ORDINANZA N. 156
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco GALLO Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 5, comma 1, primo, secondo e terzo periodo, 8, 13 e 16, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali), dell’articolo 372, commi 2 e 3, del codice di procedura civile, e dell’articolo 16 del decreto ministeriale 18 ottobre 2010, n. 180, come modificato dal decreto ministeriale 6 luglio 2011, n. 145 («Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28»), promossi dal Giudice di pace di Parma con ordinanza del 24 novembre 2011, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con ordinanza del 2 maggio 2012, dal Tribunale di Firenze con ordinanza dell’11 maggio 2012, dal Tribunale di Latina con ordinanze del 19 aprile, del 6, del 19, dell’8, del 6 e del 21 giugno 2012, dal Tribunale di Tivoli con ordinanze del 27 giugno, del 30 e del 2 maggio 2012, rispettivamente iscritte ai nn. 112, 149, 204, da 210 a 215, 265, 274 e 283 del registro ordinanze 2012 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 24, 33, 40, 48, 49 e 50, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Visti l’atto di costituzione della Unione Nazionale dei Giudici di Pace – Unagipa – ed altro, nonché gli atti di intervento del Consiglio nazionale forense e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell'8 maggio 2013 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo.
Ritenuto che il Giudice di pace di Parma, con ordinanza del 24 novembre 2011 (r.o. n. 112 del 2012), ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24 e 77 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli articoli 5, comma 1, primo, secondo e terzo periodo, e 16, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali);
che il rimettente riferisce di dover giudicare in una causa avente ad oggetto la richiesta di pagamento di una somma in materia di locazione di beni mobili, rientrante nella previsione normativa di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, per la quale è previsto il preliminare procedimento di mediazione a pena di improcedibilità;
che l’attrice ha omesso di svolgere detto procedimento ed ha eccepito l’illegittimità costituzionale del citato art. 5 «anche in combinato disposto con l’art. 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, nonché con gli articoli 4 e 16 del D.M. 10 ottobre 2010 n. 180 per violazione degli artt. 77, 24, 3 e 97»;
che, ciò premesso, il giudice a quo espone che la direttiva n. 2008/52/CE ha disciplinato alcuni aspetti della mediazione in materia civile e commerciale, chiarendo innanzitutto che l’obiettivo di garantire un migliore accesso alla giustizia, giudiziale o extragiudiziale, contribuisce al corretto funzionamento del mercato interno;
che la mediazione è ritenuta una risoluzione extragiudiziale conveniente e rapida delle controversie in materia civile e commerciale e che, inoltre, la direttiva prevede la possibilità di rendere il ricorso ad essa obbligatorio purché non sia impedito alle parti «di esercitare il loro diritto di accesso al sistema giudiziario»;
che, con legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), il legislatore ha delegato il governo ad adottare uno o più decreti legislativi in materia di mediazione civile e commerciale, nel rispetto ed in conformità ai principi enunciati dalla normativa comunitaria, e detta delega è stata esercitata con il d.lgs. n. 28 del 2010;
che, come il rimettente ancora riferisce, con decreto ministeriale 18 ottobre 2010, n. 180 (Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28), il Ministro della giustizia ha adottato il detto regolamento;
che l’attrice adduce la violazione: dell’art. 77 Cost., in quanto l’art. 5 d.lgs. citato, nel prevedere l’esperimento del procedimento di mediazione come condizione di procedibilità della domanda giudiziale, preclude l’accesso diretto alla giustizia, disattendendo le previsioni dell’art. 60 della legge n. 69 del 2009, dell’art. 24 Cost. (poiché la mediazione può essere obbligatoria oppure onerosa, ma non avere entrambi i caratteri), dell’art. 3 Cost., poiché la condizione di procedibilità è prevista per la domanda principale e non per quella riconvenzionale e «per la determinazione delle indennità di cui all’art. 16 del D.M. n. 180 del 2010, ponendo su un piano diverso parte attrice e parte convenuta»;
