SENTENZA N. 2
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi sull'ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, delle richieste di referendum popolare, dichiarate legittime dall'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione, con ordinanza del 9 dicembre 1993, per l'abrogazione:
1) dell'art. 2 del decreto-legge 5 dicembre 1991, n. 386 (Trasformazione degli enti pubblici economici, dismissione delle partecipazioni statali ed alienazione dei beni patrimoniali suscettibili di gestione economica), convertito in legge con la legge 29 gennaio 1992, n. 35, nel testo risultante per effetto dell'art. 18 del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 8, convertito in legge, con modificazioni, con la legge 19 marzo 1993, n. 68, articolo modificativo del sedicesimo comma; iscritto al n. 65 del Registro referendum.
2) del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.503 (Norme per il riordino del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici), come modificato dall'art. 11 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, nonchè dell'art. 2 del decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 373 (Attuazione dell'art. 3, comma 1, lettera o, della legge 23 ottobre 1992, n. 421, recante calcolo delle pensioni per i nuovi assunti);iscritto al n. 63 del Registro referendum;
3) degli artt. 1; 2; 3, primo, secondo, terzo e quarto comma; 4, come modificato dall'art. 11, trentottesimo comma, della legge 24 dicembre 1993, n.537; 5, primo e quarto comma; 6 primo comma; 7, primo, secondo e terzo comma, e 11 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, e dell'art. 2 del decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 373 (Attuazione dell'art. 3, comma 1, lettera o, della legge 23 ottobre 1992, n. 421, recante calcolo delle pensioni per i nuovi assunti);iscritto al n. 64 del Registro referendum.
Viste le ordinanze del 1° dicembre e del 22 dicembre 1993 e del 4 gennaio 1994 con le quali l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione ha integrato i quesiti referendari rispettivamente sub 2) e 3), sub 1) e sub 2) e 3).
Uditi, nella camera di consiglio del 30 dicembre 1993 e del 10 gennaio 1994, il Redattore Ugo Spagnoli per i giudizi sull'ammissibilità delle richieste di referendum iscritti ai nn.63 e 64 del Registro referendum ed il Giudice relatore Cesare Mirabelli per il giudizio sull'ammissibilità della richiesta iscritto al n. 65 dello stesso Registro;
uditi, per i comitati promotori, l'avvocato Massimo Luciani (per i giudizi sull'ammissibilità delle richieste di referendum iscritti ai nn.63 e 64 del Registro referendum) e l'avvocato Beniamino Caravita di Toritto (per il giudizio sull'ammissibilità della richiesta di referendum iscritto al n. 65 dello stesso Registro) nella camera di consiglio del 30 dicembre 1993 e nuovamente l'avvocato Massimo Luciani nella camera di consiglio del 10 gennaio 1994.
Ritenuto in fatto
l.l. - L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di Cassazione in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, esaminata la richiesta di referendum popolare presentata da Roberto Musacchio, Davide Pedron e Stefano Semenzato, concernente l'abrogazione dell'art. 2 del decreto- legge 5 dicembre 1991, n. 386 (Trasformazione degli enti pubblici economici, dismissione delle partecipazioni statali ed alienazione di beni patrimoniali suscettibili di gestione economica), convertito in legge con la legge 29 gennaio 1992, n. 35, verificata la regolarità della richiesta, con ordinanza emessa il 9 dicembre 1993 l'ha dichiarata legittima.
