Sentenza n. 4 del 2010

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SENTENZA N. 4

ANNO 2010

 

Commenti alla decisione di

 

I. Licia Califano, L’assenso “coerente” della Consulta alla preferenza di genere, per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali

 

II. Giampietro Ferri, Le pari opportunità nell’accesso alle cariche elettive e la “preferenza di genere” in Campania, per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco                AMIRANTE                                                  Presidente

- Ugo                         DE SIERVO                                                    Giudice

- Paolo                       MADDALENA                                                    ”

- Alfio                       FINOCCHIARO                                                  ”

- Alfonso                   QUARANTA                                                        ”

- Franco                     GALLO                                                                 ”

- Luigi                       MAZZELLA                                                         ”

- Gaetano                  SILVESTRI                                                          ”

- Sabino                     CASSESE                                                             ”

- Maria Rita               SAULLE                                                               ”

- Giuseppe                 TESAURO                                                            ”

- Paolo Maria             NAPOLITANO                                                    ”

- Giuseppe                 FRIGO                                                                  ”

- Alessandro              CRISCUOLO                                                       ”

- Paolo                       GROSSI                                                                ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 2, 3, commi 1, 3 e 4, 4, comma 3, e 6, comma 1, della legge della Regione Campania 27 marzo 2009, n. 4 (Legge elettorale), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 12-16 giugno 2009, depositato in cancelleria il 18 giugno 2009 ed iscritto al n. 39 del registro ricorsi 2009.

Visto l’atto di costituzione della Regione Campania;

udito nell’udienza pubblica del 15 dicembre 2009 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;

uditi l’avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Vincenzo Cocozza per la Regione Campania.

Ritenuto in fatto

1.— Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, con ricorso notificato il 12 giugno 2009 e depositato il successivo 18 giugno, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 2, 3, commi 1, 3 e 4, 4, comma 3, e 6, comma 1, della legge della Regione Campania 27 marzo 2009, n. 4 (Legge elettorale), per violazione degli artt. 3, 48 e 51 della Costituzione e dell’art. 5 della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle Regioni).

1.1.— Il ricorrente, dopo aver illustrato il contenuto delle disposizioni impugnate, si sofferma sulle ragioni di censura dell’art. 2, comma 2, e dell’art. 3, commi 1, 3 e 4, della legge reg. Campania n. 4 del 2009. In particolare, le norme indicate violerebbero l’art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999, in quanto prevedono che i candidati alla Presidenza della Giunta regionale siano collegati a liste o a coalizioni di liste provinciali, mentre l’art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999 stabilisce che, «fino alla data di entrata in vigore dei nuovi statuti regionali e delle nuove leggi elettorali ai sensi del primo comma dell’articolo 122 della Costituzione», sono candidati alla Presidenza della Giunta regionale i capilista delle liste regionali.

Al riguardo, la difesa erariale evidenzia come, alla data di entrata in vigore della legge impugnata, il nuovo statuto della Regione Campania non fosse stato ancora promulgato e quindi non fosse entrato in vigore. Di conseguenza, la Regione non avrebbe potuto emanare norme elettorali confliggenti con l’art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999 (è richiamata, in proposito, la sentenza della Corte costituzionale n. 196 del 2003).

1.2.— Sono impugnati anche gli artt. 6, comma 1, e 3, comma 4, della legge reg. Campania n. 4 del 2009, nella parte in cui prevedono un premio di maggioranza per le liste collegate al candidato proclamato eletto alla carica di Presidente della Giunta regionale. Il suddetto premio di maggioranza è individuato nella misura del sessanta per cento dei seggi del Consiglio attribuiti alle singole liste.

A tal proposito, il ricorrente svolge argomentazioni analoghe a quelle formulate con riferimento alla precedente questione, rilevando che il premio di maggioranza stabilito dalle norme censurate non è previsto dall’art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999, il quale, come già detto, si applica fino all’entrata in vigore dei nuovi statuti e delle nuove leggi elettorali regionali.

La difesa erariale aggiunge che le norme impugnate non riguardano aspetti di dettaglio ma profili relativi alla composizione del Consiglio regionale, con conseguente incidenza sui meccanismi di formazione delle maggioranze. Il ricorrente, inoltre, richiama la legge 21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica), evidenziando come essa preveda un premio di maggioranza nella misura di trecentoquaranta seggi alla Camera dei deputati e del cinquantacinque per cento dei seggi assegnati a ciascuna Regione al Senato.

1.3.— Infine, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 4, comma 3, della legge regionale in esame, il quale dispone: «L’elettore può esprimere, nelle apposite righe della scheda, uno o due voti di preferenza, scrivendo il cognome ovvero il nome ed il cognome dei due candidati compresi nella lista stessa. Nel caso di espressione di due preferenze, una deve riguardare un candidato di genere maschile e l’altra un candidato di genere femminile della stessa lista, pena l’annullamento della seconda preferenza».

La difesa erariale ritiene che la norma in questione, «presumibilmente ispirata alla idea politica delle “quote rosa”», si risolva «in una evidente menomazione dell’elettorato passivo e di quello attivo».

