Sentenza n. 242 del 2014

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SENTENZA N. 242

ANNO 2014

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo Maria                NAPOLITANO                     Presidente

-           Giuseppe                    FRIGO                                      Giudice

-           Alessandro                 CRISCUOLO                                           ”

-           Paolo                          GROSSI                                        ”

-           Giorgio                       LATTANZI                                   ”

-           Aldo                           CAROSI                                        ”

-           Marta                          CARTABIA                                  ”

-           Sergio                         MATTARELLA                            ”

-           Mario Rosario             MORELLI                                     ”

-           Giancarlo                    CORAGGIO                                 ”

-           Giuliano                      AMATO                                        ”

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, lettera f), della legge 10 marzo 2000, n. 62 (Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, nel procedimento vertente tra l’Istituto G. Verga di Frattamaggiore ed altri ed il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, con ordinanza del 5 aprile 2013 iscritta al n. 132 del registro ordinanze del 2013, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 2013.

Visto l’atto di costituzione di Silvio Duilio, nella qualità di legale rappresentante dell’Istituto G. Verga di Frattamaggiore, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza del 7 ottobre 2014 il Giudice relatore Giuliano Amato;

uditi l’avvocato Carlo Rienzi per Silvio Duilio e l’avvocato dello Stato Stefano Varone per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha sollevato − in riferimento agli artt. 3, 33, 41 e 76 Cost. − questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, lettera f), della legge 10 marzo 2000, n. 62 (Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione), il quale prevede, fra i requisiti necessari ai fini del riconoscimento della parità degli istituti scolastici, «l’organica costituzione di corsi completi: non può essere riconosciuta la parità a singole classi, tranne che in fase di istituzione di nuovi corsi completi, ad iniziare dalla prima classe».

Le censure del rimettente hanno ad oggetto la disposizione in esame «nel combinato disposto interpretativo di cui al regolamento ex decreto 29 novembre 2007, n. 267, art. 1, comma 6, lettere e) ed f) e D.M. n. 83 del 10 ottobre 2008, art. 3, punto 3.4, lettera f), alla luce dei commi 2 e 3 dell’art. 1, e comma 1 dell’art. 8 del d.P.R. 15 marzo 2010, n. 87 (Regolamento recante norme per il riordinamento degli istituti professionali, a norma dell’art. 64, comma 4, decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133)». »

La norma viene censurata nella parte in cui – nella fase transitoria di passaggio al nuovo ordinamento scolastico − introduce per gli istituti paritari il divieto di costituire intere sezioni ex novo, consentendo di costituire solo la prima classe a partire dall’anno scolastico 2010/2011, e gradualmente ciascuna classe per ogni successivo anno, fino al completamento del corso, in considerazione della progressiva entrata in vigore del nuovo ordinamento per tutte classi.

2.− Il TAR riferisce di essere investito della decisione in ordine al ricorso proposto da un istituto scolastico privato e da alcuni studenti lavoratori, al fine di ottenere l’annullamento dei decreti con i quali l’Ufficio scolastico regionale della Campania ha riconosciuto la parità scolastica per la sola prima classe dell’istituto ricorrente, e ha disposto il diniego per le classi successive, già attive. A sostegno dell’impugnativa, i ricorrenti hanno dedotto l’inesistenza di norme ostative al riconoscimento della parità scolastica anche per le classi successive alla prima, già a partire dall’anno scolastico 2010/2011.

Il giudice a quo evidenzia di avere accolto le istanze cautelari dei ricorrenti, mediante la sospensione dei provvedimenti impugnati, e di avere risolto un’identica questione con le proprie precedenti sentenze nn. 1233, 1234 e 1235 del 2011, nelle quali sarebbe offerta una lettura delle disposizioni richiamate in armonia con i principi costituzionali di cui agli artt. 3, 33 e 41 Cost.

2.1.− È lo stesso giudice rimettente, tuttavia, a riferire che con la decisione n. 4208 del 2011, il Consiglio di Stato ha annullato la sentenza n. 1235 del 2011 del medesimo TAR Lazio e ha escluso la possibilità di riconoscere la parità scolastica per classi successive alla prima, laddove ciò comporti una scissione fra la prima classe – da istituirsi ex novo secondo il nuovo ordinamento − e le classi successive, da costituire sulla base del vecchio ordinamento.

