Sentenza n. 56 del 2020

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SENTENZA N. 56

ANNO 2020

 

Commenti alla decisione di

 

I. Paolo Colasante, Il punto di equilibrio nella tutela della concorrenza: la Corte rende più labili i confini fra i servizi taxi e di noleggio con conducente, per g.c. dell’Osservatorio AIC

 

II. Valentina Giomi, Vecchi e nuovi spazi legislativi per il servizio NCC dopo il vaglio della Consulta: un’occasione per riflettere, per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali

 

III. Gabriele Mazzantini, Il ruolo della Corte costituzionale nell’incentivare la diffusione dei principi di better regulation nella regolazione concorrenziale dei mercati: la sentenza n. 56 del 2020, per g.c. dell’Osservatorio sulle fonti

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Marta CARTABIA;

Giudici: Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis, commi 1, lettere a), b), e) e f), 6, 7, 8 e 9, del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 11 febbraio 2019, n. 12, promosso dalla Regione Calabria con ricorso notificato il 12-19 aprile 2019, depositato in cancelleria il 17 aprile 2019, iscritto al n. 52 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visti l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri e gli atti di intervento, ad adiuvandum, della «Associazione EFFE SERVIZI» e altra, nonché, ad opponendum, della «Federazione Nazionale UGL Taxi» (UGL TAXI) e altri;

udito nell’udienza pubblica del 25 febbraio 2020 il Giudice relatore Daria de Pretis;

uditi gli avvocati Demetrio Verbaro per la Regione Calabria, Pietro Troianiello per la «Associazione EFFE SERVIZI» e per la «C.RO.NO. Service società cooperativa», Marco Giustiniani per la «Federazione Nazionale UGL Taxi» (UGL TAXI) e altri e l’avvocato dello Stato Giulio Bacosi per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 26 febbraio 2020.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 12-19 aprile 2019, depositato in cancelleria il 17 aprile 2019 e iscritto al n. 52 del registro ricorsi per il 2019, la Regione Calabria ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis, commi 1, lettere a), b), e) e f), 6, 7, 8 e 9, del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 11 febbraio 2019, n. 12.

La ricorrente premette che il settore degli autoservizi pubblici non di linea è oggetto da anni di un «percorso assai tortuoso», nel corso del quale il legislatore avrebbe tentato ripetutamente, ma infruttuosamente, di riformare in modo organico la disciplina contenuta nella legge 15 gennaio 1992, n. 21 (Legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea), nella quale l’art. 10-bis del d.l. n. 135 del 2018, qui censurato, inserisce nuove disposizioni.

Nel descrivere l’evoluzione del quadro normativo della materia, la ricorrente riferisce che la legge n. 21 del 1992 era già stata modificata in modo rilevante dall’art. 29, comma 1-quater, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni finanziarie urgenti), convertito, con modificazioni, nella legge 27 febbraio 2009, n. 14. La normativa così introdotta aveva «ridisegnato» la disciplina del servizio di noleggio con conducente (NCC) introducendo una serie di «forti vincoli» a tale attività, fra i quali l’obbligo di iniziare e terminare ogni singolo servizio alla rimessa, con rientro alla stessa, nonché l’obbligo di effettuare le prenotazioni sempre presso la rimessa. L’efficacia di tale disciplina, tuttavia, era stata immediatamente sospesa a seguito delle critiche sollevate dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), dapprima con l’adozione dell’art. 7-bis del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5 (Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi, nonché disposizioni in materia di produzione lattiera e rateizzazione del debito nel settore lattiero-caseario), convertito, con modificazioni, nella legge 9 aprile 2009, n. 33, e successivamente con una serie continua di proroghe della sospensione, sino al 29 dicembre 2018, data di emanazione del decreto-legge 29 dicembre 2018, n. 143 (Disposizioni urgenti in materia di autoservizi pubblici non di linea). Da ultimo, la materia è stata disciplinata dall’art. 10-bis del d.l. n. 135 del 2018, inserito dalla legge n. 12 del 2019 in sede di conversione, che riproduce le disposizioni già contenute nel d.l. n. 143 del 2018, abrogandolo contestualmente.

La Regione Calabria afferma che i commi 1, lettere a), b), e) e f), 6, 7, 8 e 9 del citato art. 10-bis introducono un nuovo regime dell’attività degli autoservizi pubblici non di linea, disciplinando nel dettaglio «le modalità operative di svolgimento, l’organizzazione del servizio e delle relative tempistiche, nonché gli obblighi specifici di documentazione».

Ciò premesso, la ricorrente propone cinque questioni di illegittimità costituzionale.

1.1.– Con la prima questione, lamenta la violazione del riparto di competenze tra lo Stato e le regioni e segnatamente la violazione dell’art. 117, commi secondo, lettera e), e quarto, della Costituzione. La dettagliata disciplina descritta invaderebbe la competenza regionale residuale in materia di trasporto pubblico locale e in ogni caso, anche volendo ricondurre l’intervento legislativo alla competenza statale “trasversale” in materia di «tutela della concorrenza», non rispetterebbe i criteri di adeguatezza e di proporzionalità che devono essere rispettati nel suo esercizio.

La ricorrente richiama innanzitutto la costante giurisprudenza costituzionale secondo cui, dopo la riforma del Titolo V, la materia del servizio pubblico di trasporto di linea e non di linea, in quanto non espressamente menzionata, deve considerarsi transitata nella competenza regionale residuale di cui all’art. 117, quarto comma, Cost. (è citata, tra le altre, la sentenza n. 5 del 2019).

A suo avviso, inoltre, l’intervento statale non potrebbe essere ricondotto alla competenza esclusiva in materia di «tutela della concorrenza» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., «in virtù della peculiarità operativa» che caratterizzerebbe le disposizioni impugnate. Al riguardo sono indicate, a titolo esemplificativo, le modifiche degli artt. 3, comma 1, e 11, comma 4, primo periodo, della legge n. 21 del 1992 (introdotte dal comma 1, lettere a e b, dell’art. 10-bis), sulle prenotazioni da effettuarsi «presso la rimessa o la sede» e anche «mediante l’utilizzo di sistemi tecnologici», nonché le ulteriori modifiche del comma 4 dell’art. 11 della legge n. 21 del 1992 sull’obbligo di rientro in rimessa dopo ogni servizio di NCC e sull’obbligo di compilazione e tenuta di un «foglio di servizio» in formato elettronico, che sarebbe aggravato da uno specifico regime transitorio concentrato su minuti dettagli, quale l’adozione di una numerazione progressiva dei fogli in formato cartaceo.

Un intervento così pervasivo non sarebbe giustificato dalla natura “trasversale” della materia della concorrenza, che potrebbe sì intersecare le competenze legislative regionali, ma solo nei limiti di quanto strettamente necessario ad assicurare gli interessi ai quali tale materia è preposta (è citata la sentenza n. 80 del 2006).

Secondo la Regione, le disposizioni impugnate non potrebbero essere in alcun modo ricondotte alla tutela della concorrenza e sembrerebbero al contrario finalizzate a comprimere il mercato del trasporto pubblico non di linea esercitato con NCC. Sul punto è richiamata la sentenza n. 452 del 2007, con cui questa Corte, scrutinando la legittimità di un intervento statale diretto a consentire ai comuni l’adozione di misure di allargamento della platea dei soggetti operanti nel mercato degli autoservizi pubblici non di linea, in asserita violazione della competenza regionale residuale, ha respinto la censura rilevando come le disposizioni impugnate si ponessero in una ragionevole e proporzionata relazione con gli obiettivi perseguiti, non travalicando i limiti della competenza trasversale dello Stato in materia di concorrenza. In sostanza, ad avviso della ricorrente la pronuncia avrebbe giustificato l’intervento statale in quanto finalizzato all’apertura di un mercato in condizioni concorrenziali deficitarie, e riconducibile quindi all’esercizio della potestà legislativa esclusiva statale in materia di «tutela della concorrenza».

Dalla pronuncia si dovrebbe dedurre, a contrario, che le disposizioni introdotte dall’art. 10-bis del d.l. n. 135 del 2018 non possono essere ricondotte alla citata competenza esclusiva statale, «quanto meno» nella parte in cui prevedono che «[l]’inizio ed il termine di ogni singolo servizio di noleggio con conducente devono avvenire presso le rimesse [...], con ritorno alle stesse», e che «[a] decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla piena operatività dell’archivio informatico pubblico nazionale delle imprese di cui al comma 3, non è consentito il rilascio di nuove autorizzazioni per l’espletamento del servizio di noleggio con conducente con autovettura, motocarrozzetta e natante», con ciò escludendo dal divieto di nuove autorizzazioni il servizio di taxi.

La non riconducibilità del nuovo regime del servizio di NCC alla potestà legislativa a tutela della concorrenza sarebbe poi desumibile dalle critiche mosse negli ultimi anni dall’AGCM all’analoga disciplina introdotta dall’art. 29, comma 1-quater, del d.l. n. 207 del 2008, nonché a quella contenuta nel d.l. n. 143 del 2018, poi «riversat[a]» nell’art. 10-bis del d.l. n. 135 del 2018.

1.1.1.– Terminata l’illustrazione della prima questione, la ricorrente espone alcune considerazioni, preliminari alla trattazione delle altre questioni, in tema di ridondanza sulle competenze regionali della violazione di parametri diversi da quelli che sovrintendono al riparto di attribuzioni. Tali considerazioni si compendiano nella riproduzione di parte di una pronuncia di questa Corte (sentenza n. 220 del 2013) e nell’assunto che «le norme oggi censurate, anche al di là della specifica invasione di materia, sono lesive anche in virtù della compromissione di altre attribuzioni e per il riverbero sul riparto di competenza fra Stato e Regioni, per come di seguito si rappresenterà».

1.2.– La seconda questione è posta in rapporto di dichiarata subordinazione alla prima, ove l’intervento statale fosse ricondotto alla competenza esclusiva in materia di «tutela della concorrenza».

Essa ha per oggetto i commi 1, lettere a), e) e f), e 8, dell’art. 10-bis. Tali previsioni, imponendo che le prenotazioni del servizio di NCC avvengano presso la sede o la rimessa, anche se mediante strumenti tecnologici, violerebbero l’art. 41 Cost., limitando «la libera iniziativa economica privata […] dei soggetti che offrono servizi che mettono in collegamento autisti professionisti dotati di autorizzazione NCC da un lato e domanda di mobilità dall’altro».

