SENTENZA N. 49
ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
- Giuliano AMATO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 16 della legge della Regione Veneto 31 dicembre 2012, n. 55 (Procedure urbanistiche semplificate di sportello unico per le attività produttive e disposizioni in materia urbanistica, di edilizia residenziale pubblica, di mobilità, di noleggio con conducente e di commercio itinerante), e dell’art. 5 della legge della Regione Veneto 14 maggio 2013, n. 8 (Disposizioni in materia di commercio su aree pubbliche. Modifica della legge regionale 6 aprile 2001, n. 10 “Nuove norme in materia di commercio su aree pubbliche” e successive modificazioni e della legge regionale 4 novembre 2002, n. 33 “Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo” e successive modificazioni), promossi dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorsi notificati il 28 febbraio-6 marzo 2013 ed il 16-18 luglio 2013, depositati in cancelleria il 7 marzo 2013 ed il 23 luglio 2013 ed iscritti ai numeri 39 e 77 del registro ricorsi 2013.
Visti gli atti di costituzione della Regione Veneto;
udito nell’udienza pubblica dell’11 febbraio 2014 il Giudice relatore Paolo Grossi;
uditi gli avvocati Bruno Barel, Luigi Manzi e Daniela Palumbo per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Marco La Greca per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1.– Con ricorso notificato il 28 febbraio-6 marzo 2013, depositato il successivo 7 marzo ed iscritto al n. 39 del registro ricorsi dell’anno 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato, nell’ordine, gli artt. 16 e 4 della legge della Regione Veneto 31 dicembre 2012, n. 55 (Procedure urbanistiche semplificate di sportello unico per le attività produttive e disposizioni in materia urbanistica, di edilizia residenziale pubblica, di mobilità, di noleggio con conducente e di commercio itinerante).
L’art. 16, comma 2, introduce il comma 4-bis nell’art. 48-bis della legge della Regione Veneto 4 novembre 2002, n. 33 (Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo), con cui, riguardo all’esercizio del commercio in forma itinerante sulle aree demaniali marittime, è stabilito che «Ciascun operatore non può essere titolare di nulla osta in più di un comune». La norma, nella parte in cui, appunto, impedisce la titolarità di nulla osta in più Comuni, o l’esercizio di tale attività in un Comune diverso da quello che ha rilasciato il nulla osta e sulla base del titolo conseguito in quest’ultimo, viene censurata, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, per violazione dei principii di «tutela della concorrenza e del mercato» sanciti dal decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno). In particolare, il ricorrente deduce il contrasto con l’art. 19 di tale decreto legislativo, che stabilisce che «L’autorizzazione permette al prestatore di accedere all’attività di servizi e di esercitarla su tutto il territorio nazionale […] fatte salve le ipotesi in cui la necessità di un’autorizzazione specifica o di una limitazione dell’autorizzazione ad una determinata parte del territorio per ogni stabilimento sia giustificata da un motivo imperativo di interesse generale». Per il ricorrente, il vulnus all’evocato parametro deriverebbe dalla mancata individuazione di un motivo imperativo di interesse generale, tale da giustificare l’imposizione di limiti alla titolarità di più nulla osta o alla loro efficacia territoriale e la conseguente compartimentazione dei mercati, in contrasto con lo spirito di liberalizzazione della concorrenza tra gli operatori.
A sua volta, l’art. 4 – che, secondo la prospettazione, legittimerebbe l’esclusione dalla valutazione ambientale strategica (VAS) delle varianti allo strumento urbanistico generale connesse ad interventi di edilizia produttiva – viene censurato poiché, «nel contrastare la vigente normativa nazionale in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, víola l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione». Osserva il ricorrente che già con deliberazione del 31 marzo 2009, n. 791 (ribadita dalla Commissione regionale VAS con parere 3 agosto 2012, n. 84), la Giunta della Regione Veneto ha escluso «le varianti a piani e programmi conseguenti alla procedura di sportello unico per le attività produttive» «dalla procedura di verifica di assoggettabilità stessa, nonché dalla procedura VAS, fatta salva la necessità di verificare se i seguenti progetti sono, o meno, assoggettati alla procedura di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) o a screening di VIA». Ed afferma altresì il ricorrente che «detto impianto normativo risulta coerente con quanto previsto dall’art. 40 della L.R. n. 13/2012 che è stato oggetto di impugnativa innanzi alla Corte costituzionale proprio perché prevede l’esclusione dalla VAS dei piani urbanistici attuativi e delle loro varianti alle quali sarebbero assimilabili, nell’impostazione del legislatore regionale del Veneto, anche le varianti conseguenti alla procedura di SUAP».