l.2. - L'Ufficio centrale ha esaminato anche la richiesta di referendum popolare presentata da Massimo Giancarlo Stroppa, Marco Lombardi, Vincenzo Miliucci e Angiolino Mazzieri, concernente l'abrogazione dell'intero testo del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.503 (Norme per il riordino del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici a norma dell'art. 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), nonchè la proposta di referendum popolare, presentata dagli stessi promotori, relativa all'abrogazione del medesimo decreto legislativo n. 503 del 1992, "limitatamente alle seguenti parti: - art. 1 (Età per il pensionamento di vecchiaia);
- art. 2 (Requisiti assicurativi e contributivi per il pensionamento di vecchiaia);
- art. 3, comma 1 "Per i lavoratori dipendenti iscritti all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, che alla data del 31 dicembre 1992 possono far valere un'anzianità contributiva inferiore a 15 anni, la retribuzione annua pensionabile e' determinata con riferimento ai periodici indicati ai commi ottavo e quattordicesimo dell'art. 3 della legge 29 maggio 1982, n. 297, incrementati dai periodi contributivi che intercorrono tra la predetta data e quella immediatamente precedente la decorrenza della pensione."; comma 2 "Per i lavoratori che possano far valere, alla data di cui al comma 1, un'anzianità contributiva superiore ai 15 anni, la retribuzione annua pensionabile di cui ai commi ottavo e quattordicesimo della legge 29 maggio 1982, n. 297, e' determinata con riferimento alle ultime 520 settimane di contribuzione antecedenti la decorrenza della pensione con conseguente adeguamento dei criteri di calcolo ivi previsti."; comma 3 "In fase di prima applicazione delle disposizioni di cui al comma 2, per le pensioni da liquidare con decorrenza nel periodo compreso tra il 1° gennaio 1993 ed il 31 dicembre 2001, le settimane di riferimento, ai fini della determinazione della retribuzione pensionabile, sono costituite da un numero di 260 settimane aumentato del 50 per cento del numero di settimane intercorrenti tra il 1° gennaio 1993 e la data di decorrenza della pensione, con arrotondamento per difetto."; comma 4 "L'incremento di cui al comma 1 trova applicazione nei confronti dei lavoratori autonomi iscritti all'I.N.P.S. che, al 31 dicembre 1992, abbiano un'anzianità contributiva inferiore a 15 anni.";
- art. 4 (Requisiti reddituali per l'integrazione al trattamento minimo);
- articolo 5, comma 1 "Per le forme di previdenza sostitutive ed esclusive dell'assicurazione generale obbligatoria trova applicazione quanto disposto dall'articolo 1, fermi restando, se più elevati, i limiti di età per il pensionamento di vecchiaia vigenti alla data del 31 dicembre 1992 e quelli per il collocamento a riposo d'ufficio per raggiunti limiti di età previsto dai singoli ordinamenti nel pubblico impiego."; comma 4 "In fase di prima applicazione, per le forme di previdenza sostitutive ed esclusive del regime generale che prevedono, in base alle rispettive normative vigenti alla data del 31 dicembre 1992, requisiti di età inferiori a quelli di cui al comma 1, l'elevazione dell'età medesima ha luogo in ragione di un anno per ogni due anni a decorrere dal 1° gennaio 1994 e le opzioni di cui all'articolo 1, commi 2 e 3, ove esercitabili, non possono determinare, rispettivamente, il superamento della retribuzione pensionabile ed il superamento del limite massimo del coefficiente di rendimento complessivo stabiliti dalle vigenti normative.";
- art. 6, comma 1 "Per le forme di previdenza sostitutive ed esclusive del regime generale obbligatorio, si applicano i criteri di cui all'articolo 2 del presente decreto, fermi restando i requisiti assicurativi e contributivi previsti dai rispettivi ordinamenti, se più elevati.";
- articolo 7, comma 1 "Per i lavoratori iscritti a forme di previdenza sostitutive ed esclusive dell'assicurazione generale obbligatoria, che alla data del 31 dicembre 1992 possono far valere un'anzianità contributiva inferiore a 15 anni, i periodi di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile, stabiliti dalla normativa vigente alla predetta data, sono incrementati dai periodi che intercorrono tra la predetta data e quella immediatamente precedente la decorrenza della pensione."; comma 2 "Per i lavoratori di cui al comma 1 con anzianità contributiva pari o superiore a 15 anni il periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione e' riferito agli ultimi dieci anni di contribuzione antecedenti la decorrenza della pensione."; comma 3 "In fase di prima applicazione delle disposizioni di cui al comma 2, per le pensioni delle forme sostitutive ed esclusive dell'assicurazione generale obbligatoria da liquidare a decorrere dal 1° gennaio 1993, il periodo di riferimento e' incrementato del 50 per cento dei mesi intercorrenti tra la predetta data e quella di decorrenza della pensione, fino al raggiungimento di un periodo massimo di dieci anni.";
- articolo 11 (Perequazione automatica delle pensioni).
