SENTENZA N. 31
ANNO 1986
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Livio PALADIN, Presidente
Avv. Oronzo REALE
Avv Albero MALAGUGINI
Prof. Antonio LAPERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL’ANDRO,Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 9 della legge 3 giugno 1975, n. 160 ("Norme per il miglioramento dei trattamenti pensionistici e per il collegamento alla dinamica salariale"), promossi con ordinanze emesse il l agosto 1978 dal Pretore di Cuneo, il 13 dicembre 1978 dal Tribunale di Prato, il 2 marzo 1979 dal Pretore di Ancona, il 30 maggio 1979 dal Pretore di Cuneo, il 2 novembre 1978 dal Tribunale di Lecce, il 20 maggio 1980 dal Pretore di Ferrara, il 6 giugno 1980 dal Tribunale di Brindisi e il 7 luglio 1982 dal Pretore di Bologna, iscritte rispettivamente al n. 616 del registro ordinanze 1978, ai nn. 58, 353, 727 e 821 del registro ordinanze 1979, e ai nn. 495 e 714 del registro ordinanze 1980 e al n. 650 del registro ordinanze 1982 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 45, 87, 175 e 353 del 1979, e nn. 15, 263 e 325 del 1980 e n. 53 del 1983;
visti gli atti di costituzione di Casciola Mario, di Cipriani Otello, di Donati Jolanda, dell'I.N.P.S. e di Mariani Alfredo, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 5 novembre 1985 il Giudice relatore Renato Dell'Andro;
uditi l'Avv. Fulvio Comito per Casciola e Cipriani, l'Avv. Pasquale Vario per l'I.N.P.S. e l'avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Il Pretore di Cuneo, con ordinanze del l agosto 1978 e del 30 maggio 1979, il Pretore di Ancona, con ordinanza del 2 marzo 1979, il Tribunale di Prato, con ordinanza del 13 dicembre 1978, il Tribunale di Lecce, con ordinanza del 2 novembre 1978, il Pretore di Ferrara, con ordinanza del 20 maggio 1980, il Tribunale di Brindisi, con ordinanza del 6 giugno 1980 ed il Pretore di Bologna, con ordinanza del 7 luglio 1982 (tutte emesse nel corso di giudizi promossi da pensionati già lavoratori autonomi nei confronti dell'I.N.P.S. al fine di conseguire un trattamento minimo di pensione pari a quello spettante ai pensionati già lavoratori dipendenti) hanno sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., degli artt. 2 e 9 (i Pretori di Cuneo e di Ancora limitano peraltro l'impugnazione al solo art. 2) della legge 3 giugno 1975 n. 160 ("Norme per il miglioramento dei trattamenti pensionistici e per il collegamento alla dinamica salariale"), nella parte in cui prevedono un diverso trattamento minimo di pensione per i lavoratori autonomi rispetto ai lavoratori dipendenti, disciplinando in maniera differente la perequazione automatica del detto trattamento minimo, che per i lavoratori autonomi é ancorato alle variazioni del costo della vita calcolata dall'ISTAT, ai fini della scala mobile delle retribuzioni dei lavoratori dell'industria mentre per i lavoratori dipendenti é ancorato all'aumento dell'indice dei tassi delle retribuzioni minime contrattuali degli operai dell'industria.
Osservano i giudici a quibus che i diversi sistemi di perequazione dei minimi di pensione, da un lato sono destinati ad accentuare sempre più il divario tra il trattamento minimo pensionistico dei lavoratori autonomi e quello dei lavoratori dipendenti, poiché il criterio d'adeguamento automatico stabilito per questi ultimi tende a superare percentualmente l'aumento del costo della vita, e, da un altro lato, non sembrano avere altra ratio se non quella di ripristinare col tempo una differenziazione tra i due trattamenti minimi, che era già stata eliminata con la loro parificazione, a decorrere dal 1 luglio 1975, disposta dall'art. 3 del d.P.R. 12 maggio 1972 n. 325, in attuazione della delega contenuta nell'art. 33 della legge 30 aprile 1969 n. 153.
Senonché, vertendosi per entrambe le categorie nell'ambito del sistema di sicurezza sociale e dei trattamenti minimi di quiescenza riconosciuti ai lavoratori, tale ripristinata differenziazione sembra, a parere dei predetti giudici, contrastare con gli artt. 3 e 38 Cost.. Se, infatti, una differente disciplina tra lavoratori autonomi e dipendenti può giustificarsi (nelle diverse gestioni, in rapporto all'entità degli oneri contributivi ed al diverso sistema di liquidazione delle prestazioni) per la pensione normale, essa invece non si giustifica nella determinazione del minimo pensionistico, il quale, si sostiene nelle ordinanze di rimessione é per sua natura sganciato dall'entità della contribuzione assicurativa corrisposta: la sua funzione risponde ad esigenze di "sicurezza sociale", essendo diretta ad assicurare il minimo livello economico indispensabile a soddisfare le più elementari esigenze di sopravvivenza. Data questa finalità alimentare, i minimi pensionistici devono essere riconosciuti in misura identica a tutti i lavoratori poiché, una volta che il legislatore abbia quantificato la somma necessaria per vivere, non v'é alcun razionale motivo che giustifichi, a livello dei bisogni minimi vitali, una discriminazione fra i titolari dei bisogni stessi a seconda che siano lavoratori autonomi o dipendenti, dovendosi invero ritenere per tutti necessaria la somma fissata come indispensabile per una esistenza dignitosa e risolvendosi quindi ogni sperequazione nella determinazione di tale minimo in violazione dei principio d'uguaglianza di pari dignità sociale dei lavoratori.
Le norme impugnate violano pertanto, a parere dei giudici a quibus, l'art. 38 Cost., perché per la categoria meno favorita si deve ritenere non raggiunto il minimo indispensabile alle elementari esigenze di vita, come quantificato dallo stesso legislatore; e violano altresl' l'art. 3 Cost., giacché la mancanza d'un razionale motivo che possa giustificare la difformità di disciplina di situazioni simili e l'abbandono d'un criterio equalitario (quanto a livelli minimi ed ai sistemi perequativi degli stessi, in relazione sia alla costante perdita di valore della moneta sia ad esigenze di miglioramento del tenore di vita delle fasce più disagiate dei cittadini) é dimostrata dal fatto che in precedenza lo stesso legislatore, in attuazione del precetto costituzionale, aveva previsto l'introduzione d'una disciplina uniforme.
Tutte le ordinanze sono state regolarmente comunicate, notificate e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale.