1.1.– Si è costituita la Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, chiedendo la declaratoria di inammissibilità o di infondatezza del ricorso.
Quanto all’art. 16, la resistente osserva che la censurata disciplina (sostanzialmente conforme a quella di cui all’art. 28, comma 9, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, recante «Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della L. 15 marzo 1997, n. 59») risponde a motivi imperativi di interesse generale, diretti alla tutela delle aree demaniali marittime (ossia delle spiagge), che costituiscono risorse scarse e fragili sulle quali il commercio in forma itinerante può avere un impatto fortemente negativo rispetto agli interessi (diversi e talora contrapposti) degli utenti privati e degli operatori economici concessionari di tratti di arenile, oltre che alla salvaguardia igienica ed ambientale dei luoghi aperti al pubblico accesso. Per la Regione, dunque, la previsione del rilascio della autorizzazioni su base comunale non cumulabili (peraltro priva di impatto macroeconomico) risponde alla ratio della “direttiva servizi”, avendo la finalità di assicurare il più ampio accesso al mercato del maggior numero di operatori (non solo persone fisiche ma anche società), nel rispetto del principio dettato dal decreto legislativo n. 59 del 2010, secondo cui le autorizzazioni abilitano ad esercitare su tutto il territorio nazionale, salvo deroghe giustificate da un motivo imperativo di interesse generale.
Dall’altro lato, la resistente deduce che l’impugnato art. 4 non prevede affatto l’esclusione della procedura di VAS nei casi di specie, dovendosi la norma interpretare (ai sensi del comma 4) nel senso che in sede di Conferenza di servizi (con la partecipazione di tutte le amministrazioni interessate, tra cui quelle preposte alla tutela ambientale) viene valutata la relativa sostenibilità ambientale, attivandosi (ove necessario) gli appropriati subprocedimenti di VAS o di VIA. Né alla norma impugnata potrebbero essere ascritti i vizi contenuti nella legge regionale 26 giugno 2008, n. 4 (Disposizioni di riordino e semplificazione normativa − collegato alla legge finanziaria 2007 in materia di governo del territorio, parchi e protezione della natura, edilizia residenziale pubblica, mobilità e infrastrutture), il cui art. 14, comma 1-bis, lettera a) (che si riferiva all’attività di pianificazione urbanistica, generale ed attuativa), è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza della Corte costituzionale n. 58 del 2013. Infatti, la disposizione in esame si colloca nel diverso contesto dei procedimenti edilizi di approvazione di singoli progetti specifici, relativi ad attività produttive esistenti, al fine di affrontare e risolvere, all’interno dello stesso procedimento edilizio (evitando una duplicazione di provvedimenti), i problemi che dovessero insorgere in sede di verifica della puntuale conformità dei progetti all’intera dettagliata disciplina urbanistico-edilizia; sicché alla ratio della stessa rimane del tutto estranea ogni finalità di disciplina dei controlli ambientali, rimessa alla autonoma disciplina legislativa statale.
1.2.– Le tesi difensive della Regione resistente, svolte a sostegno della legittimità della due norme impugnate, sono state ribadite in una memoria depositata nell’imminenza dell’udienza.
2.– Con ricorso notificato il 16-18 luglio 2013, depositato il successivo 23 luglio ed iscritto al n. 77 del registro ricorsi dell’anno 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 5 della legge della Regione Veneto 14 maggio 2013, n. 8 (Disposizioni in materia di commercio su aree pubbliche. Modifica della legge regionale 6 aprile 2001, n. 10 “Nuove norme in materia di commercio su aree pubbliche” e successive modificazioni e della legge regionale 4 novembre 2002, n. 33 “Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo” e successive modificazioni).