che, infine, l’attrice ha eccepito la violazione dell’art. 97 Cost., in quanto «nel momento in cui la procedura di mediazione è resa obbligatoria al fine di far valere in giudizio un diritto e nel momento in cui le attività del mediatore interferiscono con l’esercizio della funzione giurisdizionale, il procedimento ha funzione pubblica e deve, pertanto, rispondere ai requisiti di buon andamento e imparzialità di cui all’art. 97 Cost.»;
che, su tali premesse, il giudicante dichiara rilevanti e non manifestamente infondate, in relazione agli artt. 3, 24 e 77 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1 (primo, secondo e terzo periodo), del d.lgs. n. 28 del 2010 e, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1, del medesimo decreto legislativo;
che, con atto depositato in data 3 luglio 2012, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate non fondate;
che, con atto depositato in data 3 luglio 2012, è intervenuto nel presente giudizio di legittimità costituzionale il Consiglio Nazionale Forense, chiedendo, in rito, che l’intervento sia dichiarato ammissibile e, nel merito, che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale delle norme censurate;
che il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (d’ora in avanti, TAR), con ordinanza del 2 maggio 2012 ha sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 77 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, primo, secondo e terzo periodo, e dell’art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010 (r.o. n. 149 del 2012);
che il rimettente riferisce di dover pronunciare in un processo originato da un ricorso proposto dall’Unione Nazionale dei Giudici di Pace – Unagipa, e da singoli avvocati e giudici di pace, contro il Ministero della giustizia e il Ministero dello sviluppo economico per l’annullamento del decreto ministeriale n. 180 del 2010, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 258 del 4 novembre 2010;
che, come il rimettente espone, i ricorrenti chiedono l’annullamento del detto decreto, ritenendolo lesivo degli interessi della categoria forense e dei giudici di pace, illegittimo perché in contrasto con il d.lgs. n. 28 del 2010, nonché affetto da eccesso di potere sotto svariati profili e, inoltre, lamentano l’assenza, nel d.m. n. 180 del 2010, di criteri volti ad individuare e a selezionare gli organismi di mediazione in ragione dell’attività squisitamente giuridica che essi andrebbero a svolgere, e che sarebbe richiesta sia dalla normativa comunitaria, sia dalla legge delega n. 69 del 2009;
che il rimettente si sofferma sul quadro normativo rilevante e sui motivi del ricorso, con particolare riguardo alle ragioni attinenti alle questioni di legittimità costituzionale;
che, dopo avere argomentato sulla rilevanza di tali questioni, il rimettente ritiene che le prime tre disposizioni dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010 si porrebbero in contrasto con l’art. 77 Cost., perché non potrebbero essere ascritte all’art. 60 della legge n. 69 del 2009, non essendo rilevabile alcun elemento da cui desumere che la regolazione della materia contenuta nella normativa censurata sia conforme ai precetti della detta legge delega;
che, infatti: 1) nessuno dei criteri e principi direttivi previsti rivelerebbe in modo espresso la finalità di perseguire un intento deflativo del contenzioso giurisdizionale; 2) nessuno dei principi o criteri configurerebbe l’istituto della mediazione come fase pre-processuale obbligatoria; 3) avuto riguardo al silenzio serbato dal legislatore delegante sullo specifico tema, sarebbe stato almeno necessario che il citato art. 60 lasciasse trasparire sul punto elementi univoci e concludenti, ma ciò non sarebbe avvenuto; 4) nella specie si dovrebbe escludere che la norma ora menzionata, con il richiamo alla normativa comunitaria, possa essere intesa come delega al Governo a compiere qualsiasi scelta occasionata dalla direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale); 5) inoltre, tale direttiva lascerebbe impregiudicata la legislazione nazionale, che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto ad incentivi o sanzioni, sia prima che dopo il procedimento giudiziario; 6) nessun elemento decisivo potrebbe trarsi dal principio previsto dall’art. 60, comma 3, lettera a), della legge delega, nella parte in cui dispone che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, senza precludere l’accesso alla giustizia, perché il legislatore, utilizzando tale espressione, avrebbe inteso soltanto rispettare un principio assoluto dell’ordinamento nazionale (art. 24 Cost.) e di quello comunitario;