In particolare, sotto il primo profilo, sarebbe violato l’art. 3 Cost., in quanto la norma introdurrebbe «una limitazione disuguagliante» nell’espressione del voto per la seconda preferenza. In altre parole, i candidati appartenenti al medesimo genere o sesso sarebbero «discriminati e resi disuguali» nel momento in cui l’elettore esprime la seconda preferenza. Sarebbe violato anche l’art. 51, primo comma, Cost., in quanto la norma impugnata prevedrebbe un limite di accesso, legato al sesso, per la seconda preferenza e quindi «un’impropria ragione di ineleggibilità».

Sotto il profilo dell’elettorato attivo, l’art. 4, comma 3, della legge reg. Campania n. 4 del 2009 si porrebbe in contrasto con l’art. 48 Cost., in quanto la limitazione di genere per la seconda preferenza renderebbe il voto non libero.

2.— Nel giudizio si è costituita la Regione Campania eccependo l’inammissibilità, l’improcedibilità e l’infondatezza del ricorso.

2.1.— Quanto ai primi due motivi di ricorso, la resistente osserva come essi si fondino su presupposti ricostruttivi analoghi, posto che la Regione, secondo la difesa erariale, non avrebbe potuto approvare norme elettorali in contrasto con le disposizioni statali vigenti, fino all’entrata in vigore del nuovo statuto. Solo per tale ragione, la legge reg. n. 4 del 2009, nella parte in cui presenta un contenuto confliggente con quanto stabilito dall’art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999, sarebbe illegittima.

2.1.1.— La difesa regionale ricostruisce il procedimento di approvazione della legge elettorale (legge reg. n. 4 del 2009) e dello statuto (legge reg. 28 maggio 2009, n. 6), precisando che il 20 febbraio 2009 lo statuto della Regione Campania è stato approvato in seconda deliberazione, il successivo 26 febbraio si è provveduto alla relativa pubblicazione notiziale, ai fini di un’eventuale richiesta di referendum (che non vi è stata), il 28 maggio 2009 lo statuto medesimo è stato promulgato, il 3 giugno 2009 è stato pubblicato nel Bollettino ufficiale della Regione ed il 18 giugno è entrato in vigore.

Nel frattempo, la legge elettorale è stata pubblicata in data 14 aprile 2009 ed è entrata in vigore il giorno successivo; dunque, il relativo iter di formazione si è concluso dopo che il testo statutario era stato approvato dal Consiglio regionale in seconda deliberazione, ma prima che esso fosse promulgato ed entrasse in vigore.

Al riguardo, la resistente evidenzia come l’Avvocatura generale dello Stato contesti soltanto una «illegittimità formale, per così dire temporale», nell’adozione di una disciplina, «in quanto indirettamente condizionata dalla scelta di sistema affidata allo statuto che (allora) non risultava ancora entrato in vigore».

La difesa regionale si sofferma, quindi, sulla ratio dell’art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999, il quale sarebbe volto ad evitare che, in assenza dello statuto e della conseguente individuazione della forma di governo regionale, gli elettori possano essere chiamati a rinnovare il Consiglio con una disciplina elettorale non del tutto coerente con il sistema ancora in vigore.

L’ipotesi anzidetta sarebbe però ormai irrealizzabile nel caso di specie, in quanto il nuovo statuto, successivamente alla delibera del Consiglio dei ministri di impugnazione della legge reg. n. 4 del 2009 (datata 21 maggio 2009), è stato promulgato e pubblicato, entrando in vigore lo stesso giorno (18 giugno 2009) in cui è stato depositato presso la Corte costituzionale il presente ricorso.

La Regione Campania aggiunge che, pertanto, l’applicazione della legge elettorale impugnata avverrà nella vigenza del nuovo statuto e nel rispetto delle finalità che il legislatore costituzionale ha inteso fissare.

Per le ragioni anzidette, la resistente ritiene che il ricorso sia, per questa parte, improcedibile «per cessazione della materia del contendere e/o per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto la situazione, nell’attualità, impedisce il verificarsi dell’“evento temuto”».

2.1.2.— Ancora con riguardo alle censure mosse in relazione all’art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999, la difesa regionale evidenzia come sarebbe stato irragionevole attendere l’entrata in vigore dello statuto prima di affrontare l’iter costitutivo della nuova legge elettorale, potendosi prospettare l’eventualità di un rinnovo del Consiglio regionale e dell’elezione del Presidente della Giunta con il precedente sistema elettorale ma nella vigenza di una nuova (ed eventualmente diversa da quella attuale) forma di governo.

Al riguardo, la Regione Campania ritiene di aver seguito il percorso corretto, delineato dalla norma costituzionale transitoria. In particolare, osserva la difesa regionale, l’art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999 non vieta, in assenza del nuovo statuto, l’approvazione di una nuova legge elettorale, ma prevede che «fino alla data di entrata in vigore dei nuovi statuti regionali e delle nuove leggi elettorali» l’elezione del Presidente e del Consiglio avvenga secondo le modalità previste dalla normativa statale vigente e dalla disciplina transitoria prevista dal citato art. 5.

In definitiva, secondo la resistente, «la mancata approvazione dello statuto unitamente alle leggi elettorali costituisce condizione per l’applicazione della norma transitoria in un determinato ambito territoriale». Di conseguenza, il rapporto fra le due fonti (legge elettorale regionale e disposizione transitoria) non sarebbe configurabile in termini di «validità/invalidità», ma di «applicazione/disapplicazione», potendo la nuova legge elettorale regionale trovare applicazione solo dopo l’entrata in vigore dello statuto.