La norma introduce modifiche alla previgente disciplina del commercio in forma itinerante sulle aree demaniali marittime dettata dall’art. 48-bis della legge della Regione Veneto 4 novembre 2002, n. 33 (Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo), disponendo, tra l’altro, che il nulla osta comunale allo svolgimento di detta attività debba essere «comunque non inferiore a sette anni e non superiore a dodici» (comma 2), e che, nei procedimenti di selezione e in caso di pluralità di domande in eccesso rispetto al numero di assegnazioni previste, si applichino i criteri stabiliti nella «Intesa della Conferenza Unificata» del 5 luglio 2012 per l’assegnazione dei posteggi su area pubblica e la priorità della maggiore professionalità connessa al maggior numero di presenze pregresse.
Secondo il ricorrente (che si richiama alle sentenze della Corte costituzionale n. 171 del 2013 e n. 291 del 2012), l’art. 5 si pone in contrasto con l’art. 117, primo comma, e secondo comma, lettera e), Cost., per violazione dei principii e delle norme del diritto dell’Unione europea in tema di «tutela della concorrenza e del mercato» e segnatamente della direttiva 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno), ponendo vincoli all’accesso e all’esercizio di attività economiche non strettamente necessari o proporzionati agli interessi pubblici. Ciò, da un lato, in quanto la norma incide sui criteri di selezione per l’assegnazione dei nulla osta per il commercio itinerante utilizzando parametri anche temporali (riferiti a forma di attività commerciale del tutto diversa) propri dell’assegnazione dei posteggi, così da rendere particolarmente oneroso se non impossibile l’esercizio dell’attività itinerante in questione. E, dall’altro lato, perché il criterio della maggiore professionalità acquisita non è accompagnato dall’indicazione delle modalità con cui la stessa viene determinata; e poiché il criterio delle presenze pregresse – peraltro difforme rispetto ai principii contenuti nel Considerando n. 62 e nell’art. 12 della richiamata direttiva n. 2006/123/CE, secondo cui nel caso di «autorizzazioni» il cui numero sia limitato, non sono applicabili criteri selettivi che stabiliscono vantaggi nei confronti dei prestatori uscenti – risulta inconferente con l’attività esercitata in forma itinerante, senza l’utilizzo di posteggio, in quanto non quantificabile in mancanza di un riferimento al posto occupato.
2.1.– Si è costituita la Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, chiedendo in primo luogo la declaratoria di inammissibilità delle censure riferite alla lettera b) del comma 1 dell’impugnato art. 5, in quanto prive di adeguata argomentazione circa l’antigiuridicità di quanto in essa disposto.
Nel merito, quanto alla lettera a) del comma 1 del medesimo art. 5, la Regione osserva innanzitutto che (nell’àmbito della competenza residuale ad essa spettante in materia di commercio e di turismo) la definizione di un intervallo temporale della validità delle autorizzazioni, al fine di consentire un adeguato accesso al mercato attraverso il turn over degli operatori, trova giustificazione nel principio espresso dal Considerando n. 62 della direttiva n. 2006/123/CE, che consente agli Stati di limitare il numero delle autorizzazioni (al di là dell’eventuale pregiudizio circa l’ammortamento degli investimenti e la remunerazione dei capitali) anche per ragioni diverse dalla scarsità delle risorse naturali (comunque sussistenti dato l’ambiente “estremamente circoscritto” delle aree demaniali marittime) o delle capacità tecniche. Laddove, secondo la Regione, la norma censurata neppure risulta connotata da quella particolare rilevanza macroeconomica che giustifica l’intervento esclusivo del legislatore statale, come ritenuto nella sentenza della Corte costituzionale n. 247 del 2010 (con riferimento al divieto, posto dalla medesima Regione, di esercizio nei centri storici del commercio itinerante).
