SENTENZA
N. 293
ANNO
2011
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Alfio FINOCCHIARO Giudice
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo
Maria NAPOLITANO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI
"
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’articolo 11, commi 13 e 14, del decreto-legge 31 maggio
2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione
finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, promossi
dal Tribunale di Reggio Emilia con ordinanza del 17 settembre 2010, dal
Tribunale di Parma con due ordinanze del 30 ottobre 2010, dal Tribunale di
Alessandria con ordinanza del 18 gennaio 2011, dal Tribunale di Tempio Pausania
con ordinanza del 13 gennaio 2011 e dal Tribunale di Alessandria con ordinanza
del 15 dicembre 2010, rispettivamente iscritte ai nn. 17, 57, 58, 88, 97 e 98
del registro ordinanze 2011 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica nn. 6, 15, 22 e 25, prima serie speciale, dell’anno 2011.
Visti gli atti di
costituzione di C.T., di L.F., nonché gli atti di intervento dell’AMEV,
Associazione Malati Emotrasfusi e Vaccinati, ed altri, del Coordinamento
nazionale danneggiati da vaccino e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza
pubblica del 4 ottobre 2011 e nella camera di consiglio del 5 ottobre 2011 il
Giudice relatore Alessandro Criscuolo;
uditi gli
avvocati Vittorio Angiolini e Paola Soragni per C.T.,
Mario Melillo e Anton Giulio Lana per L.F. e l’avvocato dello Stato Marina
Russo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. — Il Tribunale di Reggio Emilia, in
funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 17 settembre 2010 (r. o. n.
17 del 2011) ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24, 25, primo comma,
32, 102, 104, 111 e 117 della Costituzione, questioni di legittimità
costituzionale dell’articolo 11, commi 13 e 14, del decreto-legge 31 maggio
2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di
competitività economica) convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio
2010, n. 122.
1.1. — Il giudice a quo premette che nel giudizio principale il ricorrente, quale
beneficiario dell’indennizzo previsto dalla legge 25 febbraio 1992, n. 210
(Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo
irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e
somministrazione di emoderivati), avendo contratto epatite HCV a seguito di
trasfusioni, ha chiesto l’accertamento del diritto a riscuotere la
rivalutazione monetaria, sulla base del tasso di inflazione programmato,
dell’indennità integrativa speciale di cui all’art. 2, comma 2, della medesima
legge, costituente parte integrante dell’indennizzo in godimento.
Il rimettente pone in evidenza come la
questione, concernente la rivalutazione della componente prevista dall’art. 2,
comma 2, della legge n. 210 del 1992, sia stata oggetto in giurisprudenza di
decisioni contrastanti. In particolare, con la sentenza del 28 luglio 2005, n.
15894, la Corte di cassazione, sezione lavoro, ha affermato la necessità della
rivalutazione, secondo il tasso annuale di inflazione programmata,
dell’indennizzo di cui alla legge n. 210 del 1992, anche con riferimento alla
componente di cui al comma 2, dell’art. 2 della medesima legge, rilevando che
una diversa interpretazione non sarebbe conforme ai principi costituzionali, in
quanto la misura dell’indennizzo, se non rivalutata per intero nelle sue
componenti, non sarebbe equa rispetto al danno subito, da rapportare al
pregiudizio alla salute, tanto più che gli aumenti Istat dell’indennizzo – al
netto dell’indennità integrativa speciale – sono modesti e l’indennità stessa è
rimasta ferma a lire 1.991.765, pari a euro 1.028,66 (corrispondente al valore
di due mensilità, in quanto l’indennizzo è corrisposto ogni due mesi).
Diversamente, con la sentenza del 13 ottobre 2010 (recte: 2009) n. 21703, la Corte di cassazione, sezione lavoro, si è
discostata dal precedente orientamento, ritenendo non rivalutabile la
componente di cui all’art. 2, comma 2, della legge n. 210 del 1992.
Il rimettente sottolinea che, nonostante
quest’ultima interpretazione, le Corti di merito continuano ad adeguarsi al
precedente orientamento, riconoscendo la rivalutazione monetaria dell’intero
indennizzo.
Il giudice a quo, dopo aver riportato il contenuto delle disposizioni
censurate, la cui adozione sarebbe scaturita dalla riferita difformità
interpretativa in ordine all’art. 2, comma 2, della legge n. 210 del 1992, pone
in rilievo come, sulla base di tale intervento normativo, il ricorso
introduttivo del giudizio principale sarebbe da rigettare. Da qui la rilevanza
della questione di legittimità costituzionale.
Sotto il profilo della non manifesta
infondatezza, il rimettente, nel condividere l’orientamento giurisprudenziale
di cui alle sentenze della Corte di cassazione, sezione lavoro, del 28 luglio
2005, n. 15894 e del 27 agosto 2007, n. 18109, osserva che, ai sensi di quanto
disposto dall’art. 2 della legge n. 210 del 1992, entrambe le componenti
dell’indennizzo dovrebbero essere rivalutate annualmente secondo il tasso di
inflazione programmato, in quanto: 1) l’indennizzo deve essere inteso nella sua
globalità e, dunque, rivalutato in entrambe le sue parti; infatti, anche se la
disposizione che prevede la rivalutazione automatica è collocata nel primo
comma dell’art. 2, ove è prevista la corresponsione dell’assegno reversibile, è
anche vero che la rivalutazione annuale è riferita all’indennizzo di cui
all’art. 1, comma 1, ovvero al trattamento nella sua interezza, comprensivo anche
della componente di cui al secondo comma; 2) l’indennità integrativa speciale
portava con sé il meccanismo di adeguamento delle retribuzioni al costo della
vita «nella sua originaria struttura», ma successivamente essa è stata
snaturata con il cosiddetto «taglio della scala mobile», per cui non c’è
ragione di non rivalutarne l’importo; 3) questa interpretazione sarebbe
«costituzionalmente orientata», garantendo la tutela del diritto alla salute ai
sensi dell’art. 32 Cost.
Pertanto, ad avviso del giudice a quo, la norma censurata, pur
qualificandosi come di interpretazione autentica, in realtà introdurrebbe una
vera e propria modifica legislativa con violazione dell’art. 3 Cost. sotto il
profilo della ragionevolezza e uguaglianza di trattamento, degli artt. 32 e 117
Cost., degli artt. 101, 102 e 104 Cost., interferendo con funzioni
costituzionalmente riservate al potere giudiziario, nonché dell’art. 24 Cost.
creando un discrimine nella tutela giudiziaria riservata a tutti i cittadini.
Sarebbero, poi, violati gli artt. 2, 14, 35 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e
resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848.
1.2. — In particolare, il citato art.
11, commi 13 e 14, violerebbe l’art. 3 Cost. sotto il profilo della illegittima
disparità di trattamento tra coloro il cui indennizzo ai sensi della legge n.
210 del 1992 (avente finalità assistenziali e non risarcitorie), per effetto
del d.l. n. 78 del 2010, non potrà essere rivalutato e coloro che percepiscono
l’indennizzo rivalutato sulla base delle numerose sentenze conformi
all’orientamento giurisprudenziale sopra riferito, nonché tra i titolari di
indennizzo, ai sensi della legge n. 210 del 1992, non rivalutato e gli altri titolari
di prestazioni pensionistiche e assistenziali, in particolar modo i vaccinati
(art. 1 , comma 4, della legge del 29 ottobre 2005, n. 229, recante
«Disposizioni in materia di indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da
complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie») e i
soggetti affetti da sindrome da talidomide (art.1,
comma 4, del decreto ministeriale del 2 ottobre 2009, n. 163 recante
«Regolamento di esecuzione dell'articolo 2, comma 363, della legge 24 dicembre
2007, n. 244, che riconosce un indennizzo ai soggetti affetti da sindrome da talidomide, determinata dalla somministrazione dell’omonimo
farmaco»), per i quali l’indennizzo è integralmente rivalutato ex lege.
Le disposizioni censurate si porrebbero,
altresì, in contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost. per violazione delle
norme convenzionali di cui agli artt. 2 e 14 della CEDU, (recte: Carta UE). In particolare, l’art. 2 della CEDU tutela il
diritto alla vita e l’art. 14 di essa pone il divieto di ogni discriminazione.
Secondo l’interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, una
distinzione sarebbe «discriminatoria», ai sensi della norma suddetta, se manca
di una giustificazione obiettiva e ragionevole e «se essa non persegua uno
scopo legittimo o se non c’è un rapporto di ragionevole proporzionalità tra i
mezzi impiegati e lo scopo che si è prefissata» (CEDU,
sentenza 1° dicembre 2009, in causa G.N. e altri contro Italia). Ad avviso
del rimettente, sarebbe palesemente irragionevole e illegittima la
discriminazione tra coloro che hanno già ottenuto la rivalutazione
dell’indennizzo ai sensi della legge n. 210 del 1992 e coloro che sono ancora
in attesa del riconoscimento e tra questi ultimi e gli altri titolari di
indennizzo, in particolar modo i vaccinati e gli affetti da sindrome da talidomide.
1.3. — Il rimettente ritiene che l’art.
11, commi 13 e 14, del d.l. n. 78 del 2010 violi anche il diritto alla salute
sancito dall’art. 32 Cost., in quanto la misura dell’indennizzo, ritenuta non
rivalutabile per intero nelle sue componenti, non sarebbe equa rispetto al
danno subito da rapportare al pregiudizio alla salute, tanto più che gli
aumenti Istat dell’indennizzo (al netto dell’indennità integrativa speciale)
dal 1992 in poi sarebbero stati modesti e l’indennità nel periodo in questione
sarebbe stata ferma ad euro 1.028,66 (bimestrali).
Il giudice a quo pone in evidenza, al riguardo, che l’indennizzo ex lege n. 210 del 1992 è composto da
due parti: l’indennizzo «in senso stretto», di cui al comma 1, dell’art. 2,
soggetto a rivalutazione (e costituente solo il 5 per cento dell’intero
indennizzo) e la somma corrispondente all’indennità integrativa speciale di cui
al comma 2, del medesimo articolo, non rivalutata (costituente il 95 per cento
circa dell’indennizzo totale). La rivalutazione di una quota minima
dell’indennizzo avrebbe comportato una progressiva e ingiustificata perdita di
valore delle somme originariamente stabilite a titolo di indennizzo a favore
del soggetto danneggiato irreversibilmente da HIV, epatite post-trasfusionale e
da vaccinazione.
