. Senonché,
tali presupposti non avrebbero trovato piena e corretta attuazione, attraverso
il coinvolgimento della Regione e la valorizzazione del ruolo del Comune.
Mancherebbe, in particolare, la necessaria intesa tra lo Stato e la Regione Campania,
e il Comune di Napoli verrebbe nei fatti parificato agli altri enti che
intervengono a vario titolo nel procedimento.
Dovrebbe tenersi presente, altresì, che nei casi
d’intreccio di competenze s’imporrebbe comunque la previsione di procedure concertative
e di coordinamento orizzontale, la cui omissione violerebbe il principio di
leale collaborazione, da realizzarsi attraverso lo strumento dell’intesa (sono
richiamate le sentenze n. 21 e n. 1 del 2016, n. 261 del 2015,
n. 44 del 2014,
n. 334 del 2010,
n. 237 del 2009,
n. 168 e n. 50 del 2008
e n. 50 del 2005).
Nel caso di specie vi sarebbe appunto un
intreccio tra la materia ambientale, di competenza esclusiva dello Stato, a cui
dovrebbe essere ricondotta la materia dei rifiuti (ex multis,
vengono richiamate le sentenze n. 285 del 2013,
n. 54 del 2012,
n. 244 e n. 33 del 2011,
n. 331 e n. 278 del 2010,
n. 61 e n. 10 del 2009)
e quella del «governo del territorio». Tuttavia, la disciplina prevista
dall’art. 33 del d.lgs. n. 133 del 2014 non garantirebbe l’adeguato
coinvolgimento regionale richiesto dall’indicata giurisprudenza costituzionale.
2.3.– Altresì illegittimo sarebbe l’art. 33,
comma 12, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito,
perché lesivo degli artt. 42, 101 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in
relazione all’art. 6 CEDU e all’art. 1 Protocollo addizionale alla CEDU.
2.3.1.– In particolare, il testo normativo non
darebbe certezza del ristoro, che sarebbe destinato ad essere erogato mediante
non meglio precisati «strumenti finanziari», per loro natura aleatori.
L’indefettibile requisito della «serietà e
certezza» dell’indennizzo, infatti, non concernerebbe soltanto la formale
previsione legislativa ed il parametro di quantificazione, ma l’effettività di
quest’ultima. Sotto il primo profilo, la disposizione sarebbe immune da
censure, prevedendo anzi un indennizzo corrispondente al valore di mercato,
addirittura più favorevole rispetto alle indicazioni fornite dalla
giurisprudenza costituzionale, secondo cui il valore di mercato è un dato
tendenziale (tra le tante, è richiamata la sentenza n. 181 del
2011). Tuttavia, riguardo al secondo aspetto, il soggetto espropriato si
troverebbe nella delicata condizione di potere ricevere quale controvalore
dell’area sottrattagli strumenti finanziari di natura aleatoria, che rischierebbero
di subire oscillazioni tali da ridurne il valore reale.
Tali strumenti non potrebbero essere utilizzati,
almeno senza il consenso del destinatario, quale mezzo di pagamento.
Ciò si ricaverebbe dal diritto dei contratti e
soprattutto dal comma 4 dell’art. l del decreto legislativo 24 febbraio 1998,
n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione
finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n.
52), secondo cui i mezzi di pagamento non sono strumenti finanziari. Non a
caso, la giurisprudenza civile avrebbe affermato più volte che può essere
qualificata moneta soltanto il mezzo di pagamento, universalmente accettato,
espressione delle potestà pubblicistiche di emissione e di gestione del valore
economico, in conformità agli obiettivi stabiliti dall’ordinamento nazionale e
sovranazionale (in particolare viene richiamata Cassazione civile, sezione
seconda, sentenza 2 dicembre 2011, n. 25837; in argomento sono citate anche
Cassazione civile, sezione terza, sentenza 12 gennaio 2012, n. 312, e
Cassazione civile, sezioni unite, sentenza 18 dicembre 2007, n. 26617).
D’altronde, non si sarebbe mai dubitato che
l’indennizzo debba essere erogato in denaro, o comunque con altro mezzo di
pagamento. Né potrebbe diversamente argomentarsi sulla base di quella
giurisprudenza amministrativa che ha riconosciuto la praticabilità nel sistema
di prescrizioni di legge recanti forme di acquisizione di aree alternative alla
espropriazione, in quanto sarebbe evidente che la disposizione censurata si
ponga al di fuori di detto schema, poiché inserita in un vero e proprio
procedimento espropriativo, seppure speciale e semplificato.
Ad avviso del giudice rimettente non vi sarebbe
la possibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata, poiché
qualsivoglia approccio esegetico sarebbe inibito dal carattere perentorio della
disposizione, nonché dalla mancanza nell’ordinamento di norme e principi in
grado di consentire di colmare le lacune o emendare le norme con l’ausilio
dell’analogia, specie in virtù dell’estesa definizione di strumento finanziario
data dall’art. l del d.lgs. n. 58 del 1998.
3.– Con atto depositato il 10 ottobre 2017 è
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano
dichiarate inammissibili e comunque infondate.
3.1.– Ai fini di una compiuta disamina delle
questioni di legittimità costituzionale, la difesa dell’interveniente premette
un’ampia ricostruzione dei fatti, tesa ad illustrare il contesto nel quale
s’inserisce l’intervento del legislatore.
Il comprensorio di Bagnoli-Coroglio,
infatti, sarebbe caratterizzato da condizioni di rilevante inquinamento
ambientale, protratto da oltre venti anni e aggravatosi anche a causa delle
condizioni di abbandono.
Già dal 2007 lo Stato e la Regione Campania
avrebbero provveduto a stanziare risorse per gli interventi, nel 2010
attribuite al Comune di Napoli. A seguito del sequestro preventivo delle aree
ex Italsider ed ex Ilva, disposto dal Tribunale di
Napoli in data 8 aprile 2013, veniva nominata custode giudiziario la società Bagnolifutura spa, poi fallita. In data 14 agosto 2014 era
disposto il dissequestro dell’area e si provvedeva alla stipula di un
protocollo d’intesa per il risanamento e la bonifica del sito di Bagnoli-Coroglio. Interveniva, quindi, il d.l.
n. 133 del 2014, come convertito, con la previsione di specifiche disposizioni
per il comprensorio Bagnoli-Coroglio, quali, in
particolare, la nomina di un Commissario straordinario e di un Soggetto
attuatore, preposti alla realizzazione di un programma di risanamento.
