Sentenza n. 118 del 2015

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SENTENZA N. 118

ANNO 2015

 

Commenti alla decisione di

 

1. Francesco Conte, I referendum del Veneto per l’autonomia (e l’indipendenza). Non c’è due senza tre. Anche se…, per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali

 

II. Diletta Tega, Venezia non è Barcellona. Una via italiana per le rivendicazioni di autonomia?, per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali

 

III. Gennaro Ferraiuolo, La Corte costituzionale in tema di referendum consultivi regionali e processo politico: una esile linea argomentativa per un esito (in parte) prevedibile, per g.c. di Federalismi.it

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                  Presidente

-           Giuseppe                     FRIGO                                             Giudice

-           Paolo                           GROSSI                                                   

-           Giorgio                       LATTANZI                                              

-           Aldo                            CAROSI                                                   

-           Marta                           CARTABIA                                             

-           Mario Rosario              MORELLI                                                

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                            

-           Giuliano                       AMATO                                                   

-           Silvana                         SCIARRA                                                

-           Daria                            de PRETIS                                               

-           Nicolò                          ZANON                                                   

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale delle leggi della Regione Veneto 19 giugno 2014, n. 15 (Referendum consultivo sull’autonomia del Veneto), e 19 giugno 2014, n. 16 (Indizione del referendum consultivo sull’indipendenza del Veneto), promossi dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorsi notificati il 23-28 agosto 2014, depositati in cancelleria il 2 settembre 2014 e iscritti ai nn. 67 e 68 del registro ricorsi 2014.

Visti gli atti di costituzione della Regione Veneto nonché l’atto di intervento di Indipendenza Veneta;

udito nell’udienza pubblica del 28 aprile 2015 il Giudice relatore Marta Cartabia;

uditi l’avvocato dello Stato Gian Paolo Polizzi per il Presidente del Consiglio dei ministri, gli avvocati Ivone Cacciavillani e Mario Bertolissi per la Regione Veneto e Alessio Morosin per l’associazione “Indipendenza Veneta”.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato, a mezzo del servizio postale, il 23-28 agosto 2014 e depositato il successivo 2 settembre (reg. ric. n. 67 del 2014), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento agli artt. 3, 5, 116, 117, 119 e 138 della Costituzione, nonché agli artt. 26 e 27 dello Statuto del Veneto, approvato con legge regionale statutaria 17 aprile 2012, n. 1, questioni di legittimità costituzionale della legge della Regione Veneto 19 giugno 2014, n. 15 (Referendum consultivo sull’autonomia del Veneto).

1.1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea che la legge impugnata autorizza il Presidente della Giunta regionale «ad instaurare con il Governo un negoziato volto a definire il contenuto di un referendum consultivo finalizzato a conoscere la volontà degli elettori del Veneto circa il conseguimento di ulteriori forme di autonomia della Regione del Veneto» (art. 1, comma 1); e prosegue (art. 2, comma 1), con una previsione ritenuta dal ricorrente “più propriamente normativa”, autorizzando il Presidente della Regione, qualora il negoziato «non giunga a buon fine entro il termine di cui al comma 2 dell’articolo 1», vale a dire entro 120 giorni dall’approvazione della legge, «ad indire un referendum consultivo per conoscere la volontà degli elettori del Veneto» in merito a cinque quesiti, elencati in altrettanti numeri del citato art. 2, comma 1.

La difesa statale richiama la giurisprudenza costituzionale per sostenere che il referendum consultivo regionale, pur essendo un prezioso strumento di partecipazione dell’elettorato, dovrebbe essere amministrato con particolare attenzione “laddove esso si presta ad essere utilizzato indebitamente come un mezzo di pressione sull’attività legislativa del Parlamento, influendo negativamente sull’azione costituzionale e politica dello Stato”. Ciò varrebbe soprattutto quando si tenti di far precedere tale consultazione a iniziative di riforma della Costituzione promosse dagli organi politici regionali: una manifestazione di volontà popolare, anteriore alla formazione delle scelte del legislatore, altererebbe l’ordine previsto nell’art. 138 Cost. e, quindi, l’equilibrio di un procedimento deliberativo accuratamente costruito dal Costituente.

1.2.– Ciò premesso, il Presidente del Consiglio articola censure distinte per i cinque quesiti di cui all’art. 2, comma 1, della legge impugnata, iniziando a considerare quello di cui al numero 5): «Vuoi che la Regione del Veneto diventi una regione a statuto speciale?».

Ad avviso del ricorrente, una consultazione su tale quesito costituirebbe una forma di indebito avvio del procedimento di cui all’art. 138 Cost. per la revisione dell’art. 116 Cost., nel quale sono individuate nominativamente le Regioni a statuto speciale.

1.3.– Viene quindi considerato il quesito di cui all’art. 2, comma 1, numero 1), della legge impugnata: «Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?».

Il ricorrente riconosce che, “in qualche modo”, il quesito si ispira all’art. 116, comma terzo, Cost., a norma del quale ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti determinate materie, possono essere attribuite alle Regioni a statuto ordinario, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’art. 119 Cost.

Tuttavia, la difesa statale rileva anzitutto che il quesito non fa riferimento alle specifiche materie previste all’art. 116, comma terzo, Cost.: pertanto, nella sua genericità, esso appare “gravemente elusivo” della cautela ritenuta necessaria dalla giurisprudenza costituzionale, “in quanto la prospettazione all’elettorato di un imprecisato incremento dell’autonomia (tanto più contestualmente al quesito 5 sulla Regione a Statuto speciale) evoca la prospettiva di riforme molto ampie, suscitando un’aspettativa che non tiene conto del vincolo costituzionale”.

In secondo luogo, l’Avvocatura generale osserva che una consultazione su un quesito siffatto altererebbe il procedimento previsto nell’art. 116, comma terzo, Cost. Tale disposizione consentirebbe di “qualificare il previsto ampliamento dell’autonomia come una revisione costituzionale, sia pure su scala ridotta”; e ciò renderebbe “ancora più sensibile la formazione del contenuto della riforma rispetto alle suggestioni ed alle pressioni del voto popolare preventivo”. Tanto più perché il citato art. 116, comma terzo, individua nei rappresentanti politici della Regione e degli enti locali i soggetti legittimati a promuovere la riforma, evitando di coinvolgere direttamente gli elettori nella fase di avvio della proposta, in linea con un’impostazione per cui le scelte fondamentali della comunità nazionale, che ineriscono al patto costituzionale, sono riservate alla rappresentanza politica, sulle cui determinazioni il popolo non può intervenire se non nelle forme tipiche previste dall’art. 138 Cost. (sentenza n. 496 del 2000).