che i principi e criteri direttivi fissati dalla legge delega, dunque, sarebbero neutrali al fine di verificare la rispondenza a tale legge dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, mentre due dei criteri direttivi previsti dal legislatore delegante deporrebbero a favore della previsione del carattere facoltativo che si sarebbe inteso attribuire alla procedura di mediazione;
che il primo sarebbe desumibile dall’art. 60, comma 3, lettera c), della legge delega, in forza del quale la mediazione sarebbe disciplinata anche mediante estensione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’art. 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366);
che, invero, la clausola di conciliazione prevista dal d.lgs. n. 5 del 2003 (normativa ora abrogata proprio dal d.lgs. n. 28 del 2010) nasceva da norme di fonte volontaria e non obbligatoria;
che il secondo andrebbe tratto dall’art. 60, comma 3, lettera n), della legge delega, il quale prevede il dovere dell’avvocato di informare il cliente, prima dell’instaurazione del giudizio, della possibilità di avvalersi dell’istituto della conciliazione, nonché di ricorrere agli organismi di conciliazione;
che, infatti, la possibilità sarebbe, ovviamente, cosa diversa dalla obbligatorietà e, del resto, l’art. 4 del d.lgs. n. 28 del 2010 differenzierebbe, al comma 3, l’ipotesi in cui l’avvocato omette di informare il cliente della “possibilità” di avvalersi della mediazione da quella in cui l’omissione informativa concerne i casi nei quali l’espletamento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale;
che, quanto all’art. 16 del d.lgs. n. 28 del 2010, esso avrebbe conformato gli organismi di conciliazione a parametri, o meglio, a qualità, attinenti in via esclusiva all’aspetto della funzionalità generica e, per contro, scevri da qualsiasi riferimento a canoni tipologici tecnici o professionali di carattere qualificatorio ovvero strutturale;
che, alla luce di quanto argomentato, il TAR rimettente ritiene che l’art. 5, comma 1, e segnatamente il primo, il secondo ed il terzo periodo, nonché l’art. 16, comma 1, del d.lgs. citato, là dove dispone che abilitati a costituire organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione debbano essere gli enti pubblici e privati che diano garanzie di serietà ed efficienza, siano in contrasto con gli artt. 24 e 77 Cost.;
che, in particolare, la violazione dell’art. 24 Cost. sussisterebbe nella misura in cui dette disposizioni determinerebbero, nelle considerate materie, una incisiva influenza sull’azionabilità in giudizio di situazioni giuridiche e sulla successiva funzione giurisdizionale, su cui lo svolgimento della mediazione variamente influisce, in quanto esse non garantirebbero, mediante un’adeguata conformazione della figura del mediatore, che i privati non subiscano irreversibili pregiudizi derivanti dalla non coincidenza degli elementi loro offerti in valutazione per assentire o rifiutare l’accordo conciliativo, rispetto a quelli suscettibili, nel prosieguo, di essere evocati in giudizio;
che, con atto depositato in data 20 luglio 2012, si è costituita nel presente giudizio di legittimità costituzionale l’Unione nazionale dei Giudici di Pace – Unagipa, la quale, riportandosi alle argomentazioni del rimettente, ha chiesto che la questione sia dichiarata fondata;
che, con atto depositato il 31 luglio 2012, è intervenuto nel presente giudizio di legittimità costituzionale il Consiglio Nazionale Forense, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata fondata;
che il Tribunale ordinario di Firenze, in composizione monocratica, con ordinanza dell’11 maggio 2012, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 77 Cost. , dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010 (r.o. n. 204 del 2012);