Successivamente al ripristino del sequestro
preventivo delle aree sopra ricordate, il Tribunale di Napoli nominava quale
custode giudiziario il direttore generale della direzione generale per la
tutela del territorio e delle risorse idriche (ora direzione generale per la
salvaguardia del territorio e delle acque) del Ministero dell’ambiente e della
tutela del territorio e del mare, che stipulava il 16 aprile 2015 con il Comune
di Napoli un accordo di programma, riguardo al quale però il Comune non
provvedeva a sottoscrivere le relative convenzioni attuative.
In tale contesto entrava in vigore il d.l. n. 78 del 2015, come convertito, di modifica dell’art.
33 del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, che
delimitava l’ambito di intervento commissariale solo ed esclusivamente alle
aree ricomprese nel sito di interesse nazionale già perimetrato e individuava
direttamente in una società in house dell’amministrazione centrale il Soggetto
attuatore degli interventi. Al contempo, fermo restando che l’adozione del
programma di risanamento ambientale e rigenerazione urbana era comunque
subordinato all’espletamento di una Conferenza di servizi, il Governo definiva
un procedimento decisorio incentrato sulla costituzione di un’apposita cabina
di regia, partecipata, tra gli altri, dalla Regione Campania e dal Comune di
Napoli. Intervenivano così i vari provvedimenti attuativi (quali la nomina del
Commissario straordinario e del Soggetto attuatore), dando impulso al
Commissario per l’adozione di tutti gli atti necessari, ivi compresa la
sottoscrizione delle predette convenzioni attuative direttamente da parte del
Soggetto attuatore. Il 4 dicembre 2015, nondimeno, il Sindaco di Napoli
comunicava di aver sottoscritto le convenzioni originarie e, dunque, veniva
dato immediato avvio, da parte del Soggetto attuatore, agli interventi
necessari.
In data 14 aprile 2016 la Conferenza di servizi
esprimeva parere favorevole all’approvazione dell’intervento avente a oggetto
l’esecuzione e la realizzazione del piano di caratterizzazione delle aree già
di proprietà di Bagnolifutura spa, ivi comprese
quelle sotto sequestro giudiziario. Con i decreti commissariali del 10 e del 16
giugno 2016 erano adottati i contenuti stralcio del programma di risanamento
ambientale e rigenerazione urbana e approvati i tre progetti propedeutici e
strumentali relativi all’attuazione del piano. Si dava così avvio alle
procedure per l’affidamento delle attività, fortemente condizionate dalle
decisioni del Tribunale di Napoli in merito all’autorizzazione all’accesso alle
aree sottoposte a sequestro. Le attività di caratterizzazione, tuttavia,
venivano effettuate, essendo già stata individuata e contrattualizzata
l’impresa che materialmente avrebbe eseguito le stesse. Sulla base degli esiti
delle analisi di caratterizzazione potevano, quindi, essere definite le
operazioni di bonifica necessarie.
Infine, mediante l’Accordo interistituzionale
sottoscritto in data 19 luglio 2017, il Governo, la Regione Campania ed il
Comune di Napoli concordavano gli indirizzi e i contenuti, ai fini
dell’aggiornamento del programma, da adottare secondo le modalità previste
dall’art. 33 del d.l. n. 133 del 2014, come convertito.
Le parti s’impegnavano, ciascuna per le proprie competenze, all’individuazione
ed alla destinazione delle necessarie risorse finanziarie, anche con il
coinvolgimento di soggetti istituzionali diversi, nonché ad istituire un tavolo
per definire le priorità e l’individuazione delle relative risorse per
l’attuazione degli interventi in ambito di infrastrutture trasportistiche,
unitamente ad un tavolo tecnico per la definizione dei tempi e delle modalità
tecniche ed economiche.
3.2.– Riguardo alla questione relativa all’art.
33, commi 3, 9, 10 e 13, del d.l. n. 133 del 2014,
come convertito, secondo l’Avvocatura generale dello Stato la stessa dovrebbe
ritenersi inammissibile e comunque infondata.
3.2.1.– In via preliminare, contrariamente a
quanto sostenuto dal Consiglio di Stato, sarebbe evidente la carenza di
legittimazione del Comune di Napoli a dedurre la violazione delle competenze
regionali, con conseguente difetto di rilevanza della questione ai fini
dell’incidente di costituzionalità. Riconoscere al Comune il potere di dolersi
di una violazione delle competenze regionali significherebbe ledere la sfera di
autonomia della Regione, che non riterrebbe affatto violate le sue prerogative.
Il richiamo ai limiti ampi del giudizio in
materia di conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato non sarebbe
pertinente, in quanto non si potrebbe prescindere dalla titolarità della
competenza del potere e dalla necessaria verifica della legittimazione
processuale del Comune a dedurre vizi concernenti una presunta lesione delle
competenze regionali.
La possibilità per il giudice di sollevare la
questione anche d’ufficio, infine, non aggiungerebbe nulla, poiché la questione
non sarebbe stata in concreto sollevata d’ufficio e, comunque, anche in questa
ipotesi, il giudice a quo non avrebbe potuto sottrarsi alla previa verifica
della legittimazione processuale del Comune di Napoli, con i medesimi esiti
negativi.
3.2.2.– Nel merito, la disciplina censurata
atterrebbe alla «tutela dell’ambiente», di potestà legislativa esclusiva dello
Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Risulterebbe evidente che, per le aree di
rilevante interesse nazionale e, in particolare, per il comprensorio di
Bagnoli-Coroglio, il livello adeguato al quale
allocare le relative competenze amministrative sarebbe quello statale. Ciò si
evincerebbe anche dal riferimento ai principi di sussidiarietà e adeguatezza
contenuto all’art. 33, comma 2, del d.l. n. 133 del
2014, come convertito, – sia per l’impegno programmatorio, sia per l’impegno
finanziario e tecnico-operativo – nel conseguimento degli obiettivi di bonifica
e di quelli di rigenerazione urbana, anche in ragione della complessità e della
dimensione degli interventi da realizzare, nonché della necessità di recuperare
il tempo perso e di superare la frammentazione delle competenze.