Secondo l’interpretazione fatta propria dal Consiglio di Stato, il riferimento alla nozione di «corsi completi», contenuto nell’art. 1, comma 4, lett. f), della legge n. 62 del 2000, dovrebbe essere letto in relazione al periodo successivo, in cui si esclude la possibilità di riconoscere la parità in relazione a singole classi, fatta salva l’ipotesi di istituzione di nuovi corsi completi. Il principio di gradualità richiederebbe che l’introduzione del nuovo corso di studi avvenga a partire dalla prima classe, in base ad un sistema che ammette, in una fase transitoria, la coesistenza di classi «a vecchio ordinamento» e di classi «a nuovo ordinamento», fino al definitivo esaurimento del primo; il principio di organicità non consentirebbe di riconoscere la parità a classi, successive alla prima, costituite in base ad ordinamenti di studi che la normativa nazionale ha inteso superare.

2.2.− Pur non condividendo tale indirizzo interpretativo, il TAR evidenzia di doversi uniformare ad esso − in quanto costituente diritto vivente nella fattispecie − e di dovere pertanto ritenere legittimo il provvedimento impugnato. E tuttavia, proprio alla luce della sentenza del Consiglio di Stato sopra richiamata, il TAR ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, lett. f), della l. n. 62 del 2000.

2.2.1.− Ad avviso del giudice rimettente, il divieto implicito affermato dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 4208 del 2011, violerebbe in primo luogo l’art. 33 Cost., per la compressione del diritto dello studente e della famiglia di scegliere la scuola, in quanto gli studenti delle classi successive alla prima non potrebbero scegliere il sistema scolastico paritario per 5 anni, e sarebbero costretti a rivolgersi alle scuole statali.

2.2.2.− Il divieto determinerebbe inoltre la violazione dell’art. 3 Cost., introducendo una disparità di trattamento tra scuole paritarie e scuole statali, poiché soltanto le prime subirebbero la preclusione in ordine alle iscrizioni di studenti delle classi successive alla prima, nonché tra quegli studenti che avrebbero preferito l’istituto paritario e non potranno rivolgersi a tale offerta formativa per 5 anni, e gli studenti che invece scelgono di iscriversi alle scuole pubbliche, i quali potrebbero farlo liberamente. Il vincolo dell’iscrizione presso un istituto statale, derivante dalla scelta interpretativa fatta propria dal Consiglio di Stato, determinerebbe la compressione della libertà di scelta dello studente, la quale costituisce condizione imprescindibile per la realizzazione del pieno sviluppo della persona umana, sancito nell’art. 3, cpv., Cost.

2.2.3.− Il divieto implicito, ritenuto dal Consiglio di Stato, si porrebbe altresì in contrasto con l’art. 41 Cost., sacrificando la libertà imprenditoriale della società che gestisce la scuola; infatti, gli istituti scolastici paritari di nuova istituzione – potendo attivare soltanto la prima classe – sarebbero tenuti a predisporre un’intera struttura, sopportando i costi relativi ai contratti con gli insegnanti e il personale non docente, nonché le spese di gestione dei locali per ospitare le classi di un intero ciclo.

2.2.4.− Infine, il divieto implicito posto alle scuole paritarie violerebbe l’art. 76 Cost. per eccesso di delega, in quanto si porrebbe in contrasto con i principi stabiliti dall’art. 1 della legge 28 marzo 2003, n. 53 (Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale), il quale individua − quale obiettivo della normativa delegata − quello di «favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana, nel rispetto dei limiti dell’età evolutiva, delle differenze e dell’identità di ciascuno e delle scelte educative della famiglia, nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori, in coerenza con il principio di autonomia delle istituzioni scolastiche e secondo i principi sanciti dalla Costituzione». Tra i valori prefissati dalla legge delega sarebbe quindi ricompresa la libertà di scelta dello studente e delle famiglie, quale espressione qualificante della sfera di autodeterminazione dei cittadini.

La norma delegata risulterebbe dissonante rispetto a tali principi e quindi viziata per eccesso di delega, in violazione dell’art. 76 Cost.

3.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio con memoria depositata il 2 luglio 2013 eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità delle questioni sollevate dal TAR, attesa l’inesistenza di un orientamento giurisprudenziale consolidato, idoneo a configurare diritto vivente nella fattispecie.

Nel merito, l’Avvocatura dello Stato ha dedotto l’infondatezza delle censure formulate nell’ordinanza di rimessione, evidenziando in particolare che il meccanismo di entrata in vigore dei nuovi ordinamenti dei corsi di studio è del tutto analogo per le scuole statali e per quelle paritarie: entrambe le tipologie di scuola possono mantenere, sino ad esaurimento, solo le classi già autorizzate secondo il vecchio ordinamento di studio, mentre vige un divieto generale di istituire ex novo classi di questo tipo.