che il rimettente espone di essere chiamato a giudicare in una causa civile, promossa da F.C. contro F.L., F.A. e P.M., avente ad oggetto impugnazione di testamento e reintegra nella quota di riserva;
che, come il giudice a quo riferisce, le convenute, costituitesi tempestivamente, hanno eccepito l’omissione, da parte dell’attore, del tentativo obbligatorio di mediazione stabilito dall’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010;
che, in punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo deduce che la domanda in oggetto rientra nel disposto della norma indicata;
che non sussistono le condizioni per la disapplicazione della norma, ai sensi dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea;
che, invece, sussiste il contrasto di detta disposizione con gli artt. 76 e 77 Cost., avendo il legislatore previsto la mediazione come obbligatoria;
che, sotto tale profilo, il rimettente osserva che l’art. 60 della legge delega, alla lettera n), prevede, tra i principi e criteri direttivi, il dovere per l’avvocato di informare il cliente della possibilità della conciliazione, e da ciò si dovrebbe trarre la conseguenza che il legislatore non intendeva prevederla come obbligatoria;
che il giudice a quo ravvisa, altresì, violazione dell’art. 24 Cost., in relazione all’onerosità della stessa, poiché tale carattere – essendo la mediazione obbligatoria per la parte che voglia agire in giudizio – si porrebbe in contrasto con detto parametro costituzionale, prevedendo un esborso a carico di chi voglia intraprendere un giudizio, ulteriore rispetto al costo di questo;
che la norma, inoltre, violerebbe gli artt. 3 e 24 Cost. sotto il profilo della mancata previsione di criteri di competenza territoriale degli organismi di mediazione;
che, infatti, la disciplina in esame non conterrebbe alcun criterio per l’individuazione territoriale dell’organismo di mediazione, con la conseguenza che la parte sarebbe libera di scegliere l’organismo stesso e ciò, in considerazione della natura obbligatoria della mediazione, determinerebbe una lesione del principio di uguaglianza e del diritto di difesa, non potendosi considerare tutela sufficiente la possibilità che il giudice valuti “giustificato motivo” la mancata partecipazione ad una mediazione in località lontana o scomoda, essendo incerta una tale possibilità;
che, con atto depositato in data 30 ottobre 2012, è intervenuto nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto alla Corte di dichiarare la non fondatezza della questione;
che, in via preliminare, l’Avvocatura dà atto che le questioni in oggetto sono già state trattate dalla Corte costituzionale all’udienza del 23 ottobre 2012 e nella successiva camera di consiglio;
che, nel merito, la difesa statale ribadisce le argomentazioni già svolte in relazione alle questioni trattate alle predette udienza pubblica e camera di consiglio;
che il Tribunale ordinario di Latina, con le sei ordinanze di analogo tenore indicate in epigrafe (le prime tre in materia di locazione, la quarta in materia di contratti bancari, la quinta in materia di risarcimento danni da responsabilità medica, la sesta ancora in materia di locazione) ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 77 Cost., questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5, 8 e 13 del d.lgs. n. 28 del 2010 e dell’art. 16 del d.m. n.180 del 2010 (r.o. n. 210 del 2012, n. 211 del 2012, n. 212 del 2012, n. 213 del 2012, n. 214 del 2012 e n. 215 del 2012);
che, in particolare, il rimettente ha ritenuto rilevanti e non manifestamente infondate: a) in riferimento all’art. 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010 e 16 del d.m. n. 180 del 2010, nella parte in cui stabiliscono l’onerosità della mediazione obbligatoria; b) in riferimento agli artt. 3, 24, 76, 77 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 del d.lgs. n. 28 del 2010, nella parte in cui prevede che dalla mancata partecipazione, senza giustificato motivo, al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio, ai sensi dell’art. 116, comma 2, cod. proc. civ.; c) in riferimento agli artt. 3, 24, 76, 77 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 del d.lgs. n. 28 del 2010 che disciplina le spese di lite; d) in riferimento all’art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010 e 16 del d.m. n. 180 del 2010, nella parte in cui prevedono che soltanto il convenuto possa non aderire al procedimento di mediazione;
