SENTENZA N. 27
ANNO 1998
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1, e 2, comma 2, della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), quest’ultimo come sostituito dall’art. 7 del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 548, convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 641, e dell’art. 1, comma 2, della legge 20 dicembre 1996, n. 641 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 548, recante interventi per le aree depresse e protette, per manifestazioni sportive internazionali, nonchè modifiche alla legge 25 febbraio 1992, n. 210), promossi con ordinanze emesse il 10 ottobre 1996 dal Pretore di Massa, il 5 febbraio 1997 dal Tribunale di Firenze, il 12 giugno 1997 dal Pretore di Trento, rispettivamente iscritte al n. 1294 del registro ordinanze 1996, e ai nn. 174 e 611 del registro ordinanze 1997, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell’anno 1996 e nn. 15 e 39, prima serie speciale, dell’anno 1997.
Visti gli atti di costituzione di Tavarini Stefania, Brogini Roberto ed altri e Vaia Riccarda, nonchè l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 9 dicembre 1997 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky;
uditi l’Avvocato Sergio Grasselli per Tavarini Stefania, Brogini Roberto e altri e Vaia Riccarda e l’Avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.1. — Nel corso di un giudizio promosso, per la corresponsione dell’indennizzo di cui all’art.1 della legge 25 febbraio 1992, n. 210, da un soggetto che affermava di aver contratto la poliomielite in conseguenza della vaccinazione praticata con metodo Sabin il 21 marzo e il 20 aprile 1964, il Pretore di Massa, con ordinanza del 10 ottobre 1996 (reg. ord. n. 1294 del 1996), ha sollevato, per contrasto con l’art. 3, primo comma, della Costituzione, "in rapporto agli artt. 2 e 38 Cost.", questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), "nella parte in cui esclude dall’indennizzo per menomazioni permanenti dell’integrità fisica coloro che si siano sottoposti a vaccinazione antipoliomielitica non obbligatoria dopo l’entrata in vigore della legge n. 695 del 1959, al di fuori dei casi previsti dal comma 4 dell’art. 1 della legge n. 210 del 1992".
Il giudice a quo rileva che illegittimamente la norma impugnata non riconosce il diritto all’indennizzo a chi si sia sottoposto a vaccinazione antipoliomielitica in un’epoca in cui essa, non ancora obbligatoria, era ritenuta comunque necessaria, mentre lo prevede per coloro che abbiano contratto il virus dell’HIV o abbiano subíto esiti permanenti di epatiti a seguito di emotrasfusioni, ovvero per la persona che si sia sottoposta a vaccinazioni necessarie, seppure non obbligatorie, per motivi di lavoro o per incarico del suo ufficio o per poter accedere a uno stato estero (commi 2, 3 e 4 del medesimo art.1). Con tali disposizioni il legislatore, come evidenziato dalla sentenza n.118 del 1996 della Corte costituzionale, ha inteso realizzare un intervento di natura assistenziale, costituzionalmente consentito dagli artt. 2 e 38 della Costituzione, in favore di soggetti non giuridicamente obbligati ma eventualmente solo necessitati a sottoporsi al trattamento sanitario: intervento, questo, che si giustifica come scelta di "socializzazione" di un danno di particolare rilievo.
Le situazioni degli emotrasfusi - che abbiano contratto il virus dell’HIV a seguito del trattamento sanitario o abbiano subíto danni irreversibili da epatite post-trasfusionale - in relazione alle quali viene riconosciuto un indennizzo, non sono manifestamente incomparabili con quella della ricorrente nel giudizio a quo, trattandosi sempre di danni derivati al singolo a seguito di un trattamento sanitario diretto alla protezione della salute, ma fonte di pericoli per lo stesso bene che il trattamento é diretto a proteggere, in quanto astrattamente rischioso, e vertendosi comunque in ipotesi nelle quali difficilmente un’efficace tutela può essere assicurata dagli ordinari strumenti civilistici di risarcimento del danno.
