ORDINANZA N. 125
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo), e degli artt. 3, 4 e 12 della deliberazione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni 19 giugno 2002, n. 182/02/CONS (Adozione del regolamento concernente la risoluzione delle controversie insorte nei rapporti tra organismi di telecomunicazioni ed utenti), promosso con ordinanza del 6 agosto 2005 dal Giudice di pace di Capaccio, nel procedimento civile vertente tra Antonietta D’Amore e la Telecom Italias.p.a., iscritta al n. 510 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2005.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 22 febbraio 2006 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro.
Ritenuto che, nel corso di un procedimento civile promosso da Antonietta D’Amore nei confronti della Telecom Italia s.p.a. allo scopo di ottenerne la condanna alla restituzione di una somma relativa al pagamento del canone di abbonamento al servizio telefonico, in ragione della dedotta «vessatorietà della voce siccome priva di qualsiasi servizio corrispondente», il Giudice di pace di Capaccio, con ordinanza del 6 agosto 2005, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo), e degli artt. 3, 4 e 12 della deliberazione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni 19 giugno 2002, n. 182/02/CONS (Adozione del regolamento concernente la risoluzione delle controversie insorte nei rapporti tra organismi di telecomunicazioni ed utenti), nella parte in cui essi stabiliscono che, per le controversie inerenti ai rapporti tra utenti ed organismi di telecomunicazioni, può essere proposto ricorso giurisdizionale solo dopo che sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi al Comitato regionale per le comunicazioni (Corecom) competente per territorio;
che, secondo l’ordinanza di rimessione, la società convenuta ha pregiudizialmente eccepito la improponibilità dell’azione a causa dell’omesso esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, richiamando l’art. 1, comma 11, della citata legge n. 249 del 1997 – il quale, nell’attribuire all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il potere di disciplinare con propri provvedimenti le modalità per la soluzione non giurisdizionale delle controversie tra utenti ed organismi di telecomunicazioni, ha disposto che per tali controversie «non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione» – nonché gli artt. 3, 4 e 12 del regolamento adottato dalla medesima Autorità, in attuazione della predetta disposizione legislativa, con la deliberazione n. 182/02/CONS, i quali, rispettivamente, stabiliscono: «gli utenti […] ovvero gli organismi di telecomunicazioni, che lamentino la violazione di un proprio diritto o interesse protetti da un accordo di diritto privato o dalle norme in materia di telecomunicazioni attribuite alla competenza dell’Autorità e che intendano agire in giudizio, sono tenuti a promuovere preventivamente un tentativo di conciliazione dinanzi al Corecom competente per territorio» (art. 3); «il ricorso giurisdizionale non può essere proposto sino a quando non sia stato espletato il tentativo di conciliazione» (art. 4); l’utente ha «la facoltà di esperire, in alternativa al tentativo di conciliazione presso i Corecom […], un tentativo di conciliazione dinanzi agli organi non giurisdizionali di risoluzione delle controversie in materia di consumo che rispettino i principi sanciti dalla raccomandazione della Commissione 2001/310/CE» (art. 12);
che, ad avviso del Giudice di pace, dette disposizioni richiedono che l’utente esperisca il previo tentativo di conciliazione e, «di conseguenza, per dirimere la controversia in atti, è di evidente necessità decidere la questione di legittimità costituzionale»;
che, in particolare, secondo il rimettente, le norme impugnate violerebbero l’art. 3 della Costituzione in quanto renderebbero “meno uguali” i cittadini che intendono convenire in giudizio la Telecom, obbligandoli ad un esperimento “dilatorio” e “defatigante”, anche in considerazione della localizzazione dei Corecom nei soli capoluoghi di regione e della complessità della procedura rispetto alle attese dell’utenza;
che, inoltre, le norme censurate, stabilendo l’obbligo del preventivo tentativo di conciliazione, recherebbero vulnus agli artt. 24, 25 e 3 della Costituzione, in quanto si porrebbero in contrasto sia con il principio secondo il quale “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”, sia con il principio del giudice naturale precostituito per legge, comportando inoltre il mancato funzionamento dei Corecom l’aggravio dell’esborso di una somma di denaro, non più recuperabile, per potere accedere agli organismi di cui all’art. 12 della deliberazione n.182/02/CONS dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata;
che, secondo la difesa erariale, il tentativo obbligatorio di conciliazione, previsto dall’art. 1, comma 11, della legge n. 249 del 1997, configurerebbe una condizione di mera procedibilità dell’azione e, conseguentemente, non determinerebbe una lesione del diritto di azione e del principio del giudice naturale precostituito per legge, in quanto l’accesso a detto giudice non è precluso, ma è solo ritardato per il tempo occorrente all’esaurimento di detto tentativo, senza peraltro realizzare alcuna disparità di trattamento fra situazioni soggettive identiche, essendo applicabile a tutti i soggetti interessati alla soluzione delle controversie indicate nella normativa richiamata a parità di condizioni.
Considerato che il Giudice di pace di Capaccio dubita, in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo), e degli artt. 3, 4 e 12 della deliberazione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni 19 giugno 2002, n. 182/02/CONS (Adozione del regolamento concernente la risoluzione delle controversie insorte nei rapporti tra organismi di telecomunicazioni ed utenti), in base ai quali per le controversie inerenti ai rapporti tra utenti ed organismi di telecomunicazione non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi al Comitato regionale per le comunicazioni (Corecom) competente per territorio;
che le censure relative agli artt. 3, 4 e 12 della deliberazione n. 182/02/CONS dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, recante il regolamento concernente la risoluzione delle controversie fra organismi di telecomunicazione ed utenti, sono inammissibili avendo ad oggetto norme regolamentari, sottratte al sindacato di legittimità costituzionale di questa Corte (al riguardo, di recente, ordinanze n. 193 e n. 66 del 2004);
che le censure sollevate nei confronti dell’art. 1, comma 11, della legge n. 249 del 1997 sono state formulate in modo apodittico e senza fornire alcuna motivazione, in quanto gli argomenti svolti nell’ordinanza riguardano essenzialmente le disposizioni regolamentari;
che, peraltro, il rimettente si è limitato a sollevare la questione in relazione all’interpretazione della norma offerta dalla società convenuta, secondo la quale il tentativo obbligatorio di conciliazione in esame configurerebbe una condizione di proponibilità dell’azione, senza tuttavia fare propria questa configurazione, non avendo motivato in ordine all’esatto contenuto della medesima norma ed alla qualificazione che egli stesso ha scelto (fra le altre, ordinanze n. 372 del 1999 e n. 456 del 1992);
che, inoltre, il Giudice di pace non ha neppure effettuato il doveroso tentativo di individuare una interpretazione conforme a Costituzione della norma denunciata (per tutte, ordinanza n. 427 del 2005), omettendo di verificare la possibilità di una lettura del tentativo obbligatorio di conciliazione quale condizione di mera procedibilità dell’azione;
che, pertanto, la questione è manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo), e degli artt. 3, 4 e 12 della deliberazione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni 19 giugno 2002, n. 182/02/CONS (Adozione del regolamento concernente la risoluzione delle controversie insorte nei rapporti tra organismi di telecomunicazioni ed utenti), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione, dal Giudice di pace di Capaccio con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 marzo 2006.
Annibale MARINI, Presidente
Giuseppe TESAURO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 24 marzo 2006.