Al contempo, gli obiettivi essenziali e
prioritari, quali quelli del risanamento ambientale e della rigenerazione
urbana, già alla stregua della disciplina vigente in tema di bonifica dei siti
contaminati (artt. da 239 a 253 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152,
recante «Norme in materia ambientale»), risulterebbero tra loro strettamente
connessi. Infatti, i contenuti ed i tempi della bonifica discenderebbero dalle
utilizzazioni previste per le aree dopo l’intervento, cosicché non sarebbe
possibile bonificare senza predeterminare la destinazione urbanistica delle
singole aree, poiché proprio in funzione della destinazione urbanistica di
queste dovrebbero essere definite le condizioni, le modalità ed i parametri di
riferimento della bonifica da effettuare. Come previsto dagli artt. 252 e
252-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, infatti, nei casi in cui il responsabile
dell’inquinamento non sia individuabile o non provveda, e non provveda neanche
il proprietario o altro soggetto interessato, la bonifica è di competenza
dell’amministrazione statale. Ed in base a tale disciplina, l’autorizzazione
del progetto e dei relativi interventi costituisce variante urbanistica e
comporta dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei
lavori (art. 252, comma 6).
Quindi, l’attrazione delle funzioni urbanistiche
nell’ambito del programma complessivo, nella misura in cui una variante della
pianificazione preesistente dovesse risultare necessaria al perseguimento degli
scopi della bonifica, costituirebbe momento qualificante già della disciplina
legislativa ordinaria vigente. In ogni caso, la programmazione e, quindi,
l’attuazione di un qualsiasi piano di risanamento ambientale delle aree interessate
da condizioni di degrado non potrebbe prescindere dalla preventiva
identificazione del programma di rigenerazione urbana da realizzare sulle aree
medesime e, pertanto, della relativa destinazione urbanistica, essenziale per
la stessa definizione di condizioni, modalità e parametri di riferimento della
bonifica da effettuare.
Lo stesso giudice a quo, d’altronde, avrebbe
riconosciuto l’improcrastinabilità degli interventi nel comprensorio di
Bagnoli-Coroglio e della legittimità dell’intervento statale.
Pertanto, sarebbe evidente che il presupposto idoneo a giustificare la
compressione delle competenze ordinarie della Regione non potrebbe consistere
nell’intesa "forte”, in quanto ciò rischierebbe di creare una situazione di
stallo tale da vanificare la ratio della norma e comportare la sostanziale
rinuncia a conseguire gli obiettivi di pubblico interesse di riqualificazione
dell’area.
3.2.3.– Il censurato art. 33, nondimeno,
assicurerebbe comunque alla Regione Campania e al Comune di Napoli una partecipazione
procedimentale rafforzata, equivalente a quella che, in applicazione dell’art.
14-quater della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di
procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti
amministrativi), avrebbe l’autorità preposta alla tutela di interessi pubblici
sensibili o costituzionalmente prioritari (salute, ambiente, beni paesaggistici
e culturali), nella dialettica con le altre amministrazioni pubbliche.
La Regione, infatti, partecipa alla cabina di
regia – alla quale è demandata la definizione degli indirizzi strategici per
l’elaborazione del programma di risanamento ambientale e rigenerazione urbana –
nonché alla Conferenza di servizi, che si esprime sulla proposta di programma
predisposta da Invitalia spa e condivisa dal
Commissario del Governo. Inoltre, il Presidente della Regione prende parte alla
seduta del Consiglio dei ministri in cui, in caso di mancato accordo in
conferenza, il programma è oggetto di approvazione. In tal modo, un’eventuale
decisione non condivisa dalla Regione potrebbe essere adottata solo attraverso
un’articolata istruttoria ed in tempi sufficienti ad assicurare una valutazione
approfondita.
Ancor più evidente sarebbe la mancanza di una
compressione delle competenze del Comune, che partecipa anch’esso alla cabina
di regia ed è obbligatoriamente consultato dal Soggetto attuatore
nell’elaborazione del progetto di programma. Inoltre, il Comune può chiedere,
nell’ambito della Conferenza di servizi, la rivalutazione delle proposte non accolte,
ferma la necessità, in caso di non recepimento delle stesse, dell’approvazione
del Consiglio dei ministri. Tra l’altro, la prima versione del programma
adottata con i decreti commissariali del 10 e 16 giugno 2016 sarebbe stata
condivisa, oltre che dalla Regione Campania, anche dal Comune di Napoli, che
avrebbe sempre preso parte alle riunioni della cabina di regia e della
Conferenza di servizi.
Dunque, non si sarebbe verificato (né sarebbe
configurabile) alcun vulnus delle potestà regionali e comunali. Nel caso di
specie, infatti, come riconosciuto dallo stesso giudice rimettente, sarebbe
ravvisabile quell’esigenza di esercizio unitario a livello statale di
determinate funzioni amministrative che giustifica, secondo lo schema della
chiamata in sussidiarietà, la deroga all’ordinario criterio di riparto (sono
richiamate le sentenze
n. 261 del 2015, n. 179 e n. 163 del 2012
e n. 303 del
2003). Risulterebbero previsti, inoltre, una pluralità di momenti e
strumenti di raccordo e concertazione, atti a consentire un adeguato
coinvolgimento della Regione e del Comune interessati (sono richiamate, proprio
per i poteri comunali in materia urbanistica, le sentenze n. 478 del
2002, n. 378
del 2000 e n.
286 del 1997), sicché non si potrebbe dubitare che le disposizioni
censurate rispettino pienamente l’assetto costituzionale delle competenze ed il
principio di leale collaborazione.
Dovrebbe tenersi presente, da ultimo, che
mediante l’Accordo interistituzionale del 19 luglio
2017, il Governo, la Regione Campania, il Comune di Napoli e le istituzioni
interessate all’intervento nel comprensorio di BagnoliCoroglio
avrebbero condiviso, in forma vincolante, non soltanto i contenuti
dell’aggiornamento del primo stralcio del programma, ma anche le modalità di
ulteriori integrazioni o modifiche.
3.3.– Venendo alle questioni relative all’art.
33, comma 12, del d.l. n. 133 del 2014, come
convertito, l’Avvocatura generale dello Stato asserisce che le stesse sarebbero
da considerarsi inammissibili per sopravvenuto difetto di rilevanza.