Con una prima ordinanza del 1° dicembre 1993 l'Ufficio centrale per il referendum ha dichiarato che i due quesiti relativi al riordino del sistema previdenziale debbono intendersi estesi alle modificazioni apportate all'art. 3, primo e quarto comma, e all'art. 7, primo comma, del decreto legislativo n. 503 del 1992, e a quest'ultimo nel suo complesso, ad opera dell'art. 2 del decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 373, giacche' la nuova normativa introduce un criterio di calcolo della retribuzione pensionabile che modifica quello previsto dal precedente decreto ed incide in senso riduttivo sulla misura di una quota della pensione rispetto a quella determinabile in base al sistema normativo previgente.
Di conseguenza lo stesso Ufficio ha integrato la formulazione dei due quesiti aggiungendo al testo originario di essi le parole "e l'art. 2 del decreto legislativo 11 agosto 1993, n.373 (Attuazione dell'art. 3, comma 1, lettera a), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, recante calcolo delle pensioni per i nuovi assunti)".
Con una successiva ordinanza del 9 dicembre 1993 l'Ufficio centrale per il referendum, verificata le regolarità di entrambe le richieste, le ha dichiarate legittime.
2. - Ricevuta comunicazione delle ordinanze dell'Ufficio centrale, il Presidente ha convocato la Corte in camera di consiglio il 30 dicembre 1993 per le conseguenti deliberazioni, disponendone comunicazione ai promotori delle richieste di referendum ed al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'art. 33, secondo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352.
3. - Con ordinanza emessa il 22 dicembre 1993 l'Ufficio centrale per il referendum, dato atto che l'art. 18 del decreto-legge n. 8 del 1993 ha modificato il sedicesimo comma dell'art. 2 del decreto-legge n. 386 del 1991, ha disposto che il quesito della richiesta referendaria relativa all'alienazione dei beni patrimoniali dello Stato suscettibili di gestione economica (abrogazione dell'art. 2 del decreto-legge 5 dicembre 1991, n. 386, convertito in legge con la legge 29 gennaio 1992, n.35) sia integrato con il seguente richiamo: "nel testo risultante per effetto dell'art. 18 del d.l. 18.l.1993, n. 8 (convertito con modificazioni con legge 19.3.1993 n.68), articolo modificativo del sedicesimo comma".
4. - Le memorie di ciascuno dei comitati promotori dei referendum in esame, pur variamente articolate, sostengono tutte l'ammissibilità delle rispettive richieste, affermando che esse non urtano con i limiti alle votazioni popolari per l'abrogazione di leggi, espressamente o implicitamente previsti dall'art. 75 della Costituzione.
In particolare le difese dei promotori ritengono che le proposte referendarie non riguardano leggi di bilancio o disposizioni comunque produttive di effetti strettamente connessi all'ambito di operatività delle leggi di bilancio. Il divieto di sottoposizione a referendum della legge di bilancio non potrebbe implicare la sottrazione a referendum di qualsiasi legge che determina entrate dello Stato o che esercita un'influenza sulla finanza pubblica, perchè una tale interpretazione sposterebbe troppo lontano il limite dell'art. 75 della Costituzione, fino quasi a rendere impossibile l'effettuazione di referendum. Richiamati i principi espressi da questa Corte nelle sentenze n. 16 del 1978 e n. 35 del 1985, i promotori osservano che le leggi di bilancio hanno una loro precisa e specifica individualità e si caratterizzano per aspetti procedurali e sostanziali del tutto peculiari. Rilevano inoltre che il documento di bilancio e' sottratto a referendum perchè e' impossibile privare la pubblica amministrazione del documento finanziario su cui si basa la vita dello Stato; non e' così per la legislazione sostanziale che permette la formazione del documento contabile, sia essa contenuta nella legge finanziaria o in altra legge, che ha riflesso sulle scelte economiche o sulla manovra finanziaria del Governo.
5. - Nella camera di consiglio del 30 dicembre 1993 sono stati separatamente ascoltati l'avvocato Massimo Luciani (per i promotori dei referendum concernenti il decreto legislativo n. 503 del 1992) e l'avvocato Beniamino Caravita di Toritto (per i promotori del referendum concernente il decreto-legge n. 386 del 1991), i quali hanno insistito per l'ammissibilità delle rispettive richieste.
