ORDINANZA N.251
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
- Ugo DE SIERVO
- Romano VACCARELLA
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del’art. 36, comma 8, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come modificato dall’art. 22 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), promosso con ordinanza emessa il 22 gennaio 2001 dal Tribunale di Torino nel procedimento civile vertente tra Nigro Bianca ed altri e il Ministero della pubblica istruzione, iscritta al n. 272 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 2001.
Visti l’atto di costituzione di Giuliana Concetta ed altri nonchè gli atti di intervento del CIP-AN - Associazione Nazionale Comitato Insegnanti Precari e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 7 maggio 2002 il Giudice relatore Annibale Marini;
uditi l’avvocato Alberto Romano per Giuliana Concetta ed altri e per il CIP-AN - Associazione Nazionale Comitato Insegnanti Precari e l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che il Tribunale di Torino, con ordinanza emessa e depositata il 22 gennaio 2001, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 36, comma 8, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come modificato dall’art. 22 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59);
che, ad avviso del rimettente, la norma impugnata, escludendo che la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni possa comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, precluderebbe l’accoglimento delle domande proposte, nel giudizio a quo, dai ricorrenti, i quali – insegnanti di scuola secondaria presso il Provveditorato agli Studi di Torino, in forza di successivi contratti di lavoro di durata annuale – agiscono nei confronti dell’Amministrazione della pubblica istruzione perchè sia dichiarato il loro diritto ad essere considerati dipendenti a tempo indeterminato dell’amministrazione, ai sensi degli artt. 1 e 2 della legge 18 aprile 1962, n. 230 (Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato), con le consequenziali statuizioni relative al trattamento economico;
che la norma impugnata introdurrebbe – secondo il giudice a quo - una evidente disparità di trattamento tra i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato dalle pubbliche amministrazioni e quelli assunti con analogo contratto da altri datori di lavoro privati o enti pubblici economici, in quanto ai primi, nonostante l’intervenuta privatizzazione del rapporto e l’espresso richiamo alla legge n. 230 del 1962 contenuto nel comma 7 dello stesso art. 36 del decreto legislativo n. 29 del 1993, sarebbe negata la tutela rappresentata dalla costituzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato in conseguenza della violazione delle disposizioni imperative relative al contratto a tempo determinato contenute nella predetta legge;
che questa Corte, del resto, nella recente sentenza n. 419 del 2000 – con riferimento ad analoga norma riguardante le assunzioni a tempo determinato effettuate, contra legem, dall’Ente Poste – avrebbe escluso la prospettata violazione dell’art. 3 della Costituzione solo in considerazione della assoluta eccezionalità della situazione creatasi a seguito del mancato adeguamento, da parte dei dirigenti dell’Ente Poste, alla disciplina dettata dalla legge n. 230 del 1962, del conseguente rischio che l’imprevista assunzione coattiva di migliaia di lavoratori pregiudicasse il risanamento finanziario dell’ente e della temporaneità della deroga alla disciplina generale dettata dalla norma scrutinata;
che la stessa Corte, inoltre, nella sentenza n. 41 del 2000, dichiarando l’inammissibilità del referendum abrogativo della legge n. 230 del 1962, avrebbe individuato la legge in questione come normativa interna, di contenuto tale da costituire per lo Stato italiano adempimento di un preciso obbligo comunitario, derivante dalla direttiva 1999/70/CE del Consiglio dell’Unione europea del 28 giugno 1999, concernente specificamente il rapporto di lavoro a tempo determinato;
che sarebbe palese l’irragionevolezza della disparità di trattamento introdotta dall’art. 36, comma 8, del decreto legislativo n. 29 del 1993, in quanto tale norma di fatto sancirebbe, quanto ai dipendenti pubblici, quella radicale carenza di garanzie – dalla Corte ritenuta contrastante con la citata direttiva comunitaria – che sarebbe stata il risultato dell’accoglimento della proposta referendaria, per tale motivo ritenuta appunto inammissibile;
che si sono costituiti in giudizio, con unico atto, Concetta Giuliana, Pierangela Mela e Fabio De Michiel, ricorrenti nel giudizio a quo, concludendo per l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale;