L’art. 13-bis del decreto-legge 20 giugno 2017,
n. 91 (Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno),
convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2017, n. 123, infatti, ha
modificato la disposizione censurata. In particolare, è ora previsto che l’importo
dovuto alla curatela fallimentare è versato dal Soggetto attuatore «entro
dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione,
facendo comunque salvi gli effetti di eventuali opposizioni del Commissario
straordinario del Governo, del Soggetto Attuatore, della curatela fallimentare
o di terzi interessati, da proporre, nelle forme e con le modalità di cui
all’articolo 54 del testo unico di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, entro centoventi giorni dalla data di
pubblicazione della legge di conversione del decreto-legge 20 giugno 2017, n.
91, ovvero, se successiva, dalla data della conoscenza della predetta
rilevazione; per l’acquisizione della provvista finanziaria necessaria al
suddetto versamento e anche al fine di soddisfare ulteriori fabbisogni per
interventi necessari all’attuazione del programma di cui al comma 8, il
Soggetto Attuatore è autorizzato a emettere su mercati regolamentati strumenti
finanziari di durata non superiore a quindici anni».
L’importo da versare entro un anno alla curatela
fallimentare dovrebbe ritenersi certamente una somma di denaro, superandosi
così tutte le censure sollevate in questa sede. Dunque, poiché come emergerebbe
dalla stessa ordinanza di rimessione la disposizione censurata non avrebbe
avuto ancora attuazione, andrebbe ordinata la restituzione degli atti al
giudice a quo per un rinnovato esame dei termini della questione (sono
richiamate a tal proposito le ordinanze n. 200
del 2017 e n.
378 del 2008).
4.– Con memoria depositata il 6 luglio 2017
(procura speciale depositata in data 11 luglio 2017), si è costituita la
curatela del Fallimento Bagnolifutura spa, parte
appellante nel giudizio a quo, la quale ha chiesto che venga dichiarata
l’illegittimità costituzionale dell’art. 33, comma 12, del d.l.
n. 133 del 2014, come convertito, in quanto individuerebbe una forma d’indennizzo
priva dei requisiti di certezza e serietà del ristoro, così come delineati
dalla giurisprudenza, costituzionale e di legittimità, anche alla luce dei
principi della CEDU.
5.– Con memoria depositata il 10 luglio 2017, si
è costituita Invitalia spa, parte nel giudizio a quo,
chiedendo il rigetto delle questioni sollevate dal Consiglio di Stato, perché
inammissibili e infondate.
5.1.– Premessa anche in tal caso una
ricostruzione delle vicende normative e giurisdizionali alla base del giudizio
innanzi a questa Corte, la difesa di Invitalia spa si
sofferma sulla questione relativa all’art. 33, commi 3, 9, 10 e 13, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito.
5.1.1.– In via preliminare, la parte costituita
evidenza come l’attuazione del programma di bonifica e risanamento del sito
Bagnoli-Coroglio starebbe proseguendo nel pieno
rispetto del principio della leale collaborazione fra amministrazioni.
L’Accordo interistituzionale del 19 luglio 2017, in
particolare, sembrerebbe smentire l’impossibilità di dare una lettura
costituzionalmente orientata alle disposizioni dell’art. 33 del d.l. n. 133 del 2014, come convertito. Inoltre, pur in
assenza dell’intesa fra Stato e Regione a monte dell’approvazione del programma
di bonifica e risanamento, quell’esigenza di collaborazione fra le
amministrazioni interessate risulterebbe comunque pienamente assicurata in
concreto a valle, in sede di attuazione del programma medesimo. Proprio la
sottoscrizione dell’accordo testimonierebbe il difetto d’interesse ad agire del
Comune stesso e, sotto questo profilo, l’inammissibilità della questione di
costituzionalità per difetto di motivazione sul profilo specifico.
5.1.2.– Ciò chiarito, le disposizioni censurate
sarebbero rispettose dei parametri costituzionali richiamati dall’ordinanza di
rimessione.
L’esigenza straordinaria d’intervenire con
immediatezza e di garantire una gestione unitaria del programma di bonifica e
risanamento del sito di BagnoliCoroglio sarebbe
evidente e connessa allo stato di degrado in cui verserebbe l’area, nonché allo
stallo delle iniziative volte a porvi rimedio. Nel caso di specie, l’attività e
gli interventi di bonifica ambientale sarebbero strettamente condizionati dalla
(e conseguenti alla) preventiva definizione di un adeguato e puntuale programma
di rigenerazione urbana, il quale, a sua volta, postulerebbe l’esercizio di
funzioni propriamente programmatorie a livello urbanistico.
Se, dunque, l’attività di tutela dell’ambiente
potrebbe implicare anche il coinvolgimento delle funzioni appartenenti ad altre
materie, allora sarebbe evidente come debba comunque ritenersi prevalente ed
assorbente la prima, con la conseguenza che non sarebbe nemmeno necessario
ottenere la previa intesa con la Regione, ma solo garantirne il coinvolgimento
in fase di attuazione.
Inoltre, si tratterebbe di materie
amministrative e perciò il criterio di loro allocazione starebbe nell’art. 118
Cost., che in questo caso non potrebbe che radicare la competenza in capo allo
Stato. D’altronde, funzioni analoghe sarebbero ordinariamente esercitate a
livello statale, senza che si sia mai dubitato della conformità di un tale
modello di allocazione delle funzioni con l’art. 118 Cost. (come per il d.lgs.
n. 152 del 2006, ove si disciplinano le attività di bonifica dei siti di
interesse nazionale).
In realtà, la logica del riparto delle
competenze non subirebbe alcuna rilevante alterazione, poiché le disposizioni
in esame riconoscerebbero espressamente al Comune un ruolo di primario rilievo
nelle fasi di programmazione ed attuazione degli interventi di bonifica
ambientale. Tenuto presente che in questa materia le competenze comunali, di
per sé, non riceverebbero alcuna diretta garanzia costituzionale, il Comune ben
potrebbe esercitare le sue funzioni attraverso gli specifici meccanismi previsti
dalla disciplina di riferimento. Ed invero, il legislatore avrebbe previsto,
tanto in favore della Regione Campania, quanto del Comune di Napoli, proprio
quella doverosa garanzia partecipativa cui fa riferimento la giurisprudenza
costituzionale (è richiamata, in particolare, la sentenza n. 7 del
2016).