6.l. - Con ordinanza del 4 gennaio 1994 l'Ufficio centrale ha rilevato che con l'art. 11, nono, decimo, ventiquattresimo e trentottesimo comma, della legge 24 dicembre 1993, n. 357 (Interventi correttivi di finanza pubblica), erano stati rielaborati o modificati, rispetto al testo originario del decreto legislativo n. 503 del 1992: a) l'art. 10, sesto comma, in materia di cumulabilità delle pensioni di anzianità con i redditi da lavoro dipendente e da lavoro autonomo; b) l'art. 10, ottavo comma, in tema di maturazione del diritto per l'applicazione della previgente normativa se più favorevole; c) l'art. 17, primo comma, in ordine alla esclusione dei corrispettivi dei servizi di mensa e di trasporto dalla base imponibile per il computo dei contributi previdenziali ed assistenziali; d) l'art. 4, primo comma, lettera b), e secondo comma, in tema di limitazioni per la integrazione al trattamento minimo delle pensioni.
Lo stesso Ufficio ha quindi disposto che i quesiti referendari in materia previdenziale siano ulteriormente integrati nel modo seguente: "a) quello di cui alla richiesta di abrogazione totale del decreto legislativo n. 503/92, con la riformulazione dell'intero quesito nei seguenti termini: "Volete voi che sia abrogato il decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 503 (Norme per il riordino del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici), come modificato dall'art. 11 della legge 24 dicembre 1993 n. 537, nonchè l'art. 2 del decreto legislativo 11 agosto 1993 n. 373?"; b) quello di cui alla richiesta abrogativa di singole disposizioni del decreto 503/92, inserendo dopo le parole: "articolo 4 (requisiti reddituali per l'integrazione al trattamento minimo)" le parole: "come modificato dal comma 38 dell'art. 11 della legge 24 dicembre 1993 n.537".
6.2. - La difesa dei presentatori delle proposte referendarie in materia previdenziale ha depositato un'ulteriore memoria illustrativa, nella quale deduce che la normativa sottoposta a referendum, anche dopo le modifiche ad essa apportate dall'art. 11 della legge n. 537 del 1993, non può essere assimilata alle leggi di bilancio. Tali conclusioni sono state ribadite, per i promotori, dall'avvocato Massimo Luciani nella camera di consiglio del 10 gennaio 1994.
Considerato in diritto
l. - La prima richiesta di referendum abrogativo, sulla cui ammissibilità la Corte e' chiamata a pronunciarsi a seguito delle due ordinanze dell'Ufficio centrale per il referendum del 9 dicembre e del 22 dicembre 1993, che ne hanno rispettivamente dichiarato la legittimità ed integrato il quesito, investe l'art. 2 del decreto- legge 5 dicembre 1991, n. 386, convertito dalla legge 29 gennaio 1992, n. 35 (Trasformazione degli enti pubblici economici, dismissione delle partecipazioni statali ed alienazione dei beni patrimoniali suscettibili di gestione economica), nel testo modificato, al sedicesimo comma, dall'art. 18 del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 8, convertito in legge con modificazioni con la legge 19 marzo 1993, n.68 (Disposizioni urgenti in materia di finanza derivata e di contabilità pubblica).
L'articolo dell'atto avente forza di legge, del quale si propone l'abrogazione, concerne l'alienazione o la gestione di beni patrimoniali dello Stato, e dispone che esse possano essere attuate anche previo conferimento a società con capitale misto, le quali anticipano su apposito capitolo al bilancio dello Stato, in acconto, il 50 per cento dei proventi che si prevede derivino dalle alienazioni e dalle gestioni.
Lo stesso articolo istituisce gli organi preposti a sovraintendere all'attuazione dei programmi di gestione e vendita (Comitato di ministri), a vigilare sulle relative procedure (Comitato tecnico), ad adottare gli atti, anche integrativi degli strumenti urbanistici e dei piani territoriali, necessari per la valorizzazione dei beni immobili (conferenza dei rappresentanti dello Stato e degli enti pubblici, compresi gli enti locali, interessati).
Due specifiche disposizioni prevedono che i proventi delle alienazioni siano versati al bilancio dello Stato entro il 31 dicembre 1992 e che la legge finanziaria determini gli importi annualmente acquisibili in dipendenza delle alienazioni.