Parimenti la situazione dei soggetti vaccinati contro la poliomielite nella vigenza della legge 30 luglio 1959, n. 695, secondo il rimettente, non é manifestamente incomparabile con quella di coloro la cui vaccinazione sia necessaria per motivi di lavoro o d’ufficio o per poter accedere a uno stato estero, secondo le previsioni di cui al comma 4 dell’art. 1 della legge n. 210 del 1992: difatti anche in questi casi la vaccinazione non é obbligatoria ma soltanto necessaria e la necessità del trattamento viene ritenuta dalla legge rilevante sempre che sussistano il motivo o il fine normativamente previsti, anche se gli interessi, alla base di tali finalità, sono diversi. Nel caso di specie il soggetto si era determinato alla vaccinazione per la tutela della salute sua e di quella altrui, in rapporto all’elevato rischio di contagio in età scolare e prescolare.
1.2. — Si é costituita in giudizio la parte privata, chiedendo l’accoglimento della questione. Sussisterebbe, a suo avviso, una chiara disparità di trattamento tra la ricorrente (e con lei i vaccinati contro la poliomielite prima della legge n. 51 del 1966) e coloro che siano stati danneggiati da emotrasfusioni, i quali, ai sensi dell’art. 1 della legge n. 210 del 1992, possono chiedere e ottenere l’indennizzo previsto dall’art. 2 della medesima legge indipendentemente dall’epoca del contagio e dall’esistenza dell’obbligo di sottoporsi al trattamento che li ha danneggiati. Riguardo a tali soggetti lo Stato "ha ritenuto giusto assumere su di sé gli oneri indennitari" per i danni conseguenti alle emotrasfusioni, che venivano e vengono praticate sotto il suo diretto controllo, anche nel caso in cui il danneggiato sia stato prima informato del rischio connesso a quella pratica terapeutica e lo abbia accettato espressamente, e ciò per la impossibilità di un controllo diffuso circa la genuinità delle sostanze inoculate.
La vaccinazione antipolio, anche prima del 1966, era nella coscienza sociale sentita come obbligatoria per il coinvolgimento delle strutture pubbliche nelle fasi del controllo farmacologico, della somministrazione e della propaganda, per la mancanza della preventiva espressione di un consenso informato e per la conseguenza del rifiuto di ammissione negli asili e nelle scuole. Da ciò la violazione, non solo degli artt. 3 e 38, ma anche dell’art. 32 della Costituzione, in quanto si tratta di danni alla salute. La mancata previsione dell’indennizzo per coloro che in età infantile sono stati danneggiati dal vaccino antipolio contrasterebbe altresì con la Convenzione sui diritti del fanciullo, stipulata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176.
2.1. — Nel corso di un altro giudizio, instaurato per l’impugnazione della sentenza parziale del Pretore di Firenze - con la quale questi, riassunto il giudizio a seguito della sentenza n. 118 del 1996 della Corte costituzionale, aveva dichiarato il diritto del minore, colpito da invalidità permanente in conseguenza della vaccinazione obbligatoria antipolio cui era stato sottoposto nel luglio del 1978, a percepire l’indennizzo con decorrenza dalla data della manifestazione lesiva, determinato in via equitativa nella stessa misura attualmente percepita, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali secondo la normativa sui crediti assistenziali - il Tribunale di Firenze, con ordinanza del 5 febbraio 1997 (reg. ord. n. 174 del 1997), ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 32, 38, primo e terzo comma, e 136 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, della legge 25 febbraio 1992, n. 210, come sostituito dall’art. 7 del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 548, convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 641, e dell’art. 1, comma 2, della legge n. 641 del 1996 (che ha fatto salvi gli effetti di alcuni decreti-legge non convertiti), "nella parte in cui riduce l’indennizzo per il passato del 70 per cento annuo ed esclude il diritto agli interessi e alla rivalutazione dei ratei arretrati maturati e non riscossi".