1.4.– Infine, sono censurati congiuntamente, per la ritenuta comunanza di oggetto, i quesiti di cui all’art. 2, comma 1, numeri 2), 3) e 4), della legge impugnata, formulati, rispettivamente, nei seguenti termini: «Vuoi che una percentuale non inferiore all’ottanta per cento dei tributi pagati annualmente dai cittadini veneti all’amministrazione centrale venga utilizzata nel territorio regionale in termini di beni e servizi?»; «Vuoi che la Regione mantenga almeno l’ottanta per cento dei tributi riscossi nel territorio regionale?»; «Vuoi che il gettito derivante dalle fonti di finanziamento della Regione non sia soggetto a vincoli di destinazione?».

La difesa statale richiama anzitutto l’art. 75 Cost. e gli artt. 26 e 27 dello statuto della Regione Veneto. A norma del comma 4, lettere a) e b), del citato art. 26, non è ammesso il referendum per l’abrogazione delle leggi tributarie e di bilancio e dei relativi provvedimenti di attuazione, né delle leggi e degli atti regionali i cui contenuti costituiscano adempimento di obblighi costituzionali, internazionali ed europei. A norma del comma 3 del successivo art. 27, non è ammesso referendum consultivo, tra l’altro, nei casi previsti dall’art. 26, comma 4. Dalle previsioni statutarie e costituzionali citate, ad avviso della difesa erariale, emergerebbe un principio generale di inammissibilità dei referendum, anche consultivi, su leggi tributarie e di bilancio, o che costituiscano adempimento di obblighi costituzionali, internazionali ed europei.

La stessa difesa erariale rimarca poi le competenze legislative spettanti allo Stato con riguardo al proprio sistema tributario e alla perequazione finanziaria, in via esclusiva (art. 117, comma secondo, lettera e, Cost.), nonché con riguardo ai principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, anche in relazione ai tributi e alle entrate proprie delle autonomie territoriali e alla compartecipazione di queste ultime al gettito di tributi erariali (art. 119, comma secondo, Cost.). Riportandosi alla giurisprudenza costituzionale, il ricorrente enfatizza il ruolo imprescindibile del legislatore statale e dei suoi interventi per l’attuazione del sistema finanziario di cui all’art. 119 Cost. e, segnatamente, per il pieno esplicarsi delle potestà legislative regionali, anche con riguardo ai tributi propri. Pertanto, conclude il Presidente del Consiglio dei ministri, in questo ambito le Regioni, come non potrebbero legiferare, così neppure potrebbero indire un referendum, attribuendo all’elettorato regionale la facoltà di pronunciarsi in una materia interdetta in ambito nazionale dall’art. 75 Cost. e riservata dagli artt. 117 e 119 Cost. al legislatore statale.

Sarebbero altrimenti violati gli stessi artt. 3 e 5 Cost., dato che si intenderebbe attribuire “ai cittadini veneti una legittimazione ad esprimersi in materia non consentita a tutti gli altri cittadini italiani”, mettendo a repentaglio l’unità e l’indivisibilità della Repubblica, in particolare per la prevedibilità di “movimenti che, anziché alimentare la solidarietà sociale, possono suscitare tendenze centrifughe o pretese egoistiche nella politica economica”.

2.– Il Presidente della Giunta regionale, previa autorizzazione della stessa, si è costituito in giudizio con atto depositato (in copia trasmessa via fax e dichiarata conforme all’originale) il 2 ottobre 2014 e (in originale) il 9 ottobre 2014, chiedendo che le questioni siano rigettate.

2.1.– Richiamati i passati tentativi, rimasti senza successo, da parte della Regione Veneto di ottenere ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia ai sensi dell’art. 116, comma terzo, Cost., la difesa regionale riassume i contenuti della legge impugnata. In particolare, sottolinea come in tale legge sia previsto che il Presidente della Giunta proponga al Consiglio regionale «un programma di negoziati che intende condurre con lo Stato» e presenti un «un disegno di legge statale contenente percorsi e contenuti per il riconoscimento di ulteriori e specifiche forme di autonomia per la Regione del Veneto» (art. 2, comma 2). È altresì previsto che il referendum sia indetto «previa intesa con le competenti autorità statali», sulla base di «apposita convenzione con il Ministero dell’Interno», affinché la consultazione avvenga in concomitanza con la prima tornata di elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo o di quello nazionale o di elezioni regionali, con determinazione e ripartizione delle spese relative ad adempimenti comuni, nonché definendo le modalità di pagamento delle spese a carico della Regione (art. 3, comma 2). In sintesi, osserva la difesa della Regione Veneto, quest’ultima, con le disposizioni richiamate, avrebbe “individuato nello Stato il suo interlocutore imprescindibile”.

2.2.– La difesa regionale, replicando alle argomentazioni del ricorso, osserva che – quali che siano le aspettative degli elettori – la legge impugnata è rispettosa delle prerogative del Parlamento, anche in virtù del carattere puramente consultivo del referendum da essa previsto.

Consapevole delle precedenti decisioni di questa Corte in merito ad analoghe iniziative referendarie regionali – sentenze n. 496 del 2000, n. 470 del 1992 e n. 256 del 1989 –, la Regione richiama varie critiche dottrinali a queste pronunce, critiche che hanno evidenziato come la Corte si sia ispirata a una visione politica sospettosa del libero esprimersi di autonome forze popolari e ansiosa di creare protezioni artificiali per l’esercizio del potere da parte di una classe politica nazionale, la quale risulterebbe incapace di conciliare realisticamente l’unità nazionale con le crescenti rivendicazioni delle autonomie locali. La difesa regionale invita, pertanto, la Corte costituzionale a dimostrarsi, una volta di più, capace di aggiornare la propria giurisprudenza, affrancandosi da esagerate paure per ipotetici rischi di “plebiscitarismo”.

D’altra parte, osserva la resistente, tale giurisprudenza sarebbe stata elaborata “in tempi risalenti”, anteriori “alla crisi istituzionale in atto”, nonché alla riforma operata con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione). In proposito, si osserva che la democrazia rappresentativa è in crisi; che lo stesso procedimento legislativo parlamentare è alterato, sotto più profili; che “escludere l’ammissibilità del referendum consultivo regionale, perché si crede che possa essere compromesso l’‘ordine costituzionale e politico dello Stato’ (sentenza n. 256 del 1989), equivale a risolvere a priori, in nome di concezioni realistiche (fattuali) dell’indirizzo politico, il problema della conoscenza degli orientamenti di un corpo referendario, anche parziale”, i cui pronunciamenti potrebbero peraltro essere contrastati ex post dal Parlamento e dal Governo, se ritenessero minacciate le proprie attribuzioni.

2.3.– Con riguardo alla prospettata lesione dell’art. 5 Cost., la parte resistente ricorda come nella stessa giurisprudenza costituzionale si affermi che la partecipazione delle popolazioni locali a fondamentali decisioni che le riguardano costituisce un principio generale, connaturale alla forma di democrazia pluralista accolta nella Costituzione, nonché alla posizione di autonomia ivi riconosciuta agli enti territoriali (sentenza n. 496 del 2000). Inoltre, sottolinea che la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto che ciascuna Regione e la relativa popolazione hanno un interesse qualificato ai contenuti di riforme che investono lo stesso impianto dello Stato regionale e l’ordinamento delle competenze regionali (sentenza n. 470 del 1992). Del resto, le Regioni sono enti esponenziali e rappresentativi degli interessi delle comunità di riferimento, che possono tutelare anche in forme che si proiettano oltre il territorio regionale, con vocazione generale (sentenza n. 829 del 1988). Pertanto, l’iniziativa assunta con la legge impugnata sarebbe compatibile con il ruolo costituzionale della Regione e rispetterebbe pienamente il principio di leale collaborazione, dal quale sarebbe anzi legittimata.