A sostegno della censura, sono richiamate e parzialmente riprodotte le considerazioni critiche svolte sul punto dall’AGCM nell’audizione parlamentare tenuta durante l’iter di conversione del d.l. n. 143 del 2018, e segnatamente il fatto che il vincolo prescritto mal si concilierebbe con il pur ammesso uso degli strumenti tecnologici di intermediazione, che imporrebbero invece una maggiore flessibilità nell’utilizzazione del servizio.

1.3.– La Regione lamenta in terzo luogo la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 49, 56 e da 101 a 109 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130.

La questione ha per oggetto i commi 1, lettere a), b), e) e f), 6 e 9 dell’art. 10-bis del d.l. n. 135 del 2018. Le limitazioni, introdotte con tali disposizioni, all’ambito territoriale entro cui l’attività di NCC può essere effettuata si porrebbero in contrasto con i principi comunitari di libertà di stabilimento, di libera prestazione dei servizi e di concorrenza.

L’obbligo di rientro in rimessa dopo ogni singolo servizio costituirebbe un evidente limite alla libertà di stabilimento tutelata dall’art. 49 del TFUE, in quanto imporrebbe un onere eccessivo agli operatori e renderebbe «più difficile e/o meno attrattivo» l’esercizio delle attività di NCC in Italia.

La ricorrente richiama le osservazioni critiche presentate dalla Commissione europea nel corso di un giudizio alla Corte di giustizia dell’Unione europea (cause riunite C-162/12 e C-163/12) e ricorda che la stessa Commissione europea avrebbe «paventato l’avvio di un procedimento d’infrazione» nei confronti dell’Italia nell’ambito di una procedura «EU Pilot», in quanto l’obbligo di effettuare la prenotazione presso la rimessa, introdotto dall’art. 29, comma 1-quater, del d.l. n. 207 del 2008 e successivamente sospeso, violava la libertà di stabilimento.

Le disposizioni impugnate si porrebbero in contrasto anche con la libertà di prestazione dei servizi tutelata all’art. 56 del TFUE, per l’irragionevole limitazione «di fatto» degli ambiti territoriali entro i quali l’attività di NCC può essere esercitata, e discriminerebbero anche «cittadini europei appartenenti a diverse regioni» (è citata la sentenza n. 271 del 2009).

La violazione dei principi di libera concorrenza (artt. da 101 a 109 del TFUE) si desumerebbe dalle citate considerazioni dell’AGCM, secondo cui «[i] suddetti limiti fisici in ordine alla prenotazione [appaiono] presentare un carattere restrittivo della concorrenza», così come «la limitazione territoriale provinciale», per superare la quale la stessa AGCM aveva auspicato che l’autorizzazione fosse concessa su base nazionale o, in subordine, regionale.

1.3.1.– In questo contesto, la ricorrente riprende l’argomento della ridondanza, ritenendo indubitabile che «dette violazioni ridondino in negativo sulla possibilità per le regioni di legiferare in materia». Il riferimento è operato, per esempio, alle «disposizioni contenute all’art. 10-bis, comma 6 della legge impugnata, che sospendono rilascio [sic] di nuove autorizzazioni NCC fino alla piena operatività del registro pubblico nazionale (e non anche per i taxi)», nonché alle «limitazioni territoriali ristrette all’ambito provinciale che non consentono alle regioni di disciplinare il trasporto interregionale [recte: intraregionale] e che non lasciano spazio per un intervento relativo alla mobilità interprovinciale».

1.4.– La quarta questione ha per oggetto il comma 1, lettera b), dell’art. 10-bis. Secondo la Regione Calabria esso violerebbe il principio di leale collaborazione ex art. 120 Cost., per l’estrema brevità del termine concesso per raggiungere in sede di Conferenza unificata una «diversa intesa» sulla prevista possibilità che il vettore NCC disponga di ulteriori rimesse nel territorio di altri comuni della medesima provincia o area metropolitana. Il termine è fissato al 28 febbraio 2019, appena quindici giorni dopo l’entrata in vigore della disposizione impugnata (il 13 febbraio 2019). Il principio di leale collaborazione non consentirebbe infatti, in base alla giurisprudenza costituzionale, che l’assunzione unilaterale dell’atto da parte dell’autorità centrale consegua automaticamente al mancato raggiungimento dell’intesa entro un determinato periodo di tempo, specie quando il termine previsto è molto breve (sono citate le sentenze n. 1 del 2016 e n. 165 del 2011).

«In subordine», il comma 1, lettera b), dell’art. 10-bis è impugnato nella parte in cui prevede che l’intesa possa essere raggiunta entro il 28 febbraio 2019 «invece che senza limitazioni di tempo»

1.5.– Con la quinta questione la Regione Calabria lamenta la violazione, ad opera delle disposizioni contenute ai commi 1, lettere b), e) e f), e 6 dell’art. 10-bis del d.l. n. 135 del 2018, degli artt. 3 e 9 Cost., per contrasto con i principi di uguaglianza e di ragionevolezza.

Le disposizioni impugnate violerebbero i citati parametri in quanto:

a) introdurrebbero deroghe ingiustificate a favore delle Regioni Siciliana e autonoma della Sardegna, prevedendo in particolare la validità sull’intero territorio regionale dell’autorizzazione rilasciata da un comune della regione (comma 1, lettera b, che sostituisce il comma 3 dell’art. 3 della legge n. 21 del 1992) e la possibilità per i conducenti di non fare rientro in rimessa al termine del primo servizio (comma 1, lettera f, che sostituisce il comma 4 dell’art. 11 della legge n. 21 del 1992);

b) limiterebbero di fatto l’autorizzazione a svolgere il servizio di NCC alla «sola operatività provinciale», mentre in altri ambiti del trasporto, «come per i servizi di mobilità su gomma a media e lunga percorrenza», è prevista anche una «autorizzazione su base nazionale», come rilevato dall’AGCM;

c) disporrebbero ingiustificatamente solo per il servizio di NCC, e non anche per il servizio di taxi, la sospensione del rilascio di nuove autorizzazioni fino alla piena operatività dell’archivio informatico pubblico nazionale previsto al comma 3 dello stesso art. 10-bis (comma 6);

d) nel prevedere l’obbligo di rientro in rimessa, ometterebbero irragionevolmente il bilanciamento con «gli aspetti legati alla tutela dell’ambiente (art. 9 Cost.)», «posto che le autovetture NCC viaggeranno senza alcun passeggero per il cinquanta per cento del tempo e del chilometraggio complessivo», ciò traducendosi in attività dannose per l’ambiente e nello spreco di risorse.

2.– Con atto depositato il 27 maggio 2019 si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’inammissibilità e comunque per l’infondatezza delle questioni.

2.1.– Sulla prima questione, l’Avvocatura osserva che, sebbene in via generale la materia del trasporto pubblico non di linea rientri tra quelle attribuite alla competenza esclusiva delle regioni, «le ricadute di tale attività nel settore della concorrenza sull’intero territorio nazionale» giustificano la previsione da parte dello Stato, nell’esercizio della competenza esclusiva in materia di «tutela della concorrenza» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., di indirizzi generali idonei a coordinare l’attività di programmazione e pianificazione da parte delle singole regioni, nonché l’attività dei comuni di rilascio delle autorizzazioni. L’art. 10-bis del d.l. n. 135 del 2018 costituirebbe dunque «a pieno titolo» espressione delle attribuzioni del legislatore nazionale in materia di concorrenza, alla luce della giurisprudenza costituzionale (è citata la sentenza n. 265 del 2016).

2.2.– Quanto all’asserita violazione di parametri estranei al riparto di competenze, la difesa statale eccepisce l’inammissibilità delle relative questioni per difetto di motivazione in ordine alla ridondanza delle dedotte violazioni sulle attribuzioni regionali (è citata la sentenza n. 78 del 2018).

Nel merito, le questioni sarebbero comunque infondate, poiché l’organica disciplina ora contenuta nella legge n. 21 del 1992 regolerebbe gli autoservizi pubblici non di linea con l’obiettivo di bilanciare le istanze concorrenziali poste a fondamento dell’intero sistema economico con le imprescindibili esigenze di tutela degli utenti e di garanzia della qualità del servizio.

Sarebbero infondate anche le censure mosse alla disciplina derogatoria per la Regione Siciliana e quella autonoma della Sardegna, in base alle quali l’autorizzazione rilasciata da un comune di quelle regioni è valida sull’intero territorio regionale. La previsione sarebbe giustificata dalla «peculiare configurazione orografica delle Regioni interessate nonché delle strutture del trasporto locale», tanto che proprio la sua assenza, auspicata dalla ricorrente, avrebbe potuto dare luogo a profili di disuguaglianza e irragionevolezza.

3.– Con atto depositato il 5 giugno 2019 sono intervenute nel giudizio, ad adiuvandum, la «Associazione EFFE SERVIZI» e la «C.RO.NO. Service società cooperativa».

4.– Con atto depositato il 1° luglio 2019 sono intervenuti nel giudizio, ad opponendum, la «Federazione Nazionale UGL Taxi» (UGL TAXI), la «Associazione Tutela Legale Taxi», la «Federazione Taxi CISAL Provinciale Roma» (FEDERTAXI), la «A.T.I. Taxi», la «TAM – Tassisti Artigiani Milanesi», la «ANAR –Associazione Nazionale Autonoleggiatori Riuniti», il « TAXIBLU – Consorzio Radiotaxi Satellitare società cooperativa» e i rispettivi rappresentanti legali, in proprio, quali titolari di licenze per taxi e di autorizzazioni per il noleggio con conducente.

5.– La Regione Calabria ha depositato il 10 gennaio 2020 una memoria, nella quale preliminarmente eccepisce l’inammissibilità degli interventi e replica all’eccezione dell’Avvocatura di inammissibilità per difetto di motivazione sulla ridondanza. A questo secondo riguardo osserva che l’eccezione non sarebbe conferente quanto alla lamentata violazione del principio di leale collaborazione desumibile dall’art. 120 Cost., giacché la violazione ridonderebbe in via immediata sulle attribuzioni regionali, mentre quanto al resto apparirebbe ben chiaro, nell’impostazione del ricorso, il collegamento delle censure rispetto alla violazione del riparto di competenze legislative.