In particolare, il rimettente precisa
che la tabella utilizzata dal Ministero della salute prevede la rivalutazione
del solo «indennizzo in senso stretto di cui alla tab. B» (art. 2, comma 1,
della legge n. 210 del 1992) per cui, dal 1992 al 2009, l’indennizzo mensile è
aumentato soltanto di otto euro (dagli originari 542,20 euro a 550,20 euro), in
quanto l’importo originariamente previsto a titolo di indennità integrativa
speciale è rimasto fisso ad euro 1.028,66 bimestrali, con una perdita di circa
150 euro mensili a causa della intercorsa svalutazione monetaria.
Il giudice a quo sottolinea che, proprio al fine di preservare nel tempo
l’originario importo stabilito dal legislatore del 1992, la legge del 25 luglio
1997, n. 238 (Modifiche ed integrazioni alla legge 25 febbraio 1992, n. 210, in
materia di indennizzi ai soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie,
trasfusioni ed emoderivati) e già prima il decreto-legge del 23 ottobre 1996,
n. 548 (Interventi per le
aree depresse e protette, per manifestazioni sportive internazionali, nonché modifiche
alla legge 25 febbraio 1992, n. 210), hanno introdotto il meccanismo della rivalutazione
annuale dell’indennizzo secondo il T.I.P. (tasso di
inflazione annualmente programmato). La rivalutazione dell’indennizzo nella sua
globalità doveva assicurare la non alterazione del valore originariamente
fissato ex lege, trattandosi di
indennizzo vitalizio con finalità assistenziali e non risarcitorie.
Pertanto, ad avviso del giudice a quo, le disposizioni censurate violano
l’art. 32 Cost. in quanto cristallizzano l’importo dell’indennizzo ai valori
del 1992, determinandone una progressiva erosione a causa della svalutazione
monetaria e non garantendo un indennizzo equo e ragionevole.
Per le medesime ragioni le disposizioni
in oggetto si porrebbero in contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost. per
violazione dell’art. 35 della CEDU (recte:
della Carta UE), che tutela la salute come «bene primario» cui garantire «un
elevato livello di protezione» nella definizione e nell’attuazione di tutte le
politiche e le attività dell’Unione.
1.4 — Il citato art. 11, commi 13 e 14,
violerebbe anche gli artt. 24, 25, primo comma, 102, 104 e 111 Cost.
Ad avviso del rimettente, stante
l’ingerenza, attraverso le disposizioni censurate, del potere legislativo su
quello giudiziario, sarebbero lese l’indipendenza e l’autonomia della funzione
giudiziaria, con conseguente violazione degli artt. 102, 104, 111 Cost., nonché
il principio del giudice naturale precostituito per legge, con violazione
dell’art. 25, primo comma, Cost. e, infine, il diritto del cittadino ad un
giusto processo, tutelato dall’art. 111 Cost. e dagli artt. 6 CEDU e 47 Carta
UE.
Inoltre, le disposizioni in esame si
porrebbero in contrasto anche con gli artt. 3 e 24 Cost., in quanto sarebbe
vanificato il diritto del cittadino alla tutela giurisdizionale. In
particolare, il citato articolo 11, commi 13 e 14, nel fare salve le pronunce
giurisdizionali passate in giudicato alla data di entrata in vigore della
norma, crea una disparità ingiustificata di trattamento tra coloro che hanno
già adito l’autorità giudiziaria, percorrendo tutti i gradi di giudizio e
ottenendo una pronuncia favorevole alla rivalutazione, e coloro che sono ancora
sub iudice
o che non hanno ancora adito l’autorità giurisdizionale ovvero che hanno ottenuto
sentenze favorevoli non passate in giudicato.
Ulteriore argomento a sostegno di tale
censura è quello per cui il ius
superveniens comporterebbe di fatto una estinzione dei processi in corso
(con compensazione delle spese o, peggio, la condanna del ricorrente) e dunque
una sostanziale vanificazione della «via giurisdizionale quale mezzo per
attuare un diritto preesistente», con violazione del diritto di azione di cui
all’art. 24 Cost.
Il contrasto si porrebbe non solo con riguardo
agli artt. 3 e 24 Cost., ma anche agli artt. 102 e 113 (recte: 111) Cost., in
quanto l’estinzione automatica di tutti i giudizi pendenti – con compensazione
delle spese o addirittura con la condanna del ricorrente, in quanto ex lege si è avuta una negazione del
diritto di quest’ultimo, con soccombenza virtuale dell’assistito –
comporterebbe una illegittima interferenza del potere legislativo nella sfera
della giurisdizione.
2. — Con memoria depositata in data 18
febbraio 2011 si è costituito in giudizio T.C., chiedendo l’accoglimento della
sollevata questione di legittimità costituzionale.
La parte privata, nel condividere le
argomentazioni sottese alla ordinanza di rimessione, si sofferma
sull’inquadramento della fattispecie, anche alla luce della giurisprudenza
della Corte costituzionale. Al riguardo, pone in evidenza come al diritto
dell’individuo a misure di sostengo assistenziale, ai sensi degli artt. 2 e 38
Cost., si contrapponga il diritto dell’individuo ad un equo indennizzo,
discendente dagli artt. 2 e 32 Cost., nell’ipotesi di danno irreversibile, non
derivante da fatto illecito, che sia stato subito in conseguenza
dell’adempimento di un obbligo legale (sentenza n. 118 del
1996).
In particolare, il diritto
costituzionale all’indennizzo, il quale trova fondamento negli artt. 2 e 32
Cost., è quello connesso ai danni non «tollerabili», in quanto eccedenti «la
temporaneità e scarsa entità» (sentenza n. 307 del
1990), che l’individuo riporti a seguito di trattamenti sanitari
obbligatori ovvero di trattamenti promossi dalla pubblica autorità nell’ambito
di un programma di politica sanitaria, per un interesse della collettività (sentenza n. 27 del
1998). In tal caso, i soggetti pubblici si assumono il rischio del danno al
diritto fondamentale della salute dell’individuo, che risulta leso per effetto
di trattamenti sanitari leciti (obbligatori o promossi dalla pubblica autorità
per interesse della collettività). Con particolare riguardo al diritto
all’indennizzo dovuto a coloro che presentino danni irreversibili da epatiti
post-trasfusionali (HCV), lo stesso non risulterebbe direttamente assimilabile
ad un "diritto costituzionale” scaturente dagli artt. 2 e 32 Cost., ma sarebbe
riportabile ad una scelta discrezionale del legislatore, soggetta al controllo
della Corte sotto il profilo del rispetto della parità di trattamento e del
nucleo minimo di garanzia (sentenza n. 226 del
2000), nonché sotto il profilo della ragionevolezza (sentenza n. 432 del
2005) ovvero della "ragionevole” modulazione della disciplina rispetto agli
scopi perseguiti.
In merito la Corte costituzionale, dopo
avere individuato la ratio
dell’indennizzo per danno da emotrasfusione nella «insufficienza dei controlli
sanitari fino ad allora predisposti», con assunzione da parte del soggetto
pubblico del rischio del danno irreversibile al «diritto fondamentale
dell’individuo», ha esteso la applicabilità della norma di cui all’art. 1 della
legge n. 210 del 1992, anche agli operatori sanitari che, in occasione del
servizio e durante il medesimo, abbiano riportato danni permanenti alla
integrità psico-fisica, a seguito di contatto con sangue e suoi derivati
provenienti da soggetti affetti da epatiti (sentenza n. 476 del
2002) e ai soggetti che presentino danni irreversibili derivanti da epatite
contratta a seguito di somministrazione di derivati del sangue (sentenza n. 28 del
2009).
Si tratterebbe, dunque, di una ratio e di un fondamento paralleli, e
non coincidenti, con quelli dell’indennizzo dovuto nel caso di "obbligo legale”
di trattamento sanitario o in situazioni equiparate. La parte privata
sottolinea come anche l’indennizzo per il danno da epatite (HVC) da
emotrasfusione sia indissolubilmente connesso alla tutela della salute ex art. 32 Cost. e, sia pure per la
scelta discrezionale del legislatore su come attuare la tutela sanitaria
medesima, trovi in essa specifico fondamento.
Si evidenzia, altresì, come la
previsione dell’indennizzo ai soggetti che presentino danni irreversibili
derivanti da epatite da emotrasfusione rappresenti il corollario logico e
ragionevole di un assetto normativo – legge del 21 ottobre 2005, n. 219 (Nuova
disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli
emoderivati); legge del 4 maggio 1990, n. 107 (Disciplina per le attività
trasfusionali relative al sangue umano ed ai suoi componenti e per la
produzione di plasma derivati); decreto-legge del 30 ottobre 1987, n. 443
(Disposizioni urgenti in materia sanitaria), convertito dalla legge del 29
dicembre 1987, n. 531; legge del 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio
sanitario nazionale); decreto del Presidente della Repubblica del 24 agosto
1971, n. 1256 (Regolamento per l'esecuzione della L. 14 luglio 1967, n. 592,
concernente la raccolta, conservazione e distribuzione del sangue umano); legge
del 14 luglio 1967, n. 592 (Raccolta, conservazione e distribuzione del sangue
umano) – congegnato con controlli sull’attività emotrasfusionale
e sull’uso di sostanze ematiche o emoderivati a scopo terapeutico, con
conseguente assunzione in capo al soggetto pubblico, che quei controlli è
tenuto a far funzionare, del rischio del danno intollerabile al «diritto
fondamentale dell’individuo».
Che la ratio dell’indennizzo del danno da emotrasfusione sia da rinvenire
nel malfunzionamento delle terapie e nella insufficienza dei controlli sulle
stesse esercitate, si evincerebbe anche avuto riguardo ai requisiti richiesti
dall’art. 1, comma 3, della legge n. 210 del 1992, individuati nella
irreversibilità del danno e nel necessario nesso causale tra l’uso terapeutico
delle sostanze ematiche e il danno stesso (l’epatite deve essere
post-trasfusionale).
Il principio del libero consenso ai
trattamenti sanitari comporterebbe anche che esso si formi correttamente e sia
pertanto "informato” (art. 3 della legge n. 219 del 2005), per cui i soggetti
che abbiano riportato danni irreversibili, derivanti da epatite da
emotrasfusione, devono essere indennizzati in quanto il consenso che hanno dato
al trattamento si è retto sulla premessa ingannevole che il rischio da
"malattie trasmissibili” sarebbe stato scongiurato da "sufficienti controlli”
pubblici. A tale indennizzo, sotto il profilo della ratio e del fondamento, sarebbe assimilabile quello dei soggetti
affetti da sindrome da talidomide (art. 2, comma 363,
della legge 27 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale
e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), che ha esteso
l’applicazione della legge n. 229 del 2005), determinata dalla somministrazione
dell’omonimo farmaco, in quanto, anche in tal caso, l’indennizzo troverebbe
fondamento nell’erroneo affidamento ingenerato, in ordine alla scelta di
assunzione del farmaco, da controlli pubblici rivelatisi, a posteriori, insufficienti a prevenire il rischio farmacologico
cui erano destinati.