2.4.– Più specificamente, non sarebbero violati l’art. 3, né gli artt. 116, 117 e 119 Cost., perché sono rispettate le attribuzioni degli organi statali e perché ciascuna Regione può assumere iniziative analoghe. Né sarebbe violato l’art. 5 Cost., perché esso pone, oltre al principio unitario, “quello pluralistico, che attenua, per definizione, le rigidità del primo, ove venisse inteso in senso monistico e limitativo dell’art. 21 Cost.”.

2.5.– Da ultimo, la difesa regionale eccepisce l’inammissibilità del ricorso e l’insussistenza di qualunque violazione, “che non sia meramente astratta”, della Costituzione, sul rilievo che “la Regione Veneto non ha attivato, in concreto, alcune delle iniziative previste dalla legge: né il negoziato né il referendum consultivo, condizionanti il voluto del Consiglio regionale”.

3.– Con memoria depositata il 3 aprile 2015, il Presidente del Consiglio dei ministri ha reiterato gli argomenti esposti nel ricorso. In replica al riferimento della difesa regionale all’art. 21 Cost., il ricorrente ha osservato che il referendum consultivo non attiene tanto alla libertà di espressione dei cittadini, quanto ai poteri dell’ente regionale di “formalizzare una proposta predefinita in funzione di un confronto della Regione con il Governo dello Stato che altera gli equilibri previsti dal Costituente”: la vis peculiare del referendum starebbe proprio nella sua formalizzazione, che gli consente di raccogliere lo scontento degli elettori regionali e, in particolare, di rivolgerlo come strumento di condizionamento nei confronti dei rappresentanti che quegli stessi cittadini hanno eletto al Parlamento. Pertanto, dopo avere ribadito i limiti già esplicitati dalla giurisprudenza costituzionale al referendum consultivo regionale, e peraltro “[s]enza […] negare minimamente l’interesse delle Regioni alle riforme che le riguardano, né la loro vocazione generale, né il valore della leale collaborazione”, la difesa erariale insiste per l’accoglimento del ricorso.

4.– A sua volta la difesa regionale, con memoria depositata anch’essa il 3 aprile 2015, insiste nelle proprie conclusioni, aggiungendo che la distinzione tra Regioni a statuto speciale e ordinario non deve essere intesa in modo troppo rigido. Ferma restando la diversa natura dei due tipi di statuti, la resistente osserva che la Regione Veneto avrebbe una posizione “assolutamente peculiare” nell’ambito delle Regioni a statuto ordinario, perché solo il suo statuto – sia nella versione originaria di cui alla legge 22 maggio 1971, n. 340 (Approvazione, ai sensi dell’articolo 123, comma secondo, della Costituzione, dello Statuto della Regione Veneto), sia nella versione vigente – conterrebbe, all’art. 2, riferimenti al popolo veneto, alle sue prerogative di autogoverno e alla sua identità. Il quesito di cui all’art. 2, comma 1, numero 5), della legge reg. Veneto n. 15 del 2014 concernerebbe non la condizione propria delle cinque già esistenti Regioni a statuto speciale, bensì una “collocazione differenziata” della Regione Veneto “nel novero delle 15 Regioni a Statuto ordinario”, nei termini delineati dagli altri quattro quesiti.

Quanto al primo di essi, la difesa regionale osserva che le ulteriori forme di autonomia ivi menzionate sarebbero esemplificate dal secondo e dal terzo quesito, orientati a un regime finanziario analogo a quella delle due Province autonome comprese, come parte del Veneto, nel bacino dolomitico. Anche il quesito di cui all’art. 2, comma 1, numero 4), altro non sarebbe che la pretesa di una facoltà di scelta regionale in merito a “cespiti tributari” parimenti regionali.

5.– Con ricorso notificato, a mezzo del servizio postale, il 23-28 agosto 2014 e depositato il successivo 2 settembre (reg. ric. n. 68 del 2014), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento agli artt. 5, 81, terzo comma, 114, 138 e 139 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale della legge della Regione Veneto 19 giugno 2014, n. 16 (Indizione del referendum consultivo sull’indipendenza del Veneto).

5.1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ripercorre i contenuti della legge regionale impugnata, la quale prevede l’indizione di «un referendum consultivo per conoscere la volontà degli elettori del Veneto sul seguente quesito: “Vuoi che il Veneto diventi una Repubblica indipendente e sovrana? S[ì] o no?”» (art. 1, comma 1). La stessa legge detta altresì norme in tema di svolgimento della consultazione (art. 1, commi 2, 3 e 4) e propaganda (art. 2). Infine, rileva la difesa dello Stato, l’art. 3 della legge impugnata prescrive che il Presidente del Consiglio regionale e quello della Giunta regionale del Veneto si attivino, «con ogni risorsa a disposizione del Consiglio regionale e della Giunta regionale, per avviare urgentemente con tutte le Istituzioni dell’Unione europea e delle Nazioni unite le relazioni istituzionali che garantiscano l’indizione della consultazione referendaria innanzi richiamata ed il monitoraggio delle procedure di voto al fine di accertare l’effettiva volontà del Popolo Veneto e convalidare l’esito del risultato finale» (comma 1); e che gli stessi organi tutelino «in ogni sede competente, nazionale ed internazionale, il diritto del Popolo Veneto all’autodeterminazione» (comma 2).

5.2.– Nel denunciare la violazione dell’art. 138 Cost., il ricorrente si riporta alla sentenza n. 496 del 2000, per sostenere come la funzione di propulsore dell’innovazione costituzionale sia attribuita dalla disposizione citata principalmente alla rappresentanza politico-parlamentare, “ritenendo che sia questa la sede in cui la proposta di riforma possa essere meglio elaborata, approfondita e condivisa”. Il voto popolare, invece, potrebbe esprimersi solo a posteriori, nella forma del referendum di cui al citato art. 138 Cost., “anche perché il referendum preventivo, pur non avendo carattere vincolante, può avere un’influenza notevole come strumento di pressione sugli organi politici ed è più esposto al rischio di una scelta non razionale perché legata a situazioni contingenti”. Del resto, se si consentisse solo a una parte dei cittadini di votare una seconda volta sulla stessa proposta di riforma, si incorrerebbe in una contraddizione concettuale, o meglio in una contrapposizione tra il popolo italiano e un “altro” popolo, già diviso e distinto.