4.− Con atto depositato il 26 giugno 2013, è intervenuto Silvio Duilio, nella qualità di legale rappresentante dell’Istituto scolastico Verga di Frattamaggiore, chiedendo l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, lett. f), della legge n. 62 del 2000, per violazione degli artt. 3, 33, 41 e 76 Cost. A sostegno della dedotta incompatibilità della disposizione censurata con i parametri costituzionali evocati, la difesa della parte privata ha svolto le medesime argomentazioni contenute nell’ordinanza di rimessione.

4.1.− Con memoria depositata il 17 settembre 2014, la stessa parte privata ha dedotto il superamento del regime transitorio – atteso l’avvenuto esaurimento dei corsi appartenenti al vecchio ordinamento − e ha quindi richiesto, in via subordinata, che sia dichiarata la cessazione della materia del contendere e la questione sia rimessa al giudice a quo, affinché valuti l’attualità dell’interesse alla questione.

4.2.− Con successiva memoria, depositata il 6 ottobre 2014, la stessa parte privata, dopo avere evidenziato l’illegittimità dell’attuale composizione di questa Corte, attesa la mancanza di due giudici di nomina parlamentare, ha chiesto che sia dichiarata la illegittimità costituzionale degli artt. 1 e 16 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 (Norme integrative della Costituzione concernenti la Corte costituzionale), dell’art. 3 della legge costituzionale 22 novembre 1967, n. 2 (Modificazione dell’art. 135 della Costituzione e disposizioni sulla Corte costituzionale), e dell’art. 26 della legge 25 gennaio 1962, n. 20 (Norme sui procedimenti e giudizi di accusa), «e delle altre norme vigenti», per violazione degli artt. 24, 111, 135 e 137 Cost., «nella parte in cui non prevedono un termine temporale alla mancata nomina della componente parlamentare dei Giudici costituzionali e nemmeno la possibilità di nominare, in via alternativa, in caso di membri dimissionari della Corte ovvero alla scadenza del mandato, i propri membri facendo ricorso ad altri sistemi, come le commissioni parlamentari, l’abbassamento del quorum, la votazione palese, o l’affidamento alla stessa Corte o ad Autorità indipendenti nominate con la maggioranza dei due terzi dal Parlamento di designare anche temporaneamente i Giudici mancanti».

In via subordinata, la difesa della parte privata ha avanzato istanza di rinvio della decisione, sino a data successiva alla nomina, da parte del Parlamento, dei due giudici costituzionali.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha sollevato − in riferimento agli artt. 3, 33, 41 e 76 Cost. − questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, lettera f), della legge 10 marzo 2000, n. 62 (Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione), il quale prevede, fra i requisiti necessari ai fini del riconoscimento della parità degli istituti scolastici, «l’organica costituzione di corsi completi: non può essere riconosciuta la parità a singole classi, tranne che in fase di istituzione di nuovi corsi completi, ad iniziare dalla prima classe».

Le censure del rimettente hanno ad oggetto la disposizione in esame «nel combinato disposto interpretativo di cui al regolamento ex decreto 29 novembre 2007, n. 267, art. 1, comma 6, lettere e) ed f) e D.M. n. 83 del 10 ottobre 2008, art. 3, punto 3.4, lettera f), alla luce dei commi 2 e 3 dell’art. 1, e comma 1 dell’art. 8 del d.P.R. 15 marzo 2010, n. 87 (Regolamento recante norme per il riordinamento degli istituti professionali, a norma dell’art. 64, comma 4, decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133)».

La norma viene censurata nella parte in cui – nel periodo transitorio di passaggio al nuovo ordinamento scolastico − introduce il divieto per gli istituti paritari di costituire intere sezioni ex novo, consentendo di costituire solo la prima classe a partire dall’anno scolastico 2010/2011, e gradualmente ciascuna classe per ogni successivo anno, fino al completamento del corso, in considerazione della progressiva entrata in vigore del nuovo ordinamento per tutte classi.

2.− In via preliminare, il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito l’inammissibilità delle questioni formulate dal TAR Lazio, attesa l’inesistenza di un orientamento giurisprudenziale consolidato, idoneo a configurare il “diritto vivente” nella fattispecie.

L’eccezione non è fondata, perché la giurisprudenza amministrativa si è ormai fermamente attestata sulle posizioni censurate dal giudice a quo, così da assumere i caratteri di un vero e proprio diritto vivente, come dimostra una cospicua serie di decisioni del Consiglio di Stato, tutte dello stesso segno (Consiglio di Stato 21 maggio 2013, n. 2717; Consiglio di Stato 26 ottobre 2012, n. 5488; Consiglio di Stato 26 ottobre 2012, n. 5487; Consiglio di Stato 26 giugno 2012, n. 3763; Consiglio di Stato 18 maggio 2012, n. 2910; Consiglio di Stato 18 maggio 2012, n. 2909; Consiglio di Stato 12 luglio 2011, n. 4208).