Quanto alle singole censure, la parte
privata osserva, in primo luogo, che è ingiustificata la disparità di
trattamento (assunta violazione degli artt. 2, 3, 32, 38 Cost., nonché degli
artt. 2 e 14 della CEDU in relazione all’art. 117, primo comma, Cost.) tra i
titolari di indennizzo per danni da emotrasfusione (o somministrazione di
derivati del sangue), per i quali è esclusa la integrale rivalutazione secondo
il tasso di inflazione, e i vaccinati e/o i soggetti affetti da sindrome da talidomide, per i quali l’indennizzo è rivalutato
integralmente ex lege. In
particolare, la irragionevolezza della discriminazione emergerebbe con riguardo
alla diversa disciplina dell’indennizzo concernente la sindrome da talidomide, che presenta ratio e fondamento omologhi a quelli dell’indennizzo per danno da
emotrasfusione.
In ordine alla censura concernente la
incidenza delle disposizioni censurate sulla misura dell’indennizzo per danno
da emotrasfusione, in termini di equità (assunta violazione degli artt. 32
Cost. e 35 della Carta UE in relazione all’art. 117, primo comma, Cost.), la
parte privata ritiene che la esclusione della rivalutazione di una componente
dell’indennizzo (ossia della somma corrispondente all’importo dell’indennità
integrativa speciale) verrebbe a contraddire irragionevolmente la finalità e i
presupposti legislativamente assegnati all’indennizzo stesso, in quanto non
garantirebbe l’adeguamento nel tempo di quest’ultimo, ancorché ritenuto equo in
partenza. Invero, l’indennizzo, nella sua interezza, sarebbe suscettibile di rivalutazione
annuale secondo il tasso di inflazione programmato, ai sensi dell’art. 2, comma
1, della legge n. 210 del 1992, e nessun riflesso avrebbe comportato il
cosiddetto «blocco della scala mobile», relativo alla indennità integrativa
speciale, in quanto il riferimento ad essa, ai sensi dell’art. 2, comma 2,
della medesima legge, varrebbe soltanto come criterio per stabilire la somma
destinata ad integrare l’indennizzo.
Infine, riguardo alla assunta indebita
interferenza dell’attività legislativa con quella giurisdizionale, la parte
privata osserva, in particolare, che l’art. 11, comma 14, del d.l. n. 78 del
2010, lungi dal concretare una norma "interpretativa”, detterebbe una
disciplina transitoria che scinde l’applicazione della disposizione censurata
da quella che essa dovrebbe interpretare e che dovrebbe continuare ad essere
applicata nel significato reso chiaro dalla norma "interpretativa”.
3. — Con atto depositato in data 22
febbraio 2011, è intervenuto il Presidente del Consiglio del ministri, rappresentato
e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia
dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata.
3.1. — In primo luogo, la difesa
erariale eccepisce il carattere generico della motivazione in ordine alla non
manifesta infondatezza con riferimento all’art. 2 Cost. (recte: della CEDU), agli
artt. 25, primo comma, 102, 104, 111 Cost. e agli artt. 6 della CEDU e 47 della
Carta UE.
3.2. — Nel merito, ad avviso del
Presidente del Consiglio dei ministri, la questione non sarebbe fondata.
In particolare, in ordine alla dedotta
violazione degli artt. 3 Cost. e 14 CEDU, in combinato disposto con l’art. 117,
primo comma, Cost., sotto il profilo del principio di uguaglianza e del divieto
di discriminazione, la difesa dello Stato osserva che la norma interpretativa
censurata – lungi dal creare una disparità di trattamento tra i titolari di
indennizzo ex lege n. 210 del 1992,
destinati, per effetto del d.l. n. 78 del 2010, a percepire il beneficio senza
la rivalutazione della componente commisurata all’indennità integrativa
speciale, e i titolari del medesimo indennizzo, che lo percepiscano maggiorato
della rivalutazione della componente commisurata all’indennità integrativa
speciale per effetto di sentenze passate in giudicato – costituirebbe veicolo di perequazione del trattamento di
tali due categorie. Infatti, dopo l’entrata in vigore dell’art. 11, commi 13 e
14, del d.l. n. 78 del 2010, l’incremento periodico dell’indennità integrativa
speciale non troverebbe più titolo né nell’art. 2, comma 2, della legge n. 210
del 1992, per come interpretato autenticamente, né nei giudicati i cui effetti
sono fatti salvi solo per i periodi da essi definiti, né, infine, nei
provvedimenti amministrativi la cui efficacia è cessata a decorrere
dall’entrata il vigore del d.l. n. 78 del 2010.
Il comma 14 dell’art. 11 del d.l. n. 78
del 2010 farebbe, infatti, salva la già intervenuta corresponsione
dell’adeguamento dell’indennità integrativa speciale per il periodo coperto
dalla sentenza, nel rispetto del principio dell’intangibilità del giudicato,
disponendo, al tempo stesso, per il futuro la perdita di efficacia dei
provvedimenti amministrativi che dispongano l’adeguamento della detta
indennità.
La difesa dello Stato precisa al
riguardo che, stante il consolidamento dell’orientamento giurisprudenziale nel
senso della spettanza della rivalutazione della indennità in questione
(Cassazione, sezione lavoro, sentenze del 27 agosto 2007, n. 18109 e del 28
luglio 2005, n. 15894), il Ministero della salute, con una direttiva dell’8
aprile 2008, aveva stabilito che, nel dare attuazione ai titoli esecutivi che
riconoscessero il diritto alla rivalutazione di essa, si dovesse estendere la
corresponsione dell’adeguamento, non solo al periodo coperto dal titolo
esecutivo, ma anche al futuro.
Ad avviso della Presidenza del Consiglio
dei ministri, l’art. 11, comma 14, dispone la cessazione dell’efficacia proprio
di quei provvedimenti adottati in esecuzione della direttiva ministeriale
dell’8 aprile 2008, fermi restando gli effetti da essi prodotti fino alla data
di entrata in vigore del d.l. n. 78 del 2010 e gli effetti esplicati da
sentenze passate in giudicato per i periodi da esse definiti. Ne conseguirebbe
che i titolari di indennizzo che hanno ottenuto in passato giudicati favorevoli
– i cui effetti sono salvi solo per i periodi da essi definiti – e che abbiano
continuato a percepire l’indennizzo comprensivo della rivalutazione
dell’indennità per effetto di provvedimenti adottati in base alla direttiva
ministeriale 8 aprile 2008, dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 78 del 2010
riceveranno l’indennizzo ricalcolato alla luce del significato dell’art. 2,
comma 2, della legge n. 210 del 1992, come esplicitato dalla legge di
interpretazione. L’indennizzo effettivamente corrisposto dovrà essere quindi
quantificato per tutti gli aventi diritto senza l’adeguamento dell’indennità
integrativa speciale, tornando all’importo originario erogato ai titolari
dell’indennizzo che non abbiano mai ottenuto un titolo esecutivo che riconoscesse
loro il diritto alla rivalutazione della componente commisurata a detta
indennità.
Con riguardo all’ulteriore profilo in
cui si manifesterebbe la dedotta violazione del principio di eguaglianza,
ovvero la pretesa disparità di trattamento tra i titolari dell’indennizzo ex lege n. 210 del 1992 non rivalutato e
gli altri titolari di prestazioni pensionistiche e assistenziali, in particolar
modo i vaccinati (art. 1, comma 4, della legge n. 229 del 2005) ed i soggetti
affetti da sindrome da talidomide (art. 1, comma 4,
del d.m. n. 163 del 2009, attuativo dell’art. 2,
comma 363, della legge n. 244 del 2007), per i quali l’indennizzo è
integralmente rivalutato ex lege, la
difesa erariale osserva che si tratterebbe di categorie non equiparabili tra
loro, in quanto il diverso beneficio indennitario nascerebbe differenziato ab origine, essendo il rispettivo
ammontare comunque diverso, a prescindere dalla rivalutabilità
o meno della componente commisurata all’indennità integrativa speciale inclusa
nella base di calcolo. In particolare, i soggetti danneggiati da vaccino ex art. 1, comma 1, della legge n. 210
del 1992 e i soggetti affetti da «sindrome da talidomide»
avrebbero diritto, in ogni caso, ad un importo maggiore rispetto ai soggetti
elencati nei commi 2 e seguenti dell’art. 1 della legge n. 210 del 1992, ovvero
ad un importo che per i "talidomidici” è multiplo
dell’indennizzo-base di cui all’art. 2 della legge n. 210 del 1992 e per i
vaccinati si aggiunge a quest’ultimo. La previsione di una differente
quantificazione dell’indennizzo per le diverse categorie di aventi diritto allo
stesso beneficio rientrerebbe nella discrezionalità del legislatore, avuto
riguardo alla diversa fattispecie genetica del danno, al diverso grado di
partecipazione dello Stato nella sua causazione e
alla diversa percezione, in termini di solidarietà sociale, dell’esigenza di
"socializzare”, attraverso lo strumento indennitario, il pregiudizio alla
salute prodottosi. Peraltro, ad avviso della difesa erariale, qualora si
dovesse riconoscere la rivalutazione della componente commisurata all’indennità
in questione dell’indennizzo, la diversa entità dei benefici indennitari denunciata dal rimettente resterebbe ferma,
atteso che l’indennità integrativa speciale inclusa nel calcolo dell’indennizzo
spettante ai vaccinati e ai "talidomidici” subirebbe,
in tal modo, una doppia rivalutazione, essendo l’indennizzo spettante a queste
categorie comunque interamente rivalutato ex
lege.