2. - Nel giudizio promosso con l'ordinanza del 1 agosto 1978 del Pretore di Cuneo si é costituito il signor Mario Casciola, rappresentato dall'Avvocato Prof. Fulvio Comito, chiedendo l'accoglimento della questione di legittimità costituzionale ed osservando che nel sistema costituzionale, con riferimento ai criteri per determinare lo standard minimo del tenore di vita, é consentita soltanto la distinzione tra cittadini inabili al lavoro, per i quali é previsto il "diritto al mantenimento ed all'assistenza sociale" e cittadini lavoratori pensionati o divenuti invalidi od involontariamente disoccupati, per i quali é invece previsto un qualcosa di più, e cioé il diritto a "mezzi adeguati alle loro esigenze di vita", che devono essere correlati alla quantità e qualità del lavoro svolto, e, nel loro minimo, alla retribuzione minima intesa, ai sensi dell'art. 36 Cost., come quella "in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa". Consegue che pienamente coerente col sistema costituzionale é la correlazione tra trattamento minimo di pensione e retribuzioni minime contrattuali mentre incoerente é l'esclusione di tale correlazione. D'altra parte, dovendosi interpretare l'art. 38, secondo comma, Costituzione in coerenza con l'art. 35, primo comma, Costituzione (che "tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni"), i "mezzi adeguati alle esigenze di vita", considerati nella loro entità minimale, non possono essere diversi per le diverse categorie di lavoratori, per cui il trattamento minimo di pensione deve essere uguale per i lavoratori autonomi e per quelli subordinati. Ed anche ritenendo consentita al legislatore una gradualità nella realizzazione del sistema costituzionale, non può essergli consentito, una volta realizzato tale sistema, di discostarsi nuovamente da esso.
Nel giudizio promosso con l'ordinanza del Tribunale di Prato si é costituito il sig. Otello Cipriani, rappresentato dall'Avvocato Prof. Fulvio Comito, svolgendo identiche considerazioni. Nello stesso giudizio si é anche costituita, ma tardivamente, la signora Jolanda Donati.
Nel giudizio promosso con l'ordinanza del Pretore di Bologna si é costituito il signor Alfredo Mariani, rappresentato dal Prof. Avv. Mattia Persiani, insistendo per l'accoglimento della questione di legittimità costituzionale.
3. - Nei giudizi promossi con le ordinanze del Pretore di Ferrara, del Tribunale di Brindisi e del Pretore di Bologna si é costituito l'I.N.P.S., rappresentato dagli Avvocati Elvira Rainone Tripputi, Giovanni Belloni, Pasquale Vario, Angelo Renzullo e Fabrizio Ausenda, ponendo in rilievo la disciplina differenziata delle contribuzioni dei lavoratori autonomi e di quelli dipendenti: per i primi infatti sono previsti contributi fissi, mentre per i secondi si hanno numerose classi contributive, con carico progressivamente crescente di contributi riferiti al salario effettivamente percepito e quindi con variazioni pressocché continue. Di conseguenza, il sistema contributivo predispone un'enorme massa contributiva per i lavoratori dipendenti, in costante aumento con le variazioni salariali, mentre nulla di ciò si verifica per i lavoratori autonomi. Non costituisce pertanto identica situazione essere assicurato e contribuire come lavoratore autonomo ovvero come lavoratore dipendente; finché, pertanto, non sia dedotta l'incostituzionalità e l'irrazionalità della diversa situazione contributiva nemmeno può ritenersi illegittimo ed irrazionale un differenziato regime dei trattamenti minimi di pensione. D'altra parte, si sostiene sempre dall'I.N.P.S., il criterio di perequazione previsto per i lavoratori dipendenti non può valere anche per i lavoratori autonomi, il cui reddito non deriva da una retribuzione bensl' da un guadagno e la cui contribuzione viene commisurata a parametri diversi da quelli previsti per i lavoratori a reddito fisso. Per entrambe le categorie di lavoratori risulta attuato, con mezzi diversi a causa della diversità delle loro situazioni soggettive ed oggettive, il principio di proporzionalità ed adeguatezza delle pensioni mentre il trattamento più favorevole per i lavoratori dipendenti trova la sua ragione logica e giuridica nel maggior importo della contribuzione versata dai lavoratori dipendenti.
Né vi é il preteso contrasto con l'art. 38 Cost., si assume ancora dall'I.N.P.S., giacché nel nostro sistema previdenziale il trattamento minimo di pensione non ha una funzione "alimentare" e non é concepito come minimo indispensabile mezzo di mantenimento né come minimo mezzo adeguato alle esigenze del lavoratore giunto alla vecchiaia, tant'é vero che il diritto a percepire il minimo pensionistico é indipendente da condizioni di effettivo bisogno, e sussiste, come questa Corte ha confermato, anche in presenza di altri redditi. É quindi contraddittoria la richiesta dei lavoratori autonomi, che invocano il trattamento migliore previsto per i lavoratori dipendenti, per i quali la perequazione automatica non offre soltanto la difesa del minimo di pensione dall'aumento del costo della vita ma un aggio rispetto ad esso, perseguendo Così scopi diversi da quello di garanzia della sopravvivenza. Del resto l'art. 38 Cost. non va interpretato nel senso che le esigenze di vita tutelate debbano essere rigidamente uguali per tutti i lavoratori, prescindendo dal reddito fruito durante la vita lavorativa ed assoggettato a contribuzione: appare, pertanto, legittimo l'attuale sistema, essendosi perseguito l'ampliamento della tutela sociale con razionale gradualità di passaggio imposta dalle disponibilità finanziarie del Paese.
4. - In tutti i giudizi (ad eccezione di quello promosso con l'ordinanza 30 maggio 1979 del Pretore di Cuneo) é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo il rigetto della questione di legittimità costituzionale, ed osservando che l'art. 38 Cost. non esclude la possibilità che prestazioni previdenziali spettanti ai lavoratori dipendenti siano disciplinate in modo diverso da quelle spettanti ai piccoli imprenditori (quali gli artigiani, i commercianti ed i coltivatori diretti): la norma costituzionale é rispettata quando la legge, per una certa categoria, abbia apprestato un sistema previdenziale in qualche parte non identico a quello previsto per un'altra categoria. Non é poi violato il principio di eguaglianza perché, di fronte all'esigenza previdenziale, lavoratori dipendenti e piccoli imprenditori si trovano in situazioni diverse, in quanto per i primi vige il sistema della pensione retributiva (commisurata cioé non all'entità dei contributi versati ma ad una percentuale fissata dalla legge tenendo anche conto dell'anzianità di contribuzione effettiva in costanza di lavoro e figurativa) mentre per i secondi (che non hanno ovviamente retribuzione) vige il sistema della pensione contributiva (commisurata cioé all'entità dei contributi versati durante il periodo d'assicurazione). É quindi razionale che, ai fini della rivalutazione automatica delle pensioni, per i titolari di pensioni retributive si faccia riferimento agli aumenti di retribuzione di determinati lavoratori mentre per i titolari di pensioni contributive, mancando per definizione una retribuzione di riferimento, la rivalutazione sia agganciata all'aumento dell'indice del costo della vita.