A questo riguardo va rilevato che, in presenza di un orientamento giurisprudenziale consolidato, il giudice a quo – se è pur libero di non uniformarvisi e di proporre una sua diversa esegesi, essendo la “vivenza” della norma una vicenda per definizione aperta, ancor più quando si tratti di adeguarne il significato a precetti costituzionali – ha alternativamente la facoltà di assumere l’interpretazione censurata in termini di “diritto vivente” e di richiederne su tale presupposto il controllo di compatibilità con parametri costituzionali (sentenze n. 191 del 2013, n. 258 e n. 117 del 2012 e n. 91 del 2004).

3.− Va inoltre rilevato, sempre in via preliminare, che nella formulazione dell’ordinanza di rimessione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, lett. f), della legge n. 62 del 2000, sono sollevate «nel combinato disposto interpretativo» di alcune disposizioni di carattere regolamentare, ed in particolare del d.P.R. 15 marzo 2010, n. 87 (Regolamento recante norme per il riordino degli istituti professionali, a norma dell’articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133); del d.m. del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca del 10 ottobre 2008, n. 83 (Linee guida per l’attuazione del decreto ministeriale contenente la disciplina delle modalità procedimentali per il riconoscimento della parità scolastica e per il suo mantenimento); nonché del d.m. del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca del 29 novembre 2007, n. 267 (Regolamento recante «Disciplina delle modalità procedimentali per il riconoscimento della parità scolastica e per il suo mantenimento, ai sensi dell'articolo 1-bis, comma 2, del D.L. 5 dicembre 2005, n. 250, convertito, con modificazioni, dalla L. 3 febbraio 2006, n. 27”).

Peraltro, la censura del giudice a quo investe in via principale l’art. 1, comma 4, lett. f), della legge n. 62 del 2000, fonte normativa di rango primario che stabilisce i requisiti per il conseguimento della parità, mentre le disposizioni regolamentari contestualmente impugnate contribuiscono a chiarire il contenuto applicativo della disposizione legislativa, della quale costituiscono specificazione; pertanto, è solo unitamente a quest’ultima che le stesse possono rientrare nella valutazione rimessa a questa Corte (sentenza n. 34 del 2011; sentenze n. 354 e 162 del 2008; sentenza n. 456 del 1994).

4.− Va inoltre disattesa la richiesta, avanzata dalla difesa delle parti private, di restituzione degli atti al giudice a quo, «ai fini della valutazione della permanenza dell’attualità dell’interesse», atteso il completamento del corso per il quale era stata richiesta la parità.

Dall’art. 21 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale discende infatti che il giudizio di costituzionalità è autonomo rispetto al giudizio a quo, nel senso che non risente delle vicende di fatto successive all’ordinanza di rimessione. Pertanto, la rilevanza della questione deve essere valutata alla luce delle circostanze sussistenti al momento dell’ordinanza di remissione, senza che assumano alcun rilievo eventi sopravvenuti (ex multis, sentenze n. 42 del 2011; n. 354 e n. 227 del 2010; n. 272 del 2007; n. 244 del 2005; n. 24 del 2004; ordinanza n. 270 del 2003; sentenza n. 383 del 2002).

5.− Quanto alle istanze avanzate dalla difesa della parte privata, volte all’accertamento della illegittimità dell’attuale composizione della Corte e delle norme (anche di rango costituzionale) che ne disciplinano il funzionamento, è sufficiente rilevare che le stesse rivolgono a questa Corte richieste del tutto irricevibili.

6.− Nel merito, le questioni non sono fondate.

6.1.− L’art. 1, comma 4, della legge n. 62 del 2000, prevede una serie di requisiti, che devono contestualmente sussistere, ai fini del riconoscimento della parità degli istituti scolastici; nell’ambito di tali requisiti, è prevista, alla lett. f), «l’organica istituzione di corsi completi» e la possibilità – in via eccezionale, nella fase di istituzione di nuovi corsi − di ottenere la parità per singole classi, ad iniziare dalla prima.

L’interpretazione della norma in esame deve tenere conto sia del riferimento alla nozione di “corsi completi”, sia dell’ulteriore principio di “organicità”; entrambi inducono ad escludere – nella fase transitoria di passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento scolastico − la possibilità del riconoscimento della parità per quelle classi che non possano più funzionare sulla base dell’ordinamento ormai superato.