Premette il rimettente che la nuova normativa si caratterizza, rispetto alla legge n. 210 del 1992, per vari elementi, quali: la decorrenza delle provvidenze dall’evento e non dall’entrata in vigore della legge n. 210 del 1992; la rivalutazione annuale dell’assegno, secondo il tasso di inflazione programmato; la sua cumulabilità con qualsiasi altro emolumento; la sua reversibilità per quindici anni; la determinazione degli arretrati, con decurtazione del 70 per cento e con l’esclusione di rivalutazione monetaria e interessi legali. Proprio queste ultime previsioni violerebbero gli artt. 2, 32, 38, primo e terzo comma, della Costituzione, per la sproporzione che determinano tra l’assegno a regime e gli arretrati, che hanno carattere irrisorio, tenuto conto della natura assistenziale della provvidenza. Questa, infatti, anche alla luce della sentenza n. 118 del 1996, non ha nè carattere risarcitorio, nè previdenziale, nè si configura come un credito inerente al rapporto di lavoro, trovando invece fondamento nel dovere di solidarietà sociale. Difatti l’esigenza del ristoro non nasce direttamente dal danno alla salute ma dal fatto che il danno, provocato dagli eventi in questione, normalmente implica uno stato di bisogno che costituisce la ragion d’essere dell’intervento statale; donde la natura assistenziale della provvidenza, come si desume anche dalla disciplina positiva dell’indennizzo (é corrisposto attraverso un assegno continuativo reversibile; é commisurato alla pensione privilegiata; in caso di morte dell’interessato viene erogato non a tutti gli eredi, ma a individuate figure di familiari a carico; é cumulabile con altri emolumenti).
Le disposizioni censurate violerebbero anche l’art. 136 della Costituzione, perchè ridurrebbero per il passato la portata della sentenza n. 118 del 1996 ad un livello prossimo a quell’irrisorietà esclusa dalla sentenza medesima.
2.2. — Si sono costituite le parti private, ovverosia i genitori già esercenti la patria potestà sul soggetto colpito da invalidità permanente e quest’ultimo, nel frattempo divenuto maggiorenne,rilevando che le norme impugnate, nella parte in cui riducono arbitrariamente al 30 per cento l’indennizzo dovuto per il passato, configurano un tentativo di eludere, in violazione dell’art. 136 della Costituzione, il disposto della sentenza n. 118 del 1996 della Corte costituzionale, che sancisce la retroattività dell’indennizzo, nonchè il disposto della precedente sentenza della medesima Corte n. 307 del 1990. Infatti, in base a queste due decisioni, i soggetti danneggiati da vaccinazione obbligatoria debbono ricevere dallo Stato un equo ristoro a partire dal momento in cui é maturato il loro diritto, cioé dal momento in cui si é verificato il danno, senza limitazioni temporali: l’unicità del beneficio e la sua identità ontologica nel tempo non consentono misure differenziate dell’indennizzo dovuto per il passato, rispetto a quello conferito nella vigenza della legge n. 210 del 1992.
2.3. — In questo giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo la manifesta infondatezza delle sollevate questioni di costituzionalità. La quantificazione degli arretrati da corrispondere a coloro che hanno subíto danni da vaccinazioni obbligatorie rientrerebbe nella sfera discrezionale del legislatore e, nel caso di specie, non sarebbe contraria a criteri di ragionevolezza.
