SENTENZA N. 39
ANNO 1993
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Giudici
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 13, primo comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica) di interpretazione autentica dell'art. 52, secondo comma, della legge 9 marzo 1989, n. 88 (Ristrutturazione dell'Istituto nazionale della previdenza sociale e dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 7 febbraio 1992 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto dall'I.N.P.S. contro Ferrari Tenca Luisa, iscritta al n.235 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 1992;
2) ordinanza emessa il 12 maggio 1992 dal Pretore di Trieste nel procedimento civile vertente tra Tomasi Anna ed altra e l'I.N.P.S., iscritta al n. 363 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.29, prima serie speciale, dell'anno 1992.
Visti gli atti di costituzione di Ferrari Tenca Luisa, di Stener Maddalena e dell'I.N.P.S. nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 3 novembre 1992 il Giudice relatore Francesco Greco;
uditi gli avvocati Felice Assennato e Franco Agostini per Ferrari Tenca Luisa, Salvatore Cabibbo per Stener Maddalena, Fabrizio Ausenda, Giancarlo Perone e Tiziano Treu per l'I.N.P.S..
Ritenuto in fatto
1. - Il Tribunale di Milano, con sentenza del 18 ottobre 1989, in grado di appello accoglieva la domanda proposta da Gilardi Maria, titolare di pensione di reversibilità e di pensione diretta di vecchiaia, contro l'I.N.P.S. intesa ad ottenere la declaratoria di irripetibilità, ai sensi dell'art. 52 della legge n. 88 del 1989, della somma corrispondente alla quota fissa di contingenza sulla pensione di reversibilità, secondo l'I.N.P.S. non dovuta in quanto già riscossa sulla pensione diretta, in violazione del divieto di cumulo di cui all'art. 19 della legge 21 dicembre 1978, n.843.
L'I.N.P.S. ricorreva in Cassazione. La Corte ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 38, 101, 104 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, primo comma, della legge 30 dicembre 1991, n.412, definita di interpretazione autentica della predetta norma.
Ha anzitutto ritenuto la rilevanza della questione poichè la norma denunciata opera retroattivamente, e quindi è applicabile alla fattispecie.
Nel merito ha osservato che la norma censurata, nonostante la definizione espressa del legislatore, è innovativa.
L'art. 52 della legge n. 88 del 1989 è stato determinato dalla finalità di porre termine alle incertezze ermeneutiche cui aveva dato luogo l'art.80 del R.D. 28 agosto 1924, n.1422 e ha previsto l'irripetibilità delle somme riscosse in buona fede in ogni ipotesi di indebito, conseguente ad ogni possibile atto e ad ogni fase di gestione del rapporto pensionistico (sia essa di attribuzione, erogazione o riliquidazione della prestazione), salva soltanto l'ipotesi del dolo dell'assicurato, eliminando così ogni discriminazione dei pensionati del settore privato, rispetto a quelli del settore pubblico o ai titolari di pensioni di guerra. In tali sensi è stata costantemente interpretata dalla stessa Corte di Cassazione, e ritenuta costituzionalmente legittima dalla Corte Costituzionale, (sent. n. 383 del 1990).
L'art. 13, primo comma, della legge n. 412 del 1991, ora denunciato, invece modificando il precedente regime, introduce quattro innovazioni:
a) la necessità, perchè operi la sanatoria, che le somme siano corrisposte in base a formale, definitivo provvedimento;
b) che di questo sia data comunicazione all'interessato;
c) che l'errore risulti dal provvedimento stesso e sia imputabile all'ente erogatore;
d) che, a parte l'ipotesi di dolo dell'interessato, non vi sia stata omessa o incompleta segnalazione da parte del pensionato di fatti incidenti sul diritto e sulla misura della pensione goduta e non riconosciuti già dall'ente competente.
Secondo la Corte remittente, si sarebbe effettuata una disciplina più rigorosa di quella che, secondo il più restrittivo degli orientamenti allora formatisi, si poteva desumere dall'art. 80, terzo comma, del R.D. n. 1422 del 1924.