5.3.– Sul piano sostanziale, è denunciata una “gravissima lesione del principio costituzionale dell’unità della Repubblica” e quindi dell’art. 5 Cost. Benché l’unità non escluda affatto l’autonomia, è appunto solo in termini di autonomia che l’art. 114 Cost. fa riferimento alle Regioni, mentre la sovranità – cui fa riferimento l’art. 1, comma 1, della legge in questione – “è un valore fondante della Repubblica unitaria che nessuna riforma può cambiare senza distruggere l’identità stessa dell’Italia”. Nemmeno vengono in rilievo, nel caso, i dubbi su tale nozione esaminati nella sentenza n. 365 del 2007, allorché la Corte si soffermò sulle caratteristiche che possono connotare le entità territoriali componenti di uno Stato federale, a causa della loro preesistente qualità sovrana. Nella stessa occasione, d’altra parte, la Corte confermò che, nella propria struttura essenziale, la sovranità dello Stato non è stata scalfita né dall’integrazione sovranazionale, né dall’affermazione del regionalismo.

5.4.– La violazione della sovranità è denunciata anche in relazione all’art. 4 (recte: all’art. 3) della legge reg. Veneto n. 16 del 2014, giacché “dall’unità ed indivisibilità della Repubblica discende l’attribuzione esclusiva ai suoi organi del potere di rappresentare in sede internazionale i diritti e gli interessi di tutti i cittadini”. La volontà di una parte del popolo di cercare una tutela speciale e distinta in ambito internazionale, “scavalcando gli organi di governo del proprio Paese”, equivarrebbe, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, a una volontà di separazione.

5.5.– Da ultimo, il ricorso censura, per violazione del vigente art. 81, comma terzo, Cost., l’art. 4 della legge reg. n. 16 del 2014, il quale prevede la copertura degli oneri per l’attuazione della legge stessa, quantificati in 14 milioni di euro, mediante entrate «provenienti da erogazioni liberali e donazioni da parte di cittadini ed imprese», introitate all’unità previsionale di base (UPB) E0147 del bilancio 2014 («Altri introiti»). Tale copertura non corrisponderebbe ad alcuna delle modalità di cui all’art. 17, comma 1, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica) e avrebbe carattere non certo, ma puramente ipotetico. Lo stanziamento di cui alla citata UPB sarebbe peraltro incapiente.

6.– Il Presidente della Giunta regionale, previa autorizzazione della stessa, si è costituito in giudizio con atto depositato (in copia trasmessa via fax e dichiarata conforme all’originale) il 2 ottobre 2014 e (in originale) il 9 ottobre 2014, chiedendo che le questioni siano rigettate.

6.1.– Secondo la difesa regionale, la consultazione prevista nella legge in questione non sarebbe altro che “un sondaggio formalizzato”, i cui esiti sono imprevedibili, che interroga gli elettori veneti “circa la scelta oppure no dell’indipendenza”. Il legislatore regionale porrebbe “su un piano di assoluta parità chi è favorevole oppure no”. Il senso dell’iniziativa sarebbe proprio quello di stimolare una informata e libera manifestazione del pensiero, garantita dall’art. 21 Cost., da parte di cittadini i quali, peraltro, siano disposti a sobbarcarsi i relativi oneri.

La legge reg. Veneto n. 16 del 2014 costituirebbe l’epilogo di una lunga serie di iniziative, risalenti all’unificazione d’Italia, orientate nel senso dell’autonomismo, come adeguamento delle strutture pubbliche alla molteplicità delle condizioni del Paese, del vero e proprio separatismo, o comunque della contrapposizione politica all’autorità centrale. Ricordato come, anche di recente, analoghe iniziative di consultazione popolare abbiano suscitato reazioni differenti in diversi ordinamenti europei, la difesa regionale sostiene che solo ragioni ideologiche potrebbero portare a negare la legittimità di consultazioni come quella oggetto della legge impugnata.

6.2.– Sottolineata l’assenza di precedenti specifici e di disposizioni costituzionali esplicite, la difesa regionale invita la Corte ad adottare, nella lettura dell’art. 5 Cost., un’impostazione ispirata al ruolo della persona nella sua concretezza e soggettività storica. Proprio la persona dovrebbe essere considerata come “dato costitutivo presupposto dall’iniziativa tradottasi nella legge regionale n. 16/2014”: la consultazione ivi prevista andrebbe concepita come una manifestazione di pensiero da parte di coloro che vi parteciperanno; essa sarebbe tutelata dall’art. 21 Cost., non interferirebbe affatto con le prerogative del Parlamento, né rappresenterebbe di per sé – nell’incertezza sull’esito del referendum, rispetto alle cui alternative la Regione è, come detto, neutrale – un atto di separazione del Veneto.

6.3.– Pertanto, non sarebbe violato l’art. 138 Cost., considerato che la consultazione in questione sarebbe una mera manifestazione del pensiero degli elettori, né l’art. 5 Cost., giacché “il puro e semplice, eventuale dissenso, rispetto a quel che è codificato a proposito dell’unità e dell’indivisibilità della Repubblica, è inidoneo a produrre anche la più tenue delle alterazioni dell’ordine costituzionale”. Per lo stesso motivo, la sovranità dello Stato non sarebbe intaccata, né l’art. 114 Cost. violato. Quanto all’art. 81 Cost., il finanziamento delle spese previste non sarebbe riversato sulla Regione: “[s]e privati e imprese non elargiranno alcunché, tutto si tradurrà in un nulla di fatto”.

6.4.– A tale ultimo proposito, con riguardo alla censura statale incentrata sul carattere puramente ipotetico della copertura finanziaria, la difesa ribatte che, se così fosse e se, in mancanza delle previste elargizioni, la legge regionale fosse destinata a rimanere un “flatus vocis”, non si sarebbe concretizzata alcuna violazione effettiva della Costituzione e, pertanto, il ricorso risulterebbe inammissibile.

7.– Con atto depositato il 2 ottobre 2014, è intervenuta nel giudizio la associazione “Indipendenza Veneta”, affermando di avere quale propria finalità istituzionale la creazione “di una nuova entità statuale, la nuova Repubblica Veneta”, e di avere dato impulso politico alla legge regionale in questione.

8.– Con memoria depositata il 3 aprile 2015, il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito l’inammissibilità dell’intervento della predetta associazione, riportandosi alla giurisprudenza costituzionale relativa all’intervento dei terzi nel giudizio di legittimità costituzionale in via principale.

Il Presidente del Consiglio ha inoltre ribadito gli argomenti esposti nel ricorso, sottolineando che, come risulta dai precedenti, il referendum previsto nella legge regionale in questione è cosa diversa da una libera manifestazione del pensiero dei cittadini: si tratterebbe, invece, della “promozione da parte dell’Ente regionale di un’iniziativa formalizzata in un testo di legge mirante a dissolvere l’unità del Paese ed a negare la sovranità dello Stato per rivendicarla a se stessa”. Il ricorso mira, appunto, a “evitare che il popolo venga chiamato ad esprimere una volontà conflittuale con i valori costituzionali, ed anzi proprio con i valori fondanti dell’unità e della sovranità”. Pertanto, sussisterebbe il denunciato contrasto con gli artt. 5, 114 e 138 Cost., nonché con l’art. 81 Cost., “poiché l’intendimento di non procedere al referendum in mancanza di finanziamento non è nella legge e dunque non ne vanifica il contenuto”.