3.1. — Nel corso di un altro giudizio promosso da un soggetto, il quale precisava di aver contratto la poliomielite in conseguenza della vaccinazione antipolio praticata "in ottemperanza alle richieste formulate dalle competenti autorità sanitarie in esecuzione della legge 30 luglio 1959, n. 695", il Pretore di Trento, con ordinanza del 12 giugno 1997 (reg. ord. n. 611 del 1997), ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210, "nella parte in cui non riconosce il diritto all’indennizzo ivi previsto a colui che ha riportato lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente dell’integrità psicofisica, a causa di vaccinazione antipoliomielitica praticata nel periodo di vigenza della legge 30 luglio 1959, n. 695", per contrasto con gli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, nonchè dell’art. 2, comma 2, della medesima legge n. 210 del 1992, come sostituito dall’art. 7 del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 548, convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 641, e dell’art. 1, comma 2, della predetta legge n. 641 del 1996, "nella parte in cui riduce per il passato del 70 per cento annuo l’indennizzo ivi previsto ed esclude il diritto agli interessi e alla rivalutazione dei ratei arretrati maturati e non riscossi", per violazione degli artt. 2, 32, 38, primo e terzo comma, e 136 della Costituzione.
Il giudice a quo precisa, quanto alla prima delle proposte questioni, che anche per le vaccinazioni praticate nella vigenza della prima legge (n. 695 del 1959) ricorrerebbero i due presupposti sulla base dei quali la Corte costituzionale ha statuito la sussistenza, per lo Stato, dell’obbligo di indennizzare i danneggiati da vaccinazioni antipoliomielitiche nella vigenza della legge successiva n. 51 del 1966, e cioé: a) il fatto che la causa dell’evento dannoso fortuito, di cui lo Stato si deve assumere i costi, dipende da decisioni adottate in vista di un beneficio di carattere generale; b) la compressione del diritto alla salute in nome della solidarietà verso gli altri. In entrambi i casi si é trattato di vaccinazioni eseguite per il conseguimento del fine generale di immunizzazione della collettività, come emerge dai provvedimenti adottati dalle pubbliche istituzioni per incentivare la pratica della vaccinazione antipoliomielitica; inoltre, benché la legge n. 695 del 1959 non prevedesse una vera e propria sanzione a carico di coloro che non osservavano l’obbligo della vaccinazione, tuttavia la scelta tra le due opzioni (far vaccinare o non far vaccinare) non era libera, non potendosi definire il frutto di una autodeterminazione, come mostra il tenore delle circolari all’epoca emanate dal Ministero della sanità che facevano apparire insensata una condotta opposta a quella consigliata.
Quanto alla seconda questione sollevata, il rimettente rileva la irrisorietà degli arretrati e la riduzione della portata della sentenza n. 118 del 1996 effettuata dalla normativa censurata.
3.2. — Si é costituita anche in questo giudizio la parte privata, chiedendo l’accoglimento delle questioni proposte.
4. — In prossimità dell’udienza tutte le parti private, costituite nei diversi giudizi, hanno depositato memorie nelle quali hanno ulteriormente illustrato le rispettive tesi difensive.
Anche l’Avvocatura generale dello Stato - intervenuta, come si é già detto, nel solo giudizio di cui al reg. ord. n. 174 del 1997 - ha depositato una sua memoria, rilevando che dalla giurisprudenza costituzionale emergerebbe il carattere equitativo dell’indennità in questione, che, prescindendo da un necessario adeguamento all’entità del danno sofferto, a differenza di quanto avviene per la responsabilità civile, si inquadra nell’ambito del sistema di sicurezza sociale, ossia di un sistema caratterizzato da un numero modesto e limitato di risorse economiche. La determinazione dei caratteri specifici dell’indennità é, quindi, attività riservata necessariamente al legislatore, cui spetta assicurare "nulla più che un indennizzo parziale, entro i limiti di liberazione dal bisogno".
L’equiparazione, compiuta dal rimettente, di detto indennizzo a un assegno di natura assistenziale risulta fuorviante, anche tenuto conto della cumulabilità di tale indennità con altre, per cui non risultano applicabili le regole che disciplinano i crediti assistenziali. Nè, secondo l’Avvocatura, la preesistenza del diritto soggettivo all’indennità, rispetto alla legge n. 210 del 1992, muta la natura dell’indennità medesima, la cui determinazione nel quantum spetta al legislatore, che l’ha compiuta in applicazione della sentenza n. 118 del 1996, tenendo conto, nel bilanciamento di tutti i fattori costituzionalmente rilevanti, anche dei profili d’ordine finanziario alla luce dei lunghi periodi di tempo da considerare.