3.3. — Quanto alla assunta violazione
degli artt. 32 Cost. e 35 della CEDU (recte
Carta UE), per insufficienza dell’indennizzo, quantificato secondo quanto
disposto dalla norma interpretativa, rispetto al diritto alla salute (sentenze n. 307 del 1990
e n. 118 del 1996),
la difesa dello Stato osserva che la stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 27 del
1998 (nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 2 , comma 2, della legge n. 210 del 1992, nella parte in cui non
prevede gli interessi legali e la rivalutazione monetaria dell’assegno una tantum ivi previsto in favore del
danneggiato da vaccinazione) ha affermato che rientra nella discrezionalità del
legislatore operare le valutazioni nella predisposizione dei mezzi necessari a
fare fronte agli obblighi dello Stato in materia di diritti sociali, mentre
compete alla Corte garantire la misura minima essenziale di protezione dei
diritti, potendo valutare l’equità dell’indennizzo nel senso di verificare se
esso risulti o meno «tanto esiguo da vanificare, riducendolo ad un nome privo
di concreto contenuto, il diritto all’indennizzo stesso, diritto che, da un
punto di vista costituzionale, è stabilito nell’an ma non nel quantum ».
Se, dunque, la Corte costituzionale ha
ritenuto che la mancata previsione del diritto agli interessi e alla
rivalutazione sull’assegno una tantum
non ne comporti l’iniquità, ciò, ad avviso del Presidente del Consiglio dei
ministri, dovrebbe valere anche nel caso della mancata previsione della
rivalutazione automatica di una sola componente dell’indennizzo, stante
l’identità di scopo dell’assegno una
tantum e dell’indennizzo stesso, finalizzati a compensare, rispettivamente
per il passato e il futuro, il danno alla salute provocato da trattamenti
sanitari leciti.
3.4. — Infine, quanto alla censura
inerente agli artt. 3, 24, 102, 104 e 113 (recte:
111) Cost., per cui, con l’entrata in vigore dell’art. 11 del d.l. n. 78 del
2010, si determinerebbe una «estinzione di fatto» di tutti i giudizi pendenti,
aventi ad oggetto la spettanza della rivalutazione della componente
dell’indennizzo ex lege n. 210 del
1992 commisurata all’indennità integrativa speciale, con sostanziale
vanificazione del diritto alla tutela giurisdizionale, la difesa dello Stato
osserva che la stessa Corte costituzionale ha affermato la legittimità delle
norme interpretative retroattive che si limitino ad esplicitare uno dei
possibili significati della norma interpretata (sentenze n. 135 e n. 274 del 2006).
Di fronte a situazioni di incertezza interpretativa di una norma, come nel caso
di specie, la sopravvenienza in corso di causa di una legge, che tra i vari
significati possibili individua quello corretto, non impedisce al giudice di
pronunciarsi nel merito, sia pure attenendosi al significato che il legislatore
ha indicato come corretto in sede di interpretazione autentica, né gli preclude
di statuire sulle spese, ripartendole in base alle norme vigenti (rientrando,
peraltro, nella normale alea giudiziale la prevalenza di un’interpretazione
favorevole o sfavorevole alla tesi prospettata da colui che agisce).
4. — Con atto depositato in data 22
febbraio 2011, sono intervenuti nel giudizio di legittimità costituzionale la
AMEV, Associazione Malati Emotrasfusi e Vaccinati, in persona del presidente pro-tempore, nonché numerosi associati
indicati nell’atto di intervento stesso, svolgendo una serie di argomentazioni
a sostegno della sospettata illegittimità costituzionale dell’art. 11, commi 13
e 14, del d.l. n. 78 del 2010.
4.1. ― In data 31 maggio 2011 la
parte privata e il Presidente del Consiglio dei ministri hanno depositato
memorie illustrative.
5. ― Il Tribunale di Parma, in
funzione di giudice del lavoro, con due ordinanze del 30 ottobre 2010 (r. o.
nn. 57 e 58 del 2011), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, primo
comma, 32, 102, 104, 111 e 117 Cost., questione di legittimità costituzionale
dell’ art. 11, commi 13 e 14, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con
modificazioni, nella n. 122 del 2010.
5.1. — In entrambe le ordinanze, il
rimettente, premette che, nei rispettivi giudizi principali, i ricorrenti,
quali beneficiari dell’indennizzo previsto dalla legge n. 210 del 1992, avendo
contratto epatite HCV a seguito di trasfusioni, hanno chiesto l’accertamento
del diritto a percepire la rivalutazione monetaria dell’indennità integrativa
speciale di cui all’art. 2, comma 2, della medesima legge, costituente parte
integrante dell’indennizzo in godimento, sulla base del tasso di inflazione programmato.
5.2. — Sotto il profilo della rilevanza,
il giudice a quo osserva che, sulla
base delle disposizioni censurate, i ricorsi introduttivi dei rispettivi
giudizi principali dovrebbero essere
rigettati.
5.3. — Quanto alla non manifesta infondatezza,
il rimettente svolge le medesime argomentazioni di cui alla ordinanza del
Tribunale di Reggio-Emilia del 17 settembre 2010 (r. o. n. 17 del 2011).
6. — Con atti depositati in data 21
aprile 2011 (r. o. n. 57 del 2011 e n. 58 del 2011), è intervenuto il
Presidente del Consiglio del ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e
comunque infondata, sulla base delle medesime argomentazioni di cui all’atto di
intervento nel giudizio r. o. n. 17 del 2011.
7. — Nel giudizio r. o. n. 57 del 2011,
con atto depositato in data 20 aprile 2011, sono intervenuti nel giudizio di
legittimità costituzionale la AMEV, Associazione Malati Emotrasfusi e
Vaccinati, in persona del presidente pro-tempore,
nonché la sua associata sig.ra M.G.L., svolgendo una
serie di argomentazioni a sostegno della sospettata illegittimità
costituzionale dell’art. 11, commi 13 e 14, del d.l. n. 78 del 2010.
7.1. — La AMEV e la parte privata M.G.L. premettono di avere un interesse diretto alla
dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma censurata. In
particolare, la associata sig.ra M.G.L. sottolinea di
essere costituita in altro giudizio dinanzi al Tribunale di Oristano, sezione
previdenza, che ritenendo la decisione della controversia dipendente dall’esito
del giudizio di costituzionalità sull’art. 11, commi 13 e 14, del d.l. n. 78
del 2010, convertito in legge n. 12 del 2010, ha sospeso il detto procedimento,
in attesa della decisione della Corte costituzionale.
7.2. — Nel detto atto di intervento sono
svolte le medesime argomentazioni di cui all’atto di intervento della AMEV nel
giudizio r. o. n.17 del 2011.
8. — In data 27 luglio 2011, nei giudizi
r. o. n. 57 e n. 58 del 2011, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memorie illustrative, con
le quali, nel riportarsi a quanto già dedotto con i rispettivi atti di
intervento, chiede dichiararsi
inammissibile, e comunque non fondata, la questione di legittimità
costituzionale. Nella memoria depositata nel giudizio r. o. n. 57 del 2011, la
difesa dello Stato eccepisce, preliminarmente, la inammissibilità degli
interventi della sig.ra L. M. G. e della AMEV.
9. —
Il Tribunale di Tempio Pausania, in funzione di giudice del lavoro, con
ordinanza del 13 gennaio 2011 (r. o. n. 97 del 2011) ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3 e 32 Cost. questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 11, commi 13 e 14, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.
9.1. — Il rimettente premette che nel
giudizio principale il ricorrente, quale beneficiario dell’indennizzo previsto
dalla legge n. 210 del 1992, avendo contratto epatite HCV a seguito di
trasfusioni, ha chiesto l’accertamento del diritto a percepire la rivalutazione
monetaria sulla indennità integrativa
speciale di cui all’art. 2, comma 2, della medesima legge, costituente parte
integrante dell’indennizzo in godimento, sulla base del tasso di inflazione
programmato.
Il giudice a quo pone in evidenza come la questione della rivalutazione della
componente, di cui all’art. 2, comma 2, della legge n. 210 del 1992, sia stata
oggetto in giurisprudenza di decisioni contrastanti, rilevando, tuttavia, che
le Corti di merito continuano ad adeguarsi al precedente orientamento,
riconoscendo la rivalutazione monetaria dell’intero indennizzo.
Il giudice a quo, dopo aver riportato il contenuto delle disposizioni
censurate, la cui adozione sarebbe scaturita dalla riferita difformità
interpretativa in ordine all’art. 2, comma 2, della legge n. 210 del 1992, pone
in rilievo come, sulla base di tale intervento normativo, il ricorso del
giudizio principale sarebbe da rigettare. Da qui la rilevanza della questione
di legittimità costituzionale.
Sotto il profilo della non manifesta
infondatezza, ad avviso del giudice a quo,
la norma censurata, pur qualificandosi come di interpretazione autentica, in
realtà introdurrebbe una vera e propria modifica legislativa con violazione
dell’art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza e uguaglianza di
trattamento, dell’art. 32 Cost. nonché degli artt. 14 e 25 della CEDU.
9.2. — In particolare, il citato art.
11, commi 13 e 14, violerebbe l’art. 3 Cost. e l’art. 14 CEDU, determinando una
illegittima disparità di trattamento tra coloro il cui indennizzo ex lege
n. 210 del 1992 (avente finalità assistenziali e non risarcitorie), per effetto
del d.l. n. 78 del 2010, non potrà essere rivalutato e coloro che percepiscono
l’indennizzo rivalutato sulla base delle numerose sentenze conformi
all’orientamento giurisprudenziale sopra riferito, nonché tra i titolari di
indennizzo ex lege n.210 del 1992 non
rivalutato e gli altri titolari di prestazioni pensionistiche e assistenziali,
in particolar modo i vaccinati (art.1, comma 4, della legge n. 229 del 2005) e
i soggetti affetti da sindrome da talidomide (art.1,
comma 4, del d. m. n. 163 del 2009), per i quali l’indennizzo è integralmente
rivalutato ex lege.
9.3. — Il rimettente ritiene che l’art.
11, commi 13 e 14, del d.l. n. 78 del 2010 violi anche il diritto alla salute
sancito dall’art. 32 Cost. e dall’art. 25 della CEDU, in quanto la misura
dell’indennizzo, ritenuta non rivalutabile per intero nelle sue componenti, non
sarebbe equa rispetto al danno subito da rapportare al pregiudizio alla salute,
tanto più che gli aumenti Istat dell’indennizzo (al netto dell’indennità
integrativa speciale) dal 1992 in poi sarebbero stati modesti e l’indennità
stessa, nel periodo in questione, sarebbe stata ferma ad euro 1.028,66 (bimestrali).
Il giudice a quo sottolinea, al
riguardo, che l’indennizzo ex lege n.