In effetti, si è ristretto ulteriormente l'ambito dell'irripetibilità attraverso il requisito della comunicazione "espressa" del provvedimento erroneo -anch'essa non richiesta dalla legge del 1988- dato che, a causa dell'operatività di sistemi di automazione e informatizzazione, i maggiori importi della pensione (o dei suoi elementi accessori) vengono ad essere conosciuti dall'interessato soltanto al momento dell'erogazione o, al più, all'atto del ricevimento del certificato o dell'avviso di pagamento; senza considerare che ormai si praticano sistemi di pagamento che portano al di retto accredito o all'invio di assegni bancari.
Si sono introdotti a carico del pensionato oneri di comunicazione estranei alla disciplina della norma interpretata, la conoscenza di fatti e della loro rilevanza giuridica. In definitiva, si è creata una specie di presunzione giuridica di conoscenza che viene a rendere irrilevante l'errore in cui sia incorso l'Ente previdenziale e la buona fede del pensionato con pratica equiparazione al dolo del silenzio del pensionato e con sovvertimento del principio di buona fede cui è improntato l'ordinamento giuridico.
Sarebbero stati violati:
a) l'art. 3 della Costituzione, in quanto irrazionalmente il legislatore non ha scelto della precedente norma una delle possibili sue interpretazioni ma le ha attribuito un significato nuovo e diverso ed in definitiva ha sovrapposto la norma nuova alla precedente;
b) gli artt. 103 e 104 della Costituzione perchè si sarebbe sottratto al giudice il compito istituzionale di interpretare ed applicare autonomamente una disposizione di legge che pure si è preteso di mantenere in seno all'ordinamento;
c) ulteriormente l'art. 3 della Costituzione in quanto si sarebbe creata una disparità di trattamento: 1) fra pensionati, nei cui confronti l'art. 52 della legge n. 88 del 1989 è stato già applicato conformemente al significato che scaturiva dal suo testo e dall'uniforme orientamento giurisprudenziale, e pensionati i quali, per il solo fatto dell'attuale pendenza dei giudizi sulla ripetibilità delle somme da essi percepite, sarebbero assoggettati alla meno favorevole disciplina sopravvenuta;
2) fra pensionati che abbiano ricevuto prestazioni indebite attribuite con formale provvedimento e pensionati che le abbiano ricevute, come nella specie, con modalità "diverse";3) fra pensionati del settore privato e quelli del settore pubblico, per i quali si porrebbero le limitazioni ora introdotte;
d) l'art. 38 della Costituzione perchè le somme da ripetersi e percepite dal pensionato in buona fede sarebbero state destinate a soddisfare bisogni propri e della famiglia.
2. - L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata altresì pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.
2.1. - Nel giudizio davanti a questa Corte, si sono costituiti la parte privata e l'I.N.P.S..
2.2. - La parte privata ha svolto argomenti sovrapponibili a quelli della Corte remittente.
La difesa dell'I.N.P.S. ha eccepito anzitutto la inammissibilità della questione rilevando che, si tratta nella specie di modificazione del trattamento pensionistico disposta ope legis (art. 19 della legge 21 dicembre 1978, n. 843), per cui il relativo provvedimento, benchè emesso in ritardo, non è affetto da errore essenziale con la conseguenza che l'indebito pagamento ricade pienamente nell'area di applicabilità dell'art. 2033 cod. civ..
Nel merito ha rilevato che:
- nessun precetto costituzionale preclude al legislatore in sede di interpretazione autentica di dare a una norma retroattivamente un nuovo significato tanto più quando, come nella specie, l'operazione risulti ragionevole e giustificata in vista delle necessità di contenimento della spesa pubblica;
- anche per i pensionati del settore pubblico, il legislatore, in sede di interpretazione autentica dell'art. 206 del d.P.R. n. 1092 del 1973 (art. 3 della legge n. 428 del 1985) ha previsto la ripetibilità delle somme erogate a seguito di ricalcolo automatizzato, senza che sia emanato alcun provvedimento formale, in base ad una ratio identica a quella sottesa alla norma censurata;
- la sottrazione alla sanatoria degli errori incidenti nella fase gestionale risponde alle esigenze proprie di un settore dell'ordinamento in costante evoluzione, rispetto al quale un errore "imputabile" agli enti competenti può ipotizzarsi solo con riguardo all'emissione di provvedimenti formali;
- obblighi di denuncia, a carico del pensionato, di situazioni rilevanti ai fini del diritto e della misura del trattamento pensionistico erano già noti all'ordinamento previdenziale (art. 6, quarto e quinto comma, art. 8, terzo comma, della legge n. 638 del 1983);
- la sollecitudine con la quale il legislatore ha attuato il censurato intervento interpretativo, esclude che le disparità di trattamento ipotizzate nell'ordinanza di rimessione possano essersi verificate, in misura apprezzabile.