9.– Con memoria parimenti depositata il 3 aprile 2015, anche la Regione Veneto ha insistito negli argomenti e nelle conclusioni già formulate. Premessi ulteriori rilievi sulla situazione generale che farebbe da sfondo alla legge censurata, sulle istanze che essa vorrebbe interrogare, nonché sulla necessità di considerare realisticamente l’una e le altre, la Regione ribadisce che “il referendum consultivo sull’indipendenza del Veneto è privo di qualunque ‘profilo di pericolo’, dato che si risolve in una pura e semplice manifestazion[e] di pensiero (ex art. 21 Cost.), che sarà liberamente valutata dalle istituzioni che ne hanno competenza”.

La Regione conclude chiedendo che la Corte rigetti il ricorso, riconoscendo il carattere “non lesivo della Costituzione” della legge reg. Veneto n. 16 del 2014, o la “carenza attuale di interesse all’impugnativa da parte dello Stato”, salvi eventuali conflitti di attribuzione in relazione a futuri atti applicativi; o ancora chiarendo, in via interpretativa, “quale è, a suo parere, l’ambito della operatività della legge regionale n. 16/2014 conforme a Costituzione”.

Considerato in diritto

1.– Con due ricorsi notificati il 23-28 agosto 2014 e depositati il 2 settembre 2014 (reg. ric. n. 67 e n. 68 del 2014), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale, rispettivamente, della legge della Regione Veneto 19 giugno 2014, n. 15 (Referendum consultivo sull’autonomia del Veneto), in riferimento agli artt. 3, 5, 116, 117, 119 e 138 della Costituzione, nonché agli artt. 26 e 27 dello Statuto del Veneto, approvato con legge regionale statutaria 17 aprile 2012, n. 1 e della legge della Regione Veneto 19 giugno 2014, n. 16 (Indizione del referendum consultivo sull’indipendenza del Veneto), in riferimento agli artt. 5, 114, 138 e 139 Cost., nonché, con riguardo all’art. 4 della legge stessa, in riferimento all’art. 81 Cost.

2.– I giudizi possono essere riuniti e decisi congiuntamente, perché implicano la soluzione di questioni almeno in parte analoghe per argomenti, parametri e contenuti delle leggi impugnate (ex plurimis, sentenze n. 209 del 2014, n. 228 e n. 141 del 2013).

3.– Deve essere confermata l’ordinanza, deliberata nel corso dell’udienza pubblica e allegata alla presente sentenza, con la quale è stato dichiarato inammissibile l’intervento, nel giudizio avente ad oggetto la legge reg. Veneto n. 16 del 2014, dell’associazione “Indipendenza Veneta”.

Il giudizio di costituzionalità delle leggi promosso in via d’azione, infatti, si svolge esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa e non ammette l’intervento di soggetti che ne siano privi, fermi restando per costoro, ove ne ricorrano i presupposti, gli altri mezzi di tutela giurisdizionale eventualmente esperibili (ex plurimis, sentenze n. 31 del 2015, n. 210 del 2014, n. 285, n. 220 e n. 118 del 2013).

Non sono pertinenti i precedenti citati dalla difesa dell’associazione relativi all’intervento di terzi nei giudizi incidentali di legittimità costituzionale (ordinanze n. 156 del 2013 e n. 251 del 2002).

4.– La difesa della Regione Veneto ha eccepito l’inammissibilità di entrambi i ricorsi, per carenza di attuale lesività delle leggi impugnate, giacché le previste consultazioni popolari non si sono ancora tenute e neppure si sono verificati i presupposti per il loro svolgimento: né il negoziato preliminare con il Governo, di cui all’art. 1 della legge reg. Veneto n. 15 del 2014, né la raccolta di elargizioni private destinate a sovvenzionare la consultazione, di cui all’art. 4 della legge reg. Veneto n. 16 del 2014.

L’eccezione non è fondata.

A prescindere da qualsiasi considerazione sul comportamento concretamente tenuto dalla Regione riguardo all’attuazione delle leggi impugnate (peraltro avviata, per quanto riguarda la legge reg. Veneto n. 16 del 2014, con deliberazioni della Giunta regionale 28 luglio 2014, n. 1331, e 23 settembre 2014, n. 1709), deve osservarsi che il giudizio promosso in via principale dallo Stato avverso una legge regionale (e, similmente, dalla Regione avverso una legge dello Stato) ha ad oggetto il testo legislativo, indipendentemente dagli effetti concretamente prodotti. La brevità del termine entro il quale deve essere promosso il ricorso – sessanta giorni dalla pubblicazione dell’atto regionale o statale, ai sensi dell’art. 127 Cost. – connota questo tipo di giudizio come un giudizio successivo e astratto: successivo, perché verte su un atto già perfezionato e pubblicato; astratto, perché si instaura in un momento in cui l’applicazione dell’atto può non avere avuto ancora luogo, specie nei casi in cui essa richieda lo svolgimento di procedimenti complessi o l’istituzione di nuove strutture organizzative. Pertanto, la pubblicazione di una legge, che, come nel caso in esame, si ritenga eccedere dalle competenze costituzionali della Regione, ne consente l’impugnazione da parte dello Stato, a prescindere dalla produzione di effetti concreti e dalla realizzazione di conseguenze pratiche (sentenze n. 45 del 2011, n. 407 del 2002, n. 332 del 1998).

5.– Nel merito, occorre anzitutto ribadire che non v’è dubbio che le questioni di interesse della comunità regionale, su cui la Regione può attivare la partecipazione delle popolazioni del proprio territorio tramite referendum consultivo, possono riguardare anche ambiti che superano i confini delle materie e del territorio regionale, fino a intrecciarsi con la dimensione nazionale (sentenze n. 496 del 2000, n. 470 del 1992, n. 256 del 1989). Tuttavia, l’esistenza di un tale interesse qualificato non abilita la Regione ad assumere iniziative – anche di consultazione popolare – libere nella forma o eccedenti i limiti stabiliti in virtù di previsioni costituzionali.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla resistente, è giuridicamente erroneo equiparare il referendum consultivo a un qualsiasi spontaneo esercizio della libertà di manifestazione del pensiero da parte di più cittadini, coordinati tra loro. Il referendum è uno strumento di raccordo tra il popolo e le istituzioni rappresentative, tanto che si rivolge sempre all’intero corpo elettorale (o alla relativa frazione di esso, nel caso di referendum regionali), il quale è chiamato ad esprimersi su un quesito predeterminato. Inoltre, anche quando non produce effetti giuridici immediati sulle fonti del diritto, il referendum assolve alla funzione di avviare, influenzare o contrastare processi decisionali pubblici, per lo più di carattere normativo. Per questo, i referendum popolari, nazionali o regionali, anche quando di natura consultiva, sono istituti tipizzati e debbono svolgersi nelle forme e nei limiti previsti dalla Costituzione o stabiliti sulla base di essa.