D'altra parte, osserva ancora l'Avvocatura, nel nostro sistema previdenziale i trattamenti dei lavoratori subordinati ed autonomi sono stati sempre differenziati, pur dopo la legge n. 153 del 1969; e tale differenziazione trova ragione nelle diverse compatibilità finanziarie delle due gestioni che ne sopportano gli oneri: non é arbitrario, pertanto, che i minimi di pensione possano, a differenza della pensione sociale (che assolve ad una diversa funzione) essere diversi per le diverse categorie di assicurati. Del resto, l'incremento della massa contributiva, dovuto ai sensibili incrementi retributivi dei lavoratori dipendenti, spiega perché, mentre per i lavoratori autonomi é rimasto fermo il criterio di perequazione ancorato ad un indice oggettivo (riflettente le condizioni di vita della generalità) per i lavoratori dipendenti é stato invece introdotto un criterio che tiene conto della dinamica salariale, cioé d'un elemento che riflette la massa contributiva in relazione alle variazioni della massa retributiva in coerenza con il sistema assicurativo dei lavoratori dipendenti.
D'altronde, conclude l'Avvocatura, la tendenza a realizzare gradualmente un ordinamento pensionistico, quanto più conforme e generalizzato, non avrebbe giustificato né l'arbitraria estensione dell'aggancio alla dinamica salariale fuori dell'ambito suo proprio né l'inutile sacrificio della solidarietà di categoria, in un sistema nel quale é praticato l'aggancio della pensione alla retribuzione. Di qui la razionalità d'una disciplina diversificata che comunque assicura anche ai minimi pensionistici dei lavoratori autonomi livelli base di poco inferiori a quelli dei lavoratori dipendenti ed un congegno di perequazione automatica alle variazioni del costo della vita.
Considerato in diritto
1. - Le ordinanze indicate in epigrafe pongono analoghe questioni: i relativi giudizi possono, pertanto, essere riuniti e decisi con unica sentenza.
2. - Con le predette ordinanze sono stati impugnati, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., gli artt. 2 e 9 della legge 3 giugno 1975, n. 160, nella parte in cui prevedono un diverso trattamento minimo di pensione per i lavoratori autonomi rispetto ai lavoratori dipendenti e disciplinano in maniera differente la perequazione automatica del trattamento minimo delle pensioni stesse (che per i lavoratori autonomi viene ancorato alle variazioni del costo della vita, calcolato dall'ISTAT ai fini della scala mobile, mentre per i lavoratori dipendenti é determinato in base all'aumento dell'indice dei tassi delle retribuzioni minime contrattuali degli operai dell'industria). Si osserva, infatti, nelle ordinanze di rimessione che, trattandosi di minimi pensionistici, in quanto tali finalizzati ad assicurare, nell'ambito del sistema di sicurezza sociale, il minimo indispensabile a soddisfare le più elementari esigenze di sopravvivenza, la previsione d'un diverso criterio d'adeguamento automatico e, conseguentemente, la diversa determinazione del loro ammontare contrasti, da un lato, con l'art. 38 Cost., dovendosi ritenere non raggiunto, per la categoria meno favorita, il minimo indispensabile per vivere (come quantificato dallo stesso legislatore per la categoria più favorita) e, dall'altro, con l'art. 3 Cost., non essendovi alcun razionale motivo che giustifichi, a livello dei bisogni minimi vitali, una discriminazione fra i titolari dei bisogni stessi a seconda che siano lavoratori autonomi oppure lavoratori dipendenti.
3. - Le questioni non sono fondate.
Al fine d'inquadrare i quesiti sottoposti all'esame di questa Corte nella cornice degli interessi o valori che sottostanno alle scelte legislative in materia pensionistica va premesso che due diverse esigenze motivano, di regola, le predette scelte: la necessità d'accelerare il processo tendente, quanto più possibile, alla parificazione dei minimi pensionistici, nell'ambito di un unico sistema di perequazione periodica delle prestazioni previdenziali e l'esigenza, di carattere squisitamente politico, di controllare, nel miglior modo possibile, il fenomeno infiattivo. Le precisate esigenze, per tanti versi contrastanti, non vanno taciute nel riscontrare divergenze od oscillazioni nelle scelte del legislatore ordinario in materia pensionistica.
Nel merito dei quesiti di cui in narrativa va anzitutto evidenziato, e sottoposto ad analisi, il sillogismo sul quale si fondano le ordinanze di rimessione.
Poiché i minimi pensionistici, si sostiene, sono finalizzati alla soddisfazione di elementari bisogni, quasi si direbbe di "pura sopravvivenza", poiché essi costituiscono il minimo vitale, il minimo alimentare e poiché quest'ultimo non può essere diversamente valutato a seconda che si tratti di lavoratori dipendenti o di lavoratori autonomi (essendo identico per tutti) risulta illegittima la scelta del legislatore ordinario allorché determina diversi minimi pensionistici a seconda che si tratti di lavoratori dipendenti o di lavoratori autonomi.
Qui va sottoposta ad analisi la "premessa maggiore" dell'argomentazione ora indicata, precisando se davvero i minimi pensionistici tendano a soddisfare unicamente le più elementari esigenze vitali, le Così dette esigenze alimentari, se, cioé, corrisponda a verità l'affermazione secondo la quale i precitati minimi garantiscano unicamente il minimo vitale, il minimo esistenziale.
A proposito del minimo alimentare va subito ricordato che anch'esso potrebbe logicamente, astrattamente ritenersi diversificabile (essendo postulabili esigenze alimentari diverse per distinte categorie di cittadini e lavoratori in ispecie): qui si dà, tuttavia, per ammesso che, giuridicamente (si rinvia, invero, a quanto accade per la pensione sociale, dal nostro legislatore determinata sempre in misura uguale per tutti i cittadini) il minimo alimentare non é, di regola, in materia pensionistica, determinato diversamente, nella sua entità, a seconda delle diverse categorie di soggetti.
Rimane, conseguentemente, qui da analizzare il quesito, dianzi indicato, se il trattamento minimo delle pensioni dei lavoratori, istituito con la legge 4 aprile 1952, n. 218, sia, o meno, diretto a soddisfare elementari esigenze di sopravvivenza, a garantire, cioé, unicamente il minimo esistenziale.
La risposta al quesito comporta la determinazione dell'essenza dell'istituto del trattamento pensionistico minimo attribuito ai lavoratori (anche per distinguere quest'ultimo dalla "pensione sociale", sempre determinata in maniera uguale per tutti) e, da tale limitato profilo, l'esame dei contenuti tutelati dall'art. 38 Cost. e dell'intensità della tutela dei medesimi. D'altra parte é appunto il precisato articolo che contiene le prime norme di riferimento invocate nelle ordinanze di rimessione.