Sulla base delle anzidette considerazioni, la difesa regionale conclude per l’inammissibilità del ricorso.

2.1.3.— Nel merito, la resistente deduce l’infondatezza delle questioni concernenti la previsione di un collegamento del candidato Presidente della Giunta regionale a liste o a coalizioni di liste provinciali, e di un premio di maggioranza pari al sessanta per cento dei seggi. Con riferimento a quest’ultimo profilo, la Regione Campania rileva come l’Avvocatura generale faccia «inspiegabilmente riferimento» alla legge n. 270 del 2005, concernente le norme elettorali della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

Sulla questione degli spazi consentiti al legislatore regionale, nell’ipotesi in cui non siano ancora entrati in vigore i nuovi statuti, la difesa della Regione richiama la sentenza n. 196 del 2003, con la quale la Corte costituzionale ha ritenuto ammissibili gli interventi regionali riguardanti «aspetti procedurali non incidenti sui principi fondamentali ricavabili in materia dalla legislazione statale, né sui vincoli che discendono dal rispetto della normativa transitoria dettata, in pendenza dell’approvazione dello statuto, dall’art. 5 della legge costituzionale n. 1 del 1999». Secondo la resistente, la previsione contenuta nell’art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999, secondo cui «sono candidati alla Presidenza della Giunta regionale i capilista delle liste regionali», riguarderebbe un «profilo procedurale» e sarebbe conseguenza di una «modalità organizzativa del corpo elettorale e dei seggi scelta dalla legislazione statale, ma che non attiene ai principi fondamentali e non modifica il sistema».

A conclusioni analoghe la Regione Campania giunge con riferimento alle norme che prevedono un premio di maggioranza. Dopo aver ribadito l’inconferenza del richiamo alla legge n. 270 del 2005, la resistente sottolinea come la legge 2 luglio 2004, n. 165 (Disposizioni di attuazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione) si limiti ad enunciare, tra i principi fondamentali in materia, quello della «individuazione di un sistema elettorale che agevoli la formazione di stabili maggioranze nel Consiglio regionale e assicuri la rappresentanza delle minoranze» (art. 4, comma 1, lettera a).

2.2.— Infine, quanto alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, la resistente evidenzia come la norma impugnata riguardi esclusivamente l’esercizio della facoltà di espressione della seconda preferenza e sia finalizzata a «garantire, anche di fatto, oltre che astrattamente, il paritario accesso alle cariche elettive, attraverso provvedimenti positivi». Al riguardo, sono richiamati la sentenza della Corte costituzionale n. 49 del 2003 ed alcuni interventi di innovazione del quadro normativo: la legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta dei presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano), che ha modificato gli statuti speciali attribuendo alle leggi elettorali delle Regioni ad autonomia differenziata il compito di promuovere condizioni di parità per l’accesso alle consultazioni elettorali al fine di conseguire l’equilibrio della rappresentanza dei sessi; l’art. 117, settimo comma, Cost., introdotto dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), che reca un’analoga previsione; infine, la legge costituzionale 30 maggio 2003, n. 1 (Modifica dell’articolo 51 della Costituzione).

In definitiva, secondo la resistente, la disciplina regionale impugnata si inserirebbe con coerenza in un contesto normativo complessivamente volto a promuovere la effettiva parità tra donne e uomini nell’accesso alle cariche elettive.

3.— In prossimità dell’udienza pubblica, la Regione Campania ha depositato una memoria con la quale insiste nelle conclusioni già rassegnate nell’atto di costituzione.

3.1.— In particolare, con riferimento alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 2, 3, commi 1, 3 e 4, e 6, comma 1, della legge reg. n. 4 del 2009, la resistente ribadisce l’inammissibilità delle questioni prospettate e sottolinea come, nelle more del presente giudizio, la legge elettorale, pubblicata dopo l’approvazione dello statuto in seconda deliberazione, non abbia trovato applicazione. Paradossalmente, invece, l’eventuale accoglimento del presente ricorso obbligherebbe a far svolgere le elezioni regionali, ormai prossime, sulla base di regole (quelle statali) non coerenti con il mutato quadro statutario.

La difesa regionale aggiunge che l’eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale vanificherebbe in modo irragionevole l’attività legislativa posta in essere dalla Regione in materia elettorale, proprio allo scopo di dare attuazione al nuovo statuto. Si evidenzia, inoltre, come la ratio della previsione dell’art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999 sia quella di realizzare una piena integrazione fra la normativa elettorale e la forma di governo delineata dal nuovo statuto; obiettivo, che, con il presente ricorso, rischia di «essere posto in discussione, ma, per così dire, a parti invertite (applicazione della normativa elettorale originaria, in vigenza del nuovo statuto)».

Secondo la Regione Campania, l’unico interesse del Governo, nella circostanza in esame, poteva essere quello di ottenere la garanzia circa la non applicazione della nuova legge elettorale in assenza del nuovo statuto. Pertanto, a tutto concedere, la difesa erariale avrebbe dovuto impugnare l’art. 12 della legge reg. n. 4 del 2009 nella parte in cui non rinvia gli effetti della legge in parola all’entrata in vigore del nuovo statuto. Al contrario, il citato art. 12 non è stato censurato; peraltro, siffatta evenienza è ormai del tutto superata, stante l’entrata in vigore dello statuto regionale.