Considerato in diritto
1. — Il Pretore di Massa, il Tribunale di Firenze e il Pretore di Trento sollevano due questioni di legittimità costituzionale sulla disciplina dell’indennizzo a favore di coloro che hanno subìto danni irreversibili in conseguenza di vaccinazione antipoliomielitica.
Il Pretore di Massa e il Pretore di Trento dubitano della legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), nella parte in cui esclude dall’indennizzo coloro che abbiano riportato lesioni o infermità irreversibili, essendosi sottoposti a vaccinazione antipoliomielitica non obbligatoria dopo l’entrata in vigore della legge 30 luglio 1959, n. 695. Tale esclusione si porrebbe in contrasto, per il Pretore di Massa, con l’art. 3, primo comma, in rapporto agli artt. 2 e 38 della Costituzione, e, per il Pretore di Trento, con gli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione.
Il Tribunale di Firenze e il Pretore di Trento dubitano poi della legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, della legge n. 210 del 1992, come sostituito dall’art. 7 del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 548, convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 641, e dell’art. 1, comma 2, della medesima legge n. 641 del 1996, nella parte in cui, per il passato, riducono l’indennizzo del 70 per cento annuo ed escludono il diritto agli interessi e alla rivalutazione dei ratei arretrati maturati e non riscossi. Ritengono i giudici rimettenti che la disciplina menzionata violi gli artt. 2, 32, 38, primo e terzo comma, e 136 della Costituzione.
2. — Investendo le tre ordinanze di rimessione aspetti connessi della medesima disciplina, i relativi giudizi possono essere riuniti per essere decisi con la medesima sentenza.
3. — La questione relativa alla mancata previsione dell’indennizzabilità di quanti abbiano subìto lesioni o menomazioni permanenti dell’integrità psico-fisica per essersi sottoposti a vaccinazione antipoliomielitica a seguito della legge 30 luglio 1959, n. 695, é fondata.
La vaccinazione antipoliomielitica é stata resa obbligatoria con la legge 4 febbraio 1966, n. 51. Essa, insieme alle prescrizioni necessarie per realizzare l’obbiettivo della vaccinazione integrale della popolazione infantile, all’art. 3 stabilisce che le persone esercenti la patria potestà o la tutela sul bambino, ovvero il direttore dell’istituto di pubblica assistenza o l’affidatario nominato dall’istituto medesimo sono tenuti responsabili dell’osservanza dell’obbligo della vaccinazione e che il contravventore incorre in una sanzione penale.
Anteriormente alla legge citata, la legge 30 luglio 1959, n. 695 (Provvedimenti per rendere integrale la vaccinazione antipoliomielitica) dettava norme per incentivare la pratica della vaccinazione. L’art. 3, primo comma, stabiliva che "per l’ammissione agli asili nido, alle sale di custodia, ai brefotrofi, agli asili infantili, alle scuole materne, alle scuole elementari, ai collegi, alle colonie climatiche ed a qualsiasi altra collettività di bambini, da quattro mesi a sei anni di età, é richiesta all’atto dell’iscrizione o della ammissione la presentazione dell’attestato" di "subìta vaccinazione". Il terzo comma prevedeva peraltro che "l’ammissione é tuttavia consentita qualora sia presentato un certificato medico da cui risultino le ragioni di salute per le quali il bambino non é in grado di subìre la vaccinazione, oppure una dichiarazione, sottoscritta dall’esercente la patria potestà o la tutela, di non voler sottoporre il bambino alla vaccinazione". Da queste disposizioni - seguite da numerosi atti dell’amministrazione sanitaria in tema di approvvigionamento, distribuzione e controllo del vaccino, nonchè di informazione, sollecitazione e responsabilizzazione delle famiglie relativamente ai rischi per la salute individuale e collettiva derivanti dalla mancata vaccinazione dei bambini - appare chiaro che, fin dal 1959, era in atto una pressante campagna pubblica di sensibilizzazione e persuasione diffusa. Pur non essendo previsto un obbligo giuridico (come sarà poi, dopo la legge del 1966), la sottrazione dei bambini alla vaccinazione li esponeva a conseguenze discriminatorie di notevole gravità, che potevano essere evitate soltanto ove si fosse adempiuto a un onere di certificazione medica o di dichiarazione di volontà contraria da parte dell’esercente la patria potestà o la tutela.