Pertanto, secondo la resistente, l’esigenza del nulla osta al commercio sulle aree demaniali marittime (sancita dall’art. 28, comma 9, del decreto legislativo n. 114 del 1998), deriva dalla considerazione che il commercio itinerante non integra altro che una mera modalità di esercizio del commercio su area pubblica, che necessita delle garanzie di tutela dei valori costituzionalmente garantiti relativi alle specifiche caratteristiche delle aree stesse, che giustificano l’esigenza del richiamo all’assetto regolatorio fissato dalla Conferenza unificata relativamente al commercio con posteggio esercitabile in aree pubbliche, secondo i criteri della temporaneità dell’autorizzazione e della maggiore professionalità acquisita, indicati dall’art. 70 del decreto legislativo n. 59 del 2010. Ciò in quanto in tale disposizione non si ravvisano elementi ostativi ad una estensione della sua latitudine applicativa (nei limiti di ragionevolezza e proporzionalità) oltre che alle attività di cui alla lettera a) del comma 1 dell’art. 28 del d.lgs. n. 114 del 1998, anche alle fattispecie di cui alla successiva lettera b).
1.– Con il ricorso iscritto al n. 39 del registro ricorsi dell’anno 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna gli artt. 4 e 16 della legge della Regione Veneto 31 dicembre 2012, n. 55 (Procedure urbanistiche semplificate di sportello unico per le attività produttive e disposizioni in materia urbanistica, di edilizia residenziale pubblica, di mobilità, di noleggio con conducente e di commercio itinerante).
1.1.– Con il ricorso iscritto al n. 77 del registro ricorsi dell’anno 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri, impugna l’art. 5 della legge della Regione Veneto 14 maggio 2013, n. 8 (Disposizioni in materia di commercio su aree pubbliche. Modifica della legge regionale 6 aprile 2001, n. 10 “Nuove norme in materia di commercio su aree pubbliche” e successive modificazioni e della legge regionale 4 novembre 2002, n. 33 “Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo” e successive modificazioni).
2.– In considerazione della loro parziale connessione soggettiva ed oggettiva, i giudizi relativi alle disposizioni regionali suindicate devono essere riuniti, per essere decisi con un’unica pronuncia.
3.– L’art. 4 della legge regionale n. 55 del 2012 – che, secondo la prospettazione, legittimerebbe l’esclusione dalla valutazione ambientale strategica (VAS) delle varianti allo strumento urbanistico generale connesse ad interventi di edilizia produttiva – viene censurato nella sua interezza per contrasto con la «vigente normativa nazionale in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, attesa la “coerenza” del suo contenuto con quanto previsto dall’art. 40 della legge della Regione Veneto 6 aprile 2012, n. 13 (Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2012), oggetto di impugnativa innanzi a questa Corte, la quale, con la sentenza n. 58 del 2013, ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale.
3.1.– La questione, nei termini in cui è stata prospettata, è inammissibile.