2.3. - L'Avvocatura Generale dello stato ha concluso negli stessi sensi.
3. - Identica questione è stata sollevata dal Pretore di Trieste con ordinanza del 12 maggio 1992 (R.O. n. 363 del 1992).
Nel giudizio si è costituita la parte privata che ha insistito per la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma denunciata, in base ad argomenti sovrapponibili a quelli esposti dal giudice remittente.
É altresì intervenuta l'Avvocatura Generale dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, la quale ha concluso per l'inammissibilità o per l'infondatezza della questione.
4. - Nell'imminenza dell'udienza hanno depositato memorie le parti private costituite nel giudizio introdotto con la ordinanza n. 235 del 1992, l'I.N.P.S. e l'Avvocatura dello Stato.
La difesa della parte privata ha ribadito il contenuto profondamente innovativo della norma censurata, contrastante con i principi stabiliti in materia da questa Corte con la sentenza n. 383 del 1990 e, conseguentemente, con quelli di cui all'art. 38 della Costituzione.
Ha contestato l'assunto secondo cui la norma censurata avrebbe conseguito il risultato di rendere omogeneo il trattamento degli assicurati presso l'A.G.O. e dei pubblici dipendenti.
5. - La difesa dell'I.N.P.S. ha ribadito che il legislatore può determinare il significato e la portata di disposizioni preesistenti che si prestino a dubbi esegetici, come nella specie è avvenuto per il citato art. 52 della legge n. 88 del 1989; che, eccezion fatta per i casi di cui all'art. 25 della Costituzione, può disporre retroattivamente; che la retroattività della disposizione censurata risponde, poi, anche alla precisa logica di evitare una eccessiva dilatazione della spesa pubblica; che la norma in questione non crea le denunciate disparità di trattamento con il settore pubblico posto che anche per i pubblici dipendenti si è avuta una norma interpretativa (art. 3 legge n. 428 del 1985) strutturata sulla medesima falsariga dell'art. 13 della legge n. 412 del 1991.
Ha, infine, osservato in particolare che la sentenza di questa Corte sulla legittimità dell'art. 52 della legge n. 88 del 1989 non può essere additata come causa di illegittimità di ogni diversa disciplina.
6. - L'Avvocatura Generale dello Stato ha ribadito le proprie conclusioni, svolte in sede di intervento e per il resto si è riportata alle deduzioni dell'I.N.P.S..
Considerato in diritto
1. - I due giudizi possono essere riuniti e decisi con un'unica sentenza per evidenti ragioni di connessione in quanto prospettano la stessa questione.