210 del 1992 è composto da due parti: l’indennizzo «in senso stretto», di cui
al primo comma dell’art. 2, soggetto a rivalutazione (e costituente solo il 5
per cento dell’intero indennizzo) e la somma corrispondente all’indennità
integrativa speciale di cui al secondo comma del medesimo articolo, non
rivalutata (costituente il 95 per cento circa dell’indennizzo totale). La
rivalutazione di una quota minima dell’indennizzo avrebbe comportato una
progressiva e ingiustificata perdita di valore delle somme originariamente
stabilite a titolo di indennizzo a favore del soggetto danneggiato
irreversibilmente da HIV, epatite post-trasfusionale e da vaccinazione.
Pertanto, ad avviso del giudice a quo, le disposizioni censurate violano
l’art. 32 Cost. in quanto cristallizzano l’importo dell’indennizzo ai valori
del 1992, determinandone una progressiva erosione a causa della svalutazione
monetaria e non garantendo un indennizzo equo e ragionevole.
10. — Con memoria depositata in data 1°
giugno 2011 si è costituita la parte privata F.L.,
chiedendo preliminarmente che sia disposta la riunione del giudizio r. o. n. 97
del 2011 a quelli r. o. n. 17, 57, 58, 88 del 2011, e, nel merito, che sia
dichiarata la illegittimità costituzionale della norma censurata per violazione
degli artt. 3, 32, 38, 101, 102, 104, Cost. nonché 117, primo comma, Cost. in
relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 14 CEDU, letto congiuntamente agli artt.
2 e 8 CEDU e all’art. 1 del Protocollo n. 1.
10.1. — La parte privata F.L., nel dedurre la violazione degli artt. 101, 102, 104
Cost., ricorda la giurisprudenza della Corte costituzionale in merito ai limiti
delle norme (retroattive) di interpretazione autentica. Ad avviso della parte
privata, il censurato comma 14, nel disporre «la cessazione, dalla data di
entrata in vigore del decreto, della efficacia dei provvedimenti emanati al
fine di rivalutare la somma di cui al comma 13 in forza di un titolo
esecutivo», esplicherebbe effetti sul giudicato. Infatti, diversi ricorrenti ai
quali era stato riconosciuto un determinato indennizzo si vedrebbero sottrarre
una notevole quota di quanto assegnato loro in precedenza.
La parte privata richiama, in merito,
alcune pronunce di illegittimità costituzionale di norme comportanti la
decurtazione dei trattamenti pensionistici, in quanto lesive di altri e
preminenti beni della vita dei soggetti beneficiari (sentenze n. 566 del 1989;
n. 204 del 1992;
n. 822 del 1988).
La medesima parte richiama anche
pronunce della Corte costituzionale in tema di tutela dell’affidamento del
privato cittadino nella sicurezza giuridica, la cui lesione è tanto più grave
quando colpisca soggetti a reddito non elevato, i quali abbiano destinato i
trattamenti previdenziali al soddisfacimento dei bisogni alimentari propri e
della famiglia (sentenze n. 282 del 2005,
n. 397 del 1994;
n. 39 del 1993).
10.2. — La parte privata deduce,
altresì, la violazione dell’art. 32 Cost. letto insieme con l’art. 2 Cost.
Essa ricorda che la Corte di cassazione,
sezione lavoro del 28 luglio 2005, n. 15894, nell’affermare la rivalutabilità della indennità integrativa speciale, ha
richiamato le pronunce della Corte costituzionale n. 307 del 1990 e n. 118 del
1996, con le quali si era evidenziata la necessità di garantire un equo ristoro
a coloro che avessero contratto infezioni a seguito di vaccinazioni
obbligatorie.
E, ancora, la parte privata richiama le
sentenze della Corte costituzionale n. 88 del 1979
e n. 184 del
1986, a sostengo di un completo ristoro nel caso di lesione di diritti
tutelati dalla Costituzione (il diritto alla salute ex art. 32 Cost. sarebbe l’unico espressamente dichiarato «fondamentale»
dalla Costituzione stessa).
10.3. — F.L.
assume anche il contrasto delle disposizioni censurate con l’art. 117, primo
comma, Cost. stante la violazione dell’art. 6, paragrafo 1, CEDU in tema di
diritto all’equo processo (obbligo imposto anche dall’art. 47 della Carta UE).
La CEDU ha affermato che, sebbene non
sia precluso al legislatore in materia civile di adottare nuove disposizioni
retroattive per regolare diritti derivanti da una legge esistente, il principio
dello stato di diritto e la nozione di giusto processo di cui all’art. 6 CEDU
impediscono qualsiasi ingerenza del legislatore – salvo che per impellenti
motivi di interesse generale – nell’amministrazione della giustizia volta ad
influenzare la decisione giudiziaria di una singola controversia (tra le tante,
CEDU,
Grande Camera, 29 marzo 2006, Scordino contro Italia).
Ad avviso della parte privata, nel caso
di specie, lo Stato parte in causa ha assunto il ruolo di Stato legislatore, al
fine di emanare una norma che nega al ricorrente il riconoscimento del proprio
diritto alla rivalutazione e che, nell’interpretazione denegata, verrebbe ad
incidere sull’esito di un giudizio in corso assegnando un indebito vantaggio
all’amministrazione convenuta e cancellando gli effetti di una precedente
sentenza favorevole.
Detti principi sono stati ribaditi dalla
CEDU nella sentenza
21 giugno 2007, Scanner e altri contro Francia, secondo cui si verifica
un’ingerenza nei diritti processuali qualora una legge sia stata introdotta
dopo l’inizio del processo avviato dal privato contro lo Stato, (…) senza fare
salvi i processi pendenti prima della sua entrata in vigore, nonché nella sentenza
11 febbraio 2010, Javague contro Francia, in base
alla quale lo Stato aveva compromesso i diritti dei ricorrenti garantiti dall’art.
6, intervenendo in maniera decisiva per orientare in suo favore l’esito
imminente della procedura di cui era parte.
La parte privata ricorda come la CEDU –
nelle citate sentenze – abbia affermato che «i motivi imperativi di interesse
generale» che potrebbero giustificare l’applicazione delle norme retroattive
con incidenza sui giudizi pendenti, non si possono ravvisare nelle mere
esigenze finanziarie connesse al rischio derivante dalla soccombenza nei
giudizi avviati dallo Stato amministrazione.
Si richiama anche la sentenza della
Corte costituzionale n. 311 del 2009, nella quale si è riconosciuta la
potenziale incompatibilità con il principio del giusto processo di interventi
legislativi sopravvenuti che modifichino retroattivamente in senso sfavorevole
per gli interessati le disposizioni di legge attributive di diritti, la cui
lesione abbia dato luogo ad azioni giudiziarie ancora pendenti all’epoca della
modifica.
Alla luce della giurisprudenza della
CEDU e costituzionale richiamata appare evidente, ad avviso della parte
privata, che la norma di interpretazione autentica censurata abbia lo scopo di
interferire indebitamente sulle iniziative giudiziarie già promosse nei
confronti dello Stato al fine di tutelarne gli interessi finanziari in assenza
di motivi imperiosi di carattere generale, con violazione dell’art. 117, primo
comma, Cost. per il tramite dell’art. 6 CEDU.
10.4. — La parte privata deduce anche la
violazione dell’art. 3 Cost. e dell’art. 117, primo comma, Cost. in relazione
all’art. 14 CEDU, letto congiuntamente agli artt. 2 (diritto alla vita) e 8
(diritto al rispetto della vita privata e familiare) CEDU e all’art. 1 del
Protocollo n. 1 (diritto al rispetto dei beni), e in relazione all’art. 21
della Carta UE.
Infatti, ad avviso della parte privata,
le disposizioni censurate determinano una disparità di trattamento
irragionevole tra vaccinati obbligatori (per i quali l’art. 1, comma 4, della
legge n. 229 del 2005 ha sancito la rivalutabilità
annuale dell’intero importo dell’indennizzo) e affetti da sindrome da talidomide (con decreto ministeriale del 2 ottobre 2009, n.
163 il legislatore ha ribadito il principio della integrale rivalutazione
annuale dell’indennizzo), da un lato, e soggetti emotrasfusi, dall’altro.
L’esistenza di una «differenza di
trattamento» presuppone l’analogia o compatibilità delle situazioni che vengono
in rilievo (in tal senso, CEDU
18 febbraio 1999, Larkos contro Cipro; 27
marzo 1998, Petrovic contro Austria; 18
febbraio 1991, Fredin contro Svezia) e, per non
incorrere nella violazione dell’art. 14 CEDU, si deve fondare su di una
giustificazione oggettiva e ragionevole (CEDU
23 luglio 1968, Affare linguistico belga).
La parte privata richiama, al riguardo,
una recente sentenza che ha riconosciuto la violazione dell’art. 14 CEDU, letto
congiuntamente all’art. 2, in relazione al diverso trattamento riservato a
soggetti talassemici contagiati da emoderivati infetti rispetto a quello
riservato a soggetti emofiliaci infettati allo stesso modo (sentenza
30 aprile 2009, Glor contro Svizzera; nel senso
del divieto di discriminazione fondata sulle caratteristiche genetiche e sulla
disabilità anche CEDU
1° dicembre 2009, G. N. e altri contro Italia).
11. — Con atto depositato in data 20
giugno 2011, è intervenuto il Presidente del Consiglio del ministri,
rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la
questione sia dichiarata infondata. La difesa erariale riporta sostanzialmente,
in riferimento ai parametri costituzionali evocati (art. 3 e 32 Cost.), le
medesime argomentazioni di cui agli atti
di intervento negli altri giudizi di cui sopra, precisando, nel caso di specie,
la erroneità della indicazione dell’art. 25 CEDU, in quanto trattasi di norma
non vertente in materia di diritto alla salute.
12. — Con atto depositato in data 27
giugno 2011 è intervenuto il Coordinamento nazionale danneggiati da vaccino, in
persona del Presidente pro-tempore,
chiedendo che sia dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale delle disposizioni censurate per
contrasto con gli artt. 2, 3, 24, 25, 32, 38, 77, 101, 104, 111 e 117 Cost.,
nonché con gli artt. 2, 14, 35 della CEDU, e per l’effetto, che sia
dichiarata la illegittimità
costituzionale dell’art. 11, commi 13 e 14, d.l. 31 maggio 2010, n. 78,
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122
13. — In data 27 luglio 2011, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria illustrativa, con
la quale, nel riportarsi a quanto già dedotto con l’atto di intervento, chiede
dichiararsi la inammissibilità dell’intervento del Coordinamento nazionale
danneggiati da vaccino nonché infondata la questione di legittimità costituzionale.
