Sentenza n. 293 del 2011

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SENTENZA N. 293

ANNO 2011

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alfonso                       QUARANTA                                   Presidente

-           Alfio                            FINOCCHIARO                               Giudice

-           Franco                         GALLO                                                    "

-           Luigi                            MAZZELLA                                            "

-           Gaetano                       SILVESTRI                                             "

-           Sabino                         CASSESE                                                "

-           Giuseppe                     TESAURO                                               "

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                       "

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                          "

-           Paolo                           GROSSI                                                   "

-           Giorgio                        LATTANZI                                              "

-           Aldo                            CAROSI                                                   "

-           Marta                           CARTABIA                                             "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 11, commi 13 e 14, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, promossi dal Tribunale di Reggio Emilia con ordinanza del 17 settembre 2010, dal Tribunale di Parma con due ordinanze del 30 ottobre 2010, dal Tribunale di Alessandria con ordinanza del 18 gennaio 2011, dal Tribunale di Tempio Pausania con ordinanza del 13 gennaio 2011 e dal Tribunale di Alessandria con ordinanza del 15 dicembre 2010, rispettivamente iscritte ai nn. 17, 57, 58, 88, 97 e 98 del registro ordinanze 2011 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 6, 15, 22 e 25, prima serie speciale, dell’anno 2011.

Visti gli atti di costituzione di C.T., di L.F., nonché gli atti di intervento dell’AMEV, Associazione Malati Emotrasfusi e Vaccinati, ed altri, del Coordinamento nazionale danneggiati da vaccino e del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 4 ottobre 2011 e nella camera di consiglio del 5 ottobre 2011 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;

uditi gli avvocati Vittorio Angiolini e Paola Soragni per C.T., Mario Melillo e Anton Giulio Lana per L.F. e l’avvocato dello Stato Marina Russo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. — Il Tribunale di Reggio Emilia, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 17 settembre 2010 (r. o. n. 17 del 2011) ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24, 25, primo comma, 32, 102, 104, 111 e 117 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 11, commi 13 e 14, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica) convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.

1.1. — Il giudice a quo premette che nel giudizio principale il ricorrente, quale beneficiario dell’indennizzo previsto dalla legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), avendo contratto epatite HCV a seguito di trasfusioni, ha chiesto l’accertamento del diritto a riscuotere la rivalutazione monetaria, sulla base del tasso di inflazione programmato, dell’indennità integrativa speciale di cui all’art. 2, comma 2, della medesima legge, costituente parte integrante dell’indennizzo in godimento.

Il rimettente pone in evidenza come la questione, concernente la rivalutazione della componente prevista dall’art. 2, comma 2, della legge n. 210 del 1992, sia stata oggetto in giurisprudenza di decisioni contrastanti. In particolare, con la sentenza del 28 luglio 2005, n. 15894, la Corte di cassazione, sezione lavoro, ha affermato la necessità della rivalutazione, secondo il tasso annuale di inflazione programmata, dell’indennizzo di cui alla legge n. 210 del 1992, anche con riferimento alla componente di cui al comma 2, dell’art. 2 della medesima legge, rilevando che una diversa interpretazione non sarebbe conforme ai principi costituzionali, in quanto la misura dell’indennizzo, se non rivalutata per intero nelle sue componenti, non sarebbe equa rispetto al danno subito, da rapportare al pregiudizio alla salute, tanto più che gli aumenti Istat dell’indennizzo – al netto dell’indennità integrativa speciale – sono modesti e l’indennità stessa è rimasta ferma a lire 1.991.765, pari a euro 1.028,66 (corrispondente al valore di due mensilità, in quanto l’indennizzo è corrisposto ogni due mesi). Diversamente, con la sentenza del 13 ottobre 2010 (recte: 2009) n. 21703, la Corte di cassazione, sezione lavoro, si è discostata dal precedente orientamento, ritenendo non rivalutabile la componente di cui all’art. 2, comma 2, della legge n. 210 del 1992.

Il rimettente sottolinea che, nonostante quest’ultima interpretazione, le Corti di merito continuano ad adeguarsi al precedente orientamento, riconoscendo la rivalutazione monetaria dell’intero indennizzo.

Il giudice a quo, dopo aver riportato il contenuto delle disposizioni censurate, la cui adozione sarebbe scaturita dalla riferita difformità interpretativa in ordine all’art. 2, comma 2, della legge n. 210 del 1992, pone in rilievo come, sulla base di tale intervento normativo, il ricorso introduttivo del giudizio principale sarebbe da rigettare. Da qui la rilevanza della questione di legittimità costituzionale.

Sotto il profilo della non manifesta infondatezza, il rimettente, nel condividere l’orientamento giurisprudenziale di cui alle sentenze della Corte di cassazione, sezione lavoro, del 28 luglio 2005, n. 15894 e del 27 agosto 2007, n. 18109, osserva che, ai sensi di quanto disposto dall’art. 2 della legge n. 210 del 1992, entrambe le componenti dell’indennizzo dovrebbero essere rivalutate annualmente secondo il tasso di inflazione programmato, in quanto: 1) l’indennizzo deve essere inteso nella sua globalità e, dunque, rivalutato in entrambe le sue parti; infatti, anche se la disposizione che prevede la rivalutazione automatica è collocata nel primo comma dell’art. 2, ove è prevista la corresponsione dell’assegno reversibile, è anche vero che la rivalutazione annuale è riferita all’indennizzo di cui all’art. 1, comma 1, ovvero al trattamento nella sua interezza, comprensivo anche della componente di cui al secondo comma; 2) l’indennità integrativa speciale portava con sé il meccanismo di adeguamento delle retribuzioni al costo della vita «nella sua originaria struttura», ma successivamente essa è stata snaturata con il cosiddetto «taglio della scala mobile», per cui non c’è ragione di non rivalutarne l’importo; 3) questa interpretazione sarebbe «costituzionalmente orientata», garantendo la tutela del diritto alla salute ai sensi dell’art. 32 Cost.

Pertanto, ad avviso del giudice a quo, la norma censurata, pur qualificandosi come di interpretazione autentica, in realtà introdurrebbe una vera e propria modifica legislativa con violazione dell’art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza e uguaglianza di trattamento, degli artt. 32 e 117 Cost., degli artt. 101, 102 e 104 Cost., interferendo con funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario, nonché dell’art. 24 Cost. creando un discrimine nella tutela giudiziaria riservata a tutti i cittadini. Sarebbero, poi, violati gli artt. 2, 14, 35 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848.

1.2. — In particolare, il citato art. 11, commi 13 e 14, violerebbe l’art. 3 Cost. sotto il profilo della illegittima disparità di trattamento tra coloro il cui indennizzo ai sensi della legge n. 210 del 1992 (avente finalità assistenziali e non risarcitorie), per effetto del d.l. n. 78 del 2010, non potrà essere rivalutato e coloro che percepiscono l’indennizzo rivalutato sulla base delle numerose sentenze conformi all’orientamento giurisprudenziale sopra riferito, nonché tra i titolari di indennizzo, ai sensi della legge n. 210 del 1992, non rivalutato e gli altri titolari di prestazioni pensionistiche e assistenziali, in particolar modo i vaccinati (art. 1 , comma 4, della legge del 29 ottobre 2005, n. 229, recante «Disposizioni in materia di indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie») e i soggetti affetti da sindrome da talidomide (art.1, comma 4, del decreto ministeriale del 2 ottobre 2009, n. 163 recante «Regolamento di esecuzione dell'articolo 2, comma 363, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, che riconosce un indennizzo ai soggetti affetti da sindrome da talidomide, determinata dalla somministrazione dell’omonimo farmaco»), per i quali l’indennizzo è integralmente rivalutato ex lege.

Le disposizioni censurate si porrebbero, altresì, in contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost. per violazione delle norme convenzionali di cui agli artt. 2 e 14 della CEDU, (recte: Carta UE). In particolare, l’art. 2 della CEDU tutela il diritto alla vita e l’art. 14 di essa pone il divieto di ogni discriminazione. Secondo l’interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, una distinzione sarebbe «discriminatoria», ai sensi della norma suddetta, se manca di una giustificazione obiettiva e ragionevole e «se essa non persegua uno scopo legittimo o se non c’è un rapporto di ragionevole proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo che si è prefissata» (CEDU, sentenza 1° dicembre 2009, in causa G.N. e altri contro Italia). Ad avviso del rimettente, sarebbe palesemente irragionevole e illegittima la discriminazione tra coloro che hanno già ottenuto la rivalutazione dell’indennizzo ai sensi della legge n. 210 del 1992 e coloro che sono ancora in attesa del riconoscimento e tra questi ultimi e gli altri titolari di indennizzo, in particolar modo i vaccinati e gli affetti da sindrome da talidomide.

1.3. — Il rimettente ritiene che l’art. 11, commi 13 e 14, del d.l. n. 78 del 2010 violi anche il diritto alla salute sancito dall’art. 32 Cost., in quanto la misura dell’indennizzo, ritenuta non rivalutabile per intero nelle sue componenti, non sarebbe equa rispetto al danno subito da rapportare al pregiudizio alla salute, tanto più che gli aumenti Istat dell’indennizzo (al netto dell’indennità integrativa speciale) dal 1992 in poi sarebbero stati modesti e l’indennità nel periodo in questione sarebbe stata ferma ad euro 1.028,66 (bimestrali).

Il giudice a quo pone in evidenza, al riguardo, che l’indennizzo ex lege n. 210 del 1992 è composto da due parti: l’indennizzo «in senso stretto», di cui al comma 1, dell’art. 2, soggetto a rivalutazione (e costituente solo il 5 per cento dell’intero indennizzo) e la somma corrispondente all’indennità integrativa speciale di cui al comma 2, del medesimo articolo, non rivalutata (costituente il 95 per cento circa dell’indennizzo totale). La rivalutazione di una quota minima dell’indennizzo avrebbe comportato una progressiva e ingiustificata perdita di valore delle somme originariamente stabilite a titolo di indennizzo a favore del soggetto danneggiato irreversibilmente da HIV, epatite post-trasfusionale e da vaccinazione.