Nel merito, la Regione Campania insiste per l’infondatezza del ricorso, riprendendo le medesime argomentazioni già sviluppate nell’atto di costituzione.

3.2.— In riferimento alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, della legge impugnata, la difesa regionale ritiene che la valutazione compiuta dal ricorrente non colga il proprium della normativa in esame, la quale non limita affatto la libera determinazione e non impone scelte ma «offre possibilità ulteriori all’elettorato» (attraverso l’eventuale seconda preferenza) ed in questa eventualità persegue un obiettivo del tutto coerente con il quadro costituzionale (artt. 51 e 117 Cost.), comunitario ed internazionale in materia di parità di accesso delle donne e degli uomini alle cariche elettive.

3.2.1.— La resistente sottolinea inoltre il carattere «neutro» del sistema di preferenza previsto, che è finalizzato a dare attuazione ai nuovi disposti costituzionali, «svolgendo una funzione chiaramente antidiscriminatoria». Al riguardo, la difesa regionale assume che: a) il legislatore campano avrebbe potuto prevedere soltanto una preferenza, senza che ciò potesse qualificarsi come limite al diritto di voto; pertanto, la norma in esame ha consentito un’opportunità in più, assicurando la piena libertà per l’elettore di avvalersi o meno di tale possibilità; b) la condizione apposta all’esercizio della seconda preferenza non si traduce nella previsione di un requisito ulteriore di eleggibilità o di candidabilità dei singoli cittadini; infatti, il divieto di una doppia preferenza omogenea opera indistintamente sia nell’ipotesi di due preferenze di genere maschile, sia di due preferenze di genere femminile; c) la sanzione dell’annullamento riguarda esclusivamente la seconda preferenza e non l’espressione del voto tout court.

3.2.2.— La Regione Campania passa, quindi, all’esame delle sentenze n. 422 del 1995 e n. 49 del 2003 della Corte costituzionale, evidenziando come nella seconda pronunzia siano state valorizzate le «novità di sistema» introdotte nel lasso di tempo intercorso fra le due decisioni. In particolare, la resistente osserva che nella sentenza n. 422 del 1995 la Corte, pronunciandosi negativamente sulle c.d. quote rosa, ha posto l’accento sul principio di eguaglianza formale, sull’illegittimità dell’individuazione di ulteriori requisiti di eleggibilità o candidabilità dei cittadini e sul limite delle misure legislative «diseguali», che non possono incidere sui contenuti stessi dei diritti fondamentali riconosciuti in Costituzione.

Quanto alla sentenza n. 49 del 2003, la difesa regionale ritiene che il percorso argomentativo seguito dalla Corte si sia arricchito di ulteriori, significativi contenuti per effetto dei mutamenti del quadro costituzionale introdotti dalle leggi cost. n. 2 e n. 3 del 2001. La Regione Campania evidenzia come la Corte costituzionale abbia utilizzato i seguenti argomenti nel pervenire ad una pronunzia di non fondatezza: a) le norme impugnate non pongono l’appartenenza all’uno o all’altro sesso come requisito ulteriore di eleggibilità o di candidabilità dei singoli cittadini; b) non è prevista alcuna misura di «disuguaglianza» allo scopo di favorire individui appartenenti a gruppi svantaggiati o di compensare tali svantaggi attraverso vantaggi attribuiti con legge; c) non si introducono differenziazioni in relazione al sesso dei candidati o degli aspiranti alla candidatura; d) non è intaccato il carattere unitario della rappresentanza elettiva; e) non è garantito un determinato risultato elettorale.

Con particolare riguardo agli argomenti di cui ai punti b) e c), la resistente riprende la distinzione, operata in dottrina, tra “azioni positive” e “norme antidiscriminatorie”, rilevando come le norme impugnate siano riconducibili a quest’ultima categoria, trattandosi di «azioni positive atipiche», caratterizzate da una formulazione neutra, senza cioè l’individuazione dei soggetti al cui vantaggio sono finalizzate.

Sempre in relazione alla sentenza n. 49 del 2003, la Regione Campania sottolinea come la Corte abbia affermato che la finalità di conseguire una «parità effettiva» fra uomini e donne anche nell’accesso alla rappresentanza elettiva è «positivamente apprezzabile dal punto di vista costituzionale» e che tale esigenza è espressamente riconosciuta pure nel contesto normativo internazionale e comunitario. Infine, la resistente riprende le conclusioni cui è giunta la Corte costituzionale nella pronunzia in esame, là dove ha definito le norme oggetto di quel giudizio come «misura minima di una non discriminazione, ai fini della candidatura, a sfavore dei cittadini di uno dei due sessi». La qualificazione di «misura minima» lascerebbe presumere, secondo la difesa regionale, «una maggiore apertura anche rispetto a meccanismi elettorali differenti», ritenuti legittimi non solo per le modifiche costituzionali, ma per un contesto di sensibilità costituzionale diverso.