che nei sei giudizi di legittimità costituzionale, sopra indicati, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che le questioni siano dichiarate non fondate;
che il Tribunale ordinario di Tivoli, con le tre ordinanze di analogo tenore indicate in epigrafe (la prima, relativa ad un giudizio nel quale l’attore chiede una sentenza costitutiva di trasferimento in suo favore di un immobile, ai sensi dell’art. 2932 del codice civile; la seconda, concernente una domanda diretta a sentir dichiarare la cessazione degli effetti civili di un matrimonio, nonché lo scioglimento della comunione dell’immobile destinato a casa coniugale; la terza, inerente ad una causa promossa per accertare la responsabilità della convenuta per il mancato pagamento di una somma, in relazione alla vendita di un immobile, con conseguente declaratoria di risoluzione di una compravendita per colpevole inadempimento ed ulteriore condanna al risarcimento dei danni), ha sollevato, in riferimento agli artt. 11, 24, 111, 117 Cost., nonché degli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e degli artt. 47, 52 e 53 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, nella parte in cui viola il principio di non incertezza del diritto (“default de securitè juridique”), non prevedendo una formulazione della normativa che sia di comprensione univoca e chiara;
che, inoltre, in via subordinata, ha sollevato, in riferimento agli artt. 11, 24, 111 e 117 Cost. e agli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo ed in relazione agli articoli 47, 52 e 53 della Carta dei diritti Fondamentali dell’Unione europea, questione di legittimità costituzionale dell’art. 372, commi 2 e 3, cod. proc. civ. nella parte in cui «non consente ad ogni giudice di qualsiasi ordine e grado di richiedere una interpretazione pregiudiziale alle Sezioni unite della Corte di cassazione, analogamente a quanto previsto dall’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea in relazione alle pronunzie pregiudiziali della corte di giustizia europea in merito a dubbi interpretativi di norme comunitarie» (r.o. n. 265, n. 274 e n. 283 del 2012);
che il rimettente, in relazione alle controversie oggetto delle ordinanze r.o. n. 265 e 283 del 2012 e dell’ordinanza r.o. n. 274 del 2012, pone il problema della natura delle controversie stesse, al fine di stabilire se rientrino, rispettivamente, nella materia dei diritti reali e della divisione con conseguente applicazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010;
che, al riguardo, il giudice a quo osserva come la formula usata dal legislatore sia così ampia da non consentire una lettura univoca della disposizione, sicché qualsiasi interpretazione della stessa si tradurrebbe in una scelta arbitraria del giudice;
che, in particolare, il Tribunale sottolinea come, nell’ordinamento italiano, non sia consentito al giudicante rimettere la questione interpretativa alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, in funzione nomofilattica;
che, pertanto, il rimettente ritiene che l’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010 si ponga in contrasto con l’art. 24 Cost. e con l’art. 6 della CEDU, come interpretata dalla Corte di Strasburgo, «nella parte in cui non prevede una regola certa ed idonea ad evitare un vero e proprio «default de securitè juridique (mancanza di certezza del diritto) nei confronti delle parti del processo»;
che, in subordine, il giudice a quo solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 372, commi 2 e 3, cod. proc. civ. in relazione agli artt. 24, 111 Cost. e 6 della CEDU, come interpretata dalla stessa Corte di Strasburgo, nei termini sopra indicati;
che, in prossimità dell’udienza, il C.N.F. ha depositato, in relazione al giudizio di legittimità costituzionale originato dall’ordinanza r.o. n. 149 del 2012, una memoria nella quale ha insistito per l’ammissibilità del proprio intervento nel giudizio di legittimità costituzionale e per la fondatezza della questione in esame.