2. - La Corte deve verificare se l'art. 13, primo comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, stabilendo che le disposizioni di cui all'art. 52, comma 2, della legge 9 marzo 1988, n. 88 si interpretano nel senso che la sanatoria ivi prevista opera in relazione alle somme corrisposte in base a formale, definitivo provvedimento del quale sia stata data espressa comunicazione all'interessato e che risulti viziato da errore di qualsiasi natura imputabile all'ente erogatore, salvo che l'indebita percezione sia dovuta a dolo dell'interessato; e prevedendo, inoltre, che l'omessa od incompleta segnalazione da parte del pensionato di fatti incidenti sul diritto o sulla misura della pensione goduta, che non siano già conosciuti dall'ente competente, consente la ripetibilità delle somme indebitamente percepite, violi:
A) il combinato disposto degli artt. 3, 101 e 104 della Costituzione, in quanto il legislatore non ha mantenuto in vigore la norma interpretata, scegliendo nel contempo e autenticamente sanzionando una delle possibili sue interpretazioni in relazione a precedenti contrasti, ma ha attribuito alla norma stessa un significato nuovo che non si sarebbe raggiunto attraverso l'uso degli strumenti esegetici di cui all'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale: perchè la norma nuova ha del tutto sostituito la precedente con evidente eccesso dai limiti della ragionevolezza e con sottrazione al giudice del compito istituzionale di interpretare ed applicare - in modo autonomo ed indipendente da ogni altro potere - un articolo di legge che pure si è preteso di mantenere in seno all'ordinamento;
B) ulteriormente, lo stesso art. 3 della Costituzione, in quanto si sarebbe creata disparità di trattamento: 1) fra pensionati, nei cui confronti l'art. 52 della legge n. 88 del 1989 è stato già applicato conformemente al significato che scaturiva dal suo testo e dall'uniforme orientamento giurisprudenziale, e pensionati i quali, per il solo fatto dell'attuale pendenza dei giudizi sulla ripetibilità delle somme da essi percepite, restano assoggettati alla meno favorevole disciplina sopravvenuta;2) fra pensionati che abbiano ricevuto prestazioni indebite attribuite con formale provvedimento e pensionati che le abbiano ricevute, come nella specie, con modalità "diverse";3) fra pensionati del settore privato e quelli del settore pubblico, per i quali non si pongono le limitazioni oggi vigenti per i primi e che l'art.52 della legge n. 88 del 1989 (sentenza n. 383 del 1989) aveva inteso sopprimere, istituendo una parità di trattamento fra i due settori;
C) l'art. 38 della Costituzione, in quanto il riconoscere all'ente previdenziale il diritto di ripetere somme erogate per errore, ma percepite in buona fede dal pensionato - e da questi, secondo un dato notorio, destinate a soddisfare bisogni alimentari propri e della famiglia- comporta una diminuzione, per periodi di tempo talora notevoli, dei trattamenti previdenziali e riduce i mezzi con cui l'assicurato deve far fronte alle dette esigenze di vita.
3. - Va per prima esaminata la eccezione di inammissibilità sollevata dall'I.N.P.S. nel rilievo che nel giudizio de quo non si controverte sulla ripetibilità delle somme corrisposte per errore in quanto la modificazione della posizione dell'assicurato è avvenuta ope legis in forza dell'art. 19 della legge 21 dicembre 1978, n. 843, e quindi, attesa la irrilevanza del ritardo nell'emissione del relativo provvedimento di recupero della somma, non sussiste l'errore richiesto per la sanatoria di cui all'art. 52 citato ed i pagamenti effettuati non si sottraggono alla norma generale dell'art. 2033 cod. civ..
L'eccezione è destituita di fondamento.
Non rileva che il pagamento delle somme delle quali si chiede la ripetizione sia avvenuto a seguito della ritardata applicazione di una disposizione di legge (art.19 legge n. 483 del 1978) in quanto l'art. 52, secondo comma, legge n.88 del 1989 prende in considerazione l'errore di qualsiasi natura, di fatto e di diritto.
Del resto, la Corte remittente nel giudizio di rilevanza della questione sollevata, ha ritenuto esplicitamente applicabile alla fattispecie l'art.52 citato interpretato autenticamente dall'art. 13 denunciato.
4. - Si deve, quindi, accertare se effettivamente la disposizione impugnata possa qualificarsi di interpretazione autentica.
Si è già affermato (sentt. nn. 390 del 1990 e 455 del 1992) che, ai fini che interessano, non rileva la qualificazione riportata nel titolo della norma, ma devesi indagare la sua reale rispondenza al contenuto dispositivo. Pertanto, è di interpretazione autentica quella disposizione che, si riferisca e si saldi con quella da interpretare ed intervenga esclusivamente sul significato normativo di quest'ultima senza, però, intaccare o integrare il dato testuale ma solo chiarendone o esplicandone il contenuto ovvero escludendo o enucleando uno dei significati possibili; e ciò al fine di imporre poi all'interprete un determinato significato normativo.
4.1 - Dall'esame comparativo delle disposizioni di cui trattasi, quella interpretata e quella interpretatrice, nel nuovo testo, si riscontrano chiaramente delle aggiunte, profonde e radicali, tali da far ritenere quella impugnata una disposizione innovativa.