5.3.– Per quanto concerne la questione relativa
all’art. 33, comma 12, del d.l. n. 133 del 2014, come
convertito, anche secondo la difesa di Invitalia spa
la stessa non sarebbe più attuale, in virtù della modifica alla disposizione
censurata ad opera del comma 13-bis del d.l. n. 91
del 2017, come convertito. Tenuto conto che la vecchia formulazione non avrebbe
ancora trovato attuazione, la questione sollevata dal Consiglio di Stato non
potrebbe essere decisa da questa Corte, spettando al giudice rimettente, in
caso di ius superveniens,
la valutazione circa la perdurante rilevanza e non manifesta infondatezza delle
questioni sollevate (è richiamata l’ordinanza n. 200
del 2017).
In ogni caso, anche la precedente formulazione
dell’art. 33, comma 12, sarebbe rispettosa dei presupposti di cui all’art. 42,
terzo comma, Cost. Il ristoro, infatti, troverebbe espressa previsione
legislativa, così come le modalità per la sua quantificazione, basata sul
valore di mercato e affidata all’Agenzia del demanio, ovvero ad un organo terzo
ed imparziale, dotato di specifiche competenze tecniche in materia.
D’altronde, quando un’area è contaminata in
maniera tale da superare le soglie cautelative previste dall’ordinamento,
scatterebbe in capo all’autore dell’inquinamento l’obbligo di bonificarla,
oltre che di predisporre misure di sicurezza di emergenza (viene richiamata,
per tutte, l’ordinanza del Consiglio di Stato, adunanza plenaria, 25 settembre
2013, n. 21). Il proprietario dell’area non responsabile dell’inquinamento, ai
sensi del d.lgs. n. 152 del 2006, avrebbe davanti a sé una scelta: o
spontaneamente bonificare e mantenere così la proprietà del fondo, acquisendo
il diritto a rivalersi per il tantundem dei relativi
costi verso il responsabile dell’inquinamento; oppure non bonificare, lasciando
allo Stato il compito di farlo, ma in tal caso rassegnandosi allo
spossessamento e, immediatamente dopo, all’esproprio del fondo, potendo solo
agire per eventuali danni contro il suo dante causa e sempre che ne sussistano
i presupposti.
Dunque, utilizzando quale tertium
comparationis la disciplina di cui agli artt. 242 e
seguenti del d.lgs. n. 152 del 2006, la scelta effettuata nel caso di specie
non sarebbe affatto irragionevole e non provocherebbe alcuna discriminazione a
carico del Fallimento Bagnolifutura spa. Anzi, si
garantirebbe alla sua sfera patrimoniale una ben maggiore tutela, poiché
l’entità degli interventi sull’area di Bagnoli lascerebbe programmare una sua
futura riutilizzazione, la quale potrebbe generare profitti.
6.– Con memoria depositata il 30 aprile 2018, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito le conclusioni rassegnate
nell’atto d’intervento, soffermandosi, in particolare, sulle vicende successive
alla rimessione degli atti a questa Corte.
6.1.– Infatti, in attuazione dell’Accordo interistituzionale del 19 luglio 2017, la cooperazione
sarebbe proseguita con ulteriori incontri, tavoli tecnici e riunioni della
cabina di regia, con la partecipazione del Comune di Napoli e della Regione
Campania, che hanno condotto alla stesura di un aggiornamento del programma di
risanamento ambientale e di rigenerazione urbana, successivamente approvato
dalla Conferenza di servizi. Il nuovo piano, in particolare, avrebbe recepito
tutte le istanze del Comune di Napoli, che proprio attraverso il Sindaco
avrebbe manifestato piena soddisfazione per la cooperazione istituzionale
realizzatasi.
Ciò confermerebbe che alla Regione sarebbe stato
garantito un ruolo paritetico a quello del Governo e del Commissario
straordinario e, soprattutto, una posizione analoga a quella che sarebbe
derivata dal previo raggiungimento di un’intesa. Inoltre, al Comune di Napoli
sarebbe stato riservato un coinvolgimento nei relativi procedimenti istruttori
e decisionali pienamente in linea con quanto richiesto dalla giurisprudenza
costituzionale ai sensi dell’art. 118 Cost.
Dunque, pur nell’indubbia autonomia del giudizio
di legittimità costituzionale rispetto al giudizio a quo (ex plurimis, sono richiamate le sentenze n. 242
e n. 162 del
2014, n. 120
del 2013, n.
274 e n. 42
del 2011), i fatti di concertazione istituzionale in questione sarebbero
«fatti tipizzati», che atterrebbero al significato e alla portata della norma
sottoposta a giudizio e non potrebbero non essere presi in considerazione ai
fini dell’individuazione formale degli interessi in gioco considerati dal
legislatore.
7.– Con memoria depositata il 30 aprile 2018, Invitalia spa ha confermato quanto argomentato nell’atto di
costituzione in giudizio, fornendo ulteriori elementi di valutazione.
7.1.– In particolare, con riferimento all’art.
33, comma 12, del d.l. n. 133 del 2014, come
convertito, la parte sottolinea che, qualora in fase di esecuzione della legge
censurata sorgano problemi a carico della curatela del Fallimento Bagnolifutura spa, la stessa avrebbe tutti gli strumenti di
difesa della propria posizione soggettiva, proprio in base a tale legge.
Inoltre, la tutela dei creditori evocata dalla curatela fallimentare potrebbe
avvenire solo attraverso la sollecita soddisfazione dell’interesse pubblico
alla riqualificazione di un’area abbandonata e in degrado. Soltanto in tal
modo, infatti, i beni facenti capo al fallimento acquisterebbero un certo
valore.
Considerato
in diritto
1.– Il Consiglio di Stato, con sentenza non
definitiva del 23 maggio 2017, ha sollevato due distinte questioni di
legittimità costituzionale relative all’art. 33 del decreto-legge 12 settembre
2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle
opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica,
l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività
produttive), convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 2014, n.
164.
1.1.– In primo luogo, viene censurato l’art. 33,
commi 3, 9, 10 e 13, nella parte in cui non è previsto che l’approvazione del
programma di rigenerazione urbana, quanto al comprensorio Bagnoli-Coroglio, sia preceduta dall’intesa tra lo Stato e la
Regione Campania e da una specifica valorizzazione del ruolo del Comune.
Le disposizioni lederebbero gli artt. 117,
secondo comma, lettera m), e terzo comma, nonché 118, primo comma, della
Costituzione, perché, da un lato non sarebbero previste adeguate forme di
coinvolgimento della Regione interessata nello svolgimento delle funzioni
allocate in capo agli organi centrali; dall’altro lato verrebbe nei fatti
parificato il ruolo del Comune a quello degli altri enti che intervengono a
vario titolo nel procedimento.