Le censure relative alla violazione del principio di libera iniziativa economica, dei principi comunitari e dei principi di leale collaborazione, di uguaglianza e di ragionevolezza dimostrerebbero che «l’invasione della sfera di competenza delle Regioni da parte dello Stato ha comportato, quale conseguenza, anche la violazione di altri principi costituzionali a scapito delle stesse Regioni». Inoltre, attraverso tali censure sarebbe possibile analizzare il contenuto, il significato, la portata e gli effetti delle norme impugnate e, quindi, l’implausibilità dell’esercizio di competenze statali trasversali come la tutela della concorrenza, fungendo esse «d’ausilio» in relazione alla questione di competenza.

5.1.– Nell’illustrare la prima questione, la Regione osserva che per affermare la sussistenza della competenza trasversale dello Stato non basterebbe invocare la «tutela della concorrenza», dovendosi accertare se le norme abbiano per oggetto, diretto o indiretto, la concorrenza e se siano adeguate e proporzionate al fine prefissato.

Sotto il primo profilo, le disposizioni impugnate sarebbero completamente estranee alla materia della tutela della concorrenza, «sostanziandosi nella disciplina e nella regolamentazione dell’autoservizio NCC», al mero fine di organizzarlo e gestirlo nella sua totalità con norme dettagliate, modificando le regole fondamentali del suo esercizio e violando in tal modo le competenze legislative regionali (sono citate le sentenze n. 251 del 2016 e n. 345 del 2004).

Sotto il secondo profilo, le disposizioni censurate, nell’imporre l’ubicazione provinciale delle rimesse, le modalità di prenotazione presso la sede o le rimesse, l’obbligo di iniziare e terminare ogni singolo servizio alla rimessa, la compilazione e la tenuta del foglio di servizio contenente anche i dati del cliente (con sua “schedatura”) e la “moratoria” nel rilascio di nuove autorizzazioni, impedirebbero il pieno e libero accesso al mercato, limitando l’offerta dei servizi e obbligando di fatto il cliente a scegliere l’operatore non in base al rapporto qualità/prezzo, ma a criteri che favoriscono alcuni operatori (non soggetti a tali limiti) a scapito di altri.

5.2.– Dopo avere rinviato alle argomentazioni svolte nel ricorso quanto alle violazioni degli artt. 3, 41 e 117, primo comma, Cost., la Regione si sofferma sulla questione ex art. 120 Cost., osservando che, ove si riconducessero le disposizioni impugnate alla «tutela della concorrenza», la competenza statale non sarebbe comunque prevalente, onde il legislatore avrebbe dovuto prevedere forme di coinvolgimento delle regioni tramite preventiva intesa.

A tal fine l’intesa prevista al nuovo comma 3 dell’art. 3 della legge n. 21 del 1992 sarebbe inadeguata e insufficiente a garantire il rispetto del principio di leale collaborazione, essendo limitata a una sola delle regole introdotte dall’art. 10-bis e consentendo alle regioni di discutere esclusivamente sulla possibilità di eliminare per i titolari di autorizzazioni NCC la facoltà di istituire più rimesse su base provinciale e di imporre la base territoriale del comune che ha rilasciato l’autorizzazione.

Considerato in diritto

1.– La Regione Calabria ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis, commi 1, lettere a), b), e) e f), 6, 7, 8 e 9, del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 11 febbraio 2019, n. 12.

Le disposizioni impugnate introducono, insieme alle altre contenute nello stesso art. 10-bis, un nuovo regime dell’attività di noleggio con conducente (NCC).

1.1.– In via preliminare va ribadito quanto stabilito nell’ordinanza di cui è stata data lettura in udienza, allegata al presente provvedimento, sull’inammissibilità degli interventi ad adiuvandum della «Associazione EFFE SERVIZI» e della «C.RO.NO. Service società cooperativa», nonché degli interventi ad opponendum della «Federazione Nazionale UGL Taxi» (UGL TAXI), della «Associazione Tutela Legale Taxi», della «Federazione Taxi CISAL Provinciale Roma» (FEDERTAXI), della «A.T.I. Taxi», la «TAM – Tassisti Artigiani Milanesi», della «ANAR –Associazione Nazionale Autonoleggiatori Riuniti», del « TAXIBLU – Consorzio Radiotaxi Satellitare società cooperativa» e dei rispettivi rappresentanti legali, in proprio, quali titolari di licenze per taxi e di autorizzazioni per il noleggio con conducente.

Secondo il costante orientamento di questa Corte, il giudizio di legittimità costituzionale in via principale si svolge esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa e non ammette l’intervento di soggetti che ne siano privi, fermi restando per costoro, ove ne ricorrano i presupposti, gli altri mezzi di tutela giurisdizionale eventualmente esperibili (ex plurimis, sentenze n. 5 del 2018 e allegata ordinanza letta all’udienza del 21 novembre 2017, n. 242, n. 110 e n. 63 del 2016, n. 251 e n. 118 del 2015, n. 278 del 2010; ordinanza n. 213 del 2019). Tale orientamento va tenuto fermo anche a seguito delle modifiche delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale apportate con la delibera di questa Corte dell’8 gennaio 2020 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 17 del 22 gennaio 2020), non incidendo esse sui requisiti di ammissibilità degli interventi nei giudizi in via principale.

2.– La Regione Calabria ha promosso cinque questioni.

La prima riguarda la violazione della competenza residuale delle regioni ex art. 117, quarto comma, della Costituzione, in materia di trasporto pubblico locale. Delle altre questioni, una evoca il principio di leale collaborazione desumibile dall’art. 120 Cost., mentre le rimanenti si riferiscono a parametri che non interessano il riparto di attribuzioni: si tratta (seguendo l’ordine dei motivi di ricorso) degli artt. 3, 9, 41 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 49, 56 e da 101 a 109 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130.

Come si desume dalle motivazioni del ricorso, le norme impugnate sono investite nella loro interezza solo dalle censure con cui è lamentata la lesione della competenza residuale regionale; le altre questioni hanno singolarmente oggetti più limitati.

Nell’intestazione e nel dispositivo del ricorso è indicato, tra i parametri violati, anche l’art. 118 Cost., ma nella motivazione non se ne fa cenno, sicché in riferimento a esso l’impugnazione si deve ritenere inammissibile per totale carenza di motivazione.

3.– Per quello che qui rileva, l’attività di NCC è regolata dalla legge 15 gennaio 1992, n. 21 (Legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea). Il testo vigente della legge n. 21 del 1992 è il risultato delle modifiche introdotte prima dall’art. 29, comma 1-quater, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni finanziarie urgenti), convertito, con modificazioni, nella legge 27 febbraio 2009, n. 14, e successivamente dall’art. 10-bis del d.l. n. 135 del 2018, impugnato in questa sede.

Se ne tratteggia di seguito una rapida sintesi, mentre si illustreranno poi nel dettaglio le singole disposizioni incise dalla normativa censurata.

All’art. 1, la legge n. 21 del 1992 identifica gli autoservizi pubblici non di linea in «quelli che provvedono al trasporto collettivo od individuale di persone, con funzione complementare e integrativa rispetto ai trasporti pubblici di linea […] e che vengono effettuati, a richiesta dei trasportati o del trasportato, in modo non continuativo o periodico, su itinerari e secondo orari stabiliti di volta in volta» (comma 1). Lo stesso art. 1 stabilisce poi che «costituiscono autoservizi pubblici non di linea» i servizi di taxi e di NCC (comma 2).

Gli artt. 2 e 3 descrivono le caratteristiche di tali servizi.

Il servizio di taxi si rivolge a «una utenza indifferenziata», che richiede la prestazione in modo diretto grazie allo stazionamento in luogo pubblico dei mezzi, che devono essere distinguibili dagli altri autoveicoli; le tariffe sono determinate dagli organi competenti, che stabiliscono anche le modalità del servizio; il prelevamento dell’utente ovvero l’inizio del servizio «avvengono all’interno dell’area comunale o comprensoriale» (art. 2, comma 1). Nelle aree di riferimento, «la prestazione del servizio è obbligatoria» (comma 2).

Il servizio di NCC, alla luce della vigente formulazione dell’art. 3, si rivolge invece a una «utenza specifica», che «avanza, presso la sede o la rimessa, apposita richiesta per una determinata prestazione a tempo e/o viaggio anche mediante l’utilizzo di strumenti tecnologici» (art. 3, comma 1). Lo stazionamento dei mezzi non deve avvenire sulla pubblica via, ma all’interno delle apposite rimesse (comma 2). La sede operativa del vettore e almeno una rimessa «devono essere situate nel territorio del comune che ha rilasciato l’autorizzazione», con possibilità per il vettore «di disporre di ulteriori rimesse nel territorio di altri comuni della medesima provincia o area metropolitana in cui ricade il territorio del comune che ha rilasciato l’autorizzazione, previa comunicazione ai comuni predetti» (comma 3).

A tali limitazioni si aggiungono gli obblighi previsti dall’art. 11 della legge n. 21 del 1992, che al comma 4 impone ai titolari delle autorizzazioni NCC di ricevere nuove prenotazioni presso la rimessa o la sede e di iniziare e terminare ogni singolo servizio presso le rimesse medesime, nonché di compilare e tenere un «foglio di servizio in formato elettronico» riportante i dati del servizio svolto.

Pur sottoposto a questi vincoli, il trasporto può avvenire senza limiti territoriali, come si desume dalla previsione, contenuta sempre al comma 4 dell’art. 11, secondo cui «[i]l prelevamento e l’arrivo a destinazione dell’utente possono avvenire anche al di fuori della provincia o dell’area metropolitana in cui ricade il territorio del comune che ha rilasciato l’autorizzazione». Inoltre, a differenza del servizio taxi, non sono previsti obblighi tariffari (il corrispettivo è liberamente concordato) né di prestazione (la richiesta di trasporto può essere rifiutata).

La legge n. 21 del 1992 – che sin dal titolo si presenta come legge quadro in una materia, all’epoca, di potestà legislativa ripartita – riconosce poi in termini espliciti e ampi le competenze delle regioni in relazione agli autoservizi pubblici non di linea: «[l]e regioni esercitano le loro competenze in materia di trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, e nel quadro dei principi fissati dalla presente legge» (art. 4, comma 1). In particolare, è previsto (art. 4, comma 2) che le regioni stabiliscano i criteri cui devono attenersi i comuni nel redigere i regolamenti sull’esercizio degli autoservizi pubblici non di linea e che deleghino poi agli enti locali l’esercizio delle funzioni amministrative attuative.