Sono introdotti i seguenti elementi nuovi:
a) la necessità che le somme da ripetersi siano state corrisposte in base ad un provvedimento definitivo;
b) la necessità della comunicazione di quest'ultimo all'interessato;
c) la omessa od incompleta segnalazione da parte del pensionato di fatti incidenti sul diritto o sulla misura della pensione goduta i quali non siano già conosciuti dall'ente erogatore.
5. - Il legislatore indubbiamente può regolare la materia con disposizioni nuove e può espressamente disporne la operatività anche per il passato; può dare, cioé, espressamente alle dette disposizioni efficacia retroattiva. Ma per la materia penale non può violare i limiti derivanti dal divieto espresso posto dall'art. 25 della Costituzione e per tutte le materie non può superare quelli posti da altri precetti costituzionali (sent. n. 123 del 1988).
6. - Nella fattispecie non sono stati violati gli artt.101 e 104 della Costituzione. Infatti, al legislatore spetta la potestà di effettuare una data interpretazione di una legge o disposizione di legge. L'esercizio di detta potestà non può considerarsi di per se lesivo della sfera riservata al potere giudiziario.
Invero, non è ipotizzabile, a favore del giudice, una riserva della facoltà di interpretazione che possa precludere quella spettante al legislatore.
L'attribuzione per legge ad una norma di un dato significato non tocca la potestas judicandi ma definisce e delimita la fattispecie normativa che è oggetto di tale potestas, così come risulta dal precetto integrato (sent. n. 6 del 1988).
Inoltre, l'esercizio del potere del legislatore e quello del giudice avviene su due piani diversi: l'uno, quello del legislatore, su quello delle fonti, l'altro, quello del giudice, ai fini dell'applicazione della norma (sent.n. 455 del 1992).
6.1 - Risultano, invece, violati gli artt. 3 e 38 della Costituzione per la conferita qualificazione di interpretazione autentica la quale mira evidentemente a riconoscere efficacia retroattiva alla disposizione impugnata, sicchè essa si applicherebbe anche ai rapporti sorti precedentemente alla data della sua entrata in vigore o comunque pendenti alla stessa data.
Da quanto innanzi esposto deriva una evidente disparità di trattamento tra pensionati a favore dei quali, in applicazione dell'art. 52 della legge n. 88 del 1989, nella interpretazione data ad essa dalla Corte di cassazione e ritenuta non costituzionalmente illegittima da questa Corte (sent. n. 383 del 1990), è stata sancita la irripetibilità delle somme percepite in buona fede nella sussistenza di un errore di fatto o di diritto come causa dell'erogazione della somma risultata poi non dovuta ed in mancanza di dolo, e pensionati, invece, che sarebbero soggetti alla nuova disposizione nonostante che la situazione che ad essi fa capo si sia verificata prima della data della stessa.
2 - La nuova disposizione, incidendo sulle situazioni sostanziali poste in essere nella vigenza di quella precedente, frustra l'affidamento di una vasta categoria di cittadini nella sicurezza giuridica che costituisce elemento fondamentale dello Stato di diritto (sentt. nn.349 del 1985, 822 del 1988, 155 del 1990): tanto più che sarebbero colpiti pensionati a reddito non elevato, i qua li hanno destinato alla soddisfazione dei bisogni alimentari propri e della famiglia le somme percepite e che dovrebbero essere restituite. Onde la violazione dell'art. 38 della Costituzione.
Nè la finalità della contrazione della spesa pubblica sottesa alla disposizione in esame è ragione sufficiente a giustificare le evidenziate violazioni dei suddetti precetti costituzionali.
Restano assorbiti gli altri profili di illegittimità costituzionale dedotti dal giudice remittente.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riunisce i giudizi;
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 13, primo comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica) nella parte in cui è applicabile anche ai rapporti sorti precedentemente alla data della sua entrata in vigore o comunque pendenti alla stessa data.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28/01/93.
Giuseppe BORZELLINO, Presidente
Francesco GRECO, Redattore
Depositata in cancelleria il 10/02/93.