Con le sentenze n. 307 del 1990 e n. 118 del 1996, questa Corte ha riconosciuto l’esistenza di un diritto costituzionale all’indennizzo in caso di danno alla salute patito in conseguenza della sottoposizione a vaccinazioni obbligatorie. Ora si pone in dubbio la legittimità costituzionale del mancato riconoscimento del medesimo diritto quando il danno sia derivato da vaccinazione che, pur non giuridicamente obbligatoria, era tuttavia programmata e incentivata nel modo che si é detto.
L’estensione così richiesta dai giudici rimettenti si presenta come un’applicazione naturale e necessaria del principio cui si ispirano le sopra indicate decisioni di questa Corte: il principio che non é lecito, alla stregua degli artt. 2 e 32 della Costituzione, richiedere che il singolo esponga a rischio la propria salute per un interesse collettivo, senza che la collettività stessa sia disposta a condividere, come é possibile, il peso delle eventuali conseguenze negative.
Non vi é infatti ragione di differenziare, dal punto di vista del principio anzidetto, il caso - allora all’esame - in cui il trattamento sanitario sia imposto per legge da quello - all’esame ora - in cui esso sia, in base a una legge, promosso dalla pubblica autorità in vista della sua diffusione capillare nella società; il caso in cui si annulla la libera determinazione individuale attraverso la comminazione di una sanzione, da quello in cui si fa appello alla collaborazione dei singoli a un programma di politica sanitaria.
Una differenziazione che negasse il diritto all’indennizzo in questo secondo caso si risolverebbe in una patente irrazionalità della legge. Essa riserverebbe infatti a coloro che sono stati indotti a tenere un comportamento di utilità generale per ragioni di solidarietà sociale un trattamento deteriore rispetto a quello che vale a favore di quanti hanno agito in forza della minaccia di una sanzione.
4. — La questione relativa alla misura dell’assegno una tantum previsto dall’art. 2, comma 2, ultima parte, della legge n. 210 del 1992 non é invece fondata.
4.1. — Questa Corte, con la sentenza n. 307 del 1990, ha riconosciuto che, se il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività (art. 32 della Costituzione) giustifica l’imposizione per legge di trattamenti sanitari obbligatori, esso non postula il sacrificio della salute individuale a quella collettiva. Cosicchè, ove tali trattamenti obbligatori comportino il rischio di conseguenze negative sulla salute di chi a essi é stato sottoposto, il dovere di solidarietà previsto dall’art. 2 della Costituzione impone alla collettività, e per essa allo Stato, di predisporre in suo favore i mezzi di una protezione specifica consistente in una "equa indennità", fermo restando, ove se ne realizzino i presupposti, il diritto al risarcimento del danno.
Le conseguenze normative della sentenza n. 307 del 1990 sono state tratte dalla legge n. 210 del 1992 che, in generale, ha disciplinato l’" indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati" .