I comuni provvedono a emanare tali regolamenti e a esercitare in concreto le funzioni amministrative concernenti il rilascio delle licenze taxi e delle autorizzazioni NCC e definiscono, nel contempo, il numero e la tipologia dei veicoli da adibire a tali servizi, le modalità di svolgimento e i criteri per la determinazione delle tariffe (art. 5).

L’art. 6 prescrive inoltre il conseguimento di un certificato di abilitazione professionale, nonché un esame da parte di un’apposita commissione regionale che verifica i requisiti di idoneità all’esercizio degli autoservizi pubblici non di linea, con particolare riferimento alla conoscenza geografica e toponomastica. Il possesso del certificato e il superamento dell’esame consentono l’iscrizione al ruolo dei conducenti di veicoli o natanti adibiti ad autoservizi pubblici non di linea, istituito presso le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, che costituisce presupposto indispensabile per ottenere le licenze e le autorizzazioni in materia.

La violazione di quanto disposto dagli artt. 3 e 11 è punita con la sospensione dal ruolo (di durata via via crescente in caso di progressiva recidiva) e con la cancellazione da esso alla quarta inosservanza (art. 11-bis).

3.1.– Come accennato, la disciplina del servizio di NCC contenuta nella legge n. 21 del 1992 è stata oggetto nel tempo di molteplici interventi.

In primo luogo, il citato d.l. n. 207 del 2008, all’art. 29, comma 1-quater, ha reso più stringenti i vincoli territoriali, aumentando anche i controlli sul loro rispetto e le sanzioni in caso di violazione. In particolare, sono stati introdotti a carico dei prestatori dei servizi di NCC: l’obbligo di avere la sede e la rimessa esclusivamente nel territorio del comune che ha rilasciato l’autorizzazione; l’obbligo di iniziare ogni singolo servizio dalla rimessa e di ritornarvi al termine del servizio; l’obbligo di compilare e tenere il «foglio di servizio»; l’obbligo di sostare, a disposizione dell’utenza, esclusivamente all’interno della rimessa. È stato inoltre confermato l’obbligo già previsto dalla legge n. 21 del 1992 di effettuazione presso le rimesse delle prenotazioni di trasporto.

Questa disciplina non ha tuttavia avuto applicazione per molto tempo.

L’efficacia dell’art. 29, comma 1-quater, è stata dapprima sospesa sino al 31 marzo 2010 in attesa della ridefinizione della disciplina dettata dalla legge 15 gennaio 1992, n. 21, in materia di trasporto di persone mediante autoservizi non di linea (art. 7-bis del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, recante Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi, nonché disposizioni in materia di produzione lattiera e rateizzazione del debito nel settore lattiero-caseario, convertito, con modificazioni, nella legge 9 aprile 2009, n. 33).

In seguito, perdurando la mancanza di tale «ridefinizione», l’art. 2, comma 3, del decreto-legge 25 marzo 2010 n. 40 (Disposizioni urgenti tributarie e finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali internazionali e nazionali operate, tra l’altro, nella forma dei cosiddetti «caroselli» e «cartiere», di potenziamento e razionalizzazione della riscossione tributaria anche in adeguamento alla normativa comunitaria, di destinazione dei gettiti recuperati al finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno della domanda in particolari settori), convertito, con modificazioni, nella legge 22 maggio 2010, n. 73, ha demandato a un decreto ministeriale, previa intesa con la Conferenza unificata, l’adozione di «urgenti disposizioni attuative, tese a impedire pratiche di esercizio abusivo del servizio di taxi e del servizio di noleggio con conducente o, comunque, non rispondenti ai principi ordinamentali che regolano la materia» e di indirizzi generali per l’attività di programmazione e pianificazione delle regioni ai fini del rilascio dei titoli autorizzativi da parte dei comuni. Tali misure non sono mai state emanate nonostante che, successivamente, il legislatore abbia più volte prorogato il termine per la loro adozione.

L’art. 10-bis del d.l. n. 135 del 2018, oggetto di impugnazione in questa sede, ha letteralmente e integralmente riprodotto le modifiche che, prima della scadenza dell’ultima proroga, erano state portate alla legge n. 21 del 1992 dall’art. 1 del decreto-legge 29 dicembre 2018, n. 143 (Disposizioni urgenti in materia di autoservizi pubblici non di linea), non convertito.

Per meglio comprendere l’assetto normativo vigente, va precisato che l’art. 10-bis ha a sua volta abrogato, a decorrere dal 1° gennaio 2019, sia il comma 3 dell’art. 2 del d.l. n. 40 del 2010 (al comma 5), che l’art. 7-bis del d.l. n. 5 del 2009 (al comma 7), che avevano sospeso l’efficacia della più stringente disciplina dettata dall’art. 29, comma 1-quater, del d.l. n. 207 del 2008. Di conseguenza, dalla indicata data del 1° gennaio 2019 hanno acquistato efficacia le disposizioni modificative della legge n. 21 del 1992 introdotte dall’art. 29, comma 1-quater, del d.l. n. 207 del 2008, come ulteriormente modificate dall’art. 10-bis del d.l. n. 135 del 2018, mentre è venuta meno la previsione di «urgenti disposizioni attuative» dirette a contrastare il fenomeno dell’abusivismo, da adottare con decreto ministeriale.

3.2.– Come visto, la ricorrente impugna le seguenti parti dell’art. 10-bis: le lettere a), b), e) e f) del comma 1, nonché i commi 6, 7, 8 e 9. Prima di passare all’esame delle singole censure, conviene esaminare nel dettaglio il contenuto di tali disposizioni.

La lettera a) del comma 1 modifica il comma 1 dell’art. 3 della legge n. 21 del 1992, che definisce le caratteristiche del servizio di NCC e le modalità di richiesta delle prestazioni, sostituendo le parole «presso la rimessa» con le seguenti: «presso la sede o la rimessa» e aggiungendo alla fine le parole «anche mediante l’utilizzo di strumenti tecnologici».

La lettera b) del comma 1 sostituisce integralmente il comma 3 dello stesso art. 3. Con tale intervento, il legislatore ha previsto, in primo luogo, che le prestazioni di NCC possano essere richieste dall’utenza, oltre che nella rimessa, anche presso la sede del vettore e ha specificato che le richieste possono avvenire anche mediante l’utilizzo di strumenti tecnologici.

Il nuovo comma 3 dell’art. 3 ribadisce poi che la sede operativa del vettore NCC e (almeno) una rimessa devono essere situate nel territorio del comune che ha rilasciato l’autorizzazione. La previsione si collega a quella dell’art. 8, comma 3, della stessa legge n. 21 del 1992 (come modificato dall’art. 29, comma 1-quater, del d.l. n. 207 del 2008 e non oggetto di impugnazione), alla cui stregua «per poter conseguire e mantenere l’autorizzazione per il servizio di noleggio con conducente è obbligatoria la disponibilità, in base a valido titolo giuridico, di una sede, di una rimessa o di un pontile di attracco situati nel territorio del comune che ha rilasciato l’autorizzazione».

È stata tuttavia introdotta la possibilità per il vettore di avere ulteriori rimesse nel territorio di altri comuni della medesima provincia o area metropolitana in cui ricade il territorio del comune che ha rilasciato l’autorizzazione, previa comunicazione ai comuni predetti e salvo diversa intesa raggiunta in Conferenza unificata entro il 28 febbraio 2019.

Con le descritte modifiche il legislatore del 2018, pur conservando vincoli territoriali nell’organizzazione del servizio di NCC, ha voluto introdurre elementi di flessibilità rispetto alla fisionomia “disegnata” nel 2008 con l’adozione del citato art. 29, comma 1-quater. Mentre in precedenza il vettore poteva ricevere la richiesta dell’utente solo presso la sede e lo stazionamento del mezzo doveva avvenire nell’unica rimessa a disposizione, ubicata esclusivamente nel territorio del comune che aveva rilasciato l’autorizzazione, la nuova disciplina consente al vettore di disporre di più rimesse situate in più comuni e di stazionare dunque in luoghi diversi, anche se sempre all’interno della provincia o dell’area metropolitana in cui ricade il comune che ha rilasciato l’autorizzazione.

Una deroga a tale disciplina è prevista, «in ragione delle specificità territoriali e delle carenze infrastrutturali», per la Sicilia e la Sardegna, dove «l’autorizzazione rilasciata in un comune della regione è valida sull’intero territorio regionale» e i vettori NCC, che devono avere «la sede operativa e almeno una rimessa» entro il territorio regionale (non già solo comunale), in tale stesso ambito possono stazionare con il mezzo, ricevere le richieste e, come si vedrà, iniziare e terminare ogni singolo servizio.

La lettera e) del comma 1 dell’art. 10-bis sostituisce il comma 4 dell’art. 11 della legge n. 21 del 1992, già sostituito dall’art. 29, comma 1-quater, del d.l. n. 207 del 2008.

Dopo avere stabilito (in linea con il disposto dell’art. 3, comma 1) che «le prenotazioni di trasporto per il servizio di noleggio con conducente sono effettuate presso la rimessa o la sede, anche mediante l’utilizzo di strumenti tecnologici» (primo periodo), il nuovo comma 4 prevede che l’inizio e il termine di ogni singolo servizio di NCC «devono avvenire presso le rimesse di cui all’articolo 3, comma 3, con ritorno alle stesse» (secondo periodo), mentre «[i]l prelevamento e l’arrivo a destinazione dell’utente possono invece avvenire anche al di fuori della provincia o dell’area metropolitana in cui ricade il territorio del Comune che ha rilasciato l’autorizzazione» (terzo periodo).

Rispetto al vincolo imposto dal previgente comma 4 – secondo il quale, in linea con l’ambito comunale della restrizione territoriale allora operante, «[l]’inizio ed il termine di ogni singolo servizio di noleggio con conducente devono avvenire alla rimessa, situata nel comune che ha rilasciato l’autorizzazione, con ritorno alla stessa» – la norma allarga la sfera di potenziale operatività alla dimensione provinciale (o di area metropolitana). In coerenza con la possibilità di disporre di ulteriori rimesse introdotta dal nuovo comma 3 dell’art. 3 – che di fatto già autorizza il vettore a operare all’interno della provincia – l’inizio e la fine del servizio di NCC possono ora avvenire anche in rimesse situate in altri comuni della provincia (o dell’area metropolitana) di riferimento.

Il nuovo comma 4 mantiene anche l’obbligo del “foglio di servizio”, ma ne impone la compilazione e la tenuta «in formato elettronico», demandando la definizione delle specifiche tecniche a un decreto ministeriale, in attesa del quale il foglio di servizio è sostituito da una versione cartacea.