La resistente ricorda altresì che, dopo la sentenza n. 49 del 2003, il legislatore costituzionale è nuovamente intervenuto in materia con la legge cost. n. 1 del 2003, la quale ha integrato l’art. 51 Cost., prevedendo la promozione «con appositi provvedimenti» delle pari opportunità tra donne e uomini. La difesa regionale, richiamando il dibattito parlamentare svoltosi in occasione dell’approvazione della citata legge costituzionale e le opinioni espresse dalla maggior parte della dottrina, sottolinea come la finalità di siffatta modifica sia quella di «dare copertura costituzionale proprio agli ulteriori interventi (anche azioni positive) di riequilibrio delle presenze dei due sessi in ambito politico».

In proposito, è citata l’ordinanza n. 39 del 2005, la quale, secondo la difesa regionale, confermerebbe che la modifica dell’art. 51 Cost. non costituisce una mera specificazione dell’art. 3, primo comma, Cost. ma legittima l’adozione di azioni positive.

3.2.3.— Da quanto appena detto – e dall’esame della normativa elettorale sia della Camera dei deputati e del Senato, sia di altre Regioni – la resistente deduce la coerenza della normativa impugnata rispetto al contesto normativo vigente; in particolare, la Regione Campania sottolinea la possibilità per l’elettore di esercitare la propria preferenza in maniera incondizionata, con la conseguenza che il sistema elettorale di preferenza censurato non incide sui diritti fondamentali dell’elettore medesimo.

In definitiva, la difesa regionale ritiene che la legge impugnata: a) si ponga come norma «antidiscriminatoria» e non come «azione positiva» (sebbene il mutamento del quadro costituzionale renda legittima anche quest’ultima), in quanto fa riferimento indifferentemente ad entrambi i generi e quindi da essa non discende alcun trattamento diverso di un candidato rispetto ad un altro; b) non introduca alcun ulteriore requisito di eleggibilità o di candidabilità, in quanto entrambi i generi sono egualmente eleggibili sulla base dei requisiti prescritti; c) non incida sul carattere unitario della rappresentanza elettiva, non essendovi alcun collegamento con le «categorie» rappresentate; d) escluda qualsiasi garanzia di risultato.

3.2.4.— Infine, la Regione Campania rileva come la normativa impugnata si inserisca in un più ampio contesto normativo (comunitario ed internazionale), segnato dalla previsione di strumenti sempre più incisivi (fino a giungere a vere e proprie azioni positive) per assicurare un’effettiva parità fra donne e uomini.

Sono richiamati, in proposito: a) l’art. 3 della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979, cui è stata data esecuzione con la legge 14 marzo 1985, n. 132; b) l’art. 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (c.d. Carta di Nizza), secondo cui il principio della parità tra donne e uomini non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato; c) l’art. 2 del Trattato 7 febbraio 1992 (Trattato sull’Unione europea); d) la decisione 19 giugno 2000, n. 2000/407/CE (Decisione della Commissione riguardante l’equilibrio tra i sessi nei comitati e nei gruppi di esperti da essa istituiti), in cui si afferma che «La parità tra uomini e donne è essenziale per la dignità umana e per la democrazia e costituisce un principio fondamentale della legge comunitaria, delle costituzioni e delle leggi degli Stati membri e delle convenzioni internazionali ed europee»; e) la raccomandazione 2 dicembre 1996, n. 96/694/CE (Raccomandazione del Consiglio riguardante la partecipazione delle donne e degli uomini al processo decisionale), che invita gli Stati membri a «sviluppare o istituire misure adeguate, quali eventualmente misure legislative e/o regolamentari e/o di promozione», per realizzare l’obiettivo della «partecipazione equilibrata delle donne e degli uomini al processo decisionale»; f) la raccomandazione Rec(2003)3 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulla partecipazione equilibrata delle donne e degli uomini ai processi decisionali politici e pubblici, adottata il 12 marzo 2003, la quale, fra l’altro, invita gli Stati membri ad adottare «riforme legislative intese a stabilire soglie di parità per le candidature alle elezioni locali, regionali, nazionali e sopranazionali», e precisa, al paragrafo 3, che «l’obiettivo non dovrebbe essere solamente che almeno il 40% dei seggi siano riservati a ciascuno dei rappresentanti dei due sessi, ma piuttosto che almeno il 40% delle donne ed il 40% degli uomini vengano eletti».

3.2.5.— Per le ragioni suesposte la Regione Campania ritiene che la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, sia infondata rispetto a tutti i parametri invocati. In primo luogo, la norma impugnata non si pone in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto la sua formulazione «neutra» risulta coerente con il principio di eguaglianza formale.

Non sarebbe violato l’art. 48 Cost., in quanto il voto dell’elettore è del tutto libero, anzi questi può scegliere se esprimere una sola preferenza o aggiungerne una seconda, che si pone come misura antidiscriminatoria e quindi non idonea a garantire un determinato risultato elettorale, ma funzionale al riequilibrio tra i generi.

Infine, non sarebbe rinvenibile alcuna violazione dell’art. 51 Cost., specie nell’attuale formulazione risultante dall’integrazione operata dalla legge cost. n. 1 del 2003, in quanto la norma censurata contribuisce, in maniera equilibrata, ad attuare l’obiettivo di democrazia paritaria, previsto nello stesso art. 51.