La Corte non ignora che, già prima dell'emanazione della vigente Costituzione, si é svolto, tra le forze sociali e politiche, un vivace dibattito teso a decidere, in sede pensionistica, se accordare la preferenza al sistema previdenziale di "tipo europeo", basato sul prelievo dalle contribuzioni effettuate sulle retribuzioni da lavoro dipendente od al sistema di "tipo atlantico", finalizzato a garantire minimi pensionistici uguali (almeno tendenzialmente) per tutti i cittadini. Già da allora si é iniziato a considerare come "adeguato ai tempi" il richiamo alla solidarietà generale (attuata attraverso il gettito fiscale) allo scopo d'assicurare a tutti i cittadini minimi pensionistici tendenzialmente uguali. Il tema dei minimi pensionistici non s'é posto, dunque, nell'imminenza dell'emanazione della citata legge n. 218 del 1952: da lungo tempo si é discusso non dell'indifferenziazione dei minimi pensionistici tra le varie categorie di lavoratori ma dell'uguaglianza di tali minimi per tutti indistintamente i cittadini.
Né la Corte ignora il dibattito che, all'indomani dell'emanazione della vigente Costituzione, s'é venuto svolgendo sull'interpretazione dell'art. 38 Cost.: sono noti a tutti i "rimproveri" di timidezza ed ambiguità rivolti al Costituente in materia pensionistica come i tentativi d'interpretare l'art. 38 Cost. attraverso schemi tratti da legislazioni di altri Paesi.
Senonché il dibattito, ideologicamente caratterizzato, tra l'antico, tradizionale orientamento, che nettamente distingue i modelli di cui al primo ed al secondo comma dell'art. 38 Cost. (assistenza da un lato e previdenza dall'altro) e l'orientamento, di minoranza, che oscura la predetta distinzione riconducendo entrambi i modelli all'unità di fondamento e funzione (liberare i cittadini dal bisogno) é men radicale, almeno ai nostri limitati fini, di quanto possa credersi: anche l'ultimo dei citati orientamenti, infatti, pur aspirando ad un tendenzialmente uguale intervento statale in materia di minimi pensionistici, non disconosce che i lavoratori, avendo contribuito al benessere della collettività, abbiano titolo ad un trattamento preferenziale. Da ciò discende che, sia pur in funzione soltanto di una maggiore intensità di tutela, le ipotesi di cui al primo e secondo comma dell'art. 38 Cost., rimangono distinte. E, comunque, il "nostro" tema (della differenziazione dei minimi pensionistici entro le diverse categorie di lavoratori) non risulta dal precisato dibattito sufficientemente chiarito. Se i minimi pensionistici devono essere indiscriminatamente uguali per tutti i cittadini, lo devono essere anche per le diverse categorie di lavoratori; ma se una diversificazione quantitativa é possibile tra cittadini in genere e lavoratori in ispecie, rimane ancora tutto da chiarire se un'ulteriore diversificazione sia possibile tra i vari gruppi di lavoratori.
Non resta, conseguentemente, che partire dall'interpretazione dell'art. 38 Cost., prescindendo, per il momento, dalla successiva evoluzione legislativa in materia.
L'esame dell'art. 38 Cost., alla luce dell'intero sistema vigente all'atto della sua emanazione, chiarisce che lo stesso articolo prospetta due distinte fattispecie tipiche, due diverse ipotesi, rispettivamente nel primo e nel secondo comma. Tre profili strutturali ed uno modale (la previsione dell'intervento della solidarietà collettiva per l'attuazione della pensione sociale e l'intervento dei soggetti interessati o di terzi per la realizzazione della pensione dei lavoratori) separano le ipotesi in esame.
Il primo aspetto strutturale attiene ai soggetti: nel primo comma si prevedono fatti giuridici attribuibili a soggetti non particolarmente qualificati (cittadini) mentre nel secondo comma s'ipotizzano fatti giuridici attribuibili a soggetti "propri" (lavoratori). La distinzione tra cittadini e lavoratori qui viene sottolineata non certo allo scopo d'affermare che soltanto nei confronti dei cittadini, di cui al primo comma dell'art. 38 Cost., e non dei lavoratori, lo Stato debba istituire e gestire gli strumenti operativi atti a soddisfare il diritto dei cittadini stessi al mantenimento ed all'assistenza sociale; bensl' per precisare che il secondo comma dell'art. 38 Cost., indicando fatti giuridici di soggetti particolarmente qualificati (lavoratori) rinvia a tutte le norme che impongono le contribuzioni previdenziali dei lavoratori stessi o che comunque attengono al lavoro prestato. La previsione di fatti giuridici attribuibili ai cittadini nel primo ed ai lavoratori nel secondo comma dell'articolo in esame rileva in quanto in quest'ultimo comma, e non nel primo, é da scorgersi un rinvio a tutte le norme relative al lavoro che si é prestato o si sta prestando. I fatti di cui al secondo comma colpiscono soggetti che si presentano come destinatari d'una serie di obblighi adempiuti personalmente od attraverso terzi. É tutto ciò che distingue nettamente i cittadini in genere, di cui al primo comma ed i lavoratori, cittadini particolarmente qualificati: la speciale qualificazione subiettiva é rilevante in funzione del rinvio ad un sistema di comportamenti giuridici, che costituiscono il presupposto della fattispecie tipica prevista nel secondo comma dell'art. 38 Cost..
E già, da questo primo aspetto, va ricordato che, ove il trattamento minimo delle pensioni dei lavoratori fosse riconducibile al secondo comma dell'art. 38 Cost., esso, pur sganciato, quanto ad entità della stessa pensione, dall'entità delle contribuzioni assicurative corrisposte, nel presupporre necessariamente queste ultime, non potrebbe ritenersi, come si sostiene in alcune delle ordinanze di rimessione, del tutto sganciato dalle medesime. Non vi sarebbe, ovviamente, una "integrazione al minimo" se non vi fosse una base, calcolata in relazione alle contribuzioni assicurative prestate, d'altra parte, del pari ovviamente, la predetta "integrazione" non scatterebbe ove il calcolo relativo alle contribuzioni versate raggiungesse già, per sé, il minimo di pensione.
Il secondo profilo strutturale che distingue le ipotesi in discussione é costituito dalla diversità dei fatti giuridici dai quali nascono i due distinti rapporti: nel primo comma i fatti collegati dell'inabilità al lavoro e dell'essere sprovvisti dei mezzi necessari per vivere condizionano il nascere del rapporto giuridico assistenziale; nel secondo comma sono, invece, i fatti singoli di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia, disoccupazione involontaria a condizionare il sorgere del rapporto giuridico previdenziale.
Ma ciò che caratterizza precipuamente la struttura dei due rapporti giuridici in esame é il terzo elemento, relativo al contenuto finalistico delle due prestazioni in discussione: mentre nel primo comma il rapporto giuridico assistenziale prevede dal lato attivo il diritto del cittadino al mantenimento ed all'assistenza sociale e dal lato passivo l'obbligo di prestazioni dirette a provvedere ai mezzi necessari per vivere nel secondo comma il rapporto giuridico prevede dal lato attivo il diritto dei lavoratori, in quanto tali, ad essere forniti dei mezzi adeguati alle (loro) esigenze di vita e dal lato passivo l'obbligo di prestazioni tendenti a garantire ai lavoratori stessi i mezzi adeguati ora ricordati.