La lettera f) inserisce, dopo il comma 4 dell’art. 11, i commi 4-bis e 4-ter.

Il comma 4-bis prevede una deroga all’obbligo di rientro in rimessa dopo ogni servizio, consentendo di iniziare un nuovo trasporto anche senza il rientro in rimessa nel caso di più prenotazioni, oltre la prima, risultanti dal foglio di servizio, «con partenza o destinazione all’interno della provincia o dell’area metropolitana in cui ricade il territorio del comune che ha rilasciato l’autorizzazione». Una deroga più ampia è prevista a favore dei vettori operanti in Sicilia e Sardegna, per i quali «partenze e destinazioni possono ricadere entro l’intero territorio regionale».

Il nuovo comma 4-ter chiarisce infine che, fermo il divieto di sosta in posteggio di stazionamento su suolo pubblico nei comuni ove sia esercitato il servizio di taxi (art. 11, comma 3), nel servizio di NCC «è in ogni caso consentita la fermata su suolo pubblico durante l’attesa del cliente che ha effettuato la prenotazione del servizio e nel corso dell’effettiva prestazione del servizio stesso».

Il comma 6 dell’art. 10-bis va letto insieme al comma 3 (non impugnato) dello stesso articolo, che prevede l’istituzione, entro un anno dall’entrata in vigore del d.l. n. 135 del 2018, come convertito, di «un registro informatico pubblico nazionale delle imprese titolari di licenza per il servizio taxi [...] e di quelle di autorizzazione per il servizio di noleggio con conducente [...]», demandando a un decreto ministeriale l’individuazione delle «specifiche tecniche di attuazione e le modalità con le quali le predette imprese dovranno registrarsi». Il comma 6 impugnato introduce per il periodo intermedio una sorta di moratoria nel rilascio di nuove autorizzazioni per l’espletamento del servizio di noleggio con conducente, stabilendo che non è consentito «fino alla piena operatività dell’archivio informatico pubblico nazionale delle imprese di cui al comma 3 [...]».

Con il comma 7 dell’art. 10-bis è abrogato, a decorrere dal 1° gennaio 2019, l’art. 7-bis del d.l. n. 5 del 2009, con la conseguenza che viene così definitivamente meno la sospensione dell’efficacia dell’art. 29, comma 1-quater, del d.l. n. 207 del 2008 disposta dalla norma abrogata.

Il comma 8 dell’art. 10-bis prevede che venga disciplinata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri l’attività delle piattaforme tecnologiche di intermediazione della domanda e offerta di autoservizi pubblici non di linea.

Il successivo comma 9 introduce un’altra deroga all’obbligo di rientro in rimessa dopo ogni servizio, consentendo che, fino alla data di adozione delle deliberazioni della Conferenza unificata di cui al nuovo art. 3, comma 3, della legge n. 21 del 1992 (sostituito, come visto, dal comma 1, lettera b, dell’art. 10-bis), e comunque per un periodo non superiore a due anni dalla data di entrata in vigore del d.l. n. 135 del 2018, l’inizio di un nuovo servizio, fermo l’obbligo di prenotazione, possa avvenire senza il rientro in rimessa anche quando il servizio e` svolto in esecuzione di un contratto concluso in forma scritta tra il vettore e il cliente, avente data certa sino a 15 giorni antecedenti alla predetta data di entrata in vigore e debitamente registrato, da tenere a bordo o in sede e da esibire in caso di controlli.

In sintesi, il nucleo precettivo delle norme impugnate su cui si incentra la maggior parte delle censure avanzate dalla Regione Calabria è costituito dagli interventi sugli artt. 3 e 11 della legge n. 21 del 1992, che delineano le caratteristiche del servizio di NCC e gli obblighi gravanti sui titolari delle relative autorizzazioni. Si tratta di interventi che interessano, come visto, i vincoli già introdotti dall’art. 29, comma 1-quater, del d.l. n. 207 del 2008, rendendoli in una certa misura più flessibili ma conservandone l’essenza.

4.– Così illustrato il contenuto delle disposizioni statali censurate, occorre preliminarmente sgombrare il campo da un possibile profilo di inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale promosse dalla Regione Calabria che investono disposizioni modificative o sostitutive di disposizioni previgenti, le quali, lette dall’angolo visuale in cui si pone la ricorrente, presentavano esse stesse un contenuto ugualmente (anzi, in taluni casi maggiormente) lesivo della competenza regionale di cui è lamentata la violazione. Tali sono in particolare i commi 1 e 3 dell’art. 3 e il comma 4 dell’art. 11 della legge n. 21 del 1992, nel testo introdotto dall’art. 29, comma 1-quater, del d.l. n. 207 del 2008, che la Regione non ha a suo tempo impugnato.

La circostanza non esclude tuttavia l’ammissibilità del gravame regionale, alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui nei giudizi in via principale non si applica l’istituto dell’acquiescenza, atteso che la norma impugnata, anche se riproduttiva, in tutto o in parte, di una norma anteriore non impugnata, ha comunque l’effetto di reiterare la lesione da cui deriva l’interesse a ricorrere (ex plurimis, sentenze n. 41 del 2017, n. 231 e n. 39 del 2016).

Inoltre, sempre per costante orientamento di questa Corte, «il giudizio promosso in via principale è condizionato alla mera pubblicazione di una legge che si ritenga lesiva della ripartizione di competenze, a prescindere dagli effetti che essa abbia prodotto (ex multis, sentenze n. 262 del 2016 e n. 118 del 2015). Questo non esclude, comunque, che debba sussistere un interesse attuale e concreto a proporre l’impugnazione, per conseguire, attraverso la pronuncia richiesta, un’utilità diretta e immediata; interesse che, peraltro, nei giudizi in esame consiste nella tutela delle competenze legislative nel rispetto del riparto delineato dalla Costituzione. Se, dunque, da una parte, le Regioni hanno titolo a denunciare soltanto le violazioni che siano in grado di ripercuotere i loro effetti sulle prerogative costituzionalmente loro riconosciute (ex plurimis, sentenze n. 68 del 2016 e n. 216 del 2008), dall’altra, ciò è anche sufficiente ai fini dell’ammissibilità delle questioni a tal fine proposte» (sentenza n. 195 del 2017; nello stesso senso, sentenze n. 178 del 2018 e n. 235 del 2017).

5.– Con una censura che investe tutte le disposizioni impugnate, la Regione lamenta innanzitutto la violazione del riparto delle attribuzioni tra lo Stato e le regioni.

L’introduzione di una dettagliata disciplina delle modalità operative di svolgimento, dell’organizzazione e delle tempistiche del servizio di NCC, nonché di obblighi specifici di documentazione, invaderebbe la competenza regionale residuale in materia di trasporto pubblico locale (art. 117, quarto comma, Cost.). L’intervento legislativo statale, infatti, non potrebbe essere ricondotto alla competenza trasversale in materia di «tutela della concorrenza», prevista dallo stesso art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. In ogni caso, anche volendolo ascrivere a tale materia, non sarebbero rispettati i canoni di adeguatezza e di proporzionalità che condizionano l’esercizio di detta competenza.

5.1.– In via preliminare la questione va dichiarata inammissibile per difetto di adeguata motivazione quanto al comma 1, lettera f), nella parte in cui aggiunge il comma 4-ter all’art. 11 della legge n. 21 del 1992, e ai commi 7 e 8 dell’art. 10-bis. La ricorrente non indica infatti alcuna specifica censura a tali disposizioni, il cui contenuto non è toccato dalle ragioni dell’impugnazione.

5.2.– Passando al merito, la Regione Calabria contesta la disciplina del servizio di noleggio con conducente introdotta con legge statale, in quanto lesiva dell’art. 117, commi secondo, lettera e), e quarto, Cost.

Conviene precisare che il riferimento, contenuto nel ricorso, all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., si può considerare come operato al fine di dimostrare che le norme impugnate non possono essere ricondotte a quell’ambito di competenza statale esclusiva, e non come parametro dedotto a fondamento dell’impugnazione: ciò che la renderebbe inammissibile, non essendo concesso alla regione di dedurre, a fondamento di un proprio ipotetico titolo di intervento, una competenza primaria riservata in via esclusiva allo Stato, neppure quando essa si intreccia con distinte competenze di sicura appartenenza regionale (ex plurimis, sentenze n. 114 del 2017, n. 202 del 2016 e n. 116 del 2006).

Prima della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, la materia «tranvie e linee automobilistiche di interesse regionale» era espressamente assegnata alla Regioni in regime di potestà legislativa concorrente e la legislazione statale puntualmente ricomprendeva in essa anche «i servizi pubblici di trasporto di persone e merci» (art. 84 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, recante «Attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382»). La stessa citata legge n. 21 del 1992 di disciplina organica del settore degli autoservizi pubblici non di linea si poneva come «legge quadro» di definizione dei principi fondamentali, restando assegnato alla competenza delle regioni di disciplinare per il resto la materia ai sensi del richiamato d.P.R. n. 616 del 1977 (art. 4).

Il trasporto pubblico locale continua a essere, anche successivamente alla riforma, materia regionale, transitata, secondo il costante orientamento di questa Corte, nell’ambito della competenza regionale residuale di cui all’art. 117, quarto comma, Cost. (ex multis, sentenze n. 137 e n. 78 del 2018, n. 30 del 2016 e n. 452 del 2007), come è stato confermato, anche di recente, con riferimento al settore del «servizio pubblico di trasporto, di linea e non di linea» (sentenza n. 5 del 2019).

L’esistenza di una competenza regionale avente ad oggetto anche il trasporto pubblico locale non di linea autorizza dunque la Regione ricorrente a impugnare le disposizioni statali che incidono sull’oggetto della sua competenza, ove essa ritenga che le sue attribuzioni nella materia siano state lese.

5.3.– Se dunque il servizio di trasporto locale non di linea costituisce legittimo oggetto della potestà legislativa regionale, nondimeno anche su di esso lo Stato può esercitare la competenza esclusiva in materia di «tutela della concorrenza» prevista all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, stante la natura «trasversale» e il carattere «finalistico» della competenza attribuita in materia allo Stato, la tutela della concorrenza assume infatti carattere prevalente e funge da limite alla disciplina che le regioni possono dettare nelle materie di loro competenza, concorrente o residuale (sentenze n. 83 del 2018, n. 165 del 2014, n. 38 del 2013 e n. 299 del 2012), potendo influire su queste ultime fino a incidere sulla totalità degli ambiti materiali entro cui si estendono, sia pure nei limiti strettamente necessari per assicurare gli interessi alla cui garanzia la competenza statale esclusiva è diretta (ex plurimis, sentenze n. 287 del 2016, n. 2 del 2014, n. 291 e n. 18 del 2012, n. 150 del 2011, n. 288 e n. 52 del 2010, n. 452, n. 431, n. 430 e n. 401 del 2007 e n. 80 del 2006).