In particolare, il rimettente precisa che la tabella utilizzata dal Ministero della salute prevede la rivalutazione del solo «indennizzo in senso stretto di cui alla tab. B» (art. 2, comma 1, della legge n. 210 del 1992) per cui, dal 1992 al 2009, l’indennizzo mensile è aumentato soltanto di otto euro (dagli originari 542,20 euro a 550,20 euro), in quanto l’importo originariamente previsto a titolo di indennità integrativa speciale è rimasto fisso ad euro 1.028,66 bimestrali, con una perdita di circa 150 euro mensili a causa della intercorsa svalutazione monetaria.

Il giudice a quo sottolinea che, proprio al fine di preservare nel tempo l’originario importo stabilito dal legislatore del 1992, la legge del 25 luglio 1997, n. 238 (Modifiche ed integrazioni alla legge 25 febbraio 1992, n. 210, in materia di indennizzi ai soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni ed emoderivati) e già prima il decreto-legge del 23 ottobre 1996, n. 548 (Interventi per le aree depresse e protette, per manifestazioni sportive internazionali, nonché modifiche alla legge 25 febbraio 1992, n. 210), hanno introdotto il meccanismo della rivalutazione annuale dell’indennizzo secondo il T.I.P. (tasso di inflazione annualmente programmato). La rivalutazione dell’indennizzo nella sua globalità doveva assicurare la non alterazione del valore originariamente fissato ex lege, trattandosi di indennizzo vitalizio con finalità assistenziali e non risarcitorie.

Pertanto, ad avviso del giudice a quo, le disposizioni censurate violano l’art. 32 Cost. in quanto cristallizzano l’importo dell’indennizzo ai valori del 1992, determinandone una progressiva erosione a causa della svalutazione monetaria e non garantendo un indennizzo equo e ragionevole.

Per le medesime ragioni le disposizioni in oggetto si porrebbero in contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost. per violazione dell’art. 35 della CEDU (recte: della Carta UE), che tutela la salute come «bene primario» cui garantire «un elevato livello di protezione» nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche e le attività dell’Unione.

1.4 — Il citato art. 11, commi 13 e 14, violerebbe anche gli artt. 24, 25, primo comma, 102, 104 e 111 Cost.

Ad avviso del rimettente, stante l’ingerenza, attraverso le disposizioni censurate, del potere legislativo su quello giudiziario, sarebbero lese l’indipendenza e l’autonomia della funzione giudiziaria, con conseguente violazione degli artt. 102, 104, 111 Cost., nonché il principio del giudice naturale precostituito per legge, con violazione dell’art. 25, primo comma, Cost. e, infine, il diritto del cittadino ad un giusto processo, tutelato dall’art. 111 Cost. e dagli artt. 6 CEDU e 47 Carta UE.

Inoltre, le disposizioni in esame si porrebbero in contrasto anche con gli artt. 3 e 24 Cost., in quanto sarebbe vanificato il diritto del cittadino alla tutela giurisdizionale. In particolare, il citato articolo 11, commi 13 e 14, nel fare salve le pronunce giurisdizionali passate in giudicato alla data di entrata in vigore della norma, crea una disparità ingiustificata di trattamento tra coloro che hanno già adito l’autorità giudiziaria, percorrendo tutti i gradi di giudizio e ottenendo una pronuncia favorevole alla rivalutazione, e coloro che sono ancora sub iudice o che non hanno ancora adito l’autorità giurisdizionale ovvero che hanno ottenuto sentenze favorevoli non passate in giudicato.

Ulteriore argomento a sostegno di tale censura è quello per cui il ius superveniens comporterebbe di fatto una estinzione dei processi in corso (con compensazione delle spese o, peggio, la condanna del ricorrente) e dunque una sostanziale vanificazione della «via giurisdizionale quale mezzo per attuare un diritto preesistente», con violazione del diritto di azione di cui all’art. 24 Cost.

Il contrasto si porrebbe non solo con riguardo agli artt. 3 e 24 Cost., ma anche agli artt. 102 e 113 (recte: 111) Cost., in quanto l’estinzione automatica di tutti i giudizi pendenti – con compensazione delle spese o addirittura con la condanna del ricorrente, in quanto ex lege si è avuta una negazione del diritto di quest’ultimo, con soccombenza virtuale dell’assistito – comporterebbe una illegittima interferenza del potere legislativo nella sfera della giurisdizione.

2. — Con memoria depositata in data 18 febbraio 2011 si è costituito in giudizio T.C., chiedendo l’accoglimento della sollevata questione di legittimità costituzionale.

La parte privata, nel condividere le argomentazioni sottese alla ordinanza di rimessione, si sofferma sull’inquadramento della fattispecie, anche alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale. Al riguardo, pone in evidenza come al diritto dell’individuo a misure di sostengo assistenziale, ai sensi degli artt. 2 e 38 Cost., si contrapponga il diritto dell’individuo ad un equo indennizzo, discendente dagli artt. 2 e 32 Cost., nell’ipotesi di danno irreversibile, non derivante da fatto illecito, che sia stato subito in conseguenza dell’adempimento di un obbligo legale (sentenza n. 118 del 1996).

In particolare, il diritto costituzionale all’indennizzo, il quale trova fondamento negli artt. 2 e 32 Cost., è quello connesso ai danni non «tollerabili», in quanto eccedenti «la temporaneità e scarsa entità» (sentenza n. 307 del 1990), che l’individuo riporti a seguito di trattamenti sanitari obbligatori ovvero di trattamenti promossi dalla pubblica autorità nell’ambito di un programma di politica sanitaria, per un interesse della collettività (sentenza n. 27 del 1998). In tal caso, i soggetti pubblici si assumono il rischio del danno al diritto fondamentale della salute dell’individuo, che risulta leso per effetto di trattamenti sanitari leciti (obbligatori o promossi dalla pubblica autorità per interesse della collettività). Con particolare riguardo al diritto all’indennizzo dovuto a coloro che presentino danni irreversibili da epatiti post-trasfusionali (HCV), lo stesso non risulterebbe direttamente assimilabile ad un "diritto costituzionale” scaturente dagli artt. 2 e 32 Cost., ma sarebbe riportabile ad una scelta discrezionale del legislatore, soggetta al controllo della Corte sotto il profilo del rispetto della parità di trattamento e del nucleo minimo di garanzia (sentenza n. 226 del 2000), nonché sotto il profilo della ragionevolezza (sentenza n. 432 del 2005) ovvero della "ragionevole” modulazione della disciplina rispetto agli scopi perseguiti.

In merito la Corte costituzionale, dopo avere individuato la ratio dell’indennizzo per danno da emotrasfusione nella «insufficienza dei controlli sanitari fino ad allora predisposti», con assunzione da parte del soggetto pubblico del rischio del danno irreversibile al «diritto fondamentale dell’individuo», ha esteso la applicabilità della norma di cui all’art. 1 della legge n. 210 del 1992, anche agli operatori sanitari che, in occasione del servizio e durante il medesimo, abbiano riportato danni permanenti alla integrità psico-fisica, a seguito di contatto con sangue e suoi derivati provenienti da soggetti affetti da epatiti (sentenza n. 476 del 2002) e ai soggetti che presentino danni irreversibili derivanti da epatite contratta a seguito di somministrazione di derivati del sangue (sentenza n. 28 del 2009).

Si tratterebbe, dunque, di una ratio e di un fondamento paralleli, e non coincidenti, con quelli dell’indennizzo dovuto nel caso di "obbligo legale” di trattamento sanitario o in situazioni equiparate. La parte privata sottolinea come anche l’indennizzo per il danno da epatite (HVC) da emotrasfusione sia indissolubilmente connesso alla tutela della salute ex art. 32 Cost. e, sia pure per la scelta discrezionale del legislatore su come attuare la tutela sanitaria medesima, trovi in essa specifico fondamento.

Si evidenzia, altresì, come la previsione dell’indennizzo ai soggetti che presentino danni irreversibili derivanti da epatite da emotrasfusione rappresenti il corollario logico e ragionevole di un assetto normativo – legge del 21 ottobre 2005, n. 219 (Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati); legge del 4 maggio 1990, n. 107 (Disciplina per le attività trasfusionali relative al sangue umano ed ai suoi componenti e per la produzione di plasma derivati); decreto-legge del 30 ottobre 1987, n. 443 (Disposizioni urgenti in materia sanitaria), convertito dalla legge del 29 dicembre 1987, n. 531; legge del 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale); decreto del Presidente della Repubblica del 24 agosto 1971, n. 1256 (Regolamento per l'esecuzione della L. 14 luglio 1967, n. 592, concernente la raccolta, conservazione e distribuzione del sangue umano); legge del 14 luglio 1967, n. 592 (Raccolta, conservazione e distribuzione del sangue umano) – congegnato con controlli sull’attività emotrasfusionale e sull’uso di sostanze ematiche o emoderivati a scopo terapeutico, con conseguente assunzione in capo al soggetto pubblico, che quei controlli è tenuto a far funzionare, del rischio del danno intollerabile al «diritto fondamentale dell’individuo».

Che la ratio dell’indennizzo del danno da emotrasfusione sia da rinvenire nel malfunzionamento delle terapie e nella insufficienza dei controlli sulle stesse esercitate, si evincerebbe anche avuto riguardo ai requisiti richiesti dall’art. 1, comma 3, della legge n. 210 del 1992, individuati nella irreversibilità del danno e nel necessario nesso causale tra l’uso terapeutico delle sostanze ematiche e il danno stesso (l’epatite deve essere post-trasfusionale).