6.– La disciplina dei referendum regionali ha la propria sede nello statuto regionale, secondo quanto previsto dall’art. 123 Cost. Nell’esercizio dell’autonomia politica a essa accordata da tale disposizione (sentenza n. 81 del 2012), da svolgere in armonia con i precetti e con i principi tutti ricavabili dalla Costituzione (ex multis, sentenze n. 81 e n. 64 del 2015), ciascuna Regione può stabilire forme, modi e criteri della partecipazione popolare ai processi di controllo democratico sui propri atti; può introdurre tipologie di referendum anche nuove rispetto a quelle previste nella Costituzione (sentenza n. 372 del 2004); può pure coinvolgere in tali consultazioni i soggetti che prendano parte consapevolmente e stabilmente alla vita della comunità, ancorché non titolari del diritto di voto e della cittadinanza italiana (sentenza n. 379 del 2004).

Naturalmente, una volta che siano state formalizzate, le scelte statutarie si impongono alla successiva attività regionale, anche legislativa, atteso il carattere fondamentale dello statuto regionale (sentenza n. 4 del 2010) e il suo rapporto con le leggi regionali, disegnato dalla Costituzione in termini sia di gerarchia, sia di competenza (sentenza n. 188 del 2011).

La Regione Veneto si è data un nuovo statuto con la legge reg. statutaria n. 1 del 2012, che regola i referendum regionali agli artt. 26 e 27.

All’art. 27 è disciplinata «l’indizione di referendum consultivi delle popolazioni interessate su provvedimenti o proposte di provvedimenti di competenza del Consiglio» ed al comma 3 del medesimo articolo sono richiamati i limiti stabiliti per i referendum abrogativi regionali all’art. 26, commi 4 e 5, che si debbono pertanto applicare anche ai referendum consultivi. In relazione ai motivi di ricorso formulati dall’Avvocatura generale dello Stato, rileva in particolare l’art. 26, comma 4, lettere a) e b), ai sensi del quale non sono ammessi referendum regionali in merito alle leggi tributarie e di bilancio e ai relativi provvedimenti di attuazione, nonché alle leggi e agli atti regionali i cui contenuti costituiscano adempimento di obblighi costituzionali, internazionali ed europei. È bene sottolineare che, nella parte in cui richiede il rispetto degli obblighi costituzionali, lo statuto non fa che ripetere quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui i referendum regionali, inclusi quelli di natura consultiva, non possono coinvolgere scelte di livello costituzionale (sentenze n. 365 del 2007, n. 496 del 2000, n. 470 del 1992).

7.– Ciò chiarito, deve dichiararsi fondata la questione avente ad oggetto la legge reg. Veneto n. 16 del 2014 per violazione degli artt. 5, 114, 138 e 139 Cost.

7.1.– Questa legge prevede (art. 1) l’indizione, da parte del Presidente della Giunta regionale, di «un referendum consultivo per conoscere la volontà degli elettori del Veneto sul seguente quesito: “Vuoi che il Veneto diventi una Repubblica indipendente e sovrana? S[ì] o No?”». Spetta al Consiglio regionale determinare la data della consultazione, alla quale possono partecipare tutti i cittadini maggiorenni iscritti nelle liste elettorali dei Comuni regionali. «La proposta soggetta a referendum è approvata se alla consultazione partecipa la maggioranza degli aventi diritto e viene raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi» (art. 1, comma 2).

L’art. 2 riguarda le procedure per la votazione e la proclamazione del risultato, nonché la propaganda e, tra l’altro, estende le «facoltà riconosciute dalle disposizioni vigenti ai partiti o gruppi politici rappresentati in Consiglio regionale ed ai comitati promotori di referendum» anche alle associazioni interessate alla «espressione del Popolo Veneto in ordine alla propria autodeterminazione».

L’art. 3 prevede che il Presidente della Giunta e quello del Consiglio regionale, «con ogni risorsa a disposizione» degli organi presieduti, avviino relazioni istituzionali «che garantiscano l’indizione della consultazione referendaria innanzi richiamata ed il monitoraggio delle procedure di voto al fine di accertare l’effettiva volontà del Popolo Veneto e convalidare l’esito del risultato finale»; e demanda a entrambi i Presidenti il compito di «tutelare in ogni sede competente, nazionale ed internazionale, il diritto del Popolo Veneto all’autodeterminazione».

L’art. 4 quantifica gli oneri per la consultazione e ne prevede la copertura attraverso erogazioni liberali e donazioni da parte di «cittadini ed imprese».

7.2.– Il referendum consultivo previsto all’art. 1 non solo riguarda scelte fondamentali di livello costituzionale, come tali precluse ai referendum regionali secondo la giurisprudenza costituzionale sopra citata, ma suggerisce sovvertimenti istituzionali radicalmente incompatibili con i fondamentali principi di unità e indivisibilità della Repubblica, di cui all’art. 5 Cost.

L’unità della Repubblica è uno di quegli elementi così essenziali dell’ordinamento costituzionale da essere sottratti persino al potere di revisione costituzionale (sentenza n. 1146 del 1988). Indubbiamente, come riconosciuto anche da questa Corte, l’ordinamento repubblicano è fondato altresì su principi che includono il pluralismo sociale e istituzionale e l’autonomia territoriale, oltre che l’apertura all’integrazione sovranazionale e all’ordinamento internazionale; ma detti principi debbono svilupparsi nella cornice dell’unica Repubblica: «La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali» (art. 5 Cost.).

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, pluralismo e autonomia non consentono alle Regioni di qualificarsi in termini di sovranità, né permettono che i loro organi di governo siano assimilati a quelli dotati di rappresentanza nazionale (sentenze n. 365 del 2007, n. 306 e n. 106 del 2002). A maggior ragione, gli stessi principi non possono essere estremizzati fino alla frammentazione dell’ordinamento e non possono essere invocati a giustificazione di iniziative volte a interpellare gli elettori, sia pure a scopo meramente consultivo, su prospettive di secessione in vista della istituzione di un nuovo soggetto sovrano. Una iniziativa referendaria che, come quella in esame, contraddica l’unità della Repubblica non potrebbe mai tradursi in un legittimo esercizio del potere da parte delle istituzioni regionali e si pone perciò extra ordinem.

7.3.– Restano assorbiti gli altri motivi di ricorso.

8.– È altresì impugnata la legge reg. Veneto n. 15 del 2014, in riferimento agli artt. 3, 5, 116, 117, 119 e 138 Cost., nonché agli artt. 26 e 27 dello statuto della Regione Veneto, che si intendono richiamati in relazione all’art. 123 Cost.