che con il medesimo atto, e spiegando identiche conclusioni, é intervenuto nel giudizio il CIP–AN - Associazione Nazionale Comitato Insegnanti Precari, in persona del Presidente Antonio Antonazzo, deducendo di non essere parte nel giudizio a quo, ma di ritenersi legittimato a partecipare a tale giudizio "come interveniente adesivo e perciò legittimato ad intervenire anche nel giudizio di costituzionalità";
che é altresì intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di infondatezza della questione;
che, ad avviso della parte pubblica, la diversità delle situazioni messe a confronto porterebbe ad escludere la prospettata violazione del principio di eguaglianza, anche per la necessità di contemperare tale principio, in tema di impiego pubblico, con quelli, di pari rango, di cui agli artt. 51 e 97 della Costituzione;
che, pur dopo l’intervenuta privatizzazione del rapporto di lavoro, resterebbe infatti ferma l’esigenza che i pubblici dipendenti vengano di regola selezionati attraverso una procedura concorsuale, al fine di assicurare l’imparzialità ed il buon andamento della pubblica amministrazione ed evitare, al tempo stesso, il rischio di un ampliamento degli organici dell’amministrazione al di là delle sue effettive necessità;
che siffatta esigenza renderebbe, pertanto, giustificata la mancata estensione all’impiego pubblico del meccanismo previsto dalla legge n. 230 del 1962;
che, infine, la stessa Corte costituzionale avrebbe in più occasioni riconosciuto la legittimità di discipline differenziate per i lavoratori pubblici rispetto a quelli privati.
Considerato preliminarmente – quanto all’intervento del CIP–AN - Associazione Nazionale Comitato Insegnanti Precari - che la giurisprudenza di questa Corte é costante nell’affermare la inammissibilità, nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale, dell’intervento di soggetti che non siano parti in causa nel giudizio a quo al momento del deposito o della lettura in dibattimento dell’ordinanza di rimessione;
che tale principio é stato ritenuto derogabile soltanto in favore di soggetti titolari di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio;
che siffatta situazione non ricorre nella specie, essendo l’interveniente titolare di un interesse di mero fatto;
che, pertanto, l’intervento stesso deve essere dichiarato inammissibile;
che, nel merito, il rimettente muove dalla premessa, apoditticamente affermata, che i rapporti di lavoro a tempo determinato con la pubblica amministrazione siano, a seguito della intervenuta privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, disciplinati esclusivamente dalla legge n. 230 del 1962;
che da tale premessa lo stesso rimettente fa discendere, da un lato, la (pur implicita) qualificazione dei contratti a termine stipulati dall’amministrazione con i ricorrenti come contratti contra legem e, dall’altro, la valutazione di non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della norma denunciata in quanto preclusiva, per i soli dipendenti delle pubbliche amministrazioni, della possibilità di trasformazione dei rapporti a termine stipulati in violazione degli artt. 1 e 2 della legge n. 230 del 1962 in rapporti di lavoro a tempo indeterminato;
che il medesimo rimettente non si fa, tuttavia, carico dell’esistenza di una articolata disciplina speciale delle supplenze annuali e temporanee nella scuola, contenuta attualmente nell’art. 4 della legge 3 maggio 1999, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico), che ha sostituito i previgenti artt. da 520 a 522 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado), abrogati solamente a decorrere dalla data di entrata in vigore del regolamento previsto dallo stesso art. 4, comma 5, della legge n. 124 del 1999;
che la mancanza nell’ordinanza di rimessione di qualsiasi riferimento alla sopra citata disciplina ed al rapporto in cui la stessa si pone con la legge n. 230 del 1962 ritenuta applicabile nel giudizio a quo si traduce in un evidente difetto di motivazione sulla rilevanza della questione;
che la questione stessa va, pertanto, dichiarata manifestamente inammissibile.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’inammissibilità dell’intervento del CIP-AN - Associazione Nazionale Comitato Insegnanti Precari;
2) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 36, comma 8, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come modificato dall’art. 22 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Torino con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Annibale MARINI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 14 giugno 2002.