Il principio del libero consenso ai trattamenti sanitari comporterebbe anche che esso si formi correttamente e sia pertanto "informato” (art. 3 della legge n. 219 del 2005), per cui i soggetti che abbiano riportato danni irreversibili, derivanti da epatite da emotrasfusione, devono essere indennizzati in quanto il consenso che hanno dato al trattamento si è retto sulla premessa ingannevole che il rischio da "malattie trasmissibili” sarebbe stato scongiurato da "sufficienti controlli” pubblici. A tale indennizzo, sotto il profilo della ratio e del fondamento, sarebbe assimilabile quello dei soggetti affetti da sindrome da talidomide (art. 2, comma 363, della legge 27 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), che ha esteso l’applicazione della legge n. 229 del 2005), determinata dalla somministrazione dell’omonimo farmaco, in quanto, anche in tal caso, l’indennizzo troverebbe fondamento nell’erroneo affidamento ingenerato, in ordine alla scelta di assunzione del farmaco, da controlli pubblici rivelatisi, a posteriori, insufficienti a prevenire il rischio farmacologico cui erano destinati.

Quanto alle singole censure, la parte privata osserva, in primo luogo, che è ingiustificata la disparità di trattamento (assunta violazione degli artt. 2, 3, 32, 38 Cost., nonché degli artt. 2 e 14 della CEDU in relazione all’art. 117, primo comma, Cost.) tra i titolari di indennizzo per danni da emotrasfusione (o somministrazione di derivati del sangue), per i quali è esclusa la integrale rivalutazione secondo il tasso di inflazione, e i vaccinati e/o i soggetti affetti da sindrome da talidomide, per i quali l’indennizzo è rivalutato integralmente ex lege. In particolare, la irragionevolezza della discriminazione emergerebbe con riguardo alla diversa disciplina dell’indennizzo concernente la sindrome da talidomide, che presenta ratio e fondamento omologhi a quelli dell’indennizzo per danno da emotrasfusione.

In ordine alla censura concernente la incidenza delle disposizioni censurate sulla misura dell’indennizzo per danno da emotrasfusione, in termini di equità (assunta violazione degli artt. 32 Cost. e 35 della Carta UE in relazione all’art. 117, primo comma, Cost.), la parte privata ritiene che la esclusione della rivalutazione di una componente dell’indennizzo (ossia della somma corrispondente all’importo dell’indennità integrativa speciale) verrebbe a contraddire irragionevolmente la finalità e i presupposti legislativamente assegnati all’indennizzo stesso, in quanto non garantirebbe l’adeguamento nel tempo di quest’ultimo, ancorché ritenuto equo in partenza. Invero, l’indennizzo, nella sua interezza, sarebbe suscettibile di rivalutazione annuale secondo il tasso di inflazione programmato, ai sensi dell’art. 2, comma 1, della legge n. 210 del 1992, e nessun riflesso avrebbe comportato il cosiddetto «blocco della scala mobile», relativo alla indennità integrativa speciale, in quanto il riferimento ad essa, ai sensi dell’art. 2, comma 2, della medesima legge, varrebbe soltanto come criterio per stabilire la somma destinata ad integrare l’indennizzo.

Infine, riguardo alla assunta indebita interferenza dell’attività legislativa con quella giurisdizionale, la parte privata osserva, in particolare, che l’art. 11, comma 14, del d.l. n. 78 del 2010, lungi dal concretare una norma "interpretativa”, detterebbe una disciplina transitoria che scinde l’applicazione della disposizione censurata da quella che essa dovrebbe interpretare e che dovrebbe continuare ad essere applicata nel significato reso chiaro dalla norma "interpretativa”.

3. — Con atto depositato in data 22 febbraio 2011, è intervenuto il Presidente del Consiglio del ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata.

3.1. — In primo luogo, la difesa erariale eccepisce il carattere generico della motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza con riferimento all’art. 2 Cost. (recte: della CEDU), agli artt. 25, primo comma, 102, 104, 111 Cost. e agli artt. 6 della CEDU e 47 della Carta UE.

3.2. — Nel merito, ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la questione non sarebbe fondata.

In particolare, in ordine alla dedotta violazione degli artt. 3 Cost. e 14 CEDU, in combinato disposto con l’art. 117, primo comma, Cost., sotto il profilo del principio di uguaglianza e del divieto di discriminazione, la difesa dello Stato osserva che la norma interpretativa censurata – lungi dal creare una disparità di trattamento tra i titolari di indennizzo ex lege n. 210 del 1992, destinati, per effetto del d.l. n. 78 del 2010, a percepire il beneficio senza la rivalutazione della componente commisurata all’indennità integrativa speciale, e i titolari del medesimo indennizzo, che lo percepiscano maggiorato della rivalutazione della componente commisurata all’indennità integrativa speciale per effetto di sentenze passate in giudicato – costituirebbe  veicolo di perequazione del trattamento di tali due categorie. Infatti, dopo l’entrata in vigore dell’art. 11, commi 13 e 14, del d.l. n. 78 del 2010, l’incremento periodico dell’indennità integrativa speciale non troverebbe più titolo né nell’art. 2, comma 2, della legge n. 210 del 1992, per come interpretato autenticamente, né nei giudicati i cui effetti sono fatti salvi solo per i periodi da essi definiti, né, infine, nei provvedimenti amministrativi la cui efficacia è cessata a decorrere dall’entrata il vigore del d.l. n. 78 del 2010.

Il comma 14 dell’art. 11 del d.l. n. 78 del 2010 farebbe, infatti, salva la già intervenuta corresponsione dell’adeguamento dell’indennità integrativa speciale per il periodo coperto dalla sentenza, nel rispetto del principio dell’intangibilità del giudicato, disponendo, al tempo stesso, per il futuro la perdita di efficacia dei provvedimenti amministrativi che dispongano l’adeguamento della detta indennità.

La difesa dello Stato precisa al riguardo che, stante il consolidamento dell’orientamento giurisprudenziale nel senso della spettanza della rivalutazione della indennità in questione (Cassazione, sezione lavoro, sentenze del 27 agosto 2007, n. 18109 e del 28 luglio 2005, n. 15894), il Ministero della salute, con una direttiva dell’8 aprile 2008, aveva stabilito che, nel dare attuazione ai titoli esecutivi che riconoscessero il diritto alla rivalutazione di essa, si dovesse estendere la corresponsione dell’adeguamento, non solo al periodo coperto dal titolo esecutivo, ma anche al futuro.

Ad avviso della Presidenza del Consiglio dei ministri, l’art. 11, comma 14, dispone la cessazione dell’efficacia proprio di quei provvedimenti adottati in esecuzione della direttiva ministeriale dell’8 aprile 2008, fermi restando gli effetti da essi prodotti fino alla data di entrata in vigore del d.l. n. 78 del 2010 e gli effetti esplicati da sentenze passate in giudicato per i periodi da esse definiti. Ne conseguirebbe che i titolari di indennizzo che hanno ottenuto in passato giudicati favorevoli – i cui effetti sono salvi solo per i periodi da essi definiti – e che abbiano continuato a percepire l’indennizzo comprensivo della rivalutazione dell’indennità per effetto di provvedimenti adottati in base alla direttiva ministeriale 8 aprile 2008, dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 78 del 2010 riceveranno l’indennizzo ricalcolato alla luce del significato dell’art. 2, comma 2, della legge n. 210 del 1992, come esplicitato dalla legge di interpretazione. L’indennizzo effettivamente corrisposto dovrà essere quindi quantificato per tutti gli aventi diritto senza l’adeguamento dell’indennità integrativa speciale, tornando all’importo originario erogato ai titolari dell’indennizzo che non abbiano mai ottenuto un titolo esecutivo che riconoscesse loro il diritto alla rivalutazione della componente commisurata a detta indennità.

Con riguardo all’ulteriore profilo in cui si manifesterebbe la dedotta violazione del principio di eguaglianza, ovvero la pretesa disparità di trattamento tra i titolari dell’indennizzo ex lege n. 210 del 1992 non rivalutato e gli altri titolari di prestazioni pensionistiche e assistenziali, in particolar modo i vaccinati (art. 1, comma 4, della legge n. 229 del 2005) ed i soggetti affetti da sindrome da talidomide (art. 1, comma 4, del d.m. n. 163 del 2009, attuativo dell’art. 2, comma 363, della legge n. 244 del 2007), per i quali l’indennizzo è integralmente rivalutato ex lege, la difesa erariale osserva che si tratterebbe di categorie non equiparabili tra loro, in quanto il diverso beneficio indennitario nascerebbe differenziato ab origine, essendo il rispettivo ammontare comunque diverso, a prescindere dalla rivalutabilità o meno della componente commisurata all’indennità integrativa speciale inclusa nella base di calcolo. In particolare, i soggetti danneggiati da vaccino ex art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992 e i soggetti affetti da «sindrome da talidomide» avrebbero diritto, in ogni caso, ad un importo maggiore rispetto ai soggetti elencati nei commi 2 e seguenti dell’art. 1 della legge n. 210 del 1992, ovvero ad un importo che per i "talidomidici” è multiplo dell’indennizzo-base di cui all’art. 2 della legge n. 210 del 1992 e per i vaccinati si aggiunge a quest’ultimo. La previsione di una differente quantificazione dell’indennizzo per le diverse categorie di aventi diritto allo stesso beneficio rientrerebbe nella discrezionalità del legislatore, avuto riguardo alla diversa fattispecie genetica del danno, al diverso grado di partecipazione dello Stato nella sua causazione e alla diversa percezione, in termini di solidarietà sociale, dell’esigenza di "socializzare”, attraverso lo strumento indennitario, il pregiudizio alla salute prodottosi. Peraltro, ad avviso della difesa erariale, qualora si dovesse riconoscere la rivalutazione della componente commisurata all’indennità in questione dell’indennizzo, la diversa entità dei benefici indennitari denunciata dal rimettente resterebbe ferma, atteso che l’indennità integrativa speciale inclusa nel calcolo dell’indennizzo spettante ai vaccinati e ai "talidomidici” subirebbe, in tal modo, una doppia rivalutazione, essendo l’indennizzo spettante a queste categorie comunque interamente rivalutato ex lege.