1.2.– In secondo luogo, è oggetto di censura
l’art. 33, comma 12, nel «testo vigente», nella parte in cui prevede che
l’importo da riconoscere al Fallimento Bagnolifutura
spa «è versato alla curatela fallimentare mediante strumenti finanziari, di
durata non superiore a quindici anni decorrenti dalla data di entrata in vigore
della presente disposizione, emessi su mercati regolamentati dal Soggetto
Attuatore, anche al fine di soddisfare ulteriori fabbisogni per interventi
necessari all’attuazione del programma di cui al comma 8».
La disposizione sarebbe lesiva degli artt. 42,
101 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa
esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, e all’art. 1 del Protocollo
addizionale alla CEDU, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, poiché il ristoro
verrebbe ad essere erogato mediante non meglio precisati «strumenti
finanziari», per loro natura aleatori, in pregiudizio dell’indefettibile
requisito della serietà e certezza dell’indennizzo.
2.– Prima dell’esame del merito delle questioni
deve ritenersi non rilevante che le stesse siano state promosse con la forma di
sentenza non definitiva anziché di ordinanza, dal momento che «il giudice a quo
– dopo la positiva valutazione concernente la rilevanza e la non manifesta
infondatezza della stessa – ha disposto la sospensione del procedimento
principale e la trasmissione del fascicolo alla cancelleria di questa Corte;
sicché a tali atti, anche se assunti con la forma di sentenza, deve essere
riconosciuta sostanzialmente natura di ordinanza, in conformità a quanto
previsto dall’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87» (sentenze n. 275 del
2013 e n.
256 del 2010; nello stesso senso, sentenze n. 151 e n. 94 del 2009
e n. 452 del 1997).
3.– Sempre in via preliminare deve rilevarsi che
la curatela del Fallimento Bagnolifutura spa, sebbene
costituitasi il 6 ottobre 2017, ha depositato la procura speciale
successivamente, in data 11 ottobre 2017.
Ai sensi dell’art. 3 delle Norme integrative per
i giudizi davanti alla Corte costituzionale, la costituzione delle parti deve
avvenire entro il termine perentorio di venti giorni dalla pubblicazione
dell’ordinanza nella Gazzetta Ufficiale, mediante il deposito in cancelleria
della procura speciale (sentenza n. 364 del
2010, ordinanze
n. 11 del 2010, n. 100 del 2009
e n. 124 del
2008).
Poiché il provvedimento di rimessione è stato
pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 20 settembre 2017 e dunque il termine per
la costituzione delle parti scadeva il 10 ottobre 2017, la costituzione del
Fallimento Bagnolifutura spa è inammissibile.
4.– Con specifico riferimento alle questioni
relative all’art. 33, commi 3, 9, 10 e 13, del d.l.
n. 133 del 2014, come convertito, va precisato che il giudice a quo, sebbene
richiami, quale parametro costituzionale violato la «determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono
essere garantiti su tutto il territorio nazionale», svolge le proprie
argomentazioni in riferimento alla «tutela dell’ambiente». L’indicazione
dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. appare un mero errore
materiale, tenuto conto che entrambe le potestà esclusive statali sono indicate
dall’art. 33, comma 1, quale fondamento dell’intervento legislativo. Non appare
precluso, pertanto, l’esame della questione in riferimento all’art. 117,
secondo comma, lettera s), Cost., risultando i termini della stessa
sufficientemente chiari (ordinanza n. 211
del 2004).
5.– In relazione alle censure sull’art. 33,
commi 3, 9, 10 e 13, del d.l. n. 133 del 2014, come
convertito, deve essere altresì rigettata l’eccezione d’inammissibilità
sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato e da Invitalia
- Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa
spa (da ora: Invitalia spa), per carenza di
legittimazione del Comune di Napoli a dedurre la violazione delle competenze
regionali.
Com’è noto, il riscontro dell’interesse ad agire
e la verifica della legittimazione delle parti sono rimessi alla valutazione
del giudice rimettente, non rientrando tra i poteri di questa Corte quello di
sindacare la validità dei presupposti del giudizio a quo, a meno che questi non
risultino del tutto carenti, ovvero la motivazione della loro esistenza sia
manifestamente implausibile (sentenze n. 200 del
2014, n. 61
del 2012 e n.
270 del 2010).
Nel caso di specie, il Consiglio di Stato, a
differenza del giudice di primo grado, ha ritenuto che il ricorrente potesse
censurare gli atti impugnati anche per quanto concerne i profili di legittimità
costituzionale delle disposizioni legislative di cui gli stessi sono
attuazione. Trattandosi di atti esecutivi di una legge-provvedimento, infatti,
l’invocata lesione di competenze regionali non osterebbe all’impugnazione da
parte del Comune, poiché la declaratoria d’illegittimità costituzionale avrebbe
comunque l’effetto d’inficiare la validità degli atti impugnati, con
conseguente interesse della parte attrice al ricorso.
Il Consiglio di Stato, dunque, ha vagliato e
motivato in modo sufficiente riguardo all’interesse a ricorrere nel giudizio a
quo, sottolineando altresì che la questione, pur sollevata dalla parte, può
comunque essere rilevata d’ufficio dal giudice, che è sempre il soggetto che la
rimette all’esame della Corte.
6.– Da ultimo, deve dichiararsi inammissibile la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 12, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, sollevata in
riferimento all’art. 101 Cost., in quanto priva di motivazione (sentenze n. 240 del
2017, n. 219
del 2016, n.
120 del 2015 e n. 241 del 2014).
7.– La questione di legittimità costituzionale
dell’art. 33, commi 3, 9, 10 e 13, del d.l. n. 133
del 2014, come convertito, non è fondata.
7.1.– L’art. 33 ha introdotto disposizioni
generali tese a disciplinare la bonifica ambientale e la rigenerazione urbana
di aree di rilevante interesse nazionale, richiamando esplicitamente la
competenza esclusiva statale in materia di «tutela dell’ambiente», di cui
all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., nonché quella relativa alla
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, ai sensi dell’art.
117, secondo comma, lettera m), Cost. Pertanto, sono state attribuite in capo
allo Stato, al fine di assicurarne l’esercizio unitario, le funzioni
amministrative relative al procedimento previsto dal medesimo art. 33, in
attuazione dei principi di sussidiarietà e adeguatezza, disciplinando vari
meccanismi di partecipazione degli enti territoriali interessati.