La modifica introdotta con il decreto-legge n. 8 del 1993, alla quale e' stato esteso il quesito referendario, dispone che per gli interventi che richiedono la partecipazione di enti locali sia rispettata, e non derogata secondo la previsione precedente, la disciplina dettata per gli accordi di programma dall'art 27 della legge 8 giugno 1990, n.142.
2. - La seconda richiesta di referendum abrogativo, sulla cui ammissibilità la Corte e' chiamata a pronunciarsi a seguito delle ordinanze dell'Ufficio centrale, che ne hanno dichiarato la legittimità ed integrato il quesito, concerne l'intero testo del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, come modificato dall'art. 11 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, nonchè l'art. 2 del decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 373.
Il decreto legislativo n. 503 del 1992, in parte modificato dall'art. 11 della legge n. 537 del 1993, e' nel suo complesso diretto, in conformità all'art. 3 della legge delega 23 ottobre 1992, n.421, a ridurre le prestazioni pensionistiche e ad attenuare l'onere finanziario della previdenza pubblica. Le ragioni e gli scopi dell'intervento legislativo sono così enunciati dalla stessa legge di delega: stabilizzare al livello attuale il rapporto tra spesa previdenziale e prodotto interno lordo; garantire l'omogeneità dei trattamenti pensionistici obbligatori; favorire la costituzione di forme di previdenza complementare a carattere privatistico.
Le misure a tal fine introdotte consistono:
nell'innalzamento dell'età pensionabile (articoli 1 e 5);
nell'elevazione del limite di età per la prosecuzione facoltativa del rapporto di lavoro nel settore privatistico (articolo 1);
nell'innalzamento del requisito contributivo per la pensione di vecchiaia (articoli 2 e 6) e di anzianità (articolo 8);
nell'introduzione di più sfavorevoli criteri di determinazione della retribuzione pensionabile (articoli 3 e 7); in restrizioni alla cumulabilità della pensione con redditi di lavoro dipendente o autonomo (articolo 10); nella prescrizione, per il diritto all'integrazione al minimo, di requisiti collegati anche al reddito del coniuge (articolo 4); nella estensione dell'istituto del "tetto pensionabile" (articolo 12);
nella riduzione di frequenza degli aumenti a titolo di perequazione automatica (articolo 11); nella riduzione dei periodi di contribuzione figurativa utili ai fini della pensione di vecchiaia (articolo 15).
Il decreto contiene anche altre disposizioni di diverso tenore: attenuazione dei limiti al cumulo tra pensione e retribuzione per i lavoratori privati (articolo 10); variazione in aumento delle aliquote di rendimento pensionistico delle retribuzioni superiori al "tetto pensionabile" (articolo 12);facoltà di riscatto dei periodi di astensione facoltativa dal lavoro per gravidanza o puerperio e per assistenza a familiari disabili e accredito figurativo dei periodi di gravidanza e puerperio per i quali e' prevista l'astensione obbligatoria dal lavoro, anche se intervenuti al di fuori di un rapporto di lavoro (articolo 14).
L'art. 2 del decreto legislativo n. 373 del 1993, emanato in attuazione dell'art. 3, lettera o), della legge n. 421 del 1992, introduce a sua volta un criterio di calcolo della retribuzione pensionabile modificativo di quello previsto dal decreto n. 503 del 1992, perchè determina la quota di pensione corrispondente alle anzianità contributive acquisite a decorrere dal 1° gennaio 1993 in base alla media delle retribuzioni imponibili relative agli anni coperti da contribuzione assicurativa riferita all'intera vita lavorativa.
3. - L'altra richiesta di referendum che ha ad oggetto il decreto legislativo n. 503 del 1992, e che occorre valutare ai fini dell'ammissibilità, concerne esclusivamente gli artt. 1; 2; 3, primo, secondo, terzo e quarto comma; 4; 5, primo e quarto comma;6, primo comma; 7, primo, secondo e terzo comma; 11;disposizioni in parte modificate dall'art. 11 della legge n. 537 del 1993, nonchè l'art. 2 del decreto legislativo n. 373 del 1993.