I mezzi necessari per vivere non possono identificarsi con i mezzi adeguati alle esigenze di vita: questi ultimi comprendono i primi ma non s'esauriscono in essi. Il confronto fra le due espressioni, usate peraltro nello stesso articolo, conduce a rilevare che il Costituente, privilegiando la posizione dei lavoratori, anche in considerazione del contributo di benessere offerto alla collettività oltreché delle contribuzioni previdenziali prestate, nel primo comma dell'art. 38 Cost. garantisce ai cittadini il minimo esistenziale, i mezzi necessari per vivere mentre nel secondo comma dello stesso articolo garantisce non soltanto la soddisfazione dei bisogni alimentari, di pura "sussistenza" materiale bensì anche il soddisfacimento di ulteriori esigenze relative al tenore di vita dei lavoratori. Le prestazioni previdenziali adeguate alle esigenze dei lavoratori ben possono, pertanto, essere differenziate tra le diverse categorie dei medesimi. Non si può, dunque, genericamente far riferimento al "minimo vitale", richiamando l'art. 38 Cost.; occorre puntualizzare, invece, se ci si riferisce al primo comma dello stesso articolo, e cioé ai mezzi necessari per vivere, al minimo esistenziale, alimentare, ed in tal caso é legittimo richiedere un'indifferenziazione, un'uniformità, una determinazione quantitativa unica, per tutti i cittadini; se, invece ci si riferisce al secondo comma dell'art. 38 Cost. (ed a questo comma si rifanno le ordinanze di rinvio) non é più legittimo richiedere una determinazione quantitativa unica, uniforme, per tutti i lavoratori, in quanto l'oggetto della valutazione che conduce al giudizio di adeguatezza dei mezzi alle esigenze di vita può riguardare anche la posizione economico-sociale delle diverse categorie di lavoratori, i rischi volontariamente assunti o comunque incombenti, i redditi conseguiti durante l'attività lavorativa ecc.: la valutazione ora indicata può ben condurre a determinazioni quantitativamente diversificate delle prestazioni previdenziali.
Conferma di ciò é nel fatto che il legislatore, esattamente interpretando il primo comma dell'articolo in esame, ha sempre mantenuto unico, uniforme, per tutti i cittadini, l'ammontare della pensione sociale (aumentandola, nei diversi tempi, anche in maniera uniforme) ed ha sempre mantenuto la stessa pensione ad un livello più basso di tutti i minimi pensionistici dovuti ai lavoratori.
V'é, infine, il profilo modale che ancora separa i modelli dei quali qui si discute. Per realizzare la garanzia assicurata ai cittadini, per provvedere alla pensione sociale, l'art. 38 Cost. implicitamente in mancanza di contribuzioni previdenziali (non trattandosi di lavoratori non é dato invocare solidarietà particolari di gruppi o categorie) si fonda unicamente sulla solidarietà collettiva, chiamando i cittadini tutti a fornire i mezzi economico-finanziari indispensabili ad attuare le prestazioni assistenziali. Allo scopo di realizzare, invece, la garanzia assicurativa ai lavoratori, per provvedere alla prestazione previdenziale, l'art. 38, secondo comma, si rifà, implicitamente, almeno finché sia attuato mediante strumenti mutualistico- assicurativi, alle contribuzioni versate durante i periodi di lavoro. Ed é, invero, questo profilo modale che non permette di ricondurre, senza adeguate considerazioni, al modello di cui al secondo comma dell'art. 38 Cost. l'istituto della pensione minima dei lavoratori, per altro verso rientrante in esso.
Vale concludere l'esame delle ipotesi tipiche individuate dall'art. 38 Cost. ricordando che l'idea di sicurezza sociale, a parte ogni precisazione sulla medesima (non possibile in questa sede) ispira tutto l'articolo in esame. Pur essendo unico il fondamento, l'anima ispiratrice delle ipotesi in discorso, esse sono, come s'é visto strutturalmente e qualitativamente distinte in quanto realizzano, in modo diverso, uno stesso scopo; apprestando cioé ai cittadini, in generale, in occasione di alcuni eventi e d'accertata situazione di bisogno, alcune garanzie attraverso il concorso della collettività ed offrendo ai lavoratori, in situazioni particolarmente significative, altre, più elevate garanzie attraverso il concorso degli stessi lavoratori e dei datori di lavoro.
4. - L'indagine, a questo punto, si sposta, più propriamente, sull'essenza dell'istituto del trattamento pensionistico minimo: l'esame fin qui condotto sulle norme di riferimento, di cui all'art. 38 Cost., agevola notevolmente, é quasi superfluo rilevarlo, il compito proposto. Se, infatti, si riuscisse, senza ulteriori considerazioni, a ricondurre l'istituto della pensione minima dovuta ai lavoratori al primo od al secondo comma dell'articolo più volte citato si avrebbe già ora, la risposta al quesito sull'indifferenziazione o meno dei minimi pensionistici dei lavoratori. Ricondotto, infatti, al primo comma dell'art. 38 Cost., trattandosi di garantire il minimo esistenziale, alimentare, l'istituto della pensione previdenziale minima non sopporterebbe determinazioni quantitative diverse; riferito, invece, al secondo comma dello stesso articolo, dovendosi garantire mezzi adeguati alle esigenze, al tenore di vita dei lavoratori, ben sarebbero possibili minimi differenziati di pensione per le varie categorie di lavoratori.
Senonché, l'istituto in esame dovuto all'evoluzione legislativa successiva all'emanazione della vigente Costituzione potrebbe essere ricondotto al primo comma dell'art. 38 Cost. per l'idea di solidarietà ivi richiamata (alla quale peraltro l'istituto fa soltanto in parte riferimento) mentre potrebbe essere ricollegato all'ipotesi di cui al secondo comma dello stesso articolo per quanto attiene ai fatti produttivi del rapporto giuridico che fonda il diritto alla prestazione minima ed ai soggetti attivi dello stesso rapporto, con il conseguente rinvio alla normativa previdenziale prevista dall'intero ordinamento.
Appunto perché ipotesi speciali, il trattamento pensionistico minimo é stato da alcuni avversato giacché, non riuscendo a scorgere altra tipologia pensionistica oltre l'alternativa assistenza (del tutto sganciata da contribuzioni di singoli o di gruppi nonché diretta a sopperire ad un accertato stato di bisogno) e previdenza (riferita al vecchio sistema mutualistico-assicurativo) non si é tenuto nel dovuto conto che il predetto trattamento minimo, realizza in pieno la particolare garanzia offerta ai lavoratori dal secondo comma dell'art. 38 Cost..