14. — Il Tribunale di Alessandria, in
funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 15 dicembre 2010 (r. o. n. 98
del 2011) ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38, primo comma, Cost.,
questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 13, d.l. 31 maggio
2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010
14.1. — Il rimettente premette che, nel
giudizio principale, il ricorrente, quale beneficiario dal maggio del 2001,
dell’indennizzo previsto dalla legge n. 210 del 1992, ha chiesto l’accertamento
del diritto a ricevere la rivalutazione monetaria dell’indennità integrativa
speciale di cui all’art. 2, comma 2, della medesima legge.
Il giudice a quo sottolinea che la giurisprudenza, a partire da Cassazione, sentenza
n. 15894 del 2005, ha sempre interpretato la disposizione, di cui all’art. 2
della legge n. 210 del 1992, nel senso della rivalutabilità
della componente di cui al comma 2 dell’art. 2 della legge n. 210 del 1992.
Tale principio è stato seguito anche dalla giurisprudenza di merito prevalente.
Con la sentenza 13 ottobre 2009, n.
21703, confermata dalla sentenza 19 ottobre 2009, n. 22212, la Corte di
cassazione si è discostata da tale orientamento statuendo che la rivalutazione
non è dovuta sulla integrazione. I giudici di merito, nonostante ciò,
continuano ad adeguarsi al precedente orientamento, riconoscendo la
rivalutazione monetaria dell’intero indennizzo.
Il giudice a quo, dopo aver riportato il contenuto delle disposizioni
censurate, la cui adozione sarebbe scaturita
dalla riferita difformità interpretativa in ordine all’art. 2, comma 2,
della legge n. 2010 del 1992, pone in rilievo come, sulla base di tale
intervento normativo, il ricorso del giudizio principale sarebbe da rigettare.
Da qui la rilevanza della questione di legittimità costituzionale.
14.2. — Sotto il profilo della non
manifesta infondatezza, ad avviso del giudice a quo, la norma censurata, che avrebbe effettivamente natura
interpretativa e non innovativa, contrasterebbe con gli artt. 3 e 38, primo
comma, Cost.
Il rimettente osserva che gli indennizzi
ai soggetti affetti da epatite post-trasfusionale hanno natura assistenziale e
non di «equo ristoro» della salute lesa (sentenza della
Corte costituzionale n. 342 del 2006). Ricorda che, in ordine a tali misure
di sostegno, la giurisprudenza costituzionale ha anche affermato che «il
diritto a misure di sostegno assistenziale in caso di malattia, alla stregua
dell’art. 38 Cost., non è indipendente dal necessario intervento del
legislatore nell’esercizio dei suoi poteri di apprezzamento della qualità,
della misura e delle modalità di erogazione delle provvidenze da adottarsi,
nonché della loro gradualità, in relazione a tutti gli elementi di natura
costituzionale in gioco, compresi quelli finanziari, la cui ponderazione
rientra nell’ambito della sua discrezionalità». È stato, inoltre, sottolineato
che non mancano «alla Corte gli strumenti di controllo delle scelte del legislatore
sotto il profilo specialmente del rispetto della parità di trattamento e del
nucleo minimo della garanzia, ma tali strumenti non le consentono di sostituire
alle necessarie valutazioni politiche del legislatore una propria decisione
che, in mancanza di criteri giuridico-costituzionali
predeterminati, si risolverebbe in un’esorbitanza in un campo che non le è
proprio e nel quale trovano applicazione gli strumenti ordinari dell’assistenza
sociale anche in relazione alle menomazioni alla salute di cui è questione» (sentenza n. 226 del
2000).
Il rimettente richiama, altresì, la
giurisprudenza della Corte costituzionale secondo cui ai crediti per le
prestazioni assistenziali previste dal primo comma dell’art. 38 Cost. deve
essere concessa la medesima tutela attribuita ai crediti previdenziali contro i
danni da ritardo dell’adempimento (art. 429, terzo comma, del codice di
procedura civile). In particolare, le prestazioni assistenziali di cui al primo
comma dell’art. 38 Cost. hanno lo scopo di garantire ai cittadini inabili e
bisognosi «il minimo esistenziale, i mezzi necessari per vivere», mentre il
secondo comma dello stesso articolo garantisce non soltanto la soddisfazione
dei bisogni alimentari di pura sussistenza materiale, bensì anche il
soddisfacimento di ulteriori esigenze relative al tenore di vita dei lavoratori
(sentenza n. 196
del 1993).
Pertanto, ad avviso del rimettente, se
la esclusione di un meccanismo di difesa dai mutamenti del potere di acquisto
incidesse negativamente sulla adeguatezza delle prestazioni previdenziali
(sulla perequazione dei trattamenti pensionistici sono richiamate le sentenze n. 316 del 2010;
n. 372 del 1998;
n. 31 del 1986;
n. 349 del 1985),
tale conclusione dovrebbe valere anche per le prestazioni assistenziali, stante
il principio di «maggiore meritevolezza» di cui alla sentenza n. 196 del
1993.
La previsione della mancata
rivalutazione della somma corrispondente all’importo della indennità
integrativa speciale non assicura, stante la svalutazione monetaria, la
conservazione del potere di acquisto dell’importo ritenuto in origine adeguato.
Da qui il dubbio di incostituzionalità della disposizione censurata in
riferimento agli artt. 3 e 38 primo comma, Cost., sotto il profilo della
ragionevolezza e della adeguatezza delle prestazioni assistenziali.
Quanto all’evocato art. 3 Cost., come
parametro di ragionevolezza, il rimettente osserva che la Corte di cassazione,
sezione lavoro, sentenza n. 21703 del 2009, ha identificato la ratio della integrazione dell’indennizzo
di cui all’art. 2, comma 1, della legge n. 210 del 1992 con una somma
corrispondente alla indennità integrativa speciale nella necessità di impedire
o attenuare gli effetti della svalutazione monetaria. La disposizione
censurata, nell’escludere la rivalutazione della detta componente
dell’indennizzo, appare irragionevole in quanto contraria alla funzione di
essa.
15. — Con atto depositato in data 20
giugno 2011 è intervenuto il Presidente del Consiglio del ministri,
rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la
questione sia dichiarata infondata.
In particolare, la difesa erariale nega
che dalla finalità essenzialmente solidaristica e assistenziale
dell’indennizzo, nel caso di danni determinati da emotrasfusione, si possa fare
discendere un necessario adeguamento di tutte le sue componenti, compresa
quella commisurata all’indennità integrativa speciale, pena la violazione del
contenuto economico del diritto e la conseguente violazione dell’art. 38 Cost.
In primo luogo, ad avviso del Presidente
del Consiglio dei ministri, dall’eccezione di illegittimità costituzionale per
violazione dell’art. 38 Cost., resterebbero irragionevolmente fuori i casi dei
soggetti aventi diritto all’indennizzo in quanto danneggiati da vaccinazione
obbligatoria, per i quali il fondamento del beneficio risiede negli artt. 2 e
32 Cost.
Inoltre, il fatto che l’istituto
assistenziale prescinda completamente dalle condizioni reddittuali
dell’avente diritto comporta che il riferimento all’art. 38 Cost. vada letto in
senso ampio, senza necessariamente desumerne la necessità di un adeguamento al
costo della vita di tutte le componenti dell’indennizzo.
Infine, se la Corte costituzionale,
nella sentenza
n. 27 del 1998, ha ritenuto che la mancata previsione del diritto agli
interessi e alla rivalutazione sull’assegno una
tantum non ne comporti l’iniquità nel senso di renderlo talmente esiguo da
ridurlo ad un «nome privo di concreto contenuto», ciò, ad avviso del Presidente
del Consiglio dei ministri, dovrebbe a maggior ragione valere anche nel caso
della mancata previsione della rivalutazione di una sola componente
dell’indennizzo, stante l’identità di scopo dell’assegno una tantum e dell’indennizzo stesso, entrambi finalizzati a
compensare – rispettivamente per il passato e per il futuro – il danno alla
salute provocato da trattamenti sanitari leciti. Nel caso di specie, peraltro,
un adeguamento di valore dell’indennizzo nel corso del tempo sarebbe comunque assicurato
dal meccanismo della rivalutazione annuale riguardante la sola componente
"assegno”.
16. — Con atto depositato in data 27
giugno 2011 è intervenuto il Coordinamento nazionale danneggiati da vaccino, in
persona del Presidente pro-tempore,
chiedendo che sia dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale delle disposizioni censurate per
contrasto con gli artt. 2, 3, 24, 25, 32, 38, 77, 101, 104, 111 e 117 Cost.,
nonché con gli artt. 2, 14, 35 della CEDU, e per l’effetto, la illegittimità
costituzionale dell’art. 11, commi 13 e 14, del d.l. n. 78 del 2010,
convertito, con modificazioni,dalla legge n. 122 del 2010.
17. — Il Tribunale di Alessandria, in
funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 18 gennaio 2011 (r o. n. 88
del 2011) ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38, primo comma, Cost.,
questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 13, d.l. n. 78 del
2010, convertito, con modificazioni, nella legge n. 122 del 2010.
17.1. — Il rimettente premette che, nel
giudizio principale, il ricorrente, quale beneficiario dal maggio del 2001
dell’indennizzo previsto dalla legge n. 210 del 1992, ha chiesto l’accertamento
del diritto a percepire la rivalutazione monetaria dell’indennità integrativa
speciale di cui all’art. 2, comma 2, della medesima legge.
Il giudice a quo, a sostegno della detta questione, svolge le medesime
argomentazioni di cui alla ordinanza del 15 dicembre 2010 (r. o. n. 98 del
2011).
18. — Con atto depositato in data 14
giugno 2011, è intervenuto il Presidente del Consiglio del ministri,
rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la
questione sia dichiarata non fondata sulla base delle medesime argomentazioni
di cui all’atto di intervento nel giudizio r. o. n. 98 del 2011.
Considerato in diritto
1. — I Tribunali di Reggio Emilia,
Parma, Tempio Pausania e Alessandria, tutti in funzione di giudici del lavoro,
con le sei ordinanze indicate in epigrafe hanno nel complesso sollevato – in
riferimento agli articoli 3, 24, 25 comma primo, 32, 38, 102, 104, 111, 117,
primo comma, della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale degli
articoli 11, commi 13 e 14, decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti
in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica),
convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 30 luglio
2010, n. 122.