Considerato che le ordinanze di rimessione sollevano questioni identiche o tra loro connesse, onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica pronuncia;
che, nei giudizi di legittimità costituzionale promossi con le ordinanze r.o. n. 112 e n.149 del 2012, è intervenuto il Consiglio Nazionale Forense, chiedendo, in rito, che l’intervento sia dichiarato ammissibile e, nel merito, che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale delle norme censurate;
che detto intervento è inammissibile, in quanto il Consiglio Nazionale Forense non è stato parte nei giudizi a quibus;
che, per giurisprudenza di questa Corte, ormai costante, sono ammessi a intervenire nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale (oltre al Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso di legge regionale, al Presidente della Giunta regionale) le sole parti del giudizio principale, mentre l’intervento di soggetti estranei a questo è ammissibile soltanto per i terzi titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto ed immediato al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura (ex plurimis: ordinanza letta all’udienza del 23 marzo 2010, confermata con sentenza n. 138 del 2010; ordinanza letta all’udienza del 31 marzo 2009, confermata con sentenza n. 151 del 2009; sentenze n. 293 del 2011, n. 94 del 2009, n. 96 del 2008 e n. 245 del 2007);
che, nei giudizi da cui traggono origine le questioni di legittimità costituzionale in discussione, i rapporti sostanziali dedotti in causa concernono profili attinenti alla mediazione nel processo civile, che possono anche riguardare interessi professionali della classe forense, ma concernono più in generale le posizioni che le parti intendono azionare nel processo e non mettono in gioco le prerogative del Consiglio Nazionale Forense (ordinanza letta all’udienza del 23 ottobre, confermata con sentenza n. 272 del 2012);
che, sotto altro profilo, l’ammissibilità d’interventi ad opera di terzi, titolari di interessi soltanto analoghi a quelli dedotti nel giudizio principale, contrasterebbe con il carattere incidentale del giudizio di legittimità costituzionale, in quanto l’accesso delle parti al detto giudizio avverrebbe senza la previa verifica della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione da parte del giudice a quo;
che il Giudice di pace di Parma, con ordinanza del 24 novembre 2011 (r.o n.112 del 2012), ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24 e 77 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli articoli 5, primo, secondo e terzo periodo, e 16, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali);
che il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con ordinanza del 2 maggio 2012, ha sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 77 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’ art. 5, comma 1, primo, secondo e terzo periodo, e dell’art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010 (r.o. n. 149 del 2012);
che il Tribunale ordinario di Firenze, in composizione monocratica, con ordinanza dell’11 maggio 2012, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 77 Cost. , dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010 (r.o. n. 204 del 2012);
che, con sentenza n. 272 del 2012, successiva alla pronuncia delle indicate ordinanze di rimessione, questa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010;
che, per conseguenza, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010 è divenuta priva di oggetto e va, quindi, dichiarata manifestamente inammissibile nei diversi profili prospettati con le ordinanze di rimessione;
che, alla luce della detta dichiarazione di illegittimità costituzionale, deve ritenersi manifestamente inammissibile anche la questione sollevata in ordine all’art. 16 del d.lgs. n. 28 del 2010, perché le censure di illegittimità proposte in relazione ai requisiti di «serietà ed efficienza» degli organismi abilitati a gestire il procedimento di mediazione sono state formulate con riferimento all’istituto della mediazione costruito quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale e, quindi, con riguardo alla mediazione obbligatoria, sull’assunto della «necessità che l’interpretazione dell’art. 16 del d.lgs. 28/2010 […] sia correlata con quanto previsto dall’art. 5 dello stesso decreto […], il cui combinato disposto costituisce il vero perno della regolazione delegata» (ordinanza TAR Lazio, pag. 27);
che, pertanto, una volta dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010, sarebbe stata necessaria un’apposita motivazione, idonea a censurare l’art. 16 del detto d.lgs. anche in regime di mediazione facoltativa (motivazione che invece è mancata);