La verità é che l'articolo in esame non é formula "ambigua": esso, nel riferirsi all'idea di "sicurezza sociale", ipotizza soltanto due modelli tipici della medesima; l'uno fondato unicamente sul principio di solidarietà (primo comma) l'altro suscettivo di essere realizzato, e storicamente realizzato anche nella fase successiva all'entrata in vigore della Carta Costituzionale, mediante gli strumenti mutualistico-assicurativi (secondo comma). Lo stesso articolo non esclude tuttavia, e tantomeno impedisce, che il legislatore ordinario delinei figure speciali nel pieno rispetto dei principi costituzionalmente accolti. Ed é quanto avvenuto con l'istituto del trattamento minimo pensionistico dovuto ai lavoratori.
A questo proposito é significativo quanto accaduto in sede di Assemblea costituente. La commissione per la Costituzione propose all'aula una formulazione dell'art. 34 (attuale 38) che espressamente faceva riferimento al principio mutualistico-assistenziale e che, se fosse stata accolta, avrebbe vincolato il legislatore a non discostarsi da quel principio. Il secondo comma dell'art. 34, infatti, era stato Così formulato: "I lavoratori, in ragione del lavoro che prestano, hanno diritto che siano loro assicurati mezzi adeguati per vivere in caso di ...". L'inciso "in ragione del lavoro che prestano" fu soppresso, in aula, a seguito dell'accoglimento dell'emendamento Laconi, Cevolotto, Targetti, Moro, Taviani. Il primo firmatario dell'emendamento in questione Così motivò la richiesta, ed accolta, soppressione del predetto inciso: "Abbiamo creduto di dover sopprimere questa parte in quanto essa avrebbe supposto che la legislazione in materia di previdenza e assicurazione sociale, domani, dovesse orientarsi in un determinato senso, senso in cui attualmente é diretta e indirizzata, e ciò avrebbe fatto supporre un riferimento a quei criteri di assistenza mutualistica che oggi sono in vigore. Noi desideriamo invece che il legislatore futuro abbia una libertà più ampia e possa adottare criteri che gli appariranno più adatti alla situazione e più efficaci". In maniera chiarissima deve, dunque, desumersi che il secondo comma dell'art. 38 Cost., mentre implicitamente rinvia ai criteri di assistenza mutualistica in vigore al momento dell'emanazione della Costituzione non solo non esclude che il legislatore futuro delinei altre figure svincolate dalla logica meramente mutualistica-assicurativa ma lascia allo stesso legislatore ampia libertà nell'attuazione delle finalità perseguite con l'emanazione dell'articolo in esame.
La pensione minima dei lavoratori é frutto dell'esercizio, da parte del legislatore del 1952, dell'"ampia libertà" offertagli dal Costituente: essa, invero, nasce appunto per realizzare, nei confronti dei lavoratori, la particolare garanzia offerta dal secondo comma dell'art. 38 Cost..
Il Costituente garantisce ai lavoratori mezzi adeguati alle loro esigenze di vita e vincola il legislatore ordinario a provvedervi: facendo, tuttavia, implicitamente riferimento ai criteri mutualistico-assicurativi allora in vigore si renderebbe impossibile l'attuazione della garanzia (privilegiata) ora indicata nelle ipotesi in cui le contribuzioni previdenziali corrisposte non raggiungano un'entità tale da determinare pensioni idonee a garantire i mezzi adeguati in discussione. Con la paradossale conseguenza, che, mentre i cittadini, inabili al lavoro e mancanti di mezzi necessari per vivere, otterrebbero, in ogni caso, almeno il minimo alimentare (in virtù del primo comma dell'art. 38 Cost.) i lavoratori, nelle ipotesi di contribuzioni previdenziali insufficienti, non soltanto non conseguirebbero mezzi adeguati alle loro esigenze di vita ma, talvolta, neppure il minimo alimentare. Per queste ragioni il legislatore del 1952, istituendo, per i lavoratori, minimi pensionistici, sgancia i predetti minimi dall'entità delle contribuzioni assicurative corrisposte: l'integrazione al minimo rifiuta, invero, sia pure parzialmente, la logica del sistema mutualistico. L'istituto della pensione minima per i lavoratori, nato per realizzare compiutamente la ratio di cui al secondo comma dell'art. 38 Cost., é, pertanto, figura che va ricondotta a questo, nel senso che dello stesso tende ad attuare la ratio.
Per la verità, il legislatore del 1952 fu motivato ad istituire la pensione minima dai casi di bisogno, "quasi" tendendo ad istituire una pensione sociale per i lavoratori: e, se non si fossero verificati mutamenti nelle previsioni legislative successive e nel diritto vivente, si sarebbero posti ulteriori dubbi sulla natura della pensione previdenziale minima. Senonché, appunto le oscillazioni, le contraddizioni ("rimproverate" aspramente ai legislatori) ed il desiderio da una parte della dottrina manifestato, di "tornare alle origini", al fine di concedere l'integrazione al minimo solo nei casi d'accertato bisogno, confermano che il motivo iniziale, per il quale i minimi pensionistici per i lavoratori furono istituiti, é via via venuto meno; ed oggi può tranquillamente affermarsi che l'istituto della prestazione pensionistica minima dei lavoratori va ricondotto, senza più alcun dubbio, al secondo comma dell'art. 38 Cost.. Essendo l'integrazione al minimo concessa anche nei casi di cumulo di pensioni e di pensione e lavoro retribuito, essa non costituisce una pensione sociale dovuta ai lavoratori bensì uno strumento atto ad offrire mezzi adeguati alle esigenze di vita dei lavoratori stessi.
Vale, infatti, ricordare che, nel sistema originario delle norme che regolavano l'integrazione al minimo delle pensioni gestite dall'I.N.P.S., il trattamento minimo pensionistico dei lavoratori era riguardato sotto un profilo squisitamente soggettivo (cfr. art. 10 della legge 4 aprile 1952, n. 218, nonché la legge 20 febbraio 1958, n. 55, che ha accentuato questo profilo). In tale logica, l'erogazione del trattamento minimo veniva subordinata al verificarsi di particolari condizioni soggettivo - negative (oltreché al mancato svolgimento di attività lavorativa, al non godimento di altre prestazioni previdenziali, a qualunque titolo percepite, il cui importo complessivo superasse quello del minimo garantito, ecc.) tutte concorrenti a dimostrare che il reddito globale del pensionato fosse, effettivamente, inferiore al minimo pensionistico.
Senonché ben presto leggi, giurisprudenza e prassi amministrativa hanno enucleato situazioni nelle quali il trattamento minimo delle pensioni dei lavoratori é stato riguardato sotto un profilo oggettivo, quale garanzia, cioé, a che la prestazione pensionistica abbia comunque un determinato livello minimo, a prescindere dalle effettive condizioni soggettive del destinatario.