Per tali scopi, dunque, si è prevista la nomina di
un Commissario straordinario del Governo e di un Soggetto attuatore (commi 4, 5
e 6), entrambi da designarsi con decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri. A tali soggetti è stato attribuito il compito di procedere alla
formazione, approvazione e attuazione di un programma di risanamento ambientale
e di un documento di indirizzo strategico per la rigenerazione urbana, anche in
deroga agli artt. 252 e 252-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152
(Norme in materia ambientale). Tali atti sono finalizzati, in particolare, alla
realizzazione della messa in sicurezza, bonifica e riqualificazione urbana
dell’area, prevedendo altresì misure tese alla localizzazione di opere
infrastrutturali connesse a tale obiettivo.
Ai sensi dei commi 8, 9 e 10, la proposta di
programma, elaborata dal Soggetto attuatore e trasmessa al Commissario
straordinario, è sottoposta ad un’apposita Conferenza di servizi, al fine di
ottenere tutti gli atti di assenso e di intesa da parte delle amministrazioni
competenti. Se la Conferenza non raggiunge un accordo entro trenta giorni
dall’indizione, provvede il Consiglio dei ministri, anche in deroga alle
vigenti previsioni di legge. Alla relativa seduta partecipa in ogni caso il
Presidente della Regione interessata. Il programma è poi adottato dal
Commissario straordinario e approvato con decreto del Presidente della
Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri. L’approvazione
sostituisce a tutti gli effetti le autorizzazioni, le concessioni, i concerti,
le intese, i nulla osta, i pareri e gli assensi previsti dalla legislazione
vigente, costituendo altresì variante urbanistica automatica, e comporta
dichiarazione di pubblica utilità delle opere e di urgenza e indifferibilità
dei lavori.
Con specifico riguardo al sito di Bagnoli-Coroglio, le relative aree sono state esplicitamente
dichiarate per legge di rilevante interesse nazionale (comma 11). Inoltre, ai
fini della redazione del programma di risanamento ambientale e di rigenerazione
urbana, si è prevista l’acquisizione in fase consultiva delle proposte del
Comune di Napoli da parte del Soggetto attuatore. Proposte che il Comune di
Napoli può chiedere di rivalutare, ove non accolte, in sede di Conferenza di
servizi (comma 13-ter). Con la novella di cui al d.l.
n. 78 del 2015, come convertito, al fine di definire gli indirizzi strategici
per l’elaborazione del programma, è stata anche prevista l’istituzione di una
«cabina di regia», composta da rappresentati dello Stato, del Comune di Napoli
e della Regione Campania (comma 13).
Ai sensi del comma 12, al Soggetto attuatore –
individuato, in seguito al d.l. n. 78 del 2015, come
convertito, in Invitalia spa (società in house dello
Stato) – sono stati trasferiti gli immobili e le aree già di proprietà di Bagnolifutura spa, in stato di fallimento, a cui è
riconosciuto un indennizzo che, in seguito all’art. 13-bis del d.l. n. 91 del 2017, come convertito, è corrisposto
attraverso un versamento da effettuarsi entro un anno dalla data di entrata in
vigore della stessa disposizione di modifica.
7.2.– La disciplina dettata dalle disposizioni
in esame intreccia indubbiamente diverse competenze, statali e regionali, in
particolare la «tutela dell’ambiente» e il «governo del territorio».
Com’è noto, in casi del genere, occorre
individuare l’ambito materiale che possa considerarsi prevalente e, qualora ciò
non sia possibile, la concorrenza di competenze comporta l’applicazione del
principio di leale collaborazione, che deve permeare i rapporti tra lo Stato e
il sistema delle autonomie (tra le tante, sentenze n. 251,
n. 21 e n. 1 del 2016, n. 44 del 2014,
n. 334 del 2010,
n. 50 del 2008
e n. 50 del 2005).
Nel caso di specie, l’intervento del legislatore
statale, in quanto teso al risanamento e alla bonifica di un sito d’interesse
nazionale, può essere certamente ricondotto, in via prevalente, alla potestà
legislativa esclusiva dello Stato di cui all’art. 117, secondo comma, lettera
s), Cost. A tale titolo di legittimazione, infatti, questa Corte ha più volte
ascritto la disciplina dei rifiuti (ex plurimis, sentenze n. 180,
n. 149 e n. 58 del 2015,
n. 269 del 2014,
n. 285 del 2013,
n. 54 del 2012,
n. 244 e n. 33 del 2011,
n. 331 e n. 278 del 2010,
n. 61 e n. 10 del 2009),
anche con particolare riferimento alla bonifica dei siti inquinati (sentenze n. 247 del
2009 e n.
214 del 2008).
Spetta dunque allo Stato disciplinare, pure con
disposizioni di dettaglio e anche in sede regolamentare, le procedure
amministrative dirette alla prevenzione, riparazione e bonifica dei siti
contaminati (sentenza
n. 247 del 2009). È evidente che le relative attività e i conseguenti
interventi sono strettamente condizionati alla definizione di un adeguato e
puntuale programma di rigenerazione urbana, che postula l’esercizio di funzioni
propriamente programmatorie a livello urbanistico. Tuttavia, l’attività di
tutela dell’ambiente può implicare, come nella specie, anche il coinvolgimento
delle funzioni appartenenti ad altre materie, limitando in tal modo le
competenze regionali (sentenza n. 225 del
2009).
D’altronde, già l’ordinaria disciplina in tema
di bonifica dei siti contaminati (artt. da 239 a 253 del d.lgs. n. 152 del
2006) tiene conto della necessaria incidenza sul «governo del territorio»,
poiché gli interventi ivi previsti sono strettamente connessi alla destinazione
urbanistica delle singole aree da bonificare. In particolare, per i siti
d’interesse nazionale si stabilisce la competenza dell’amministrazione statale
alla bonifica, qualora a ciò non provvedano il responsabile dell’inquinamento
(o lo stesso non sia individuabile), il proprietario o altro soggetto
interessato. Ed in base a tale disciplina l’autorizzazione del progetto e dei
relativi interventi costituisce esplicitamente variante urbanistica e comporta
dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori (art.
252, comma 6).