D’altro canto, che la propria potestà legislativa in materia di trasporto pubblico locale possa essere limitata in ragione dell’intervento statale a tutela della concorrenza è riconosciuto dalla stessa Regione ricorrente, la quale tuttavia contesta che la normativa censurata sia effettivamente riconducibile alla tutela della concorrenza in quanto, a suo dire, non sarebbe affatto diretta a tale fine e mirerebbe anzi a comprimere il mercato del trasporto pubblico non di linea esercitato con NCC. Subordinatamente, per il caso in cui l’intervento statale dovesse essere ricondotto alla tutela della concorrenza, la ricorrente ne lamenta la sproporzione e censura il superamento dei limiti entro i quali soltanto il legislatore statale, nell’esercizio di una competenza trasversale, può incidere in ambiti assegnati alla potestà regionale.

5.4.– Occorre dunque chiarire se le previsioni censurate siano riconducibili alla materia della tutela della concorrenza, tenendo conto a questo fine, in applicazione dei consueti criteri di individuazione della materia in cui una certa disposizione ricade, «della sua ratio, della finalità che persegue, del contenuto e dell’oggetto delle singole disposizioni, [...] tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi in modo da identificare così correttamente e compiutamente l’interesse tutelato (ex plurimis, sentenze n. 245 del 2015, n. 167 e 121 del 2014)» (sentenza n. 287 del 2016).

La giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che «la nozione di “concorrenza” di cui al secondo comma, lettera e), dell’art. 117 Cost., non può non riflettere quella operante in ambito europeo (sentenze n. 83 del 2018, n. 291 e n. 200 del 2012, n. 45 del 2010). Essa comprende, pertanto, sia le misure legislative di tutela in senso proprio, intese a contrastare gli atti e i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull’assetto concorrenziale dei mercati, sia le misure legislative di promozione, volte a eliminare limiti e vincoli alla libera esplicazione della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese (concorrenza “nel mercato”), ovvero a prefigurare procedure concorsuali di garanzia che assicurino la più ampia apertura del mercato a tutti gli operatori economici (concorrenza “per il mercato”)» (ex plurimis, sentenza n. 137 del 2018).

Di recente, scrutinando una disposizione di legge regionale proprio in tema di NCC (si trattava di noleggio di autobus con conducente, disciplinato dalla legge 11 agosto 2003, n. 218, recante «Disciplina dell’attività di trasporto di viaggiatori effettuato mediante noleggio di autobus con conducente»), questa Corte ha precisato che lo Stato, esercitando in tale ambito la propria competenza esclusiva per la tutela della concorrenza, ha inteso «definire il punto di equilibrio fra il libero esercizio dell’attività di trasporto e gli interessi pubblici interferenti con tale libertà (art. 1, comma 4, della legge n. 218 del 2003). Il bilanciamento così operato – fra la libertà di iniziativa economica e gli altri interessi costituzionali –, costituendo espressione della potestà legislativa statale nella materia della “tutela della concorrenza”, definisce un assetto degli interessi che il legislatore regionale non è legittimato ad alterare (sentenza n. 80 del 2006)» (sentenza n. 30 del 2016). Tale bilanciamento, nel cui ambito la valutazione degli interessi confliggenti deve essere intesa sempre in senso sistemico, complessivo e non frazionato, può dunque condurre a un esito in forza del quale la tutela della concorrenza «si attua anche attraverso la previsione e la correlata disciplina delle ipotesi in cui viene eccezionalmente consentito di apporre dei limiti all’esigenza di tendenziale massima liberalizzazione delle attività economiche» (sentenza n. 30 del 2016, che richiama la sentenza n. 49 del 2014).

Successivamente, occupandosi di un’altra legge regionale che definiva il novero dei soggetti abilitati a operare nel settore dei trasporti di persone con le nuove modalità consentite dai supporti informatici e riservava in via esclusiva tali attività alle categorie abilitate a prestare i servizi di taxi e di NCC, questa Corte ha ribadito, richiamando la sentenza n. 30 del 2016, che «rientra nella competenza legislativa esclusiva statale per la tutela della concorrenza definire i punti di equilibrio fra il libero esercizio d[elle] attività [economiche] e gli interessi pubblici con esso interferenti» (sentenza n. 265 del 2016).

Alla luce di queste indicazioni, anche l’impugnata disciplina del servizio di NCC deve essere ricondotta alla materia della «tutela della concorrenza», giacché in essa si individua, ad opera del legislatore statale a ciò competente, il punto di equilibrio tra il libero esercizio dell’attività di NCC – che si colloca a sua volta nel suo proprio mercato – e l’attività di trasporto esercitata dai titolari di licenze per taxi.

Quest’ultima attività costituisce, al pari di quella di noleggio con conducente, un servizio pubblico locale non di linea, ma è destinata, a differenza della seconda, a un’utenza indifferenziata e ad essa si applica il regime di obbligatorietà della prestazione e di tariffe fisse determinate amministrativamente, finalizzato a tutelare l’interesse pubblico alla capillarità e doverosità del trasporto non di linea a costo contenuto. Nell’affidare tale servizio ai titolari di licenze per taxi, lo Stato ha compiuto nel 1992 una scelta legislativa che non è in discussione in questa sede e che è stata confermata nelle sue linee essenziali anche attraverso l’espressa sottrazione del settore dal campo di applicazione dei vari provvedimenti per la liberalizzazione, di matrice europea o schiettamente nazionale, che si sono succeduti nel frattempo. D’altra parte, la configurazione del mercato tramite la fissazione di determinate condizioni per l’accesso degli operatori al settore rientra nella materia della concorrenza. Pronunciandosi proprio in tema di autoservizi pubblici non di linea, questa Corte ha già affermato che «[d]efinire quali soggetti siano abilitati a offrire talune tipologie di servizi è decisivo ai fini della configurazione di un determinato settore di attività economica: si tratta di una scelta che impone un limite alla libertà di iniziativa economica individuale e incide sulla competizione tra operatori economici nel relativo mercato», sicché «tale profilo rientra a pieno titolo nell’ampia nozione di concorrenza di cui al secondo comma, lettera e), dell’art. 117 Cost.» (sentenza n. 265 del 2016).

È appena il caso di osservare che nemmeno il giudizio negativo sul livello di apertura alla concorrenza del mercato degli autoservizi pubblici non di linea, che la ricorrente formula facendo propri, fra gli altri, vari interventi dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), mette realmente in discussione la competenza dello Stato a regolare tale mercato anche al fine di preservarne la struttura, tenendo distinti i due settori dell’autoservizio pubblico non di linea. Sicché risulta confermata l’inerenza di tale disciplina alla materia della tutela della concorrenza e la riconducibilità alle scelte politiche del legislatore statale del mantenimento di detta distinzione.

Intervenendo direttamente sull’organizzazione e sullo svolgimento del servizio di NCC, il legislatore statale ha adottato misure dirette allo scopo di assicurarne l’effettiva destinazione a un’utenza specifica e non indifferenziata e a evitare interferenze con il servizio di taxi, con l’obiettivo di rafforzare, tramite il contrasto dei diffusi comportamenti abusivi presenti nel settore, un assetto di mercato definito con norme in cui si esprime il bilanciamento tra la libera iniziativa economica e gli altri interessi in gioco. La sintesi fra tutti questi interessi richiede invero una disciplina uniforme, finalizzata a garantire condizioni omogenee di mercato e assenza di distorsioni della concorrenza su base territoriale, che si potrebbero verificare qualora le condizioni di svolgimento del servizio di NCC variassero da regione a regione, salva restando la possibilità di regimi differenziati per situazioni particolari, la cui valutazione rientra nelle medesime attribuzioni statali.

In questa complessa opera di bilanciamento, alla quale concorrono tutte le disposizioni impugnate, si inquadra anche la previsione del vincolo di ubicazione in ambito provinciale (o di area metropolitana) delle ulteriori rimesse consentite in aggiunta alla prima, ai sensi dell’art. 3, comma 3, secondo periodo, della legge n. 21 del 1992, come sostituito dall’art. 10-bis, comma 1, lettera b). Il legislatore statale, nell’esercizio della sua discrezionalità, ha così individuato nel territorio provinciale la dimensione organizzativa ottimale del servizio di NCC, tenendo conto della sua vocazione locale che giustifica la correlata introduzione di limiti al libero esercizio dell’attività di trasporto. Tale servizio – pur potendo essere svolto senza vincoli territoriali di prelevamento e di arrivo a destinazione dell’utente (art. 11, comma 4, terzo periodo, della legge n. 21 del 1992, come sostituito dall’art. 10-bis, comma 1, lettera e) – mira infatti a soddisfare, in via complementare e integrativa (art. 1, comma 1, della legge n. 21 del 1992), le esigenze di trasporto delle singole comunità, alla cui tutela è preposto il comune che rilascia l’autorizzazione. In questa prospettiva, che trova eco nella giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 23 giugno 2016, n. 2807), ciò che viene percepito dalla ricorrente come una discriminatoria restrizione della concorrenza su base territoriale costituisce invece un limite intrinseco alla stessa natura del servizio, che peraltro il legislatore del 2018 ha temperato consentendo la localizzazione sul territorio provinciale di più rimesse e superando con ciò il vincolo di ubicazione di un’unica rimessa in ambito esclusivamente comunale, in precedenza dettato dall’art. 29, comma 1-quater, del d.l. n. 207 del 2008.

5.5.– Stabilito che l’intervento statale, per i suoi contenuti e la sua funzione, costituisce espressione della competenza legislativa esclusiva in materia di tutela della concorrenza ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., occorre ancora verificare se la scelta adottata in concreto, con la previsione degli obblighi gravanti sui vettori NCC su cui si incentrano le censure della ricorrente, sia adeguata e proporzionata rispetto all’obiettivo prefissato.