L’art. 2, comma 2, e l’art. 3, comma 7, di detta legge sono stati a loro volta dichiarati costituzionalmente illegittimi con la sentenza n. 118 del 1996 poichè e nella parte in cui questi attribuivano alla nuova normativa una portata solo pro futuro, venendo a escludere il diritto all’indennità, in caso di vaccinazione antipoliomielitica obbligatoria, per il periodo ricompreso tra il manifestarsi dell’evento dannoso prima dell’entrata in vigore della legge predetta e l’ottenimento della prestazione determinata a norma della stessa legge.
In attuazione dell’obbligo così riconosciuto a carico dello Stato anche pro praeterito, il legislatore é intervenuto a fissare le modalità di calcolo dell’indennizzo, attraverso provvedimenti legislativi destinati a valere negli anni 1995, 1996 e 1997 "in attesa di una nuova e più completa disciplina legislativa". Si tratta, per gli anni 1995 e 1996, dell’art. 6 del decreto-legge 1° luglio 1996, n. 344 e dell’art. 7 del decreto-legge 30 agosto 1996, n. 450 (il primo decaduto per decorrenza dei termini, il secondo abrogato dall’art. 8 del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 548, gli effetti dei quali sono stati tuttavia salvati dall’art. 1, comma 2, della legge 20 dicembre 1996, n. 641) e dell’art. 7 del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 548, convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 641; per l’anno 1997, dell’art. 1 del decreto-legge 4 aprile 1997, n. 92 (Modifiche ed integrazioni alla legge 25 febbraio 1992, n. 210, in materia di indennizzi ai soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni ed emoderivati), decreto non convertito in legge, i cui effetti sono stati tuttavia salvati dall’art. 2 della legge 25 luglio 1997, n. 238, portante il medesimo titolo, e dell’art. 1 della legge da ultimo menzionata.
Con le disposizioni anzidette si prevede che ai soggetti, i quali hanno diritto o ai quali spetta l’indennizzo a norma dell’art. 1 della legge n. 210 del 1992, é corrisposto, a domanda, per il periodo ricompreso tra il manifestarsi dell’evento dannoso e l’ottenimento dell’indennizzo previsto dall’art. 2, commi 1 e 2, prima parte, della legge, un assegno una tantum nella misura pari, per ciascun anno, al 30 per cento dell’indennizzo - per così dire - "a regime", con esclusione di interessi legali e rivalutazione monetaria.
Relativamente a tali decurtazioni, i giudici rimettenti sollevano questione di costituzionalità, ritenendo che la somma residua risulti irrisoria, la disciplina impugnata ponendosi in tal modo in contraddizione con quanto da questa Corte riconosciuto nelle citate sentenze n. 307 del 1990 e n.118 del 1996. Da qui, la prospettata violazione, da un lato, degli artt. 2, 32, 38, primo e terzo comma, e, dall’altro, dell’art. 136 della Costituzione.
4.2. — Deve preliminarmente essere osservato che alla Corte costituzionale non é dato sovrapporre le proprie valutazioni di merito a quelle che spettano e sono riservate al legislatore nelle determinazioni volte a predisporre i mezzi necessari a far fronte alle obbligazioni dello Stato nella materia dei cosiddetti diritti sociali. Solo il legislatore é, infatti, costituzionalmente abilitato a compiere gli apprezzamenti necessari a comporre nell’equilibrio del bilancio le scelte di compatibilità e di relativa priorità nelle quali si sostanziano le politiche sociali dello Stato.
Nel rispetto dell’ampia discrezionalità che deve essere riconosciuta al legislatore, a questa Corte, nell’esercizio del controllo di costituzionalità sulle leggi, compete tuttavia di garantire la misura minima essenziale di protezione delle situazioni soggettive che la Costituzione qualifica come diritti, misura minima al di sotto della quale si determinerebbe, con l’elusione dei precetti costituzionali, la violazione di tali diritti.