4. - I giudizi di ammissibilità delle tre richieste di referendum presentano profili comuni, inerenti alle leggi di bilancio, e pertanto possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
5. - Nel delimitare l'ambito delle leggi per le quali non e' ammissibile il referendum popolare abrogativo, l'art. 75 della Costituzione, menzionando le leggi tributarie e di bilancio, si riferisce, per queste ultime, ai "bilanci" previsti dall'art. 81 della Costituzione. Ma il contenuto della nozione "leggi di bilancio" e la identificazione delle stesse nell'ambito della disciplina contabilistica dello Stato non sono definiti dalla norma costituzionale, che rinvia alla determinazione ed all'articolazione delle leggi di bilancio, quali risultano dall'ordinamento nel suo possibile mutamento ed aggiornamento nel tempo.
Si deve pertanto fare riferimento, quanto all'attuale assetto delle leggi di bilancio dello Stato, alla disciplina dettata dalla legge 5 agosto 1978, n. 468 (Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio), con le modifiche ad essa apportate con la legge 23 agosto 1988, n. 362.
In particolare l'art. 1-bis di tale legge, nell'indicare gli strumenti di programmazione finanziaria e di bilancio, comprende, tra i documenti normativi concernenti l'entrata e la spesa impostati secondo il metodo della programmazione finanziaria, la legge di approvazione del bilancio annuale di previsione e del bilancio pluriennale, nonchè la legge finanziaria. La stessa disposizione menziona nello stesso ambito i documenti di programmazione (quello di programmazione economico-finanziaria e la relazione previsionale programmatica) ed i disegni di legge collegati.
La nuova articolazione della disciplina di bilancio si compone di una pluralità di provvedimenti legislativi, tra loro complementari e concorrenti.
Essa persegue, tra le altre, la finalità di meglio programmare, definire e controllare le entrate e le spese pubbliche per assicurare l'equilibrio finanziario e la sostanziale osservanza, in una proiezione temporale che supera l'anno, dei principi enunciati dall'art. 81 della Costituzione.
In questo contesto si collocano non solo la legge di bilancio, intesa come approvazione del bilancio annuale e pluriennale, ma anche la legge finanziaria, che, nell'attuale disciplina, definisce le compatibilità economiche, le grandezze finanziarie e le determinazioni quantitative, per gli anni considerati, degli stanziamenti o delle riduzioni di spesa.
A questi atti (bilancio annuale e bilancio pluriennale, legge finanziaria), nel loro attuale contenuto tipico, deve intendersi riferita la sottrazione a referendum popolare, disposta dall'art. 75 della Costituzione, delle leggi di bilancio.
La Corte ha ritenuto, sin dalla sentenza n. 16 del 1978, che la interpretazione letterale delle cause di inammissibilità testualmente descritte nell'art. 75 della Costituzione deve essere integrata "da un'interpretazione logico-sistematica, per cui vanno sottratte al referendum le disposizioni produttive di effetti collegati in modo così stretto all'ambito di operatività delle leggi espressamente indicate dall'art. 75, che la preclusione debba ritenersi sottintesa".
A tale principio dovrà farsi ricorso per valutare, nei singoli casi, se le leggi che assumono funzione di provvedimenti collegati alla legge finanziaria, al di là della loro qualificazione formale, di per se' non idonea a determinare effetti preclusivi in relazione alla sottoponibilità a referendum, presentino "effetti collegati in modo così stretto all'ambito di operatività" delle leggi di bilancio, da essere sottratte a referendum, diversamente dalle altre innumerevoli leggi di spesa.
Questo stretto collegamento si può ritenere sussista se il legame genetico, strutturale e funzionale con le leggi di bilancio sia tale che le norme sostanziali collegate incidano direttamente sul quadro delle coerenze macroeconomiche e siano essenziali per realizzare l'indispensabile equilibrio finanziario.
Si tratta di leggi che non si limitano a porre discipline ordinamentali prive di diretti effetti finanziari ma che, incidendo in modo rilevante nell'ambito di operatività delle leggi di bilancio, non sono suscettibili di valutazioni frazionate ed avulse dal quadro delle compatibilità generali, quali inevitabilmente risulterebbero da una determinazione referendaria che si esprime su di un solo elemento del quadro complessivo.