Come questa Corte ha da tempo chiarito, infatti, il riferimento alla tutela della concorrenza non può «essere così pervasivo da assorbire, aprioristicamente, le materie di competenza regionale» (sentenza n. 98 del 2017) e l’esercizio della competenza trasversale in materia, quando interseca titoli di potestà regionale, deve rispettare i limiti dell’adeguatezza e della proporzionalità rispetto al fine perseguito e agli obiettivi attesi (ex plurimis, sentenze n. 137 del 2018, n. 452 e n. 401 del 2007).

Ciò non esclude peraltro che, una volta ricondotto l’intervento statale al legittimo esercizio di una potestà legislativa esclusiva di carattere trasversale e quindi valutato esso positivamente in termini di proporzionalità e adeguatezza, tale intervento possa presentare «anche un contenuto analitico» (sentenze n. 452 e n. 401 del 2007).

5.6.– Valutate le disposizioni impugnate alla luce di tali princìpi, solo una di esse non risulta rientrare nei limiti indicati e solo con riferimento ad essa, dunque, la questione in esame deve ritenersi fondata, nella parte in cui investe la previsione dell’art. 10-bis, comma 1, lettera e), del d.l. n. 135 del 2018 che ha sostituito il secondo periodo del comma 4 dell’art. 11 della legge n. 21 del 1992.

In via generale, si deve osservare che l’estrema facilità con cui possono essere commessi abusi nel settore del trasporto pubblico locale non di linea e, per converso, l’estrema difficoltà dei controlli e di conseguenza della repressione delle condotte – ciò che rende l’apparato sanzionatorio (pur previsto) poco dissuasivo – giustificano l’adozione di misure rigorose dirette a prevenire la possibilità di abusi. La verifica della ragionevolezza delle misure assunte e della proporzionalità degli obblighi imposti a tali fini va condotta alla stregua dei criteri indicati nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in particolare il principio di proporzionalità tanto più deve trovare rigorosa applicazione nel contesto delle relazioni fra Stato e regioni, quanto più, come nel caso in esame, la previsione statale comporti una significativa compressione dell’autonomia regionale, precisando che il test di proporzionalità richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi (ex plurimis, sentenze n. 137 del 2018 e n. 272 del 2015).

5.6.1.– In questa logica, l’obbligo di ricevere le richieste di prestazioni e le prenotazioni presso la rimessa o la sede, anche con l’utilizzo di strumenti tecnologici, e l’obbligo di compilare e tenere un “foglio di servizio” (art. 11, comma 4, quarto, quinto e sesto periodo, della legge n. 21 del 1992, come sostituito dall’art. 10-bis, comma 1, lettera e), costituiscono misure non irragionevoli e non sproporzionate. Esse appaiono infatti per un verso adeguate ad assicurare l’effettività del fondamentale divieto per i vettori NCC di rivolgersi a un’utenza indifferenziata senza sottostare al regime del servizio pubblico di piazza, e per altro verso impositive di un onere a carico dei vettori NCC rapportato alle caratteristiche del servizio offerto – che presuppone pur sempre un’apposita e nominativa richiesta di prestazione – e non eccessivamente gravoso, essendo possibile farvi fronte senza un aggravio dell’organizzazione dell’azienda, che presuppone comunque la necessità di una sede o di una rimessa come base dell’attività aziendale.

5.6.2.– Nemmeno la censurata previsione del comma 6 dell’art. 10-bis, che vieta temporaneamente il rilascio di nuove autorizzazioni per il servizio di NCC fino alla piena operatività del registro informatico pubblico nazionale delle imprese del settore, introdotto al comma 3 dello stesso art. 10-bis, risulta superare gli indicati limiti. Essa è giustificata da ragioni di opportunità, avendo il fine di bloccare il numero delle imprese operanti nel settore per il tempo tecnico strettamente necessario ad adottare in concreto il nuovo registro. Né essa comporta, come lamenta la ricorrente, un’irragionevole restrizione della concorrenza a vantaggio dei titolari di licenze per taxi, per le quali il divieto temporaneo di rilascio non opera. La diversità – per modalità di svolgimento, regime tariffario, ambito di operatività, rapporti con l’utenza, eccetera – dei due tipi di autoservizi pubblici non di linea e la loro necessaria reciproca distinzione, a cui presidio sono poste proprio le misure in esame – compresa quella dell’iscrizione nel registro informatico in via di predisposizione – escludono che la politica delle licenze adottata per uno di essi possa determinare vantaggi o pregiudizi per l’altro.

5.6.3.– La verifica di adeguatezza e proporzionalità dell’intervento statale dà invece esito negativo quanto alla previsione dell’obbligo di iniziare e terminare ogni singolo servizio di NCC presso le rimesse, con ritorno alle stesse, ai sensi di quanto previsto dal secondo periodo del comma 4 dell’art. 11, della legge n. 21 del 1992, come sostituito dall’art. 10-bis, comma 1, lettera e), del d.l. n. 135 del 2018.

Il rigido vincolo imposto dal legislatore – derogabile nei limitati casi previsti al nuovo comma 4-bis dell’art. 11 della legge n. 21 del 1992 e al comma 9 dell’art. 10-bis – si risolve infatti in un aggravio organizzativo e gestionale irragionevole, in quanto obbliga il vettore, nonostante egli possa prelevare e portare a destinazione uno specifico utente in ogni luogo, a compiere necessariamente un viaggio di ritorno alla rimessa “a vuoto” prima di iniziare un nuovo servizio. La prescrizione non è solo in sé irragionevole – come risulta evidente se non altro per l’ipotesi in cui il vettore sia chiamato a effettuare un servizio proprio dal luogo in cui si è concluso il servizio precedente – ma risulta anche sproporzionata rispetto all’obiettivo prefissato di assicurare che il servizio di trasporto sia rivolto a un’utenza specifica e non indifferenziata, in quanto travalica il limite della stretta necessità, considerato che tale obiettivo è comunque presidiato dall’obbligo di prenotazione presso la sede o la rimessa e da quello, previsto all’art. 3, comma 2, della legge n. 21 del 1992, di stazionamento dei mezzi all’interno delle rimesse (o dei pontili d’attracco). Neppure è individuabile un inscindibile nesso funzionale tra il ritorno alla rimessa e le modalità di richiesta o di prenotazione del servizio presso la rimessa o la sede «anche mediante l’utilizzo di strumenti tecnologici», previste agli artt. 3, comma 1, e 11, comma 4, primo periodo, della legge n. 21 del 1992, nel testo risultante dalle modifiche introdotte al comma 1, lettere a) ed e), dell’art. 10-bis. La necessità di ritornare ogni volta alla sede o alla rimessa per raccogliere le richieste o le prenotazioni colà effettuate può essere evitata, senza che per questo si creino interferenze con il servizio di piazza, proprio grazie alla possibilità, introdotta dalla stessa normativa statale in esame, di utilizzare gli strumenti tecnologici, specie per il tramite di un’appropriata disciplina dell’attività delle piattaforme tecnologiche che intermediano tra domanda e offerta di autoservizi pubblici non di linea, demandata dal comma 8 dell’art. 10-bis, come visto, a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

Il carattere sproporzionato della misura non è superato – ma solo attenuato, rispetto alla previgente disciplina più restrittiva dettata dall’art. 29, comma 1-quater, del d.l. n. 207 del 2008 – dalla possibilità concessa al vettore di utilizzare, per l’inizio e il termine del servizio, una qualsiasi delle rimesse di cui disponga nell’ambito territoriale provinciale o di area metropolitana, di cui all’art. 3, comma 3, della legge n. 21 del 1992, come sostituito dal comma 1, lettera a), dell’art. 10-bis.

Deve essere dichiarata dunque l’illegittimità costituzionale dell’art. 10-bis, comma 1, lettera e), del d.l. n. 135 del 2018, nella parte in cui ha sostituito il secondo periodo del comma 4 dell’art. 11 della legge n. 21 del 1992.

5.6.4.– Per la loro stretta connessione all’obbligo di iniziare e terminare ogni viaggio alla rimessa, sono illegittime anche le norme che derogano in casi particolari allo stesso obbligo, e segnatamente il comma 1, lettera f), nella parte in cui ha aggiunto il comma 4-bis all’art. 11 della legge n. 21 del 1992, e il comma 9 dell’art. 10-bis del d.l. n. 135 del 2018.

5.6.5.– Per le ragioni indicate (ai precedenti punti 5.6.1 e 5.6.2), la questione in esame dev’essere invece dichiarata non fondata per quanto riguarda il comma 1, lettere a), b) ed e), quest’ultima nella parte in cui ha sostituito il comma 4, primo, terzo, quarto, quinto e sesto periodo, dell’art. 11 della legge n. 21 del 1992, e il comma 6 dello stesso art. 10-bis.

6.– Quanto alle questioni (seconda, terza e quinta) con le quali la Regione Calabria lamenta la violazione degli artt. 3, 9, 41 e 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 49, 56 e da 101 a 109 del TFUE, esse devono essere dichiarate inammissibili per difetto di motivazione sulla ridondanza delle lamentate violazioni sulle competenze regionali.

6.1.– La questione ex art. 41 Cost., promossa in via subordinata, ha per oggetto l’art. 10-bis, commi 1, lettere a), e) e f), e 8 del d.l. n. 135 del 2018. Prevedendo che le prenotazioni del servizio di NCC siano effettuate presso la rimessa o la sede anche mediante l’utilizzo di strumenti tecnologici, tali disposizioni violerebbero per questo «la libera iniziativa economica privata […] dei soggetti che offrono servizi che mettono in collegamento autisti professionisti dotati di autorizzazione NCC da un lato e domanda di mobilità dall’altro».

A sua volta il comma 1, lettere a), b), e) e f), e i commi 6 e 9 dell’art. 10-bis violerebbero l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 49, 56 e da 101 a 109 del TFUE, in quanto le limitazioni all’ambito territoriale dell’attività di NCC si porrebbero in contrasto con i principi comunitari in materia di libertà di stabilimento, di libera prestazione dei servizi e di concorrenza.