che il Tribunale ordinario di Latina, con le sei ordinanze di analogo tenore indicate in epigrafe (le prime tre in materia di locazione, la quarta in materia di contratti bancari, la quinta in materia di risarcimento danni da responsabilità medica, la sesta ancora in materia di locazione) ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 77 Cost., questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5, 8 e 13 del d.lgs. n. 28 del 2010 e dell’art. 16 del d.m. n.180 del 2010 (r.o n. 210 del 2012, n. 211 del 2012, n. 212 del 2012, n. 213 del 2012, n. 214 del 2012, n. 215 del 2012);
che, come innanzi rilevato, con sentenza n. 272 del 2012, successiva alla pronuncia delle indicate ordinanze di rimessione, questa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010, ed, in via consequenziale, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 5, e dell’art. 13 del d.lgs. n. 28 del 2010;
che, pertanto, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5, comma 1, 8, comma 5, e 13 del d.lgs. n. 28 del 2010 sono divenute prive di oggetto e vanno, dunque, dichiarate manifestamente inammissibili;
che la questione di legittimità costituzionale, concernente l’art. 16 del d.m. n. 180 del 2010, deve essere dichiarata del pari manifestamente inammissibile, in quanto si tratta di norma di natura regolamentare, non suscettibile, ai sensi dell’art. 134 Cost., di essere sottoposta a scrutinio di legittimità costituzionale, perché priva di forza di legge (ex multis: ordinanze n. 37 del 2007, n. 401 e n. 125 del 2006, e n. 389 del 2004) e, peraltro, collegata a norma dichiarata costituzionalmente illegittima (art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010);
che il Tribunale ordinario di Tivoli, con le tre ordinanze di analogo tenore indicate in epigrafe, ha sollevato, in riferimento agli artt. 11, 24, 111, 117 Cost., nonché degli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e degli artt. 47, 52 e 53 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, nella parte in cui viola “il principio di non incertezza del diritto” (“default de securitè juridique”), non prevedendo una formulazione della normativa che sia di comprensione univoca e chiara;
che, inoltre, in via subordinata, ha sollevato, in riferimento agli articoli 11, 24, 111 e 117 Cost. e agli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo, nonché in relazione agli artt. 47, 52 e 53 della Carta dei diritti Fondamentali dell’Unione europea, questione di legittimità costituzionale dell’art. 372, commi 2 e 3, del codice di procedura civile nella parte in cui «non consente ad ogni giudice di qualsiasi ordine e grado di richiedere una interpretazione pregiudiziale alle Sezioni unite della Corte di cassazione, analogamente a quanto previsto dall’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea in relazione alle pronunzie pregiudiziali della corte di giustizia europea in merito a dubbi interpretativi di norme comunitarie» (r.o. n. 265 del 2012, n. 274 del 2012, n. 283 del 2012);
che, in relazione alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, deve essere ribadita la pronunzia di manifesta inammissibilità della stessa, alla luce della sentenza n. 272 del 2012;
che la questione, sollevata in via subordinata, è manifestamente inammissibile per più motivi;
che, infatti, il rimettente ha erroneamente indicato la norma censurata, avendo richiamato l’art. 372 cod. proc. civ., rubricato «produzione di altri documenti», disposizione non avente alcuna attinenza con le doglianze formulate;
che, in ogni caso, il rimettente ha richiesto alla Corte un intervento additivo “creativo”, peraltro manipolativo di sistema, in assenza di una soluzione costituzionalmente obbligata, che eccede i poteri di intervento di questa Corte, implicando scelte affidate alla discrezionalità del legislatore (ex plurimis: ordinanze n. 255 e n. 252 del 2012, n. 243 e n. 182 del 2009).
Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara inammissibili gli interventi spiegati dal Consiglio Nazionale Forense nei giudizi di legittimità costituzionale promossi con le ordinanze r.o. n. 112 e n. 149 del 2012;
2) dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli articoli 5, comma 1, 8, comma 5, 13 e 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n.28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali), dell’art. 16 del decreto ministeriale 18 ottobre 2010, n. 180 (Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28) e dell’articolo 372, commi 2 e 3, del codice di procedura civile, questioni sollevate, in riferimento agli articoli 3, 11, 24, 76, 77 e 111 della Costituzione, in riferimento agli articoli 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848), nonché in riferimento agli articoli 47, 52 e 53 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 17 giugno 2013.
F.to:
Franco GALLO, Presidente
Alessandro CRISCUOLO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 21 giugno 2013.