La norma censurata (sotto la rubrica «Interventi di edilizia produttiva in variante allo strumento urbanistico generale») prevede quanto segue: «Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, qualora il progetto relativo agli impianti produttivi non risulti conforme allo strumento urbanistico generale si applica, l’articolo 8 del D.P.R. 160/2010, integrato dalle disposizioni del presente articolo.» (comma 1); «Ai fini di cui al comma 1 il responsabile SUAP, entro 30 giorni dalla richiesta da parte dell’interessato, convoca in seduta pubblica la conferenza di servizi di cui agli articoli da 14 a 14-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241 “Nuove norme sul procedimento amministrativo” e successive modificazioni, e alle altre normative di settore.» (comma 2); «Alla conferenza di servizi sono invitate tutte le amministrazioni coinvolte nel procedimento e deve essere acquisito il consenso dell’ente competente alla approvazione della variante allo strumento urbanistico generale ai sensi della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio” e successive modificazioni. In caso di variante al piano di assetto del territorio intercomunale (PATI), fermo restando quanto previsto dall’ultimo periodo del comma 6, in sede di conferenza di servizi va, altresì, acquisito il parere non vincolante dei comuni ricompresi nel PATI medesimo.» (comma 3); «La conferenza di servizi, nell’ambito dei procedimenti autorizzatori, qualora necessario, valuta la sostenibilità ambientale degli interventi, tenendo conto dell’esigenza di razionalizzare i procedimenti ed evitare duplicazioni nelle valutazioni.» (comma 4); «La determinazione della conferenza di servizi relativa alla variazione dello strumento urbanistico generale e tutti i documenti allegati, comprensivi del progetto completo in ogni suo elemento, sono depositati presso la segreteria del comune per dieci giorni. Dell’avvenuto deposito è dato avviso sull’albo pretorio e nel sito internet del comune, il quale può attuare ogni altra forma di divulgazione ritenuta opportuna; entro i successivi venti giorni chiunque può presentare osservazioni.» (comma 5); «Entro trenta giorni dalla scadenza del termine per proporre osservazioni, il consiglio comunale delibera sulla variante, decidendo anche sulle osservazioni presentate. La determinazione favorevole del consiglio comunale di approvazione della variante viene trasmessa al responsabile SUAP ai fini della conclusione del procedimento. In caso di variante al PATI, l’approvazione è effettuata dal comune sul cui territorio ricade l’intervento, fermo restando quanto previsto dal comma 3.» (comma 6); «La variante decade ad ogni effetto ove i lavori non vengano iniziati entro sedici mesi dalla sua pubblicazione, salvo eventuale proroga, concessa con provvedimento motivato del consiglio comunale per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del richiedente l’intervento. La proroga per l’inizio dei lavori non può essere superiore a dodici mesi e la relativa richiesta deve essere presentata prima della scadenza del termine per l’inizio dei lavori.» (comma 7).
Orbene – anche a prescindere dalla considerazione che il ricorrente richiede l’esame di un contenuto normativo ampiamente articolato, teso a regolamentare le procedure urbanistiche semplificate di sportello unico per le attività produttive (SUAP), del quale, peraltro, neppure viene individuata, la specifica disposizione da cui deriverebbe il lamentato vulnus all’assetto delle competenze – la questione risulta caratterizzata da una insanabile genericità, giacché la difesa dello Stato si limita a dedurre esclusivamente che la norma impugnata, nella sua interezza, «nel contrastare la vigente normativa nazionale in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, viola l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione».
Così argomentando, la parte ricorrente, oltre ad omettere di esplicitare doverosamente le ragioni della asserita violazione del parametro evocato, neppure lo identifica compiutamente, trascurando, non solo di indicare lo specifico principio desumibile dalla normativa statale in materia di ambiente, ma finanche di citare la stessa normativa ambientale applicabile (in tesi) alla fattispecie (sentenza n. 312 del 2013). Ciò tanto più in quanto – se può anche essere agevole desumere che detta normativa ambientale sia quella contenuta nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) – risulta del tutto omessa la identificazione, nell’ampio e variegato contesto applicativo delle norme poste a regolare le procedure per la VAS (dettate dagli artt. da 4 a 18), della particolare disciplina che (ove applicabile alla fattispecie) sarebbe atta a garantire il necessario «livello adeguato e non riducibile di tutela» (sentenza n. 225 del 2009) negli interventi di edilizia produttiva in variante allo strumento urbanistico generale, oggetto appunto della norma regionale impugnata.
Ne consegue l’inammissibilità della questione.
4.– L’art. 16 della medesima legge regionale n. 55 del 2012 – che introduce il comma 4-bis nell’art. 48-bis della legge regionale 4 novembre 2002, n. 33 (Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo), in tema di esercizio del commercio in forma itinerante sulle aree demaniali marittime, stabilendo che «Ciascun operatore non può essere titolare di nulla osta in più di un comune» – viene censurato per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., attesa la violazione dei principii di «tutela della concorrenza e del mercato», ed in particolare per la lesione, in assenza delle specifiche condizioni, dell’art. 19 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno), che stabilisce che «L’autorizzazione permette al prestatore di accedere all’attività di servizi e di esercitarla su tutto il territorio nazionale […] fatte salve le ipotesi in cui la necessità di un’autorizzazione specifica o di una limitazione dell’autorizzazione ad una determinata parte del territorio per ogni stabilimento sia giustificata da un motivo imperativo di interesse generale».