Vanno ricordate, a questo proposito, le leggi 12 agosto 1962, n. 1338, 27 ottobre 1965, n. 1199, e 30 aprile 1969, n. 153, per effetto delle quali l'integrazione al minimo é stato escluso, in linea generale, soltanto per i titolari di più pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria o di altre forme di previdenza sostitutiva di detta assicurazione, qualora per effetto del cumulo il pensionato fruisca d'un trattamento complessivo di pensione superiore al minimo garantito. L'originaria valutazione del reddito globale del pensionato, ai fini dell'accertamento delle condizioni per l'erogazione del trattamento minimo, é stata, pertanto, circoscritta al soli proventi derivanti da trattamenti pensionistici, restando invece esclusa la rilevanza dei redditi derivanti da attività lavorativa (v. art. 20 legge n. 153 del 1969, e art. 10, ultimo comma, legge 3 giugno 1975, n. 160); si é reso obbligatorio, cioé, l'intervento solidaristico anche in ipotesi in cui i bisogni vitali del pensionato certamente risultavano altrimenti soddisfatti. Peraltro, in deroga alla norma che, in ordine al cumulo di pensioni, limitava l'integrazione al minimo all'ipotesi in cui l'importo complessivo delle pensioni cumulate fosse inferiore al minimo garantito, l'art. 23 della legge n. 153 del 1969 ha consentito l'integrazione al minimo delle pensioni dirette I.N.P.S. in caso di cumulo con pensioni di riversibilità erogate dallo stesso I.N.P.S. A seguito della legge n. 114 del 1974 e della sentenza di questa Corte n. 230 del 1974 l'integrazione delle pensioni dirette dell'I.N.P.S. é stata consentita anche in caso di cumulo con qualsiasi pensione di riversibilità da qualunque ente corrisposta; mentre, come é noto, ulteriori espansioni del diritto ad ottenere il trattamento minimo, in caso di cumulo di pensioni, si sono avute in conseguenza di successive decisioni di questa Corte: in particolare a seguito della sentenza n. 263 del 1976 (che ha reso possibile anche l'integrazione al minimo delle pensioni dirette d'invalidità a carico dell'I.N.P.S. nell'ipotesi di cumulo con pensioni dirette dello Stato) e della sentenza n. 34 del 1981 (che ha dichiarato illegittima l'esclusione dal diritto all'integrazione al minimo della pensione diretta, di vecchiaia o d'invalidità, a carico dell'I.N.P.S., per chi sia già titolare di pensione diretta dello Stato, dell'Istituto post-telegrafonici e della Cassa di previdenza dipendenti enti locali; e che ha anche dichiarato illegittime sia la preclusione a che la pensione di riversibilità I.N.P.S. sia calcolata in proporzione alla pensione diretta I.N.P.S. integrata al minimo, che il titolare defunto avrebbe avuto diritto a percepire sia l'esclusione dal diritto all'integrazione al minimo della pensione d'invalidità e vecchiaia erogata dalla gestione speciale lavoratori autonomi per chi sia già titolare di pensione a carico dello Stato) nonché dalla recente sentenza n. 314 del 1985.
In tal modo il legislatore ed il diritto vivente hanno finito ancor più col nettamente distinguere la "pensione sociale", di cui al primo comma dell'art. 38 Cost., dal trattamento minimo dei lavoratori pensionati in quanto la prima importa necessariamente l'effettiva dimostrazione dello stato di bisogno del beneficiario mentre il secondo non é per nulla condizionato da tale dimostrazione. Il fatto che la "pensione sociale" provveda a soddisfare del minimo alimentare il beneficiario non può, dunque, indurre a ritenere che anche il minimo pensionistico in discussione provveda a soddisfare unicamente i bisogni elementarmente materiali del lavoratore pensionato. Se é vero che si é venuto a rendere obbligatorio l'intervento solidaristico anche nei confronti di pensionati i cui minimi bisogni vitali sono certamente ed altrimenti soddisfatti da diverse fonti di reddito, non può, allo stato, ritenersi che il trattamento minimo delle pensioni dei lavoratori soddisfi unicamente i predetti minimi bisogni.
É la "pensione sociale" che provvede ai bisogni minimi, alimentari del beneficiario: il legislatore ha, infatti, determinato sempre, come s'é già più volte osservato, in un unico ammontare, valido per tutti indistintamente i beneficiari, l'entità della "pensione sociale".
Il fatto che, peraltro, il legislatore ordinario abbia mantenuto sempre la pensione sociale in misura inferiore ai minimi pensionistici dei lavoratori conferma, ove proprio ve ne fosse bisogno, che tali minimi non tendono a soddisfare unicamente bisogni di sopravvivenza bensl' anche esigenze di vario genere (relative, fra l'altro, al tenore di vita dei lavoratori) che superano certamente i precitati bisogni.
D'altra parte, attraverso la determinazione dei minimi pensionistici dei lavoratori, il legislatore ordinario ha pienamente rispettato, come é stato anche già sottolineato, la direttiva costituzionale secondo la quale ai lavoratori va attribuita una posizione preferenziale rispetto ai cittadini in genere: mantenendo, in misura inferiore, rispetto ai minimi pensionistici dei lavoratori, l'importo della pensione sociale, il legislatore ha indubbiamente mostrato di privilegiare, in modo conforme alla Costituzione, i lavoratori.
5. - Da tutto ciò consegue che i trattamenti minimi qui in discussione ben possono essere diversamente stabiliti dal legislatore per diverse categorie di lavoratori, in relazione alle diverse "esigenze di vita" dei lavoratori stessi. L'art. 38, secondo comma, Cost., invero, non vincola il legislatore a considerare le esigenze di vita dei lavoratori come indiscriminatamente uniformi, prescindendo dal reddito fruito durante la vita lavorativa ed assoggettato a contribuzione e non lo vincola, certamente, a determinare un unico minimo di pensione per tutte le categorie di lavoratori.