6. - Esaminando secondo i criteri sopra indicati la proposta di referendum relativa alle disposizioni legislative che disciplinano l'alienazione dei beni patrimoniali dello Stato, si può rilevare come l'obiettivo del decreto-legge n. 386 del 1991, quale risulta dagli atti che ne hanno preceduto l'adozione e che hanno portato alla sua conversione in legge, sia costituito dalla necessità di incrementare le entrate del bilancio dello Stato e di assicurare, anche attraverso gli strumenti e le procedure predisposti dalle nuove norme, l'equilibrio finanziario e di bilancio dello Stato.
Il documento di programmazione economico- finanziaria, che definisce la manovra di finanza pubblica per il periodo compreso nel bilancio pluriennale 1992-1994 (art. 3 della legge 5 agosto 1978, n. 468, come sostituito dall'art. 3, primo comma, della legge 23 agosto 1988, n. 362), indica la vendita dei beni patrimoniali dello Stato come un punto qualificante dell'azione di risanamento della finanza pubblica e richiede, per il conseguimento degli obiettivi programmati, l'approvazione delle disposizioni concernenti la gestione produttiva di beni immobili dello Stato, che erano contenute in un disegno di legge di accompagnamento della legge finanziaria del 1990.
La relazione previsionale e programmatica per il 1992, nel rendere esplicite le compatibilità tra il quadro economico, l'entità e la ripartizione delle risorse e gli impegni finanziari previsti nei bilanci pluriennali dello Stato (art. 15 della legge 5 agosto 1978, n. 468, come modificato dall'art. 9 della legge 23 agosto 1988, n. 362), stima in 15 mila miliardi il gettito delle vendite di parte dei beni patrimoniali disponibili dello Stato, il cui processo di dismissione doveva essere accelerato.
Le enunciazioni dei documenti di programmazione sono puntualmente rispecchiate nel bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 1992 (legge 31 dicembre 1991, n. 416), che alla Tabella n.1 dello stato di previsione dell'entrata, al titolo III, vede inserito il capitolo 4010 con un importo, sia di competenza che di cassa, di 15 mila miliardi.
Inoltre lo stesso capitolo e' stato espressamente istituito, per l'imputazione delle entrate derivanti dalla vendita di beni disponibili del patrimonio dello Stato situati in Italia (locuzione che costituisce la denominazione del capitolo 4010), con il bilancio di previsione dello Stato per l'anno 1990 (legge 27 dicembre 1989, n. 409), nel quale peraltro non risulta quantificata alcuna somma in entrata, ma indicato il capitolo solo "per memoria" .
Il nesso che lega le disposizioni oggetto del quesito referendario e le immediate esigenze finanziarie e di bilancio dello Stato e' sottolineato dalle stesse discussioni parlamentari, in sede di conversione del decreto-legge in questione. Anche le posizioni più critiche delle procedure e delle modalità con le quali il provvedimento si articola ne sottolineano la funzione finanziaria, pur contestandone la previsione di gettito, che successivamente, nel bilancio di assestamento, e' stata ridimensionata, con una entrata definita in 8 mila miliardi (legge 23 ottobre 1992, n. 419).
Risulta dunque evidente che le disposizioni legislative oggetto della richiesta di referendum sono collegate in modo così stretto all'ambito di operatività delle leggi di bilancio, che la preclusione, prevista dall'art. 75 della Costituzione per queste ultime, si estende necessariamente, secondo i principi enunciati dalla Corte, anche ad esse.
La richiesta di sottoporre a referendum le norme concernenti l'alienazione dei beni patrimoniali dello Stato deve essere pertanto dichiarata inammissibile.
7. - Le due richieste di referendum relative alle norme per il riordinamento del sistema previdenziale (emanate con il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, in attuazione dell'art. 3 della legge di delegazione 23 ottobre 1992, n. 421) presentano profili analoghi a quelli già esaminati con riferimento al decreto-legge relativo all'alienazione di beni patrimoniali dello Stato, e ad essi corrispondenti sul versante delle spese anzichè su quello delle entrate. Possono essere pertanto egualmente valutate secondo il criterio di stretta connessione con le leggi di bilancio.