Infine, il comma 1, lettere b), e) e f), e il comma 6 dello stesso art. 10-bis violerebbero sotto vari profili gli artt. 3 e 9 Cost., per contrasto con i principi di uguaglianza e di ragionevolezza. In particolare: sarebbero ingiustificate le deroghe previste per la sola Regione Siciliana e quella autonoma della Sardegna quanto alla validità dell’autorizzazione sull’intero territorio (comma 1, lettera b) e alla possibilità per i conducenti di non fare rientro in rimessa al termine del primo servizio (comma 1, lettera f); irragionevolmente l’autorizzazione all’esercizio del servizio di NCC sarebbe limitata alla «sola operatività provinciale», mentre in altri ambiti del trasporto, «come per i servizi di mobilità su gomma a media e lunga percorrenza», avrebbe «base nazionale»; sarebbe irragionevole la sospensione del rilascio di nuove autorizzazioni fino alla piena operatività dell’archivio informatico pubblico nazionale previsto dal comma 3 dello stesso art. 10-bis (comma 6) solo per il servizio di NCC, e non per il servizio di taxi; il legislatore avrebbe irragionevolmente omesso, nel prevedere l’obbligo di rientro in rimessa, di considerare «gli aspetti legati alla tutela dell’ambiente (art. 9 Cost.)» e di bilanciarli con gli altri interessi in gioco.

6.2.– Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte le regioni possono evocare parametri di legittimità diversi da quelli che sovrintendono al riparto di attribuzioni solo quando la violazione denunciata sia potenzialmente idonea a determinare una lesione delle loro attribuzioni costituzionali e le stesse regioni motivino sufficientemente in ordine ai profili di una possibile ridondanza della predetta violazione sul riparto di competenze, assolvendo all’onere di operare la necessaria indicazione della specifica competenza regionale che ne risulterebbe offesa e delle ragioni di tale lesione (ex plurimis, sentenze n. 151 del 2017, n. 147 e n. 29 del 2016, n. 251, n. 218 e n. 89 del 2015).

Di recente, questa Corte, dopo avere ribadito tale costante orientamento, ha precisato che «[l]’esigenza di evitare un’ingiustificata espansione dei vizi censurabili dalle Regioni nel giudizio in via d’azione e, quindi, la trasformazione della natura di tale rimedio giurisdizionale obbliga le Regioni stesse a dare conto, in maniera puntuale e dettagliata, della effettiva sussistenza e della portata del “condizionamento” prodotto dalla norma statale impugnata [...]. Il vizio in ridondanza deve, infatti, essere illustrato in modo da soddisfare un duplice requisito: per un verso, non deve risultare generico, e quindi difettare dell’indicazione delle competenze asseritamente violate; per un altro, non deve essere apodittico, e deve dunque essere adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza, nel caso oggetto di giudizio, di un titolo di competenza regionale rispetto all’oggetto regolato dalla legge statale» (sentenza n. 194 del 2019).

Il ricorso della Regione Calabria non rispetta questo duplice requisito.

Come messo in evidenza dal Presidente del Consiglio dei ministri nelle sue difese, la ricorrente, pur sollevando censure in riferimento a parametri costituzionali diversi da quelli attinenti al riparto delle attribuzioni fra Stato e regioni, omette di indicare le ragioni per le quali tali pretese violazioni ridonderebbero sulle sue attribuzioni.

Non può infatti essere considerata sufficiente a tali fini la generica affermazione – operata in via preliminare alla trattazione delle varie censure – della sussistenza di una ridondanza sulle competenze regionali sull’assunto che «le norme oggi censurate, anche al di là della specifica invasione di materia, sono lesive anche in virtù della compromissione di altre attribuzioni e per il riverbero sul riparto di competenza fra Stato e Regioni, per come di seguito si rappresenterà», accompagnata dalla citazione di parte di una pronuncia di questa Corte (sentenza n. 220 del 2013).

Il generico riferimento ad «altre attribuzioni» regionali, non meglio specificate ma evidentemente diverse («altre») da quelle relative alla materia dei trasporti pubblici locali, e al «riverbero [della lamentata violazione] sul riparto di competenza fra Stato e Regioni» non costituisce all’evidenza un’adeguata motivazione della lamentata lesione indiretta. Né vale a integrarla il cenno, operato dalla Regione trattando del terzo motivo, al fatto che sarebbe indubitabile che «dette violazioni ridondino in negativo sulla possibilità per le regioni di legiferare in materia».

Considerato infine che le lacune motivazionali del ricorso non possono essere colmate dalla memoria illustrativa depositata in prossimità dell’udienza (ex plurimis, sentenze n. 114 del 2017, n. 202 del 2016 e n. 286 del 2004), tanto meno può essere ritenuta adeguata motivazione dell’asserita lesione indiretta il generico collegamento delle censure con la violazione del riparto di competenze legislative, affermato dalla Regione in tale memoria, in replica all’eccezione dell’Avvocatura di inammissibilità per difetto di motivazione sulla ridondanza.

7.– Resta da esaminare infine la quarta questione, con cui la ricorrente lamenta la lesione del principio di leale collaborazione desumibile dall’art. 120 Cost.

Con riguardo ad essa l’eccezione di inammissibilità per difetto di motivazione della ridondanza proposta dalla difesa statale è infondata, giacché in questo caso il parametro invocato afferisce direttamente all’assetto delle relazioni fra Stato e regioni e la Regione Calabria è legittimata a farlo valere a diretta tutela delle sue prerogative.

7.1.– Nel merito tuttavia la censura non è fondata.

Secondo la ricorrente la disposizione contenuta al comma 1, lettera b) dell’art. 10-bis del d.l. n. 135 del 2018 violerebbe l’art. 120 Cost., per contrasto con il principio di leale collaborazione, a causa dell’estrema brevità – solo quindici giorni dall’entrata in vigore della norma impugnata – del termine assegnato per raggiungere, in sede di Conferenza unificata, una «diversa intesa» sulla prevista possibilità che il vettore NCC disponga di ulteriori rimesse nel territorio di altri comuni della medesima provincia o area metropolitana in cui ricade il territorio del comune che ha rilasciato l’autorizzazione.

La disposizione è altresì impugnata, «[i]n subordine», nella parte in cui prevede che l’intesa possa essere raggiunta entro il 28 febbraio 2019 (alla scadenza del termine di quindici giorni dall’entrata in vigore dell’art. 10-bis del d.l. n. 135 del 2018) «invece che senza limitazioni di tempo».

Ad avviso della Regione il principio di leale collaborazione, letto alla luce della giurisprudenza di questa Corte, non consentirebbe di far conseguire automaticamente al mancato raggiungimento dell’intesa entro un determinato periodo di tempo – tanto meno quando il termine previsto è molto breve – la possibilità per l’autorità centrale di assumere unilateralmente l’atto di cui si tratti. A sostegno della censura la ricorrente richiama ipotesi di “drastico” superamento unilaterale dell’intesa da parte del Governo in caso di dissenso, senza la previsione di idonee procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze: ipotesi in cui, secondo la giurisprudenza costituzionale da essa citata (sentenze n. 1 del 2016 e n. 165 del 2011), non è assicurato il rispetto del principio di leale collaborazione.

La disposizione impugnata, tuttavia, non è riconducibile al tipo di quelle appena ricordate, giacché, a differenza di esse, il suo obiettivo non è di consentire al Governo di provvedere unilateralmente e automaticamente, in caso di mancata intesa entro un certo termine, facendo prevalere la sua volontà, ma semplicemente quello di prevedere che entro un certo termine, sia pure molto breve, si possa, tramite un’intesa, modificare quanto da essa stessa previsto.

È altresì infondata la censura, proposta in via subordinata, con cui si contesta il fatto che la previsione fissi un termine per l’intesa anziché consentirne la possibilità senza limitazioni di tempo. La previsione di una possibile intesa modificativa è da ricondurre a una scelta del legislatore statale adottata nella materia della «tutela della concorrenza», e non deriva da un vincolo di rispetto del principio di leale collaborazione. Di conseguenza, l’asserita necessità di consentire l’intesa senza limiti di tempo non ha fondamento costituzionale.

Infine, non sono ammissibili le ulteriori censure con cui la ricorrente, in sede di memoria illustrativa, estende la questione, riferita nel ricorso alla sola previsione del comma 1, lettera b) dell’art. 10-bis, anche ad altre disposizioni, ampliando in tal modo inammissibilmente il thema decidendum (ex plurimis, sentenza n. 261 del 2017, punto 16.1 del Considerato in diritto).

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 10-bis, comma 1, lettera e), del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 11 febbraio 2019, n. 12, nella parte in cui ha sostituito il secondo periodo del comma 4 dell’art. 11 della legge 15 gennaio 1992, n. 21 (Legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea);

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 10-bis, commi 1, lettera f), nella parte in cui ha aggiunto il comma 4-bis all’art. 11 della legge n. 21 del 1992, e 9, del d.l. n. 135 del 2018;

3) dichiara inammissibili le questioni di illegittimità costituzionale dell’art. 10-bis, commi 1, lettere b), e) e f), e 6, del d.l. n. 135 del 2018, promosse dalla Regione Calabria, in riferimento agli artt. 3 e 9 della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis, commi 1, lettere a), e) e f), e 8, del d.l. n. 135 del 2018, promossa dalla Regione Calabria, in riferimento all’art. 41 Cost., con il ricorso indicato in epigrafe;

5) dichiara inammissibile la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 10-bis, commi 1, lettere a), b), e) e f), 6 e 9, del d.l. n. 135 del 2018, promossa dalla Regione Calabria, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 49, 56 e da 101 a 109 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, con il ricorso indicato in epigrafe;

6) dichiara inammissibile la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 10-bis, commi 1, lettera f), nella parte in cui ha aggiunto il comma 4-ter all’art. 11 della legge n. 21 del 1992, 7 e 8, del d.l. n. 135 del 2018, promossa dalla Regione Calabria, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera e), e quarto comma, Cost., con il ricorso indicato in epigrafe;

7) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis, commi 1, lettere a), b), e) e f), 6, 7, 8 e 9, del d.l. n. 135 del 2018, promossa dalla Regione Calabria, in riferimento all’art. 118 Cost., con il ricorso indicato in epigrafe;

8) dichiara non fondata la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 10-bis, commi 1, lettere a), b) ed e), quest’ultima nella parte in cui ha sostituito il primo, terzo, quarto, quinto e sesto periodo del comma 4 dell’art. 11 della legge n. 21 del 1992, e 6, del d.l. n. 135 del 2018, promossa dalla Regione Calabria, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera e), e quarto comma, Cost., con il ricorso indicato in epigrafe;

9) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis, comma 1, lettera b), del d.l. n. 135 del 2018, promossa dalla Regione Calabria, in riferimento all’art. 120 Cost., con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 febbraio 2020.

F.to:

Marta CARTABIA, Presidente

Daria de PRETIS, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 26 marzo 2020.

Allegato:

Ordinanza letta all'udienza del 25 febbraio 2020