Non può pertanto, affermarsi che il trattamento minimo previsto per i lavoratori autonomi debba automaticamente ritenersi inadeguato, ed in contrasto con l'art. 38 Cost., soltanto perché la diversa categoria dei lavoratori dipendenti gode in concreto d'un trattamento minimo superiore, essendo presumibile che per quest'ultima categoria il legislatore abbia discrezionalmente valutato differentemente le "esigenze di vita" da tutelare, tenendo eventualmente anche conto della maggiore massa contributiva riflettente la maggiore massa retributiva. D'altra parte, le ordinanze di rimessione non adducono alcun argomento atto a dimostrare che il minimo pensionistico dei lavoratori autonomi sia, in sé e per sé considerato, inadeguato alle "esigenze di vita" di questa categoria di lavoratori; ed anzi implicitamente assumono il contrario allorché partono dal presupposto che tale minimo doveva considerarsi adeguato nel 1975 (quando cioé aveva raggiunto il medesimo ammontare di quello dei lavoratori dipendenti) e che l'inadeguatezza e la conseguente violazione dell'art. 38, secondo comma Cost., siano intervenute solo successivamente, a causa del divario determinato dal diverso sistema di perequazione automatica. Se é vero, infatti, che, alla predetta data, l'entità del trattamento minimo (uguale per tutti i lavoratori) soddisfaceva le esigenze tutelate dalla norma costituzionale e se é vero che in seguito tale pensione minima, in virtù del meccanismo d'adeguamento automatico alle variazioni del costo della vita, ha, per i lavoratori autonomi, conservato intatto nel tempo il suo "potere d'acquisto", non esiste violazione dell'art. 38 Cost.. Le norme impugnate, mentre hanno presumibilmente tenuto conto delle effettive disponibilità finanziarie delle diverse gestioni e dell'esigenza d'un graduale sviluppo del sistema previdenziale che ne garantisse la copertura finanziaria (cfr. sentenza di questa Corte n. 46 del 1979) hanno comunque assicurato ai lavoratori autonomi il mantenimento inalterato del valore reale della pensione liquidata, in relazione ai mutamenti del potere d'acquisto della moneta.
6. - Nemmeno sussiste il prospettato contrasto con l'art. 3 Cost., il quale, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, non può ritenersi violato allorché il legislatore assoggetti a disciplina diverse situazioni che presentino elementi di differenziazione tali da giustificare una diversità di regolamentazione.
Anche sotto questo profilo, i dubbi d'incostituzionalità espressi nelle ordinanze di rimessione si fondano tutti sul presupposto che il trattamento minimo pensionistico sia diretto a soddisfare esclusivamente i minimi bisogni vitali od alimentari che, in quanto tali, si assumono identici per tutti i lavoratori. Si é però già a lungo precedentemente insistito nel dimostrare sia il perché questo assunto non può in alcun modo essere condiviso sia il fatto che "i minimi" delle pensioni dei lavoratori hanno una finalità diversa da quella assistenziale, di garantire, cioé, esclusivamente i mezzi necessari per vivere: il legislatore, pertanto, entro i limiti della ragionevolezza, ben può discrezionalmente fissarli in misura differenziata per diverse categorie di lavoratori allorché valuti differentemente, nel concreto momento storico ed economico, le "esigenze di vita" delle categorie stesse, eventualmente tenendo anche conto del reddito fruito durante la vita lavorativa ed assoggettato a contribuzione.
Se pertanto i predetti "minimi" possono essere diversi, anche i sistemi adottati per la loro perequazione automatica non devono necessariamente essere identici, purché a tutte le categorie di lavoratori sia comunque assicurata - come avviene con la normativa impugnata - la conservazione nel tempo del potere d'acquisto della pensione minima, ritenuta adeguata alle "esigenze di vita" della singola categoria di lavoratori.
La diversità di trattamento che deriva dalle norme in esame non appare arbitraria od irragionevole, trovando essa la sua giustificazione nella differente valutazione delle situazioni in cui versano le due categorie in discussione; in particolare, va tenuto presente, da un lato, la diversa qualità del rapporto di lavoro dei lavoratori dipendenti e dei lavoratori autonomi (coltivatori diretti, artigiani, commercianti) che godono d'un reddito e non d'una retribuzione fissa nonché la diversa posizione economica e sociale degli stessi, e, da un altro lato, la differente disciplina delle contribuzioni previdenziali previste per gli uni e per gli altri.
Né può certamente ritenersi irrazionale la scelta attuata dalle norme impugnate di due diversi criteri di adeguamento automatico dei minimi pensionistici, trovando anch'essa giustificazione sia nei diversi sistemi di contribuzione sia nei differenti sistemi di determinazione della pensione, che per i lavoratori dipendenti é commisurata ad una percentuale della retribuzione, fissata dalla legge (tenendo anche conto dell'anzianità di contribuzione effettiva) mentre per i lavoratori autonomi é commisurata all'entità dei contributi versati. Non é dunque, irrazionale che, per questi ultimi, mancando una retribuzione di riferimento, sia stato mantenuto fermo un criterio di perequazione automatica dei minimi pensionistici ancorato alle variazioni del costo della vita, cioé ad un indice oggettivo mentre per i primi sia stato introdotto un criterio che tien conto della dinamica salariale, cioé d'un elemento che riflette l'incremento della massa contributiva in relazione alle variazioni della massa retributiva e che determina la compatibilità finanziaria della gestione.
In contrario, non può essere utile il richiamo alla sentenza di questa Corte n. 34 del 1981, la quale s'é occupata di una fattispecie del tutto diversa, relativa non già alla determinazione dell'ammontare dei minimi di pensione bensì allo stesso diritto di ottenere l'integrazione al minimo per i titolari di altra pensione. In quell'occasione, invero, la Corte ha ritenuto che l'appartenenza all'una od all'altra categoria di lavoratori e la natura della seconda pensione non fossero elementi di per sé sufficienti a giustificare una disparità di trattamento fra pensionati, già titolari di altra pensione, per alcuni dei quali veniva ammessa e per altri negata l'integrazione al minimo della seconda pensione. Nel presente giudizio, invece, non é in questione il diritto all'integrazione al minimo ma la determinazione dell'ammontare di tale minimo, a prescindere dalla titolarità di altre pensioni o di altri redditi; ed in ordine a questa determinazione, come si é più volte sottolineato, non può ritenersi arbitraria una disciplina che, come quella impugnata, trovi giustificazione nelle diverse condizioni degli assicurati.
Ugualmente non conferente é, infine, il richiamo all'art. 33 della legge 30 aprile 1969, n. 153, per dedurne che, avendo allora il legislatore previsto l'introduzione d'una disciplina uniforme, sarebbe, per ciò solo, dimostrata l'inesistenza di alcun razionale motivo che possa giustificare la denunciata diversità di trattamento. Il legislatore delegante del 1969, infatti, aveva indicato degli obiettivi di parificazione, tra tutte le categorie di lavoratori, nell'ambito d'un ulteriore sviluppo del sistema pensionistico, da realizzare sempre con la gradualità imposta dalla necessità d'una razionale considerazione sia delle esigenze di vita dei lavoratori sia delle effettive disponibilità finanziarie (cfr. sentenza n. 128 del 1973). Se successivamente il legislatore, sulla base d'una diversa e non irrazionale considerazione di queste esigenze e necessità, ha operato una scelta diversa, quest'ultima non é censurabile in questa sede, non essendo ovviamente preclusa dalle precedenti determinazioni.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi di cui in narrativa, dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 9 della legge 3 giugno 1975 n. 160, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 gennaio 1986.
Livio PALADIN - Oronzo REALE - Albero MALAGUGINI - Antonio LAPERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO
Depositata in cancelleria il 3 febbraio 1986.