3.3. — Quanto alla assunta violazione degli artt. 32 Cost. e 35 della CEDU (recte Carta UE), per insufficienza dell’indennizzo, quantificato secondo quanto disposto dalla norma interpretativa, rispetto al diritto alla salute (sentenze n. 307 del 1990 e n. 118 del 1996), la difesa dello Stato osserva che la stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 27 del 1998 (nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 , comma 2, della legge n. 210 del 1992, nella parte in cui non prevede gli interessi legali e la rivalutazione monetaria dell’assegno una tantum ivi previsto in favore del danneggiato da vaccinazione) ha affermato che rientra nella discrezionalità del legislatore operare le valutazioni nella predisposizione dei mezzi necessari a fare fronte agli obblighi dello Stato in materia di diritti sociali, mentre compete alla Corte garantire la misura minima essenziale di protezione dei diritti, potendo valutare l’equità dell’indennizzo nel senso di verificare se esso risulti o meno «tanto esiguo da vanificare, riducendolo ad un nome privo di concreto contenuto, il diritto all’indennizzo stesso, diritto che, da un punto di vista costituzionale, è stabilito nell’an ma non nel quantum ».

Se, dunque, la Corte costituzionale ha ritenuto che la mancata previsione del diritto agli interessi e alla rivalutazione sull’assegno una tantum non ne comporti l’iniquità, ciò, ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, dovrebbe valere anche nel caso della mancata previsione della rivalutazione automatica di una sola componente dell’indennizzo, stante l’identità di scopo dell’assegno una tantum e dell’indennizzo stesso, finalizzati a compensare, rispettivamente per il passato e il futuro, il danno alla salute provocato da trattamenti sanitari leciti.

3.4. — Infine, quanto alla censura inerente agli artt. 3, 24, 102, 104 e 113 (recte: 111) Cost., per cui, con l’entrata in vigore dell’art. 11 del d.l. n. 78 del 2010, si determinerebbe una «estinzione di fatto» di tutti i giudizi pendenti, aventi ad oggetto la spettanza della rivalutazione della componente dell’indennizzo ex lege n. 210 del 1992 commisurata all’indennità integrativa speciale, con sostanziale vanificazione del diritto alla tutela giurisdizionale, la difesa dello Stato osserva che la stessa Corte costituzionale ha affermato la legittimità delle norme interpretative retroattive che si limitino ad esplicitare uno dei possibili significati della norma interpretata (sentenze n. 135 e n. 274 del 2006). Di fronte a situazioni di incertezza interpretativa di una norma, come nel caso di specie, la sopravvenienza in corso di causa di una legge, che tra i vari significati possibili individua quello corretto, non impedisce al giudice di pronunciarsi nel merito, sia pure attenendosi al significato che il legislatore ha indicato come corretto in sede di interpretazione autentica, né gli preclude di statuire sulle spese, ripartendole in base alle norme vigenti (rientrando, peraltro, nella normale alea giudiziale la prevalenza di un’interpretazione favorevole o sfavorevole alla tesi prospettata da colui che agisce).

4. — Con atto depositato in data 22 febbraio 2011, sono intervenuti nel giudizio di legittimità costituzionale la AMEV, Associazione Malati Emotrasfusi e Vaccinati, in persona del presidente pro-tempore, nonché numerosi associati indicati nell’atto di intervento stesso, svolgendo una serie di argomentazioni a sostegno della sospettata illegittimità costituzionale dell’art. 11, commi 13 e 14, del d.l. n. 78 del 2010.

4.1. ― In data 31 maggio 2011 la parte privata e il Presidente del Consiglio dei ministri hanno depositato memorie illustrative.

5. ― Il Tribunale di Parma, in funzione di giudice del lavoro, con due ordinanze del 30 ottobre 2010 (r. o. nn. 57 e 58 del 2011), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, primo comma, 32, 102, 104, 111 e 117 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’ art. 11, commi 13 e 14, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, nella n. 122 del 2010.

5.1. — In entrambe le ordinanze, il rimettente, premette che, nei rispettivi giudizi principali, i ricorrenti, quali beneficiari dell’indennizzo previsto dalla legge n. 210 del 1992, avendo contratto epatite HCV a seguito di trasfusioni, hanno chiesto l’accertamento del diritto a percepire la rivalutazione monetaria dell’indennità integrativa speciale di cui all’art. 2, comma 2, della medesima legge, costituente parte integrante dell’indennizzo in godimento, sulla base del tasso di inflazione programmato.

5.2. — Sotto il profilo della rilevanza, il giudice a quo osserva che, sulla base delle disposizioni censurate, i ricorsi introduttivi dei rispettivi giudizi principali  dovrebbero essere rigettati.

5.3. — Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente svolge le medesime argomentazioni di cui alla ordinanza del Tribunale di Reggio-Emilia del 17 settembre 2010 (r. o. n. 17 del 2011).

6. — Con atti depositati in data 21 aprile 2011 (r. o. n. 57 del 2011 e n. 58 del 2011), è intervenuto il Presidente del Consiglio del ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata, sulla base delle medesime argomentazioni di cui all’atto di intervento nel giudizio r. o. n. 17 del 2011.

7. — Nel giudizio r. o. n. 57 del 2011, con atto depositato in data 20 aprile 2011, sono intervenuti nel giudizio di legittimità costituzionale la AMEV, Associazione Malati Emotrasfusi e Vaccinati, in persona del presidente pro-tempore, nonché la sua associata sig.ra M.G.L., svolgendo una serie di argomentazioni a sostegno della sospettata illegittimità costituzionale dell’art. 11, commi 13 e 14, del d.l. n. 78 del 2010.

7.1. — La AMEV e la parte privata M.G.L. premettono di avere un interesse diretto alla dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma censurata. In particolare, la associata sig.ra M.G.L. sottolinea di essere costituita in altro giudizio dinanzi al Tribunale di Oristano, sezione previdenza, che ritenendo la decisione della controversia dipendente dall’esito del giudizio di costituzionalità sull’art. 11, commi 13 e 14, del d.l. n. 78 del 2010, convertito in legge n. 12 del 2010, ha sospeso il detto procedimento, in attesa della decisione della Corte costituzionale.

7.2. — Nel detto atto di intervento sono svolte le medesime argomentazioni di cui all’atto di intervento della AMEV nel giudizio r. o. n.17 del 2011.

8. — In data 27 luglio 2011, nei giudizi r. o. n. 57 e n. 58 del 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memorie illustrative, con le quali, nel riportarsi a quanto già dedotto con i rispettivi atti di intervento, chiede dichiararsi  inammissibile, e comunque non fondata, la questione di legittimità costituzionale. Nella memoria depositata nel giudizio r. o. n. 57 del 2011, la difesa dello Stato eccepisce, preliminarmente, la inammissibilità degli interventi della sig.ra L. M. G. e della AMEV.

9. —  Il Tribunale di Tempio Pausania, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 13 gennaio 2011 (r. o. n. 97 del 2011) ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 32 Cost. questioni di legittimità costituzionale dell’art. 11, commi 13 e 14, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.

9.1. — Il rimettente premette che nel giudizio principale il ricorrente, quale beneficiario dell’indennizzo previsto dalla legge n. 210 del 1992, avendo contratto epatite HCV a seguito di trasfusioni, ha chiesto l’accertamento del diritto a percepire la rivalutazione monetaria  sulla indennità integrativa speciale di cui all’art. 2, comma 2, della medesima legge, costituente parte integrante dell’indennizzo in godimento, sulla base del tasso di inflazione programmato.

Il giudice a quo pone in evidenza come la questione della rivalutazione della componente, di cui all’art. 2, comma 2, della legge n. 210 del 1992, sia stata oggetto in giurisprudenza di decisioni contrastanti, rilevando, tuttavia, che le Corti di merito continuano ad adeguarsi al precedente orientamento, riconoscendo la rivalutazione monetaria dell’intero indennizzo.

Il giudice a quo, dopo aver riportato il contenuto delle disposizioni censurate, la cui adozione sarebbe scaturita dalla riferita difformità interpretativa in ordine all’art. 2, comma 2, della legge n. 210 del 1992, pone in rilievo come, sulla base di tale intervento normativo, il ricorso del giudizio principale sarebbe da rigettare. Da qui la rilevanza della questione di legittimità costituzionale.

Sotto il profilo della non manifesta infondatezza, ad avviso del giudice a quo, la norma censurata, pur qualificandosi come di interpretazione autentica, in realtà introdurrebbe una vera e propria modifica legislativa con violazione dell’art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza e uguaglianza di trattamento, dell’art. 32 Cost. nonché degli artt. 14 e 25 della CEDU.

9.2. — In particolare, il citato art. 11, commi 13 e 14, violerebbe l’art. 3 Cost. e l’art. 14 CEDU, determinando una illegittima disparità di trattamento tra coloro il cui indennizzo ex lege n. 210 del 1992 (avente finalità assistenziali e non risarcitorie), per effetto del d.l. n. 78 del 2010, non potrà essere rivalutato e coloro che percepiscono l’indennizzo rivalutato sulla base delle numerose sentenze conformi all’orientamento giurisprudenziale sopra riferito, nonché tra i titolari di indennizzo ex lege n.210 del 1992 non rivalutato e gli altri titolari di prestazioni pensionistiche e assistenziali, in particolar modo i vaccinati (art.1, comma 4, della legge n. 229 del 2005) e i soggetti affetti da sindrome da talidomide (art.1, comma 4, del d. m. n. 163 del 2009), per i quali l’indennizzo è integralmente rivalutato ex lege.