Alla stregua delle proposizioni che precedono, deve ritenersi che, nel caso in esame, la determinazione legislativa di ciò che ha da essere l’indennizzo "equo", in relazione e nei limiti delle possibilità della situazione data, potrebbe essere oggetto di censura in sede di giudizio di legittimità costituzionale solo in quanto esso risultasse tanto esiguo da vanificare, riducendolo a un nome privo di concreto contenuto, il diritto all’indennizzo stesso, diritto che, dal punto di vista costituzionale, é stabilito nell’an ma non nel quantum. Ma ciò, pur in presenza della drastica riduzione operata rispetto alla misura prevista dalla legge per il periodo successivo alla sua entrata in vigore, ad avviso di questa Corte non può affermarsi, anche tenendo conto della natura e della finalità di tale indennizzo.
Ciò che conta, nel giudizio cui la Corte é chiamata, non é la percentuale della riduzione, ma l’entità in sè della somma che ne risulta. La sua valutazione in termini di legittimità costituzionale deve tener conto che l’assegno una tantum previsto dalla legge assume il significato di misura di solidarietà sociale, cui non necessariamente si accompagna una funzione assistenziale a norma dell’art. 38, primo comma, della Costituzione. Esso é infatti dovuto indipendentemente dalle condizioni economiche dell’avente diritto e non mira di per sè agli scopi per i quali l’art. 38 stesso é stato dettato, aggiungendosi agli altri eventuali emolumenti a qualsiasi titolo percepiti, e quindi anche a quelli di natura propriamente assistenziale, in ipotesi dovuti anche in ragione dell’inabilità al lavoro derivante dal danno subìto in conseguenza del trattamento sanitario (art. 2, comma 1, seconda parte, della legge n. 210 del 1992).
Il fondamento della misura indennitaria in questione negli artt. 2 e 32 della Costituzione e non nel diritto previsto dall’art. 38 della Costituzione (sentenza n. 118 del 1996), e quindi non nelle esigenze di vita e di assistenza dei cittadini inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere, vale a ulteriormente sottolineare l’ambito delle scelte discrezionali entro il quale il legislatore é in questo caso abilitato a operare. In tale ambito, la stessa differenziazione del regime di determinazione dell’indennità per il passato, rispetto a quello per il futuro, può trovare giustificazione alla stregua delle valutazioni, spettanti al legislatore, circa le conseguenze di ordine finanziario derivanti dalle misure predisposte.
Per le stesse ragioni, neppure la censura relativa all’esclusione del diritto alla rivalutazione e agli interessi può essere accolta. Per quanto riguarda il periodo anteriore all’ottenimento dell’indennizzo previsto dal comma 1 dell’art. 2 della legge n. 210 del 1992, il legislatore ha optato per il riconoscimento del diritto alla corresponsione di una somma di danaro una tantum, sia pure calcolata tenendo conto degli anni di durata di tale periodo. In altre parole, secondo una scelta di per sè - nella specie - non irragionevole, ha considerato il diritto alla percezione della somma indennitaria in modo unitario, nel momento in cui la quantificazione legislativa l’ha reso esigibile. In mancanza, non si sarebbe del resto neppure potuto correttamente parlare di mora debendi, condizione che in generale giustifica il diritto alla percezione degli accessori della somma dovuta a titolo principale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), nella parte in cui non prevede il diritto all’indennizzo, alle condizioni ivi stabilite, di coloro che siano stati sottoposti a vaccinazione antipoliomielitica nel periodo di vigenza della legge 30 luglio 1959, n. 695 (Provvedimenti per rendere integrale la vaccinazione antipoliomielitica);
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, della legge 25 febbraio 1992, n. 210, come sostituito dall’art. 7 del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 548, convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 641, e dell’art. 1, comma 2, della predetta legge 20 dicembre 1996, n. 641, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 32, 38, primo e terzo comma, e 136 della Costituzione, dal Tribunale di Firenze e dal Pretore di Trento con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 febbraio 1998.
Presidente: Renato GRANATA
Redattore: Gustavo ZAGREBELSKY
Depositata in cancelleria il 26 febbraio 1998.