Dunque, per tutti gli aspetti concernenti la
bonifica dell’area interessata, la compressione delle attribuzioni regionali in
materia urbanistica è diretta conseguenza delle esigenze di tutela ambientale,
di competenza esclusiva statale, senza che possa profilarsi una violazione
delle disposizioni costituzionali sul riparto di competenze.
7.3.– Ciò precisato, la disciplina censurata
appare rispettosa anche dell’art. 118 Cost., in relazione ai contenuti del
programma di risanamento più propriamente ascrivibili al «governo del
territorio», quali ad esempio la localizzazione delle opere infrastrutturali,
sebbene si tratti comunque di aspetti strettamente connessi al risanamento
dell’area.
Nell’allocare in capo allo Stato le varie
funzioni, il legislatore statale ha previsto varie forme di coinvolgimento
della Regione e del Comune. Tali enti, infatti, partecipano alla cabina di
regia, alla quale è demandata la definizione degli indirizzi strategici per
l’elaborazione del programma di risanamento ambientale e rigenerazione urbana.
Il Soggetto attuatore, inoltre, deve acquisire ed esaminare le proposte del
Comune ai fini della predisposizione del programma e le stesse, ove non
accolte, devono essere necessariamente rivalutate nella Conferenza di servizi.
È in tale sede, a cui partecipano Comune e Regione, che le amministrazioni
coinvolte devono raggiungere un accordo sul programma e solo nel caso in cui
ciò non avvenga la decisione può essere rimessa ad una deliberazione del
Consiglio dei ministri, adottata però con la necessaria partecipazione alla
relativa seduta del Presidente della Regione interessata.
Il superamento del dissenso delle
amministrazioni coinvolte, dunque, non può avvenire in via unilaterale da parte
dello Stato, ma è frutto di una complessa attività istruttoria, articolata
secondo numerosi meccanismi di raccordo, i quali, pur disegnando un
procedimento diverso dall’intesa, assicurano una costante e adeguata
cooperazione istituzionale. Anzi, in caso di mancato accordo, il procedimento
si conclude proprio con le stesse modalità previste per il superamento del
dissenso in assenza d’intesa, ossia con una deliberazione del Consiglio dei
ministri adottata in una seduta a cui deve necessariamente partecipare il
Presidente della Regione interessata.
Neppure per tali profili, dunque, sussiste alcun
vulnus alle competenze regionali, né alle esigenze della leale collaborazione
in relazione all’allocazione delle funzioni amministrative (da ultimo, sentenze n. 21,
n. 7 e n. 1 del 2016 e
n. 140 del 2015).
Ciò è ancora più evidente riguardo alle funzioni
comunali in materia di programmazione urbanistica, che, tra l’altro, non godono
di specifica tutela costituzionale, sebbene i poteri dei Comuni non possano
essere annullati e sia necessario garantire agli stessi forme di partecipazione
ai procedimenti che ne condizionano l’autonomia (fra le molte, si vedano le sentenze n. 478 del
2002 e n.
378 del 2000). Tali forme di partecipazione sono state appunto predisposte
dal legislatore statale, che ha individuato numerose sedi di coinvolgimento del
Comune, a monte e a valle del programma di risanamento.
D’altronde, con l’Accordo interistituzionale
del 19 luglio 2017, il Governo, la Regione Campania, il Comune di Napoli e le istituzioni
interessate all’intervento nel comprensorio di BagnoliCoroglio
hanno condiviso, sia i contenuti del programma, sia le modalità di ulteriori
integrazioni o modifiche, con la successiva redazione di un aggiornamento del
programma, approvato dalla Conferenza di servizi, in cui sono state recepite
anche le varie istanze comunali. Il che pare testimoniare una corretta
cooperazione istituzionale, sottolineata dallo stesso Comune di Napoli.
8.– Venendo alla questione relativa all’art. 33,
comma 12, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito,
deve rilevarsi che l’art. 13-bis del d.l. n. 91 del
2017, come convertito, ha radicalmente modificato il contenuto di tale
disposizione.
L’importo dovuto alla curatela fallimentare,
infatti, deve essere ora versato dal Soggetto attuatore «entro dodici mesi
dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, facendo comunque
salvi gli effetti di eventuali opposizioni del Commissario straordinario del
Governo, del Soggetto Attuatore, della curatela fallimentare o di terzi
interessati, da proporre, nelle forme e con le modalità di cui all’articolo 54
del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno
2001, n. 327, entro centoventi giorni dalla data di pubblicazione della legge
di conversione del decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91, ovvero, se successiva,
dalla data della conoscenza della predetta rilevazione; per l’acquisizione
della provvista finanziaria necessaria al suddetto versamento e anche al fine
di soddisfare ulteriori fabbisogni per interventi necessari all’attuazione del
programma di cui al comma 8, il Soggetto Attuatore è autorizzato a emettere su
mercati regolamentati strumenti finanziari di durata non superiore a quindici
anni».
Scompare, pertanto, il riferimento al versamento
dell’importo mediante strumenti finanziari e viene meno, quindi,
quell’aleatorietà del pagamento alla base della questione sollevata dal
Consiglio di Stato.
Tenuto conto che, come indicato nel
provvedimento di rimessione, la disposizione censurata non ha ancora avuto
attuazione, s’impone la restituzione degli atti al giudice a quo per un
rinnovato esame della rilevanza e della non manifesta infondatezza della
questione (ordinanze
n. 25 del 2018, n. 25 del 2017
e n. 378 del
2008).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara
inammissibile la costituzione di Fallimento Bagnolifutura
spa;
2) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma
12, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura
dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del
Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e
per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, nella
legge 11 novembre 2014, n. 164, sollevata, in riferimento all’art. 101 della
Costituzione, dal Consiglio di Stato, sezione quarta, con il provvedimento
indicato in epigrafe;
3)
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.
33, commi 3, 9, 10 e 13, del d.l. n. 133 del 2014,
come convertito, sollevata, in riferimento agli artt. 117, secondo comma,
lettera s), e terzo comma, nonché 118, primo comma, Cost., dal Consiglio di
Stato, sezione quarta, con il provvedimento indicato in epigrafe;
4) ordina
la restituzione degli atti al Consiglio di Stato, sezione quarta, relativamente
alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 12, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, sollevata in
riferimento agli artt. 42, 101 e 117, primo comma, Cost. – in relazione
all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e
resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, e all’art. 1 del Protocollo
addizionale alla CEDU, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 – con il provvedimento
indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 maggio 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Giuliano AMATO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 13 giugno 2018.