9.3. — Il rimettente ritiene che l’art. 11, commi 13 e 14, del d.l. n. 78 del 2010 violi anche il diritto alla salute sancito dall’art. 32 Cost. e dall’art. 25 della CEDU, in quanto la misura dell’indennizzo, ritenuta non rivalutabile per intero nelle sue componenti, non sarebbe equa rispetto al danno subito da rapportare al pregiudizio alla salute, tanto più che gli aumenti Istat dell’indennizzo (al netto dell’indennità integrativa speciale) dal 1992 in poi sarebbero stati modesti e l’indennità stessa, nel periodo in questione, sarebbe stata ferma ad euro 1.028,66 (bimestrali).

Il giudice a quo  sottolinea, al riguardo, che l’indennizzo ex lege n. 210 del 1992 è composto da due parti: l’indennizzo «in senso stretto», di cui al primo comma dell’art. 2, soggetto a rivalutazione (e costituente solo il 5 per cento dell’intero indennizzo) e la somma corrispondente all’indennità integrativa speciale di cui al secondo comma del medesimo articolo, non rivalutata (costituente il 95 per cento circa dell’indennizzo totale). La rivalutazione di una quota minima dell’indennizzo avrebbe comportato una progressiva e ingiustificata perdita di valore delle somme originariamente stabilite a titolo di indennizzo a favore del soggetto danneggiato irreversibilmente da HIV, epatite post-trasfusionale e da vaccinazione.

Pertanto, ad avviso del giudice a quo, le disposizioni censurate violano l’art. 32 Cost. in quanto cristallizzano l’importo dell’indennizzo ai valori del 1992, determinandone una progressiva erosione a causa della svalutazione monetaria e non garantendo un indennizzo equo e ragionevole.

10. — Con memoria depositata in data 1° giugno 2011 si è costituita la parte privata F.L., chiedendo preliminarmente che sia disposta la riunione del giudizio r. o. n. 97 del 2011 a quelli r. o. n. 17, 57, 58, 88 del 2011, e, nel merito, che sia dichiarata la illegittimità costituzionale della norma censurata per violazione degli artt. 3, 32, 38, 101, 102, 104, Cost. nonché 117, primo comma, Cost. in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 14 CEDU, letto congiuntamente agli artt. 2 e 8 CEDU e all’art. 1 del Protocollo n. 1.

10.1. — La parte privata F.L., nel dedurre la violazione degli artt. 101, 102, 104 Cost., ricorda la giurisprudenza della Corte costituzionale in merito ai limiti delle norme (retroattive) di interpretazione autentica. Ad avviso della parte privata, il censurato comma 14, nel disporre «la cessazione, dalla data di entrata in vigore del decreto, della efficacia dei provvedimenti emanati al fine di rivalutare la somma di cui al comma 13 in forza di un titolo esecutivo», esplicherebbe effetti sul giudicato. Infatti, diversi ricorrenti ai quali era stato riconosciuto un determinato indennizzo si vedrebbero sottrarre una notevole quota di quanto assegnato loro in precedenza.

La parte privata richiama, in merito, alcune pronunce di illegittimità costituzionale di norme comportanti la decurtazione dei trattamenti pensionistici, in quanto lesive di altri e preminenti beni della vita dei soggetti beneficiari (sentenze n. 566 del 1989; n. 204 del 1992; n. 822 del 1988).

La medesima parte richiama anche pronunce della Corte costituzionale in tema di tutela dell’affidamento del privato cittadino nella sicurezza giuridica, la cui lesione è tanto più grave quando colpisca soggetti a reddito non elevato, i quali abbiano destinato i trattamenti previdenziali al soddisfacimento dei bisogni alimentari propri e della famiglia (sentenze n. 282 del 2005, n. 397 del 1994; n. 39 del 1993).

10.2. — La parte privata deduce, altresì, la violazione dell’art. 32 Cost. letto insieme con l’art. 2 Cost.

Essa ricorda che la Corte di cassazione, sezione lavoro del 28 luglio 2005, n. 15894, nell’affermare la rivalutabilità della indennità integrativa speciale, ha richiamato le pronunce della Corte costituzionale n. 307 del 1990 e n. 118 del 1996, con le quali si era evidenziata la necessità di garantire un equo ristoro a coloro che avessero contratto infezioni a seguito di vaccinazioni obbligatorie.

E, ancora, la parte privata richiama le sentenze della Corte costituzionale n. 88 del 1979 e n. 184 del 1986, a sostengo di un completo ristoro nel caso di lesione di diritti tutelati dalla Costituzione (il diritto alla salute ex art. 32 Cost. sarebbe l’unico espressamente dichiarato «fondamentale» dalla Costituzione stessa).

10.3. — F.L. assume anche il contrasto delle disposizioni censurate con l’art. 117, primo comma, Cost. stante la violazione dell’art. 6, paragrafo 1, CEDU in tema di diritto all’equo processo (obbligo imposto anche dall’art. 47 della Carta UE).

La CEDU ha affermato che, sebbene non sia precluso al legislatore in materia civile di adottare nuove disposizioni retroattive per regolare diritti derivanti da una legge esistente, il principio dello stato di diritto e la nozione di giusto processo di cui all’art. 6 CEDU impediscono qualsiasi ingerenza del legislatore – salvo che per impellenti motivi di interesse generale – nell’amministrazione della giustizia volta ad influenzare la decisione giudiziaria di una singola controversia (tra le tante, CEDU, Grande Camera, 29 marzo 2006, Scordino contro Italia).

Ad avviso della parte privata, nel caso di specie, lo Stato parte in causa ha assunto il ruolo di Stato legislatore, al fine di emanare una norma che nega al ricorrente il riconoscimento del proprio diritto alla rivalutazione e che, nell’interpretazione denegata, verrebbe ad incidere sull’esito di un giudizio in corso assegnando un indebito vantaggio all’amministrazione convenuta e cancellando gli effetti di una precedente sentenza favorevole.

Detti principi sono stati ribaditi dalla CEDU nella sentenza 21 giugno 2007, Scanner e altri contro Francia, secondo cui si verifica un’ingerenza nei diritti processuali qualora una legge sia stata introdotta dopo l’inizio del processo avviato dal privato contro lo Stato, (…) senza fare salvi i processi pendenti prima della sua entrata in vigore, nonché nella sentenza 11 febbraio 2010, Javague contro Francia, in base alla quale lo Stato aveva compromesso i diritti dei ricorrenti garantiti dall’art. 6, intervenendo in maniera decisiva per orientare in suo favore l’esito imminente della procedura di cui era parte.

La parte privata ricorda come la CEDU – nelle citate sentenze – abbia affermato che «i motivi imperativi di interesse generale» che potrebbero giustificare l’applicazione delle norme retroattive con incidenza sui giudizi pendenti, non si possono ravvisare nelle mere esigenze finanziarie connesse al rischio derivante dalla soccombenza nei giudizi avviati dallo Stato amministrazione.

Si richiama anche la sentenza della Corte costituzionale n. 311 del 2009, nella quale si è riconosciuta la potenziale incompatibilità con il principio del giusto processo di interventi legislativi sopravvenuti che modifichino retroattivamente in senso sfavorevole per gli interessati le disposizioni di legge attributive di diritti, la cui lesione abbia dato luogo ad azioni giudiziarie ancora pendenti all’epoca della modifica.

Alla luce della giurisprudenza della CEDU e costituzionale richiamata appare evidente, ad avviso della parte privata, che la norma di interpretazione autentica censurata abbia lo scopo di interferire indebitamente sulle iniziative giudiziarie già promosse nei confronti dello Stato al fine di tutelarne gli interessi finanziari in assenza di motivi imperiosi di carattere generale, con violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. per il tramite dell’art. 6 CEDU.

10.4. — La parte privata deduce anche la violazione dell’art. 3 Cost. e dell’art. 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 14 CEDU, letto congiuntamente agli artt. 2 (diritto alla vita) e 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) CEDU e all’art. 1 del Protocollo n. 1 (diritto al rispetto dei beni), e in relazione all’art. 21 della Carta UE.

Infatti, ad avviso della parte privata, le disposizioni censurate determinano una disparità di trattamento irragionevole tra vaccinati obbligatori (per i quali l’art. 1, comma 4, della legge n. 229 del 2005 ha sancito la rivalutabilità annuale dell’intero importo dell’indennizzo) e affetti da sindrome da talidomide (con decreto ministeriale del 2 ottobre 2009, n. 163 il legislatore ha ribadito il principio della integrale rivalutazione annuale dell’indennizzo), da un lato, e soggetti emotrasfusi, dall’altro.

L’esistenza di una «differenza di trattamento» presuppone l’analogia o compatibilità delle situazioni che vengono in rilievo (in tal senso, CEDU 18 febbraio 1999, Larkos contro Cipro; 27 marzo 1998, Petrovic contro Austria; 18 febbraio 1991, Fredin contro Svezia) e, per non incorrere nella violazione dell’art. 14 CEDU, si deve fondare su di una giustificazione oggettiva e ragionevole (CEDU 23 luglio 1968, Affare linguistico belga).

La parte privata richiama, al riguardo, una recente sentenza che ha riconosciuto la violazione dell’art. 14 CEDU, letto congiuntamente all’art. 2, in relazione al diverso trattamento riservato a soggetti talassemici contagiati da emoderivati infetti rispetto a quello riservato a soggetti emofiliaci infettati allo stesso modo (sentenza 30 aprile 2009, Glor contro Svizzera; nel senso del divieto di discriminazione fondata sulle caratteristiche genetiche e sulla disabilità anche CEDU 1° dicembre 2009, G. N. e altri contro Italia).

11. — Con atto depositato in data 20 giugno 2011, è intervenuto il Presidente del Consiglio del ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata. La difesa erariale riporta sostanzialmente, in riferimento ai parametri costituzionali evocati (art. 3 e 32 Cost.), le medesime  argomentazioni di cui agli atti di intervento negli altri giudizi di cui sopra, precisando, nel caso di specie, la erroneità della indicazione dell’art. 25 CEDU, in quanto trattasi di norma non vertente in materia di diritto alla salute.