Considerato in diritto

1.— Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, con ricorso notificato il 12 giugno 2009 e depositato il successivo 18 giugno, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 2, 3, commi 1, 3 e 4, 4, comma 3, e 6, comma 1, della legge della Regione Campania 27 marzo 2009, n. 4 (Legge elettorale), per violazione degli artt. 3, 48 e 51 della Costituzione e dell’art. 5 della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle Regioni).

2.— Con riferimento alle questioni aventi ad oggetto gli artt. 2, comma 2, e 3, commi 1, 3 e 4, e gli artt. 6, comma 1, e 3, comma 4, della legge reg. Campania n. 4 del 2009, deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.

2.1.— Le censure mosse dal ricorrente alle suddette norme si basano essenzialmente sulla asserita violazione dell’art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999, là dove stabilisce che fino all’entrata in vigore dei nuovi statuti regionali e delle nuove leggi elettorali, ai sensi del primo comma dell’art. 122 Cost., nel testo modificato dalla medesima legge cost. n. 1 del 1999, l’elezione del Presidente della Giunta regionale è contestuale al rinnovo dei rispettivi Consigli regionali e si effettua con le modalità previste dalle disposizioni di legge ordinaria vigenti in materia di elezione dei Consigli regionali.

La ratio della citata norma costituzionale transitoria è evidente: il legislatore costituzionale ha voluto evitare che il rapporto tra forma di governo regionale – la quale, ai sensi dell’art. 123, primo comma, Cost., deve essere determinata dagli statuti delle singole Regioni – e legge elettorale regionale possa presentare aspetti di incoerenza dovuti all’inversione, temporale e logica, tra la prima e la seconda. È noto infatti che la legge elettorale deve armonizzarsi con la forma di governo, allo scopo di fornire a quest’ultima strumenti adeguati di equilibrato funzionamento sin dal momento della costituzione degli organi della Regione, mediante la preposizione dei titolari alle singole cariche. L’entrata in vigore e l’applicazione della legge elettorale prima dello statuto potrebbero introdurre elementi originari di disfunzionalità, sino all’estremo limite del condizionamento del secondo da parte della prima, in violazione o elusione del carattere fondamentale della fonte statutaria, comprovato dal procedimento aggravato previsto dall’art. 123, secondo e terzo comma, della Costituzione.

2.2.— Nel caso di specie, tale rischio di incoerenza è scongiurato sia per motivi attinenti alla scansione temporale dei rispettivi iter procedimentali del nuovo statuto della Regione Campania (legge reg. 28 maggio 2009, n. 6) e della legge elettorale, sia per motivi sostanziali attinenti al collegamento tra gli stessi.

Lo statuto è stato approvato, in prima deliberazione, il 12 giugno 2008 ed in seconda deliberazione il 20 febbraio 2009. Il 26 febbraio 2009 è stata effettuata la pubblicazione notiziale dello stesso, ai fini di un’eventuale richiesta referendaria. Lo statuto è stato promulgato il 28 maggio 2009, pubblicato nel Bollettino ufficiale della Regione del 3 giugno 2009, ed è entrato in vigore il successivo 18 giugno.

La legge elettorale campana è stata approvata dalla Commissione speciale statuto il 3 febbraio 2009, dal Consiglio regionale il 12 marzo 2009 ed è stata promulgata il successivo 27 marzo. La stessa è stata pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione Campania del 14 aprile 2009 ed è entrata in vigore il giorno successivo.

Come si vede, l’iter dei due atti normativi è stato parallelo e la conclusione di quello relativo alla legge elettorale è stata anteriore a quella riguardante lo statuto solo a causa della doppia approvazione di quest’ultimo, ad intervallo non minore di due mesi, prescritta dall’art. 123, secondo comma, Cost. L’integrazione tra forma di governo e legge elettorale, voluta dall’art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999, è stata quindi assicurata dalla trattazione contemporanea dei due disegni di legge e non è inficiata dalla conclusione del procedimento relativo alla legge elettorale con breve anticipo rispetto a quello concernente lo statuto, dovuta a motivi esclusivamente procedurali.

Occorre inoltre notare che, al momento della delibera governativa di impugnazione della legge elettorale regionale (21 maggio 2009), lo statuto non era stato ancora promulgato, con la conseguenza che, in quella data non v’era certezza sulla sua effettiva entrata in vigore, non essendo ancora trascorso il termine di tre mesi per una eventuale richiesta referendaria, che in concreto poi non vi è stata. Esistevano quindi le condizioni che giustificavano il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, giacché ben poteva accadere che lo statuto venisse respinto dal corpo elettorale, con la conseguenza che la legge elettorale sarebbe rimasta in vigore, ma scoordinata rispetto allo stesso statuto. Per quest’ultimo sarebbe stato necessario un nuovo procedimento di approvazione, con possibili varianti rispetto alle scelte precedenti in tema di forma di governo, che avrebbero potuto presentare aspetti contraddittori o comunque di difficile integrazione e complementarità con le regole elettorali predisposte in funzione dello statuto ormai perento. Il Governo aveva pertanto fondate ragioni per promuovere la questione di legittimità costituzionale su un atto normativo che, al momento dell’impugnazione, avrebbe potuto rimanere isolato, non integrato con lo statuto e quindi in contrasto con l’art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999.