8.1.– L’art. 1, comma 1, della legge prevede un «negoziato» tra il Presidente della Giunta regionale e il Governo, allo scopo di «definire il contenuto di un referendum consultivo finalizzato a conoscere la volontà degli elettori del Veneto circa il conseguimento di ulteriori forme di autonomia della Regione del Veneto».

Qualora tale negoziato «non giunga a buon fine» entro centoventi giorni dall’approvazione della legge, il Presidente della Giunta «è autorizzato ad indire un referendum consultivo per conoscere la volontà degli elettori del Veneto» (art. 2, comma 1), in merito a cinque quesiti: «1) “Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”; 2) “Vuoi che una percentuale non inferiore all’ottanta per cento dei tributi pagati annualmente dai cittadini veneti all’amministrazione centrale venga utilizzata nel territorio regionale in termini di beni e servizi?”; 3) “Vuoi che la Regione mantenga almeno l’ottanta per cento dei tributi riscossi nel territorio regionale?”; 4) “Vuoi che il gettito derivante dalle fonti di finanziamento della Regione non sia soggetto a vincoli di destinazione?”; 5) “Vuoi che la Regione del Veneto diventi una regione a statuto speciale?”».

L’art. 2, comma 2, prevede poi che, nel caso in cui alla consultazione partecipi la maggioranza degli aventi diritto e sia raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi, il Presidente della Giunta debba proporre al Consiglio regionale «un programma di negoziati che intende condurre con lo Stato» e presentare «un disegno di legge statale contenente percorsi e contenuti per il riconoscimento di ulteriori e specifiche forme di autonomia per la Regione del Veneto».

L’art. 3 dispone in merito alle procedure referendarie, prevedendo tra l’altro che la consultazione sia indetta in concomitanza con le prime elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo o del Parlamento nazionale, o con le prime elezioni regionali, «previa intesa con le competenti autorità statali». L’art. 4 quantifica gli oneri derivanti dall’attuazione della legge e dispone in merito alla loro copertura.

8.2.– Il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri chiede l’annullamento della legge reg. Veneto n. 15 del 2014 nella sua interezza, ma i suoi motivi si concentrano esclusivamente sull’art. 2, comma 1, articolandosi in una pluralità di censure rivolte partitamente nei confronti dei quesiti referendari ivi contemplati al numero 1), ai numeri da 2) a 4) e al numero 5). Nessun argomento autonomo è sviluppato nei confronti delle altre disposizioni della legge impugnata; del resto, esse sono tutte connesse e meramente strumentali alle previste consultazioni; il che peraltro non comporta l’inammissibilità del ricorso, considerata appunto la complessiva omogeneità della legge in questione (ex plurimis, sentenze n. 160 del 2012, n. 300 e n. 246 del 2010).

Pertanto, occorre esaminare separatamente le singole questioni sollevate in merito ai cinque quesiti referendari.

8.3.– Come già rilevato, l’art. 2, comma 1, numero 1), prevede che sia chiesto agli elettori regionali se vogliono «che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia».

La questione relativa a tale quesito non è fondata.

La domanda da sottoporre agli elettori evoca il disposto dell’art. 116, terzo comma, Cost., a norma del quale la legge dello Stato può attribuire alle Regioni a statuto ordinario «[u]lteriori forme e condizioni particolari di autonomia». Nonostante il richiamo testuale implicito all’art. 116, terzo comma, Cost., il ricorrente ritiene che il referendum contrasti con la citata disposizione costituzionale sotto due profili: anzitutto perché sarebbero pretermessi le condizioni e i limiti, segnatamente di materia, indicati tassativamente dall’art. 116, terzo comma, Cost., per il conferimento di tali forme ulteriori e condizioni particolari di autonomia; in secondo luogo, perché lo speciale procedimento legislativo previsto dalla disposizione costituzionale non permetterebbe l’introduzione di un preliminare referendum consultivo regionale.

Vero è che manca nel quesito qualsiasi precisazione in merito agli ambiti di ampliamento dell’autonomia regionale su cui si intende interrogare gli elettori. Non è men vero, però, che il tenore letterale del quesito referendario ripete testualmente l’espressione usata nell’art. 116, terzo comma, Cost. e dunque si colloca nel quadro della differenziazione delle autonomie regionali prevista dalla disposizione costituzionale evocata; cosicché deve intendersi che le «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» su cui gli elettori sono chiamati ad esprimersi possano riguardare solo le «materie di cui al terzo comma dell’art. 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s)», come esplicitamente stabilito nelle suddette disposizioni costituzionali. Così interpretato, il quesito referendario non prelude a sviluppi dell’autonomia eccedenti i limiti costituzionalmente previsti e pertanto, sotto questo profilo, la censura non è fondata.

Quanto al secondo profilo, occorre osservare che non vi è alcuna sovrapposizione tra la consultazione popolare regionale e il procedimento di cui all’art. 116, commi terzo e quarto, Cost., che pertanto potrà svolgersi inalterato, nel caso in cui fosse effettivamente attivato. Il referendum consultivo previsto dalla disposizione regionale impugnata si colloca in una fase anteriore ed esterna rispetto al procedimento prestabilito all’art. 116 Cost., il quale richiede l’approvazione di una legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, con voto favorevole delle Camere a maggioranza assoluta dei propri componenti e sulla base di un’intesa fra lo Stato e la Regione stessa.

Il referendum oggetto della disposizione impugnata precede ciascuno degli atti e delle fasi che compongono il procedimento costituzionalmente previsto. Lo stesso atto regionale di iniziativa di cui al citato art. 116, comma terzo, Cost., come la procedura per la sua adozione da parte degli organi regionali competenti, rimane giuridicamente autonomo e distinto dal referendum, pur potendo essere politicamente condizionato dal suo esito. Né d’altra parte la consultazione popolare, qualora avvenisse, consentirebbe di derogare ad alcuno degli adempimenti costituzionalmente necessari, ivi compresa la consultazione degli enti locali. Anche sotto questo profilo, dunque, la questione non è fondata.

8.4.– Per quanto riguarda i quesiti di cui all’art. 2, comma 1, numeri 2), 3) e 4), della legge reg. Veneto n. 15 del 2014, le censure sono fondate per violazione degli artt. 26 e 27 dello statuto della Regione Veneto e, dunque, dell’art. 123 Cost.

I quesiti di cui ai numeri 3) e 2), rispettivamente, delineano un assetto finanziario in cui i tributi riscossi sul territorio regionale, o versati dai «cittadini veneti», sarebbero trattenuti almeno per l’ottanta per cento dalla Regione e, nella parte incamerata dalla «amministrazione centrale», dovrebbero essere utilizzati almeno per l’ottanta per cento nel territorio regionale «in termini di beni e servizi». Il referendum e le conseguenti iniziative degli organi rappresentativi della Regione previste dalla legge impugnata riguardano pertanto la destinazione del gettito derivante dai tributi esistenti e ne prospettano la distrazione di una cospicua percentuale dalla finanza pubblica generale, per indirizzarla ad esclusivo vantaggio della Regione Veneto e dei suoi abitanti.