12. — Con atto depositato in data 27 giugno 2011 è intervenuto il Coordinamento nazionale danneggiati da vaccino, in persona del Presidente pro-tempore, chiedendo che sia dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni censurate per contrasto con gli artt. 2, 3, 24, 25, 32, 38, 77, 101, 104, 111 e 117 Cost., nonché con gli artt. 2, 14, 35 della CEDU, e per l’effetto, che sia dichiarata  la illegittimità costituzionale dell’art. 11, commi 13 e 14, d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122

13. — In data 27 luglio 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria illustrativa, con la quale, nel riportarsi a quanto già dedotto con l’atto di intervento, chiede dichiararsi la inammissibilità dell’intervento del Coordinamento nazionale danneggiati da vaccino nonché infondata la questione di legittimità costituzionale.

14. — Il Tribunale di Alessandria, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 15 dicembre 2010 (r. o. n. 98 del 2011) ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38, primo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 13, d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010

14.1. — Il rimettente premette che, nel giudizio principale, il ricorrente, quale beneficiario dal maggio del 2001, dell’indennizzo previsto dalla legge n. 210 del 1992, ha chiesto l’accertamento del diritto a ricevere la rivalutazione monetaria dell’indennità integrativa speciale di cui all’art. 2, comma 2, della medesima legge.

Il giudice a quo sottolinea che la giurisprudenza, a partire da Cassazione, sentenza n. 15894 del 2005, ha sempre interpretato la disposizione, di cui all’art. 2 della legge n. 210 del 1992, nel senso della rivalutabilità della componente di cui al comma 2 dell’art. 2 della legge n. 210 del 1992. Tale principio è stato seguito anche dalla giurisprudenza di merito prevalente.

Con la sentenza 13 ottobre 2009, n. 21703, confermata dalla sentenza 19 ottobre 2009, n. 22212, la Corte di cassazione si è discostata da tale orientamento statuendo che la rivalutazione non è dovuta sulla integrazione. I giudici di merito, nonostante ciò, continuano ad adeguarsi al precedente orientamento, riconoscendo la rivalutazione monetaria dell’intero indennizzo.  

Il giudice a quo, dopo aver riportato il contenuto delle disposizioni censurate, la cui adozione sarebbe scaturita  dalla riferita difformità interpretativa in ordine all’art. 2, comma 2, della legge n. 2010 del 1992, pone in rilievo come, sulla base di tale intervento normativo, il ricorso del giudizio principale sarebbe da rigettare. Da qui la rilevanza della questione di legittimità costituzionale.

14.2. — Sotto il profilo della non manifesta infondatezza, ad avviso del giudice a quo, la norma censurata, che avrebbe effettivamente natura interpretativa e non innovativa, contrasterebbe con gli artt. 3 e 38, primo comma, Cost.

Il rimettente osserva che gli indennizzi ai soggetti affetti da epatite post-trasfusionale hanno natura assistenziale e non di «equo ristoro» della salute lesa (sentenza della Corte costituzionale n. 342 del 2006). Ricorda che, in ordine a tali misure di sostegno, la giurisprudenza costituzionale ha anche affermato che «il diritto a misure di sostegno assistenziale in caso di malattia, alla stregua dell’art. 38 Cost., non è indipendente dal necessario intervento del legislatore nell’esercizio dei suoi poteri di apprezzamento della qualità, della misura e delle modalità di erogazione delle provvidenze da adottarsi, nonché della loro gradualità, in relazione a tutti gli elementi di natura costituzionale in gioco, compresi quelli finanziari, la cui ponderazione rientra nell’ambito della sua discrezionalità». È stato, inoltre, sottolineato che non mancano «alla Corte gli strumenti di controllo delle scelte del legislatore sotto il profilo specialmente del rispetto della parità di trattamento e del nucleo minimo della garanzia, ma tali strumenti non le consentono di sostituire alle necessarie valutazioni politiche del legislatore una propria decisione che, in mancanza di criteri giuridico-costituzionali predeterminati, si risolverebbe in un’esorbitanza in un campo che non le è proprio e nel quale trovano applicazione gli strumenti ordinari dell’assistenza sociale anche in relazione alle menomazioni alla salute di cui è questione» (sentenza n. 226 del 2000).

Il rimettente richiama, altresì, la giurisprudenza della Corte costituzionale secondo cui ai crediti per le prestazioni assistenziali previste dal primo comma dell’art. 38 Cost. deve essere concessa la medesima tutela attribuita ai crediti previdenziali contro i danni da ritardo dell’adempimento (art. 429, terzo comma, del codice di procedura civile). In particolare, le prestazioni assistenziali di cui al primo comma dell’art. 38 Cost. hanno lo scopo di garantire ai cittadini inabili e bisognosi «il minimo esistenziale, i mezzi necessari per vivere», mentre il secondo comma dello stesso articolo garantisce non soltanto la soddisfazione dei bisogni alimentari di pura sussistenza materiale, bensì anche il soddisfacimento di ulteriori esigenze relative al tenore di vita dei lavoratori (sentenza n. 196 del 1993).

Pertanto, ad avviso del rimettente, se la esclusione di un meccanismo di difesa dai mutamenti del potere di acquisto incidesse negativamente sulla adeguatezza delle prestazioni previdenziali (sulla perequazione dei trattamenti pensionistici sono richiamate le sentenze n. 316 del 2010; n. 372 del 1998; n. 31 del 1986; n. 349 del 1985), tale conclusione dovrebbe valere anche per le prestazioni assistenziali, stante il principio di «maggiore meritevolezza» di cui alla sentenza n. 196 del 1993.

La previsione della mancata rivalutazione della somma corrispondente all’importo della indennità integrativa speciale non assicura, stante la svalutazione monetaria, la conservazione del potere di acquisto dell’importo ritenuto in origine adeguato. Da qui il dubbio di incostituzionalità della disposizione censurata in riferimento agli artt. 3 e 38 primo comma, Cost., sotto il profilo della ragionevolezza e della adeguatezza delle prestazioni assistenziali.

Quanto all’evocato art. 3 Cost., come parametro di ragionevolezza, il rimettente osserva che la Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza n. 21703 del 2009, ha identificato la ratio della integrazione dell’indennizzo di cui all’art. 2, comma 1, della legge n. 210 del 1992 con una somma corrispondente alla indennità integrativa speciale nella necessità di impedire o attenuare gli effetti della svalutazione monetaria. La disposizione censurata, nell’escludere la rivalutazione della detta componente dell’indennizzo, appare irragionevole in quanto contraria alla funzione di essa.

15. — Con atto depositato in data 20 giugno 2011 è intervenuto il Presidente del Consiglio del ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

In particolare, la difesa erariale nega che dalla finalità essenzialmente solidaristica e assistenziale dell’indennizzo, nel caso di danni determinati da emotrasfusione, si possa fare discendere un necessario adeguamento di tutte le sue componenti, compresa quella commisurata all’indennità integrativa speciale, pena la violazione del contenuto economico del diritto e la conseguente violazione dell’art. 38 Cost.

In primo luogo, ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, dall’eccezione di illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 38 Cost., resterebbero irragionevolmente fuori i casi dei soggetti aventi diritto all’indennizzo in quanto danneggiati da vaccinazione obbligatoria, per i quali il fondamento del beneficio risiede negli artt. 2 e 32 Cost.

Inoltre, il fatto che l’istituto assistenziale prescinda completamente dalle condizioni reddittuali dell’avente diritto comporta che il riferimento all’art. 38 Cost. vada letto in senso ampio, senza necessariamente desumerne la necessità di un adeguamento al costo della vita di tutte le componenti dell’indennizzo.

Infine, se la Corte costituzionale, nella sentenza n. 27 del 1998, ha ritenuto che la mancata previsione del diritto agli interessi e alla rivalutazione sull’assegno una tantum non ne comporti l’iniquità nel senso di renderlo talmente esiguo da ridurlo ad un «nome privo di concreto contenuto», ciò, ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, dovrebbe a maggior ragione valere anche nel caso della mancata previsione della rivalutazione di una sola componente dell’indennizzo, stante l’identità di scopo dell’assegno una tantum e dell’indennizzo stesso, entrambi finalizzati a compensare – rispettivamente per il passato e per il futuro – il danno alla salute provocato da trattamenti sanitari leciti. Nel caso di specie, peraltro, un adeguamento di valore dell’indennizzo nel corso del tempo sarebbe comunque assicurato dal meccanismo della rivalutazione annuale riguardante la sola componente "assegno”.

16. — Con atto depositato in data 27 giugno 2011 è intervenuto il Coordinamento nazionale danneggiati da vaccino, in persona del Presidente pro-tempore, chiedendo che sia dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni censurate per contrasto con gli artt. 2, 3, 24, 25, 32, 38, 77, 101, 104, 111 e 117 Cost., nonché con gli artt. 2, 14, 35 della CEDU, e per l’effetto, la illegittimità costituzionale dell’art. 11, commi 13 e 14, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni,dalla legge n. 122 del 2010.

17. — Il Tribunale di Alessandria, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 18 gennaio 2011 (r o. n. 88 del 2011) ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38, primo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 13, d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, nella legge n. 122 del 2010.

17.1. — Il rimettente premette che, nel giudizio principale, il ricorrente, quale beneficiario dal maggio del 2001 dell’indennizzo previsto dalla legge n. 210 del 1992, ha chiesto l’accertamento del diritto a percepire la rivalutazione monetaria dell’indennità integrativa speciale di cui all’art. 2, comma 2, della medesima legge.

Il giudice a quo, a sostegno della detta questione, svolge le medesime argomentazioni di cui alla ordinanza del 15 dicembre 2010 (r. o. n. 98 del 2011).

18. — Con atto depositato in data 14 giugno 2011, è intervenuto il Presidente del Consiglio del ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata sulla base delle medesime argomentazioni di cui all’atto di intervento nel giudizio r. o. n. 98 del 2011.