Va inoltre rilevato che, al momento dell’avvio della riforma degli ordinamenti scolastici degli istituti superiori, la possibilità di attivare solo le classi prime dei nuovi percorsi didattici è stata affermata allo stesso modo, sia per le scuole statali, sia per le scuole non statali.

Risulta infatti che, con nota del 16 marzo 2010, il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca ha fornito le indicazioni, destinate alle scuole paritarie e alle scuole statali, in ordine alla introduzione dei nuovi ordinamenti scolastici, stabilendo che, a partire dall’anno scolastico 2010/11, tutte le istituzioni scolastiche paritarie, al pari delle istituzioni statali, dovevano confluire nel nuovo ordinamento e potevano attivare solo classi prime relative ai nuovi percorsi didattici.

Pertanto, l’introduzione del nuovo ordinamento scolastico consente – alle scuole statali, così come alle scuole paritarie − l’attivazione delle sole prime classi dei nuovi percorsi; il divieto di attivare classi successive alla prima si applica ad entrambe le tipologie di istituzioni scolastiche e non determina alcuna disparità di trattamento nei confronti delle scuole paritarie. La prosecuzione del percorso scolastico delle classi già funzionanti, fino al graduale esaurimento dei corsi, viene infatti riferita allo stesso modo sia alle scuole statali, sia alle scuole paritarie.

Ne consegue che è solo negli istituti scolastici statali, o in quelli paritari preesistenti, che può verificarsi una fisiologica e temporanea coesistenza fra le nuove classi prime del corso di studi, da sviluppare in conformità al nuovo ordinamento, e le ulteriori classi, già avviate secondo il vecchio corso di studi, da completare sino al suo esaurimento.

Tale interpretazione della norma censurata porta ad escludere la sussistenza di alcuna irragionevole disparità di trattamento nei confronti degli istituti paritari.

6.2.− Per i medesimi motivi, risulta infondata la censura relativa all’art. 33 Cost., atteso che la ratio del divieto di istituire classi successive alla prima va individuata nell’esigenza di assicurare il graduale ed organico passaggio dai vecchi ai nuovi corsi di studio.

Infatti, il principio di organicità sopra richiamato è volto ad escludere dall’ambito della parità scolastica quegli istituti che − nell’indirizzare la propria attività verso un’offerta formativa ormai superata − non assicurino la piena rispondenza al progetto educativo della programmazione scolastica statale.

Ed invero può escludersi che sussista tale rispondenza per quegli istituti privati, non ancora paritari, che chiedano il riconoscimento della parità non solo per il nuovo corso istituito a partire dalla prima classe in base al nuovo ordinamento, ma per la prosecuzione di corsi già avviati in base all’ordinamento previgente.

Così individuata la ratio della norma in esame, la stessa appare coerente con la finalità di assicurare il rispetto degli standard qualitativi ai quali la scuola paritaria deve rispondere e, in secondo luogo, di garantire il ruolo riconosciuto alle scuole paritarie nel sistema nazionale di istruzione pluralistico, previsto dall’art. 33, quarto comma, Cost.

6.3.− Quanto alla dedotta lesione dell’art. 41 Cost., l’infondatezza della questione discende dalla considerazione delle finalità che il contestato divieto consentirebbe di soddisfare, quali l’organico passaggio dai vecchi corsi di studio a quelli nuovi. Ed invero, la libertà d’iniziativa economica può essere anche “ragionevolmente limitata” (art. 41, commi 2 e 3, Cost.), nel quadro di un bilanciamento con altri interessi costituzionalmente rilevanti.

6.4.− Con riferimento infine al denunciato eccesso di delega, è sufficiente osservare che la disposizione censurata non è stata adottata in attuazione della legge delega indicata dal giudice a quo, che è persino successiva (legge 28 marzo 2003, n. 53, Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale), con la conseguenza che il parametro invocato dal rimettente risulta del tutto inconferente. Eventuali antinomie devono essere risolte facendo ricorso agli ordinari criteri logici applicabili alle fonti normative di pari grado, e non tramite l’utilizzo dell’incidente di costituzionalità.

Le medesime considerazioni valgono anche con riferimento alle disposizioni regolamentari richiamate dal rimettente, atteso che le stesse, oltre a non poter formare oggetto del sindacato di costituzionalità rimesso a questa Corte, non sono state neppure esse adottate in attuazione della legge delega n. 53 del 2003.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, lettera f), della legge 10 marzo 2000, n. 62 (Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 33, 41 e 76 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 ottobre 2014.

F.to:

Paolo Maria NAPOLITANO, Presidente

Giuliano AMATO, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 ottobre 2014.