2. — I rimettenti premettono che, nei
giudizi principali, le parti ricorrenti, quali beneficiarie dell’indennizzo
previsto dalla legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti
danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni
obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), come modificata
dalla legge 25 luglio 1997, n. 238 (Modifiche e integrazioni alla legge 25
febbraio 1992, n. 210, in materia di indennizzi ai soggetti danneggiati da
vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni ed emoderivati), avendo contratto
epatite HCV a seguito di trasfusioni, hanno chiesto l’accertamento del diritto
a riscuotere la rivalutazione monetaria, sulla base del tasso d’inflazione
programmato, della somma corrispondente all’importo dell’indennità integrativa
speciale di cui all’art. 2, comma 2, della medesima legge, costituente parte
integrante dell’indennizzo in godimento.
Dopo aver dato atto dei contrasti emersi
sul punto nella giurisprudenza di legittimità, i giudici a quibus considerano non manifestamente infondate le questioni di
legittimità costituzionale della normativa censurata (ovvero l’art. 11, commi
13 e 14, comma, quest’ultimo, censurato da tutti i giudici a quibus, salvo il Tribunale di Alessandria, del d.l. n. 78 del
2010), convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge n. 122
del 2010, ritenendo che essa violi:
(r. o. nn. 17, 57, 58 del 2011):
a) l’art. 3 Cost., sotto il profilo
della ragionevolezza e dell’uguaglianza, per l’illegittima disparità di
trattamento tra coloro il cui indennizzo, per effetto del d.l. n. 78 del 2010,
non potrà essere rivalutato e coloro che riscuotono l’indennizzo rivalutato
sulla base delle sentenze che hanno riconosciuto il relativo diritto, nonché
tra i titolari di indennizzo non rivalutato e gli altri titolari di prestazioni
pensionistiche e assistenziali, in particolar modo i vaccinati e le persone
affette da sindrome da talidomide, per i quali
l’indennizzo è integralmente rivalutato ex
lege;
b) l’art. 117, primo comma, Cost.,
stante la violazione delle norme convenzionali di cui all’art. 2 della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali (d’ora in avanti, CEDU), ratificata e resa esecutiva in Italia con
legge 4 agosto 1955, n. 848, norma che tutela il diritto alla vita, nonché di
cui all’art. 14 della medesima CEDU che sancisce il divieto di discriminazione,
in quanto, tenuto conto della giurisprudenza della Corte europea dei diritti
dell’uomo sul concetto di distinzione discriminatoria – da ritenere tale se
manca di una giustificazione obiettiva e ragionevole e, cioè, se la distinzione
non persegua uno scopo legittimo o se non c’è un rapporto di ragionevole
proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo prefissato – sarebbe
palesemente irragionevole ed illegittima la discriminazione tra coloro che
hanno già ottenuto la rivalutazione dell’indennizzo di cui alla legge n. 210
del 1992 e coloro che sono ancora in attesa del riconoscimento, e tra questi
ultimi e gli altri titolari di indennizzo, in particolar modo i vaccinati e gli
affetti da sindrome da talidomide;
c) l’art. 32 Cost., che tutela il
diritto alla salute, nonché l’art. 117, primo comma, Cost., stante la
violazione dell’art. 35 CEDU (recte:
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea), che tutela la salute
quale bene primario cui dover garantire «un livello elevato di protezione»
nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche e attività
dell’Unione, in quanto la misura dell’indennizzo, ritenuta non rivalutabile per
intero nelle sue componenti, non sarebbe equa rispetto al danno subìto, da
riferire al pregiudizio alla salute, avuto riguardo alla progressiva elusione a
causa della svalutazione monetaria;
d) gli artt. 25, primo comma, 101, 102,
104, 111 Cost., in quanto, per l’ingerenza attraverso le disposizioni censurate
del potere legislativo su quello giudiziario, sarebbero lesi l’indipendenza e
l’autonomia della funzione giudiziaria, il principio del giudice naturale
precostituito per legge e il diritto del cittadino ad un giusto processo;
e) l’art. 24 Cost., perché le
disposizioni censurate, nel fare salve le pronunzie giurisdizionali passate in
giudicato alla data di entrata in vigore della norma, creerebbero una
ingiustificata disparità di trattamento tra coloro che hanno già ottenuto una
decisione favorevole alla rivalutazione e coloro che sono ancora sub iudice o
che non hanno ancora adito l’autorità giudiziaria ovvero che hanno ottenuto
sentenze favorevoli non passate in giudicato, onde sarebbe vanificato il
diritto del cittadino alla tutela giurisdizionale. Inoltre, il ius superveniens comporterebbe, di
fatto, una estinzione dei processi in corso e, dunque, una sostanziale
vanificazione della via giurisdizionale quale mezzo per attuare un diritto
preesistente, con violazione del diritto di azione;
f) gli artt. 102 e 113 (recte: 111) Cost., in quanto
l’estinzione automatica di tutti i giudizi pendenti comporterebbe una
illegittima interferenza del potere legislativo nella sfera della
giurisdizione.
Sarebbero altresì violati:
(r. o. n. 97 del 2011):
g) l’art. 3 Cost., sotto il profilo
della ragionevolezza e dell’uguaglianza, per la illegittima disparità di
trattamento tra coloro il cui indennizzo ai sensi della legge n. 210 del 1992,
per effetto del d.l. n. 78 del 2010, non potrà essere rivalutato e coloro che
riscuotono l’indennizzo rivalutato sulla base delle sentenze conformi
all’orientamento giurisprudenziale favorevole alla rivalutazione, nonché tra i
titolari del detto indennizzo non rivalutato e gli altri titolari di
prestazioni pensionistiche o assistenziali, in particolare i vaccinati e le
persone affette da sindrome da talidomide, per i
quali l’indennizzo è integralmente rivalutato ex lege;
h) l’art. 32 Cost., in quanto la misura
dell’indennizzo, ritenuta non rivalutabile per l’intero nelle sue componenti,
non sarebbe equa rispetto al danno subìto da riferire al pregiudizio alla
salute, avuto riguardo alla progressiva erosione conseguente alla svalutazione
monetaria.
Infine, risulterebbero violati
(r. o. nn. 88 e 98 del 2011):
i) l’art. 3 Cost., sotto il profilo
della ragionevolezza, perché la disciplina censurata, nel prevedere la non rivalutabilità della somma corrispondente all’importo
dell’indennità integrativa speciale di cui all’art. 2, comma 2, della legge n.
210 del 1992, sarebbe irragionevole siccome contraria alla funzione stessa di
detta indennità, identificata dalla Corte di cassazione (sentenza n. 21703 del
2009) nella necessità d’impedire o attenuare gli effetti della svalutazione
monetaria;
l) l’art. 38, primo comma, Cost., sotto
il profilo della adeguatezza delle prestazioni assistenziali, in quanto,
premesso che l’indennizzo corrisposto ai soggetti affetti da epatite o HIV
post-trasfusionale concreta una misura di sostegno economico fondata sulla
solidarietà collettiva a fronte di eventi generanti una situazione di bisogno,
la previsione della mancata rivalutazione della somma corrispondente
all’importo dell’indennità integrativa speciale non assicura, stante la
svalutazione monetaria, la conservazione del potere di acquisto della somma
ritenuta in origine adeguata.
3. — Le sei ordinanze indicate in
epigrafe censurano la medesima normativa (art. 11, commi 13 e 14, d.l. n. 78
del 2010, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n.
122 del 2010), con argomentazioni identiche o analoghe. Pertanto, i relativi
giudizi di legittimità costituzionale devono essere riuniti, per essere
definiti con unica decisione.
4. — Gli interventi, di cui in
narrativa, spiegati da AMEV (Associazione Malati Emotrasfusi e Vaccinati), in
persona del presidente pro-tempore,
dai numerosi associati aderenti a tale sodalizio, indicati nell’atto
d’intervento depositato il 22 febbraio 2011, da L. M. G. e dal Coordinamento
Nazionale Danneggiati da Vaccino, in persona del legale rappresentante p. t.,
sono inammissibili.
Invero, premesso che i suddetti
intervenienti non risultano essere parti nei giudizi a quibus, per costante giurisprudenza di questa Corte sono ammessi
ad intervenire nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale (oltre al
Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso di legge regionale, al
Presidente della Giunta regionale), le sole parti del giudizio principale.
L’intervento di soggetti estranei a questo è ammissibile soltanto per i terzi
titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al
rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari
di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura (ex plurimis: ordinanza letta
all’udienza del 23 marzo 2010, confermata con sentenza n. 138 del
2010; ordinanza
letta all’udienza del 31 marzo 2009, confermata con sentenza n. 151 del
2009; sentenze n. 94 del 2009,
n. 96 del 2008,
n. 245 del 2007).
Del resto, l’ammissibilità
dell’intervento ad opera di un terzo, titolare di un interesse soltanto analogo
a quello dedotto nel giudizio principale, contrasterebbe con il carattere incidentale
del giudizio di legittimità costituzionale, in quanto l’accesso delle parti al
detto giudizio avverrebbe senza previa verifica della rilevanza e della non
manifesta infondatezza della questione da parte del giudice a quo.
Da quanto esposto consegue
l’inammissibilità degli interventi sopra indicati.
5. — La questione è fondata, con
riferimento ai profili di seguito indicati.
La legge n. 210 del 1992, modificata
dalla legge n. 238 del 1997, stabilisce che «Chiunque abbia riportato, a causa di
vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria
italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione
permanente della integrità psicofisica, ha diritto ad un indennizzo da parte
dello Stato, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla presente legge» (art.
1, comma 1). Il medesimo art. 1, comma 3, dispone che «I benefici di cui alla
presente legge spettano altresì a coloro che presentino danni irreversibili da
epatiti post-trasfusionali».
L’art. 2, comma 1, della citata legge n.
210 del 1992 (e successive modificazioni) aggiunge che l’indennizzo de quo «consiste in un assegno,
reversibile per quindici anni, determinato nella misura di cui alla tabella B
allegata alla legge 29 aprile 1976, n. 177, come modificata dall’articolo 8
della legge 2 maggio 1984, n. 111. L’indennizzo è cumulabile con ogni altro
emolumento a qualsiasi titolo percepito ed è rivalutato annualmente sulla base
del tasso d’inflazione programmato».
L’art. 2, comma 2 (primo periodo), della
medesima legge prevede che l’indennizzo in questione sia integrato da una somma
corrispondente all’importo dell’indennità integrativa speciale, di cui alla
legge 27 maggio 1959, n. 324 (Miglioramenti economici al personale statale in
attività ed in quiescenza), e successive modificazioni, contemplata per la
prima qualifica funzionale degli impiegati civili dello Stato.