Va preliminarmente rilevato che, successivamente alla proposizione dell’odierno giudizio in via principale, il comma 1, lettera b), dell’art. 5 della legge regionale n. 8 del 2013 – comma che non risulta essere oggetto di alcuna censura nel ricorso n. 77 del 2013, il cui thema decidendum è limitato all’accertamento della costituzionalità del solo comma 1, lettera a), dello stesso articolo – ha disposto la soppressione del comma 4-bis dell’art. 48-bis della legge regionale n. 33 del 2002.
Orbene, se la sopravvenuta modifica normativa risulta pienamente satisfattiva delle pretese del ricorrente (verificandosi, pertanto, una delle due condizioni che la giurisprudenza di questa Corte ha enucleato per pervenire alla declaratoria di cessazione della materia del contendere: sentenze n. 246, n. 228, n. 218 e n. 187 del 2013), tuttavia non si verifica l’ulteriore requisito della mancata applicazione medio tempore della soppressa norma censurata (sentenza n. 272 del 2013), che va viceversa escluso in ragione della sua efficacia immediata (ai sensi dell’art. 17 della medesima legge regionale n. 55 del 2012) e del tempo di vigenza della disposizione soppressa (ricomprendente il periodo di presentazione delle domande di nulla osta da parte degli interessati, fissato tra il 1° febbraio ed il 15 marzo, dal comma 4 dell’art. 48-bis della legge reg. n. 33 del 2002).
Pertanto, si rende necessario lo scrutinio nel merito della sollevata censura; che, per sostanziale identità di oggetto e parziale corrispondenza di argomentazioni, va condotto unitamente a quello riguardante la lettera a) del comma 1 dell’art. 5 della legge reg. n. 8 del 2013 proposto con il ricorso n. 77 del 2013.
4.1.– Tale ultima norma – che modifica il comma 2, lettera a), dell’art. 48-bis della legge regionale n. 33 del 2002 – dispone che il nulla osta comunale allo svolgimento del commercio in forma itinerante sulle aree demaniali marittime debba essere «comunque non inferiore a sette anni e non superiore a dodici.»; e che «Nei procedimenti di selezione e in caso di pluralità di domande in eccesso rispetto al numero delle assegnazioni previste, dopo la fase transitoria di cui al comma 5, si applicano ai fini della selezione di soggetti i criteri di cui al punto 2) dell’Intesa della Conferenza Unificata del 5 luglio 2012 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, Serie generale, n. 75 del 4 aprile 2013 per l’assegnazione dei posteggi su area pubblica e la priorità della maggiore professionalità è connessa al maggior numero di presenze pregresse». Secondo la difesa dello Stato, la norma si pone in contrasto con l’art. 117, primo comma, e secondo comma, lettera e), Cost., per violazione dei principii e delle norme del diritto dell’Unione europea in tema di «tutela della concorrenza e del mercato» e segnatamente della direttiva 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno), ponendo vincoli all’accesso e all’esercizio di attività economiche non strettamente necessari o proporzionati agli interessi pubblici, costituiti dai criteri di selezione per l’assegnazione dei nulla osta individuati in parametri temporali e di maggiore professionalità acquisita propri della diversa forma di attività commerciale con assegnazione dei posteggi su area pubblica.
5.– Le censure rivolte all’art. 16 della legge regionale n. 55 del 2012 ed all’art. 5, comma 1, lettera a) della legge regionale n. 8 del 2013 sono fondate.