Gli eventi successivi – e segnatamente la promulgazione e la pubblicazione dello statuto prima che il ricorso del Governo venisse notificato – hanno fugato la preoccupazione che statuto e legge elettorale non presentassero i caratteri di complementarità e integrazione voluti dalla norma costituzionale. È venuta così a mancare la condizione prevista dall’art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999 per l’applicazione della disciplina transitoria, anche in considerazione del fatto che, medio tempore, la nuova legge elettorale non ha avuto applicazione, non essendosi svolte elezioni regionali in Campania.

Il coordinamento e l’integrazione dello statuto e della legge elettorale trovano una conferma sostanziale negli artt. 5, comma 2, e 6, comma 3, della stessa legge elettorale, ove è citato l’art. 27 del nuovo statuto, in base al quale il Presidente della Giunta regionale è membro del Consiglio regionale.

Per le considerazioni sopra esposte, si deve dichiarare la cessazione della materia del contendere con riferimento alle questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto gli artt. 2, comma 2, 3, commi 1, 3 e 4, e 6, comma 1, della legge reg. Campania n. 4 del 2009.

3.— La questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, della legge reg. Campania n. 4 del 2009 non è fondata.

3.1.— La questione riguarda una norma che, per la prima volta nell’ordinamento italiano, prevede la cosiddetta “preferenza di genere”. In particolare, la disposizione censurata dispone che l’elettore può esprimere uno o due voti di preferenza e che, nel caso di espressione di due preferenze, una deve riguardare un candidato di genere maschile ed una un candidato di genere femminile della stessa lista, pena l’annullamento della seconda preferenza.

La norma prima citata trova fondamento nell’art. 5 del nuovo statuto della Regione Campania, non impugnato dal Governo, che, nel comma 3, ultimo inciso, così recita: «Al fine di conseguire il riequilibrio della rappresentanza dei sessi, la legge elettorale regionale promuove condizioni di parità per l’accesso di uomini e donne alla carica di consigliere regionale mediante azioni positive».

La finalità della nuova regola elettorale è dichiaramente quella di ottenere un riequilibrio della rappresentanza politica dei due sessi all’interno del Consiglio regionale, in linea con l’art. 51, primo comma, Cost., nel testo modificato dalla legge costituzionale 30 maggio 2003, n. 1 (Modifica dell’articolo 51 della Costituzione), e con l’art. 117, settimo comma, Cost., nel testo modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).

La prima norma costituzionale citata dispone che «Tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini».

La seconda norma costituzionale stabilisce che «Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive».

Il quadro normativo, costituzionale e statutario, è complessivamente ispirato al principio fondamentale dell’effettiva parità tra i due sessi nella rappresentanza politica, nazionale e regionale, nello spirito dell’art. 3, secondo comma, Cost., che impone alla Repubblica la rimozione di tutti gli ostacoli che di fatto impediscono una piena partecipazione di tutti i cittadini all’organizzazione politica del Paese. Preso atto della storica sotto-rappresentanza delle donne nelle assemblee elettive, non dovuta a preclusioni formali incidenti sui requisiti di eleggibilità, ma a fattori culturali, economici e sociali, i legislatori costituzionale e statutario indicano la via delle misure specifiche volte a dare effettività ad un principio di eguaglianza astrattamente sancito, ma non compiutamente realizzato nella prassi politica ed elettorale.

3.2.— I mezzi per attuare questo disegno di realizzazione della parità effettiva tra donne e uomini nell’accesso alle cariche elettive possono essere di diverso tipo. La tecnica prescelta dalla norma censurata nel presente giudizio è quella di predisporre condizioni generali volte a favorire il riequilibrio di genere nella rappresentanza politica, senza introdurre strumenti che possano, direttamente o indirettamente, incidere sull’esito delle scelte elettorali dei cittadini. Questa Corte ha escluso che possano essere legittimamente introdotte nell’ordinamento misure che «non si propongono di “rimuovere” gli ostacoli che impediscono alle donne di raggiungere determinati risultati, bensì di attribuire loro direttamente quei risultati medesimi» (sentenza n. 422 del 1995).

Tenendo ferma questa fondamentale statuizione, la Corte costituzionale, dopo l’introduzione del nuovo testo dell’art. 117 Cost., ma in data anteriore alla modifica dell’art. 51 Cost., ha precisato che i vincoli imposti dalla legge per conseguire l’equilibrio dei generi nella rappresentanza politica non devono incidere sulla «parità di chances delle liste e dei candidati e delle candidate nella competizione elettorale» (sentenza n. 49 del 2003).

3.3.— Occorre quindi chiedersi se la norma censurata nel presente giudizio in qualche modo prefiguri il risultato elettorale, alterando forzosamente la composizione dell’assemblea elettiva rispetto a quello che sarebbe il risultato di una scelta compiuta dagli elettori in assenza della regola contenuta nella norma medesima, oppure attribuisca ai candidati dell’uno o dell’altro sesso maggiori opportunità di successo elettorale rispetto agli altri.

Si deve innanzitutto notare che l’espressione della doppia preferenza è meramente facoltativa per l’elettore, il quale ben può esprimerne una sola, indirizzando la sua scelta verso un candidato dell’uno o dell’altro sesso. Solo se decide di avvalersi della possibilità di esprimere una seconda preferenza, la scelta dovrà cadere su un candidato della stessa lista, ma di sesso diverso da quello del candidato oggetto della prima preferenza. Nel caso di espressione di due preferenze per candidati dello stesso sesso, l’invalidità colpisce soltanto la seconda preferenza, ferma restando pertanto la prima scelta dell’elettore.