La rivalutazione su base annua, secondo
il tasso d’inflazione programmato, dell’assegno disciplinato dall’art. 2, comma
1, della legge n. 210 del 1992 non era prevista dal testo iniziale di detta
disposizione. Essa fu introdotta con l’art. 1, comma 1, della legge n. 238 del
1997. Nulla, invece, fu disposto al riguardo per la seconda componente
dell’indennizzo, cioè per la somma corrispondente all’importo dell’indennità
integrativa speciale, ancorché questa avesse per l’appunto funzione integrativa
dell’indennizzo medesimo.
Sulla possibilità di rivalutare o meno
la detta somma la giurisprudenza di legittimità si è espressa in modo
contrastante (in senso favorevole alla rivalutazione, Corte di cassazione,
sezione lavoro, sentenze del 27 agosto 2007, n. 18109 e del 28 luglio 2005, n.
15894, secondo cui l’importo bimestrale corrisposto agli aventi diritto
all’indennizzo deve essere rivalutato secondo il tasso d’inflazione annualmente
programmato, sia con riferimento all’assegno di cui all’art. 2, comma 1, della
legge n. 210 del 1992, sia con riferimento alla somma prevista dall’art. 2,
comma 2, della medesima legge; in senso contrario, Corte di cassazione, sezione
lavoro, sentenza del 19 ottobre 2009, n. 22112 e 13 ottobre 2009, n. 21703,
secondo le quali la possibilità di rivalutare la somma de qua sarebbe esclusa sia dal dato testuale, sia dal rilievo che
l’indennità integrativa speciale avrebbe proprio la funzione di attenuare o
impedire gli effetti della svalutazione monetaria, onde sarebbe ragionevole che
ne sia esclusa la rivalutabilità).
La giurisprudenza di merito ha in
prevalenza seguito il primo orientamento.
In questo quadro, è intervenuta la
normativa censurata, recata dall’art. 11, commi 13 e 14, del d. l. n. 78 del
2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010.
In particolare, il citato art. 11, comma
13, ha disposto che «Il comma 2 dell’articolo 2 della legge 25 febbraio 1992,
n. 210 e successive modificazioni si interpreta nel senso che la somma
corrispondente all’importo dell’indennità integrativa speciale non è rivalutata
secondo il tasso d’inflazione». Il successivo comma 14 ha stabilito che «Fermo
restando gli effetti esplicati da sentenze passate in giudicato, per i periodi
da esse definiti, a partire dalla data di entrata in vigore del presente
decreto cessa l’efficacia di provvedimenti emanati al fine di rivalutare la
somma di cui al comma 13, in forza di un titolo esecutivo. Sono fatti salvi gli
effetti prodottisi fino alla data di entrata in vigore del presente decreto».
5.1. — Tale disciplina non è conforme al
parametro dettato dall’art. 3, primo comma, Cost., in quanto risulta in
violazione del principio di uguaglianza.
Va premesso che, come questa Corte ha
già chiarito, la menomazione della salute conseguente a trattamenti sanitari
può determinare, oltre al risarcimento del danno in base alla previsione
dell’art. 2043 del codice civile, il diritto ad un equo indennizzo, in forza
dell’art. 32 in collegamento con l’art. 2 Cost., qualora il danno, non
derivante da fatto illecito, sia conseguenza dell’adempimento di un obbligo
legale, come la sottoposizione a vaccinazioni obbligatorie (fattispecie alla
quale è stato assimilato il caso in cui il danno sia derivato da un trattamento
sanitario che, pur non essendo giuridicamente obbligatorio, sia tuttavia, in
base ad una legge, promosso dalla pubblica autorità in vista della sua
diffusione capillare nella società: sentenza n. 27 del
1998); nonché il diritto, qualora ne sussistano i presupposti a norma degli
artt. 2 e 38, secondo comma, Cost., a misure di sostegno assistenziale disposte
dal legislatore nell’ambito della propria discrezionalità (sentenze n. 342 del 2006,
n. 226 del 2000
e n. 118 del 1996).
La situazione giuridica di coloro che, a
seguito di trasfusione, siano affetti da epatite è riconducibile all’ultima
delle ipotesi ora indicate. E il legislatore, nell’esercizio dei suoi poteri
discrezionali, è intervenuto con la legge n. 210 del 1992, prevedendo (tra l’altro)
un indennizzo consistente in una misura di sostegno economico, fondato sulla
solidarietà collettiva garantita ai cittadini, alla stregua dei citati artt. 2
e 38 Cost., a fronte di eventi generanti una situazione di bisogno (sentenza n. 342 del
2006, punto 3 del Considerato in diritto),
misura che trova fondamento nella insufficienza dei controlli sanitari
predisposti nel settore (sentenza n. 28 del
2009).
Le scelte del legislatore,
nell’esercizio dei suoi poteri di apprezzamento della qualità, della misura,
della gradualità e dei modi di erogazione delle provvidenze da adottare,
rientrano nella sfera della sua discrezionalità. Tuttavia, compete a questa
Corte verificare che esse non siano affette da palese arbitrarietà o
irrazionalità, ovvero non comportino una lesione della parità di trattamento o
del nucleo minimo della garanzia (sentenze n. 342 del 2006
e n. 226 del
2000).
Ciò posto, si deve rilevare che con
l’art. 2, comma 363, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria
2008), è stato disposto che «L’indennizzo di cui all’articolo 1 della legge 29
ottobre 2005, n. 229, è riconosciuto, altresì, ai soggetti affetti da sindrome
da talidomide, determinata dalla somministrazione
dell’omonimo farmaco, nelle forme dell’amelia, dell’emimelia, della focomelia e della macromelia».
L’art. 1 della legge 29 ottobre 2005, n.
229 (Disposizioni in materia di indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da
complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie) rinvia,
a sua volta, ai soggetti di cui all’art. 1, comma 1, della legge n. 210 del
1992 e disciplina l’ulteriore indennizzo ai medesimi spettante, determinandone
importo e modalità di erogazione (comma 1). Il comma 4 della norma statuisce
che «L’intero importo dell’indennizzo, stabilito ai sensi del presente
articolo, è rivalutato annualmente in base alla variazione degli indici ISTAT».
Per il richiamo effettuato dalla legge n. 24 del 2007 all’intero art. 1 della
legge n. 229 del 2005 anche quest’ultima disposizione si applica all’indennizzo
riconosciuto ai soggetti affetti da sindrome da talidomide.
Del resto, il regolamento di esecuzione dell’art. 2, comma 363, della legge n.
244 del 2007, recato dal decreto ministeriale del 2 ottobre 2009, n. 163 (Regolamento di
esecuzione dell'articolo 2, comma 363, della legge 24 dicembre 2007, n. 244,
che riconosce un indennizzo ai soggetti affetti da sindrome da talidomide, determinata dalla somministrazione dell'omonimo
farmaco), ribadisce nell’art. 1, comma 4, che l’importo dell’indennizzo
suddetto «è interamente rivalutato annualmente in base alla variazione degli
indici ISTAT».
Orbene, come già chiarito da questa
Corte, non è ravvisabile irrazionale disparità di trattamento dei soggetti
danneggiati in modo irreversibile da emotrasfusioni rispetto a quanti abbiano
ricevuto una menomazione permanente alla salute da vaccinazioni obbligatorie,
trattandosi di situazioni diverse che non si prestano ad entrare in una visione
unificatrice (sentenza
n. 423 del 2000 e ordinanza n. 522
del 2000).
Non altrettanto, però, può dirsi per la
situazione delle persone affette da sindrome da talidomide.
Invero, la ratio del beneficio
concesso a tali persone è da ravvisare nell’immissione in commercio del detto
farmaco in assenza di adeguati controlli sanitari sui suoi effetti, sicché esso
ha fondamento analogo, se non identico, a quello del beneficio introdotto
dall’art. 1, comma 3, della legge n. 210 del 1992. Nella sindrome da talidomide, come nell’epatite post-trasfusionale, i danni
irreversibili subiti dai pazienti sono derivati da trattamenti terapeutici non
legalmente imposti e neppure incentivati e promossi dall’autorità nell’ambito
di una politica sanitaria pubblica. Entrambe le misure hanno natura
assistenziale, basandosi sulla solidarietà collettiva garantita ai cittadini alla
stregua degli artt. 2 e 38 Cost.
In questo quadro non si giustifica, e
risulta, quindi, fonte di una irragionevole disparità di trattamento in
contrasto con l’art. 3, comma primo, Cost., la situazione venutasi a creare, a
seguito della normativa censurata, per le persone affette da epatite
post-trasfusionale rispetto a quella dei soggetti portatori della sindrome da talidomide.
A questi ultimi è riconosciuta la
rivalutazione annuale dell’intero indennizzo, mentre alle prime la
rivalutazione (sulla base del tasso di inflazione programmato: art. 2, comma 1,
legge n. 210 del 1992) è negata proprio sulla componente diretta a coprire la
maggior parte dell’indennizzo stesso, con la conseguenza, tra l’altro, che
soltanto questo rimane esposto alla progressiva erosione derivante dalla
svalutazione. E ciò ad onta delle caratteristiche omogenee come sopra
riscontrate tra i due benefici.
La tesi della difesa dello Stato,
secondo cui essi in realtà resterebbero differenziati ab origine, «nel senso che il relativo ammontare è comunque diverso»,
anche a prescindere dalla rivalutabilità o meno della
componente commisurata alla indennità integrativa speciale inclusa nella base
di calcolo, non può essere condivisa. Infatti, il diverso ammontare
dell’indennizzo attiene alla determinazione del quantum e, quindi, risponde a legittime scelte discrezionali del
legislatore che non sono qui in discussione. Esse, comunque, non incidono sulle
ragioni unificanti sopra evidenziate.
Conclusivamente, alla stregua delle
esposte considerazioni, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale
dell’art. 11, comma 13, del d. l. n.78 del 2010, convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge n. 122 del 2010. La declaratoria riguarda
anche il successivo comma 14, trattandosi di disposizione strettamente connessa
alla precedente, in quanto diretta a regolare gli effetti intertemporali della
norma interpretativa, della quale, dunque, segue la sorte.
Ogni altro profilo resta assorbito.
per
questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 11,
commi 13 e 14, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in
materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica),
convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, legge 30 luglio 2010,
n. 122.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 novembre 2011.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Alessandro CRISCUOLO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 9 novembre 2011.