Considerato in diritto

1. — I Tribunali di Reggio Emilia, Parma, Tempio Pausania e Alessandria, tutti in funzione di giudici del lavoro, con le sei ordinanze indicate in epigrafe hanno nel complesso sollevato – in riferimento agli articoli 3, 24, 25 comma primo, 32, 38, 102, 104, 111, 117, primo comma, della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale degli articoli 11, commi 13 e 14, decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122.

2. — I rimettenti premettono che, nei giudizi principali, le parti ricorrenti, quali beneficiarie dell’indennizzo previsto dalla legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), come modificata dalla legge 25 luglio 1997, n. 238 (Modifiche e integrazioni alla legge 25 febbraio 1992, n. 210, in materia di indennizzi ai soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni ed emoderivati), avendo contratto epatite HCV a seguito di trasfusioni, hanno chiesto l’accertamento del diritto a riscuotere la rivalutazione monetaria, sulla base del tasso d’inflazione programmato, della somma corrispondente all’importo dell’indennità integrativa speciale di cui all’art. 2, comma 2, della medesima legge, costituente parte integrante dell’indennizzo in godimento.

Dopo aver dato atto dei contrasti emersi sul punto nella giurisprudenza di legittimità, i giudici a quibus considerano non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale della normativa censurata (ovvero l’art. 11, commi 13 e 14, comma, quest’ultimo, censurato da tutti i giudici a quibus, salvo il Tribunale di Alessandria, del d.l. n. 78 del 2010), convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge n. 122 del 2010, ritenendo che essa violi:

(r. o. nn. 17, 57, 58 del 2011):

a) l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza e dell’uguaglianza, per l’illegittima disparità di trattamento tra coloro il cui indennizzo, per effetto del d.l. n. 78 del 2010, non potrà essere rivalutato e coloro che riscuotono l’indennizzo rivalutato sulla base delle sentenze che hanno riconosciuto il relativo diritto, nonché tra i titolari di indennizzo non rivalutato e gli altri titolari di prestazioni pensionistiche e assistenziali, in particolar modo i vaccinati e le persone affette da sindrome da talidomide, per i quali l’indennizzo è integralmente rivalutato ex lege;

b) l’art. 117, primo comma, Cost., stante la violazione delle norme convenzionali di cui all’art. 2 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in avanti, CEDU), ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848, norma che tutela il diritto alla vita, nonché di cui all’art. 14 della medesima CEDU che sancisce il divieto di discriminazione, in quanto, tenuto conto della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sul concetto di distinzione discriminatoria – da ritenere tale se manca di una giustificazione obiettiva e ragionevole e, cioè, se la distinzione non persegua uno scopo legittimo o se non c’è un rapporto di ragionevole proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo prefissato – sarebbe palesemente irragionevole ed illegittima la discriminazione tra coloro che hanno già ottenuto la rivalutazione dell’indennizzo di cui alla legge n. 210 del 1992 e coloro che sono ancora in attesa del riconoscimento, e tra questi ultimi e gli altri titolari di indennizzo, in particolar modo i vaccinati e gli affetti da sindrome da talidomide;

c) l’art. 32 Cost., che tutela il diritto alla salute, nonché l’art. 117, primo comma, Cost., stante la violazione dell’art. 35 CEDU (recte: della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea), che tutela la salute quale bene primario cui dover garantire «un livello elevato di protezione» nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche e attività dell’Unione, in quanto la misura dell’indennizzo, ritenuta non rivalutabile per intero nelle sue componenti, non sarebbe equa rispetto al danno subìto, da riferire al pregiudizio alla salute, avuto riguardo alla progressiva elusione a causa della svalutazione monetaria;

d) gli artt. 25, primo comma, 101, 102, 104, 111 Cost., in quanto, per l’ingerenza attraverso le disposizioni censurate del potere legislativo su quello giudiziario, sarebbero lesi l’indipendenza e l’autonomia della funzione giudiziaria, il principio del giudice naturale precostituito per legge e il diritto del cittadino ad un giusto processo;

e) l’art. 24 Cost., perché le disposizioni censurate, nel fare salve le pronunzie giurisdizionali passate in giudicato alla data di entrata in vigore della norma, creerebbero una ingiustificata disparità di trattamento tra coloro che hanno già ottenuto una decisione favorevole alla rivalutazione e coloro che sono ancora sub iudice o che non hanno ancora adito l’autorità giudiziaria ovvero che hanno ottenuto sentenze favorevoli non passate in giudicato, onde sarebbe vanificato il diritto del cittadino alla tutela giurisdizionale. Inoltre, il ius superveniens comporterebbe, di fatto, una estinzione dei processi in corso e, dunque, una sostanziale vanificazione della via giurisdizionale quale mezzo per attuare un diritto preesistente, con violazione del diritto di azione;

f) gli artt. 102 e 113 (recte: 111) Cost., in quanto l’estinzione automatica di tutti i giudizi pendenti comporterebbe una illegittima interferenza del potere legislativo nella sfera della giurisdizione.

Sarebbero altresì violati:

(r. o. n. 97 del 2011):

g) l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza e dell’uguaglianza, per la illegittima disparità di trattamento tra coloro il cui indennizzo ai sensi della legge n. 210 del 1992, per effetto del d.l. n. 78 del 2010, non potrà essere rivalutato e coloro che riscuotono l’indennizzo rivalutato sulla base delle sentenze conformi all’orientamento giurisprudenziale favorevole alla rivalutazione, nonché tra i titolari del detto indennizzo non rivalutato e gli altri titolari di prestazioni pensionistiche o assistenziali, in particolare i vaccinati e le persone affette da sindrome da talidomide, per i quali l’indennizzo è integralmente rivalutato ex lege;

h) l’art. 32 Cost., in quanto la misura dell’indennizzo, ritenuta non rivalutabile per l’intero nelle sue componenti, non sarebbe equa rispetto al danno subìto da riferire al pregiudizio alla salute, avuto riguardo alla progressiva erosione conseguente alla svalutazione monetaria.

Infine, risulterebbero violati

(r. o. nn. 88 e 98 del 2011):

i) l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, perché la disciplina censurata, nel prevedere la non rivalutabilità della somma corrispondente all’importo dell’indennità integrativa speciale di cui all’art. 2, comma 2, della legge n. 210 del 1992, sarebbe irragionevole siccome contraria alla funzione stessa di detta indennità, identificata dalla Corte di cassazione (sentenza n. 21703 del 2009) nella necessità d’impedire o attenuare gli effetti della svalutazione monetaria;

l) l’art. 38, primo comma, Cost., sotto il profilo della adeguatezza delle prestazioni assistenziali, in quanto, premesso che l’indennizzo corrisposto ai soggetti affetti da epatite o HIV post-trasfusionale concreta una misura di sostegno economico fondata sulla solidarietà collettiva a fronte di eventi generanti una situazione di bisogno, la previsione della mancata rivalutazione della somma corrispondente all’importo dell’indennità integrativa speciale non assicura, stante la svalutazione monetaria, la conservazione del potere di acquisto della somma ritenuta in origine adeguata.

3. — Le sei ordinanze indicate in epigrafe censurano la medesima normativa (art. 11, commi 13 e 14, d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 122 del 2010), con argomentazioni identiche o analoghe. Pertanto, i relativi giudizi di legittimità costituzionale devono essere riuniti, per essere definiti con unica decisione.

4. — Gli interventi, di cui in narrativa, spiegati da AMEV (Associazione Malati Emotrasfusi e Vaccinati), in persona del presidente pro-tempore, dai numerosi associati aderenti a tale sodalizio, indicati nell’atto d’intervento depositato il 22 febbraio 2011, da L. M. G. e dal Coordinamento Nazionale Danneggiati da Vaccino, in persona del legale rappresentante p. t., sono inammissibili.

Invero, premesso che i suddetti intervenienti non risultano essere parti nei giudizi a quibus, per costante giurisprudenza di questa Corte sono ammessi ad intervenire nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale (oltre al Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso di legge regionale, al Presidente della Giunta regionale), le sole parti del giudizio principale. L’intervento di soggetti estranei a questo è ammissibile soltanto per i terzi titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura (ex plurimis: ordinanza letta all’udienza del 23 marzo 2010, confermata con sentenza n. 138 del 2010; ordinanza letta all’udienza del 31 marzo 2009, confermata con sentenza n. 151 del 2009; sentenze n. 94 del 2009, n. 96 del 2008, n. 245 del 2007).

Del resto, l’ammissibilità dell’intervento ad opera di un terzo, titolare di un interesse soltanto analogo a quello dedotto nel giudizio principale, contrasterebbe con il carattere incidentale del giudizio di legittimità costituzionale, in quanto l’accesso delle parti al detto giudizio avverrebbe senza previa verifica della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione da parte del giudice a quo.

Da quanto esposto consegue l’inammissibilità degli interventi sopra indicati.

5. — La questione è fondata, con riferimento ai profili di seguito indicati.

La legge n. 210 del 1992, modificata dalla legge n. 238 del 1997, stabilisce che «Chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psicofisica, ha diritto ad un indennizzo da parte dello Stato, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla presente legge» (art. 1, comma 1). Il medesimo art. 1, comma 3, dispone che «I benefici di cui alla presente legge spettano altresì a coloro che presentino danni irreversibili da epatiti post-trasfusionali».

L’art. 2, comma 1, della citata legge n. 210 del 1992 (e successive modificazioni) aggiunge che l’indennizzo de quo «consiste in un assegno, reversibile per quindici anni, determinato nella misura di cui alla tabella B allegata alla legge 29 aprile 1976, n. 177, come modificata dall’articolo 8 della legge 2 maggio 1984, n. 111. L’indennizzo è cumulabile con ogni altro emolumento a qualsiasi titolo percepito ed è rivalutato annualmente sulla base del tasso d’inflazione programmato».

L’art. 2, comma 2 (primo periodo), della medesima legge prevede che l’indennizzo in questione sia integrato da una somma corrispondente all’importo dell’indennità integrativa speciale, di cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324 (Miglioramenti economici al personale statale in attività ed in quiescenza), e successive modificazioni, contemplata per la prima qualifica funzionale degli impiegati civili dello Stato.