Le due richieste, che riguardano con diversa ampiezza lo stesso atto avente forza di legge, presentano le medesime implicazioni in ordine alla incidenza sulle leggi di bilancio.
Il decreto legislativo oggetto delle richieste referendarie trova preannuncio, nel suo contenuto, nel documento di programmazione economico finanziaria per gli anni 1992-1994, nel contesto degli interventi destinati ad incidere sulle spese, determinandone il ridimensionamento ed il controllo nel comparto, tra gli altri, della previdenza. In particolare la revisione del sistema pensionistico, per le immediate finalità finanziarie enunciate dal documento programmatico, e' delineata secondo principi che risultano poi trasfusi nella legge di delega n. 421 del 1992. Quest'ultima, come precisa la relazione che accompagna il disegno di legge, tende tra l'altro alla stabilizzazione del sistema per dare sicurezza ai pensionati attuali e futuri sulla tenuta finanziaria del sistema stesso; attua inoltre l'indirizzo della stabilizzazione della spesa in percentuale del prodotto interno lordo.
La legge finanziaria per il 1993 (legge 23 dicembre 1992, n. 500) comprende espressamente tra i provvedimenti collegati la delega per la razionalizzazione e revisione della disciplina in materia di previdenza, considerandone gli effetti ai fini dell'equilibrio finanziario e di bilancio.
Gli effetti dell'atto legislativo oggetto delle richieste referendarie risultano strettamente collegati nel tempo all'ambito di operatività delle leggi di bilancio, come sottolinea anche il documento di programmazione economico finanziaria per gli anni 1993-1995, il quale indica le riduzioni di spesa determinate dalla legge delega in materia di previdenza tra quelle dirette ad assicurare l'azzeramento del disavanzo corrente.
Si deve infine ricordare che i due quesiti referendari sono stati integrati, estendendoli alle modificazioni apportate dall'art. 11 della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), i cui effetti incidono direttamente sulla operatività della legge finanziaria per il 1994 (legge 24 dicembre 1993, n. 538), che comprende gli interventi correttivi in questione ai fini dell'equilibrio finanziario e di bilancio.
Risulta esistere quindi, anche in questo caso, quello stretto collegamento delle disposizioni legislative oggetto dei quesiti referendari con le leggi di bilancio, tale da escludere l'ammissibilità delle richieste di referendum.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi, dichiara inammissibili le richieste di referendum popolare:
1) per l'abrogazione dell'art. 2 del decreto- legge 5 dicembre 1991, n. 386 (Trasformazione degli enti pubblici economici, dismissione delle partecipazioni statali ed alienazione dei beni patrimoniali suscettibili di gestione economica), convertito in legge con la legge 29 gennaio 1992, n.35, nel testo risultante per effetto dell'art. 18 del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 8, convertito in legge, con modificazioni, con la legge 19 marzo 1993, n. 68, articolo modificativo del sedicesimo comma, secondo il quesito modificato dall'Ufficio centrale per il referendum con ordinanza del 22 dicembre 1993;
2) per l'abrogazione del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (Norme per il riordino del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici), come modificato dall'art. 11 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, nonchè dell'art. 2 del decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 373 (Attuazione dell'art. 3, comma 1, lettera o, della legge 23 ottobre 1992, n. 421, recante calcolo delle pensioni per i nuovi assunti), secondo il quesito modificato dall'Ufficio centrale per il referendum con ordinanze del 1° dicembre 1993 e del 4 gennaio 1994;
3) per l'abrogazione degli artt. 1; 2; 3, primo, secondo, terzo e quarto comma; 4, come modificato dall'art. 11, trentottesimo comma, della legge 24 dicembre 1993, n. 537; 5, primo e quarto comma; 6 primo comma; 7, primo, secondo e terzo comma, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, e dell'art. 2 del decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 373 (Attuazione dell'art. 3, comma 1, lettera o della legge 23 ottobre 1992, n. 421, recante calcolo delle pensioni per i nuovi assunti), secondo il quesito modificato dall'Ufficio centrale per il referendum con ordinanze del 1° dicembre 1993 e del 4 gennaio 1994;
richieste dichiarate legittime, con ordinanza del 9 dicembre 1993, dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/01/94.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Cesare MIRABELLI, Redattore
Depositata in cancelleria il 12/01/94.