Così facendo i due quesiti interferiscono palesemente con la materia tributaria e perciò contrastano con gli artt. 26, comma 4, lettera a), e 27, comma 3, dello statuto, i quali non ammettono referendum consultivi che attengano a leggi tributarie.

Non meno incisiva è la violazione dei principi costituzionali in tema di coordinamento della finanza pubblica, nonché del limite delle leggi di bilancio, come interpretato dalla costante giurisprudenza di questa Corte in tema di referendum ex art. 75 Cost., valevole come canone interpretativo anche dell’analoga clausola statutaria (ex plurimis, sentenze n. 6 del 2015, n. 12 del 2014, n. 12 del 1995 e n. 2 del 1994).

I quesiti in esame profilano alterazioni stabili e profonde degli equilibri della finanza pubblica, incidendo così sui legami di solidarietà tra la popolazione regionale e il resto della Repubblica. Pertanto, i due quesiti investono in pieno non già le singole manovre di bilancio, o determinate misure in esse ricomprese, ma alcuni elementi strutturali del sistema nazionale di programmazione finanziaria, indispensabili a garantire la coesione e la solidarietà all’interno della Repubblica, nonché l’unità giuridica ed economica di quest’ultima. Così facendo, i quesiti si pongono in contrasto con principi di sicuro rilievo costituzionale ed entrano nel cuore di una materia in cui lo stesso statuto regionale, in armonia con la Costituzione, non ammette referendum, nemmeno consultivi.

Restano assorbiti gli ulteriori profili di illegittimità costituzionale prospettati nel ricorso in merito ai due quesiti.

8.5.– Il quesito di cui all’art. 2, comma 1, numero 4), della legge impugnata sottopone agli elettori la seguente domanda: «Vuoi che il gettito derivante dalle fonti di finanziamento della Regione non sia soggetto a vincoli di destinazione?».

Così formulato, il quesito non è di univoca interpretazione. Esso apparentemente interroga gli elettori in vista dell’introduzione di principi che in realtà sono già incorporati nella Costituzione e nella legislazione vigente. Infatti, il decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario), prevede, all’art. 1, commi 2 e 3, con riguardo alle Regioni a statuto ordinario, che le compartecipazioni al gettito di tributi erariali, i tributi propri e i meccanismi perequativi costituiscono le fonti di finanziamento «del complesso delle spese delle stesse regioni» e che il relativo gettito «è senza vincolo di destinazione». Ciò in linea con l’art. 119 Cost., che vieta al legislatore statale di prevedere, in materie di competenza legislativa regionale residuale o concorrente, nuovi finanziamenti a destinazione vincolata, i quali possono divenire strumenti indiretti, ma pervasivi, di ingerenza dello Stato nell’esercizio delle funzioni delle Regioni e degli enti locali, negli ambiti materiali di loro competenza (ex plurimis, sentenze n. 254 del 2013 e n. 168 del 2008).

Vero è che il principio dell’assenza di vincoli di destinazione può patire eccezioni come quella di cui all’art. 119, quinto comma, Cost., che consente allo Stato di destinare alle autonomie territoriali risorse aggiuntive per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni. L’unico significato plausibile del quesito referendario in esame è, dunque, che esso riguardi la rimozione di tutti i vincoli di destinazione ancora gravanti su risorse finanziarie spettanti alla Regione. In tal modo, però, il quesito finisce per investire la stessa previsione costituzionale di cui all’art. 119, quinto comma, Cost. Come si è più volte ribadito, nella misura in cui incide su un principio costituzionale, il quesito non è legittimo, anche perché non rispetta lo statuto regionale, i cui artt. 26, comma 4, lettera b), e 27, comma 3, dispongono che i referendum regionali siano di tenore tale da rispettare gli «obblighi costituzionali». Esso inoltre contrasta con la già citata giurisprudenza di questa Corte, che ha costantemente sottolineato che i referendum regionali non possono rivolgere ai cittadini quesiti che involgano scelte di livello costituzionale.

Deve pertanto dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, numero 4), della legge reg. Veneto n. 15 del 2014.

8.6.– L’art. 2, comma 1, numero 5), della legge reg. Veneto n. 15 del 2014 ha ad oggetto un referendum che interroga gli elettori sul seguente quesito: «Vuoi che la Regione del Veneto diventi una regione a statuto speciale?».

Scopo di una siffatta consultazione popolare è includere la Regione Veneto nel novero delle Regioni a statuto speciale, tassativamente enumerate nell’art. 116 Cost. Anche tale quesito incide, pertanto, su scelte fondamentali di livello costituzionale che non possono formare oggetto di referendum regionali, ai sensi della giurisprudenza di questa Corte, e si pone in irrimediabile contrasto con lo statuto regionale, i cui artt. 26, comma 4, lettera b), e 27, comma 3, dispongono che i referendum regionali siano di tenore tale da rispettare gli «obblighi costituzionali». La chiara lettera del quesito non lascia spazio a interpretazioni come quella tentata dalla difesa regionale, secondo cui il referendum mirerebbe ad ottenere una collocazione differenziata della Regione ricorrente, ma pur sempre nell’ambito delle Regioni a statuto ordinario: al contrario, il quesito è chiaramente volto ad annoverare la Regione Veneto accanto alle cinque Regioni a statuto speciale già previste dall’art. 116 Cost.

Deve pertanto dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, numero 5), della legge reg. Veneto n. 15 del 2014.

8.7.– Dal momento che, delle questioni aventi ad oggetto i quesiti di cui all’art. 2, comma 1, è stata dichiarata non fondata quella riguardante il quesito di cui al numero 1), non può essere accolta la richiesta di dichiarare l’illegittimità costituzionale della legge reg. Veneto n. 15 del 2014 per intero, considerato che le residue disposizioni contenute nella stessa legge sono strumentali alla attuazione del referendum che ha superato il vaglio di questa Corte. Devono pertanto essere dichiarate infondate, insieme alla questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento all’art. 116, comma terzo, Cost., e avente ad oggetto l’art. 2, comma 1, numero 1), anche le questioni relative agli artt. 1, 2, comma 2, 3 e 4 della stessa legge. Tali disposizioni, ovviamente, potranno trovare applicazione solo con riguardo all’unico quesito, del quale non è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara inammissibile l’intervento della associazione “Indipendenza Veneta”;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Veneto 19 giugno 2014, n. 16 (Indizione del referendum consultivo sull’indipendenza del Veneto);

3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, numeri 2), 3), 4) e 5), della legge della Regione Veneto 19 giugno 2014, n. 15 (Referendum consultivo sull’autonomia del Veneto);

4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, numero 1), della legge reg. Veneto n. 15 del 2014 promossa, in riferimento all’art. 116 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 67 del 2014);

5) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, comma 2, 3 e 4 della legge reg. Veneto n. 15 del 2014 promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 67 del 2014).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 aprile 2015.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Marta CARTABIA, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 25 giugno 2015.

 

Allegato:

Ordinanza emessa all'udienza del 28 aprile 2015