La rivalutazione su base annua, secondo il tasso d’inflazione programmato, dell’assegno disciplinato dall’art. 2, comma 1, della legge n. 210 del 1992 non era prevista dal testo iniziale di detta disposizione. Essa fu introdotta con l’art. 1, comma 1, della legge n. 238 del 1997. Nulla, invece, fu disposto al riguardo per la seconda componente dell’indennizzo, cioè per la somma corrispondente all’importo dell’indennità integrativa speciale, ancorché questa avesse per l’appunto funzione integrativa dell’indennizzo medesimo.

Sulla possibilità di rivalutare o meno la detta somma la giurisprudenza di legittimità si è espressa in modo contrastante (in senso favorevole alla rivalutazione, Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze del 27 agosto 2007, n. 18109 e del 28 luglio 2005, n. 15894, secondo cui l’importo bimestrale corrisposto agli aventi diritto all’indennizzo deve essere rivalutato secondo il tasso d’inflazione annualmente programmato, sia con riferimento all’assegno di cui all’art. 2, comma 1, della legge n. 210 del 1992, sia con riferimento alla somma prevista dall’art. 2, comma 2, della medesima legge; in senso contrario, Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza del 19 ottobre 2009, n. 22112 e 13 ottobre 2009, n. 21703, secondo le quali la possibilità di rivalutare la somma de qua sarebbe esclusa sia dal dato testuale, sia dal rilievo che l’indennità integrativa speciale avrebbe proprio la funzione di attenuare o impedire gli effetti della svalutazione monetaria, onde sarebbe ragionevole che ne sia esclusa la rivalutabilità).

La giurisprudenza di merito ha in prevalenza seguito il primo orientamento.

In questo quadro, è intervenuta la normativa censurata, recata dall’art. 11, commi 13 e 14, del d. l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010.

In particolare, il citato art. 11, comma 13, ha disposto che «Il comma 2 dell’articolo 2 della legge 25 febbraio 1992, n. 210 e successive modificazioni si interpreta nel senso che la somma corrispondente all’importo dell’indennità integrativa speciale non è rivalutata secondo il tasso d’inflazione». Il successivo comma 14 ha stabilito che «Fermo restando gli effetti esplicati da sentenze passate in giudicato, per i periodi da esse definiti, a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto cessa l’efficacia di provvedimenti emanati al fine di rivalutare la somma di cui al comma 13, in forza di un titolo esecutivo. Sono fatti salvi gli effetti prodottisi fino alla data di entrata in vigore del presente decreto».

5.1. — Tale disciplina non è conforme al parametro dettato dall’art. 3, primo comma, Cost., in quanto risulta in violazione del principio di uguaglianza.

Va premesso che, come questa Corte ha già chiarito, la menomazione della salute conseguente a trattamenti sanitari può determinare, oltre al risarcimento del danno in base alla previsione dell’art. 2043 del codice civile, il diritto ad un equo indennizzo, in forza dell’art. 32 in collegamento con l’art. 2 Cost., qualora il danno, non derivante da fatto illecito, sia conseguenza dell’adempimento di un obbligo legale, come la sottoposizione a vaccinazioni obbligatorie (fattispecie alla quale è stato assimilato il caso in cui il danno sia derivato da un trattamento sanitario che, pur non essendo giuridicamente obbligatorio, sia tuttavia, in base ad una legge, promosso dalla pubblica autorità in vista della sua diffusione capillare nella società: sentenza n. 27 del 1998); nonché il diritto, qualora ne sussistano i presupposti a norma degli artt. 2 e 38, secondo comma, Cost., a misure di sostegno assistenziale disposte dal legislatore nell’ambito della propria discrezionalità (sentenze n. 342 del 2006, n. 226 del 2000 e n. 118 del 1996).

La situazione giuridica di coloro che, a seguito di trasfusione, siano affetti da epatite è riconducibile all’ultima delle ipotesi ora indicate. E il legislatore, nell’esercizio dei suoi poteri discrezionali, è intervenuto con la legge n. 210 del 1992, prevedendo (tra l’altro) un indennizzo consistente in una misura di sostegno economico, fondato sulla solidarietà collettiva garantita ai cittadini, alla stregua dei citati artt. 2 e 38 Cost., a fronte di eventi generanti una situazione di bisogno (sentenza n. 342 del 2006, punto 3 del Considerato in diritto), misura che trova fondamento nella insufficienza dei controlli sanitari predisposti nel settore (sentenza n. 28 del 2009).

Le scelte del legislatore, nell’esercizio dei suoi poteri di apprezzamento della qualità, della misura, della gradualità e dei modi di erogazione delle provvidenze da adottare, rientrano nella sfera della sua discrezionalità. Tuttavia, compete a questa Corte verificare che esse non siano affette da palese arbitrarietà o irrazionalità, ovvero non comportino una lesione della parità di trattamento o del nucleo minimo della garanzia (sentenze n. 342 del 2006 e n. 226 del 2000).

Ciò posto, si deve rilevare che con l’art. 2, comma 363, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), è stato disposto che «L’indennizzo di cui all’articolo 1 della legge 29 ottobre 2005, n. 229, è riconosciuto, altresì, ai soggetti affetti da sindrome da talidomide, determinata dalla somministrazione dell’omonimo farmaco, nelle forme dell’amelia, dell’emimelia, della focomelia e della macromelia».

L’art. 1 della legge 29 ottobre 2005, n. 229 (Disposizioni in materia di indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie) rinvia, a sua volta, ai soggetti di cui all’art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992 e disciplina l’ulteriore indennizzo ai medesimi spettante, determinandone importo e modalità di erogazione (comma 1). Il comma 4 della norma statuisce che «L’intero importo dell’indennizzo, stabilito ai sensi del presente articolo, è rivalutato annualmente in base alla variazione degli indici ISTAT». Per il richiamo effettuato dalla legge n. 24 del 2007 all’intero art. 1 della legge n. 229 del 2005 anche quest’ultima disposizione si applica all’indennizzo riconosciuto ai soggetti affetti da sindrome da talidomide. Del resto, il regolamento di esecuzione dell’art. 2, comma 363, della legge n. 244 del 2007, recato dal decreto ministeriale del 2 ottobre 2009, n. 163 (Regolamento di esecuzione dell'articolo 2, comma 363, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, che riconosce un indennizzo ai soggetti affetti da sindrome da talidomide, determinata dalla somministrazione dell'omonimo farmaco), ribadisce nell’art. 1, comma 4, che l’importo dell’indennizzo suddetto «è interamente rivalutato annualmente in base alla variazione degli indici ISTAT».

Orbene, come già chiarito da questa Corte, non è ravvisabile irrazionale disparità di trattamento dei soggetti danneggiati in modo irreversibile da emotrasfusioni rispetto a quanti abbiano ricevuto una menomazione permanente alla salute da vaccinazioni obbligatorie, trattandosi di situazioni diverse che non si prestano ad entrare in una visione unificatrice (sentenza n. 423 del 2000 e ordinanza n. 522 del 2000).

Non altrettanto, però, può dirsi per la situazione delle persone affette da sindrome da talidomide. Invero, la ratio del beneficio concesso a tali persone è da ravvisare nell’immissione in commercio del detto farmaco in assenza di adeguati controlli sanitari sui suoi effetti, sicché esso ha fondamento analogo, se non identico, a quello del beneficio introdotto dall’art. 1, comma 3, della legge n. 210 del 1992. Nella sindrome da talidomide, come nell’epatite post-trasfusionale, i danni irreversibili subiti dai pazienti sono derivati da trattamenti terapeutici non legalmente imposti e neppure incentivati e promossi dall’autorità nell’ambito di una politica sanitaria pubblica. Entrambe le misure hanno natura assistenziale, basandosi sulla solidarietà collettiva garantita ai cittadini alla stregua degli artt. 2 e 38 Cost.

In questo quadro non si giustifica, e risulta, quindi, fonte di una irragionevole disparità di trattamento in contrasto con l’art. 3, comma primo, Cost., la situazione venutasi a creare, a seguito della normativa censurata, per le persone affette da epatite post-trasfusionale rispetto a quella dei soggetti portatori della sindrome da talidomide.

A questi ultimi è riconosciuta la rivalutazione annuale dell’intero indennizzo, mentre alle prime la rivalutazione (sulla base del tasso di inflazione programmato: art. 2, comma 1, legge n. 210 del 1992) è negata proprio sulla componente diretta a coprire la maggior parte dell’indennizzo stesso, con la conseguenza, tra l’altro, che soltanto questo rimane esposto alla progressiva erosione derivante dalla svalutazione. E ciò ad onta delle caratteristiche omogenee come sopra riscontrate tra i due benefici.

La tesi della difesa dello Stato, secondo cui essi in realtà resterebbero differenziati ab origine, «nel senso che il relativo ammontare è comunque diverso», anche a prescindere dalla rivalutabilità o meno della componente commisurata alla indennità integrativa speciale inclusa nella base di calcolo, non può essere condivisa. Infatti, il diverso ammontare dell’indennizzo attiene alla determinazione del quantum e, quindi, risponde a legittime scelte discrezionali del legislatore che non sono qui in discussione. Esse, comunque, non incidono sulle ragioni unificanti sopra evidenziate.

Conclusivamente, alla stregua delle esposte considerazioni, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, comma 13, del d. l. n.78 del 2010, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 122 del 2010. La declaratoria riguarda anche il successivo comma 14, trattandosi di disposizione strettamente connessa alla precedente, in quanto diretta a regolare gli effetti intertemporali della norma interpretativa, della quale, dunque, segue la sorte.

Ogni altro profilo resta assorbito.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 11, commi 13 e 14, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, legge 30 luglio 2010, n. 122.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 novembre 2011.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Alessandro CRISCUOLO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 9 novembre 2011.