5.1.– Come sottolineato, di recente, nelle sentenze n. 245 e n. 98 del 2013, la direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno – seppure si ponga, in via prioritaria, la finalità di massima liberalizzazione delle attività economiche (tra queste, la libertà di stabilimento di cui all’art. 49 [già art. 43] del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea) e preveda, quindi, soprattutto disposizioni tese alla realizzazione di tale scopo – consente, comunque, di porre dei limiti all’esercizio della tutela di tali attività, nel caso che questi siano giustificati da motivi imperativi di interesse generale. E detti limiti sono individuati, in termini generali, dagli artt. 14, 15 e 16 del decreto legislativo n. 59 del 2010, attuativo della citata direttiva (sentenza n. 98 del 2013).
Nel contempo, questa Corte, con la sentenza n. 98 del 2013, ha rilevato che a siffatto regime autorizzatorio – che dà, appunto, allo Stato la facoltà di limitare la finalità di massima liberalizzazione, perseguita dalla “direttiva servizi” e dal decreto legislativo attuativo della stessa, solo ove sussistano motivi imperativi di interesse generale (quali appunto anche quelli derivanti dalla scarsità delle risorse naturali, che determina la necessità della selezione tra i diversi candidati) – l’art. 70, comma 5, dello stesso decreto legislativo n. 59 del 2010, a sua volta, consente espressamente di derogare, con specifico riferimento al commercio al dettaglio su aree pubbliche. Vi è infatti previsto che, «Con intesa in sede di Conferenza unificata, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, anche in deroga al disposto di cui all’articolo 16 del presente decreto, sono individuati, senza discriminazioni basate sulla forma giuridica dell’impresa, i criteri per il rilascio e il rinnovo della concessione dei posteggi per l’esercizio del commercio su aree pubbliche e le disposizioni transitorie da applicare, con le decorrenze previste, anche alle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto ed a quelle prorogate durante il periodo intercorrente fino all’applicazione di tali disposizioni transitorie».
Trattandosi di regolamentazione normativa che la Corte ha ritenuto «indiscutibilmente riconducibile alla materia “tutela della concorrenza” (che si attua anche attraverso la previsione e la correlata disciplina delle ipotesi in cui viene eccezionalmente consentito di apporre dei limiti all’esigenza di tendenziale massima liberalizzazione delle attività economiche: sentenza n. 291 del 2012)», va dunque ribadito che «è alla competenza esclusiva dello Stato che spetta tale regolamentazione, ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.», essendo inibiti alle Regioni interventi normativi diretti ad incidere sulla disciplina dettata dallo Stato, finanche in modo meramente riproduttivo della stessa (sentenza n. 245 del 2013, che richiama le sentenze n. 18 del 2013, n. 271 del 2009, n. 153 e n. 29 del 2006).
5.2.– Ciò premesso, risulta indiscutibile che anche la disciplina dell’autorizzazione al commercio in forma itinerante sulle aree demaniali marittime vada ascritta alla materia «tutela della concorrenza», in ragione della sua idoneità ad incidere, in senso restrittivo, sulla capacità stessa del singolo operatore di svolgere tale specifica attività commerciale. Ciò, nonostante la collocazione dàtane dal legislatore regionale veneto nell’àmbito del testo unico delle leggi regionali in materia di turismo, di cui alla legge reg. n. 33 del 2002, diversamente da quanto disposto per l’analoga forma di commercio su aree pubbliche in forma itinerante, la cui disciplina è contenuta nella legge della Regione Veneto 6 aprile 2001, n. 10 (Nuove norme in materia di commercio su aree pubbliche).