Da quanto esposto si traggono due conseguenze, in ordine ai limiti posti dalla giurisprudenza di questa Corte all’introduzione di strumenti normativi specifici per realizzare il riequilibrio tra i sessi nella rappresentanza politica.

La prima è che la regola censurata non è in alcun modo idonea a prefigurare un risultato elettorale o ad alterare artificiosamente la composizione della rappresentanza consiliare. È agevole difatti osservare che, in applicazione della norma censurata, sarebbe astrattamente possibile, in seguito alle scelte degli elettori, una composizione del Consiglio regionale maggiormente equilibrata rispetto al passato, sotto il profilo della presenza di donne e uomini al suo interno, ma anche il permanere del vecchio squilibrio, ove gli elettori si limitassero ad esprimere una sola preferenza prevalentemente in favore di candidati di sesso maschile o, al contrario, l’insorgere di un nuovo squilibrio, qualora gli elettori esprimessero in maggioranza una sola preferenza, riservando la loro scelta a candidati di sesso femminile. La prospettazione di queste eventualità – tutte consentite in astratto dalla normativa censurata – dimostra che la nuova regola rende maggiormente possibile il riequilibrio, ma non lo impone. Si tratta quindi di una misura promozionale, ma non coattiva.

Sotto il profilo della libertà di voto, tutelata dall’art. 48 Cost., si deve osservare che l’elettore, quanto all’espressione delle preferenze e, più in generale, alle modalità di votazione, incontra i limiti stabiliti dalle leggi vigenti, che non possono mai comprimere o condizionare nel merito le sue scelte, ma possono fissare criteri con i quali queste devono essere effettuate. Non è certamente lesivo della libertà degli elettori che le leggi, di volta in volta, stabiliscano il numero delle preferenze esprimibili, in coerenza con indirizzi di politica istituzionale che possono variare nello spazio e nel tempo. Parimenti non può essere considerata lesiva della stessa libertà la condizione di genere cui l’elettore campano viene assoggettato, nell’ipotesi che decida di avvalersi della facoltà di esprimere una seconda preferenza. Si tratta di una facoltà aggiuntiva, che allarga lo spettro delle possibili scelte elettorali – limitato ad una preferenza in quasi tutte le leggi elettorali regionali – introducendo, solo in questo ristretto ambito, una norma riequilibratrice volta ad ottenere, indirettamente ed eventualmente, il risultato di un’azione positiva. Tale risultato non sarebbe, in ogni caso, effetto della legge, ma delle libere scelte degli elettori, cui si attribuisce uno specifico strumento utilizzabile a loro discrezione.

I diritti fondamentali di elettorato attivo e passivo rimangono inalterati. Il primo perché l’elettore può decidere di non avvalersi di questa ulteriore possibilità, che gli viene data in aggiunta al regime ormai generalizzato della preferenza unica, e scegliere indifferentemente un candidato di genere maschile o femminile. Il secondo perché la regola della differenza di genere per la seconda preferenza non offre possibilità maggiori ai candidati dell’uno o dell’altro sesso di essere eletti, posto il reciproco e paritario condizionamento tra i due generi nell’ipotesi di espressione di preferenza duplice. Non vi sono, in base alla norma censurata, candidati più favoriti o più svantaggiati rispetto ad altri, ma solo una eguaglianza di opportunità particolarmente rafforzata da una norma che promuove il riequilibrio di genere nella rappresentanza consiliare.

4.— La sentenza n. 422 del 1995 di questa Corte sottolineava che al riequilibrio tra i sessi nella rappresentanza politica «si può […] pervenire con un’intensa azione di crescita culturale che porti partiti e forze politiche a riconoscere la necessità improcrastinabile di perseguire l’effettiva presenza paritaria delle donne nella vita pubblica, e nelle cariche rappresentative in particolare». Norme come quella oggetto del presente giudizio possono solo offrire possibilità di scelta aggiuntive agli elettori, ma non garantiscono – né potrebbero farlo – che l’obiettivo sia raggiunto, giacché resistenze culturali e sociali, ancora largamente diffuse, potrebbero frustrare l’intento del legislatore regionale, perpetuando la situazione esistente, che presenta un vistoso squilibrio di genere nella rappresentanza sia nella Regione Campania sia, più in generale, nelle assemblee elettive della Repubblica italiana. L’aleatorietà del risultato dimostra che quello previsto dalla norma censurata non è un meccanismo costrittivo, ma solo promozionale, nello spirito delle disposizioni costituzionali e statutarie prima citate.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, della legge della Regione Campania 27 marzo 2009, n. 4 (Legge elettorale), promossa, in riferimento agli artt. 3, 48 e 51 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 2, e 3, commi 1, 3 e 4, della legge reg. Campania n. 4 del 2009, promossa, in riferimento all’art. 5 della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle Regioni), dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale degli artt. 6, comma 1, e 3, comma 4, della legge reg. Campania n. 4 del 2009, promossa, in riferimento all’art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 2009.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Gaetano SILVESTRI, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 14 gennaio 2010.