Pertanto – attribuita alla competenza esclusiva dello Stato la regolamentazione dell’accesso a siffatta attività – risultano inconferenti le argomentazioni svolte dalla difesa della Regione in ordine alla dedotta scarsità delle aree demaniali marittime, poiché tale dato costituisce presupposto giustificativo («motivo imperativo di interesse generale») per il contingentamento del numero dei titoli autorizzatorii per l’accesso e l’esercizio di una attività di servizi (e quindi per la limitazione eccezionale dell’accesso alle attività economiche), ma non incide sulla titolarità e sull’assetto delle competenze legislative, che (come argomentato) restano regolamentate ai sensi dell’evocato art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
Inoltre, sotto altro aspetto, la rilevata capacità delle norme censurate di escludere la possibilità stessa per il singolo di svolgere l’attività commerciale in esame nelle aree de quibus differenzia l’odierno complesso normativo da quello (scrutinato dalla sentenza n. 247 del 2010, richiamata dalla difesa regionale) in cui il divieto del commercio itinerante nei centri storici delle maggiori città del Veneto (previsto dall’art. 4, comma 4-bis, della legge regionale n. 10 del 2001, introdotto dall’art. 16, comma 1, della legge della Regione Veneto 25 febbraio 2005, n. 7, recante «Disposizioni di riordino e semplificazione normativa – collegato alla legge finanziaria 2004 in materia di miniere, acque minerali e termali, lavoro, artigianato, commercio e veneti nel mondo») è stato ritenuto non illegittimo da questa Corte. Ciò in ragione del fatto che la norma censurata non ha prodotto alcuna lesione di regole a tutela della concorrenza, collocandosi nel diverso solco della semplice regolamentazione territoriale dell’attività di commercio da parte di operatori tutti ugualmente legittimati a svolgerla (disciplinata in coerenza con la salvaguardia dei beni culturali caratterizzanti la specifica realtà del territorio regionale), razionalmente giustificata dalle concrete e localizzabili esigenze di tutela di altri interessi di rango costituzionale.
5.3.– Da un lato, dunque, la previsione di cui all’abrogato art. 16 della legge regionale n. 55 del 2012 risulta costituzionalmente illegittima, per violazione dell’evocato parametro, poiché il legislatore regionale, in un contesto di competenza esclusiva dello Stato (la quale, in quanto caratterizzata dalla portata “trasversale” e dal contenuto finalistico delle relative statuizioni, pur se non priva radicalmente le Regioni delle competenze legislative e amministrative loro spettanti, tuttavia le orienta ad esercitarle in base ai principii indicati dal legislatore statale: sentenze n. 245 e n. 98 del 2013), ha imposto (per una determinata forma di commercio itinerante) un limite territoriale alla libera possibilità di svolgere una attività economica da parte dei richiedenti il nulla osta. Con ciò ponendosi in contrasto con l’art. 19 del decreto legislativo n. 59 del 2010, che prevede che l’autorizzazione per il commercio in forma itinerante abilita a detta attività in tutto il territorio nazionale.
Dall’altro lato, anche la previsione di cui al censurato art. 5 della legge reg. n. 8 del 2013 è lesiva dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. (essendo la verifica di conformità della norma impugnata alle regole di competenza interna preliminare al controllo del rispetto dei princípi comunitari: sentenze n. 245 del 2013, n. 127 e n. 120 del 2010). Essa è frutto di una scelta unilaterale della Regione (trasfusa in un atto di legislazione primaria, adottato senza ricorso al procedimento partecipativo) estendente alla particolare attività di commercio itinerante sulle aree demaniali marittime la normativa statale di cui all’art. 70, comma 5, del decreto legislativo n. 59 del 2010, che affida allo strumento della intesa in sede di Conferenza unificata la individuazione dei criteri per il rilascio ed il rinnovo dei posteggi relativamente alla diversa attività di commercio su aree pubbliche.
Resta assorbito l’ulteriore profilo di censura riferito alla violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 16 della legge della Regione Veneto 31 dicembre 2012, n. 55 (Procedure urbanistiche semplificate di sportello unico per le attività produttive e disposizioni in materia urbanistica, di edilizia residenziale pubblica, di mobilità, di noleggio con conducente e di commercio itinerante);
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, lettera a), della legge della Regione Veneto 14 maggio 2013, n. 8 (Disposizioni in materia di commercio su aree pubbliche. Modifica della legge regionale 6 aprile 2001, n. 10 “Nuove norme in materia di commercio su aree pubbliche” e successive modificazioni e della legge regionale 4 novembre 2002, n. 33 “Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo” e successive modificazioni);
3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge regionale n. 55 del 2012, proposta – in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione – dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2014.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Massimiliano BONI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 14 marzo 2014.