SENTENZA N. 12
ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
- Giuliano AMATO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell’art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 (Norme integrative della Costituzione concernenti la Corte costituzionale), della richiesta di referendum popolare per l’abrogazione dell’art. 1, commi 2, 3, 4, 5 e 5-bis della legge 14 settembre 2011, n. 148 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari), come modificato dall’art. 1, comma 3, della legge 24 febbraio 2012, n. 14 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative. Differimento di termini relativi all’esercizio di deleghe legislative); dell’intero decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155 (Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148) e dell’intero decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156 (Revisione delle circoscrizioni giudiziarie – Uffici dei giudici di pace, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148), giudizio iscritto al n. 158 del registro referendum.
Viste le ordinanze del 12 e del 28 novembre 2013, con le quali l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta;
udito nella camera di consiglio del 15 gennaio 2014 il Giudice relatore Marta Cartabia;
uditi gli avvocati Giandomenico Falcon per i delegati del Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia, Roberto di Pietro e Mario Petrella per i delegati dei Consigli regionali dell’Abruzzo, della Basilicata e della Liguria, Angelo Marzocchella per i delegati del Consiglio regionale della Campania e gli avvocati dello Stato Giustina Noviello e Massimo Massella Ducci Teri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 28 novembre 2013, l’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 12 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), e successive modificazioni, ha dichiarato conforme alle disposizioni di legge la richiesta di referendum popolare abrogativo presentata dai Consigli regionali delle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Puglia, Marche, Friuli-Venezia Giulia, Campania, Liguria e Piemonte sul seguente quesito:
«Volete voi che siano abrogate le seguenti disposizioni:
1) le disposizioni di cui all’art. 1, commi 2, 3, 4, 5, 5-bis, della legge 14 settembre 2011 n. 148, recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari”, come modificato dall’articolo 1, comma 3, della legge 24 febbraio 2012, n. 14, recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative. Differimento di termini relativi all’esercizio di deleghe legislative” di cui, di seguito, si trascrive integralmente il testo:
“2. Il Governo, anche ai fini del perseguimento delle finalità di cui all’articolo 9 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza, con l’osservanza dei seguenti principi e criteri direttivi:
a) ridurre gli uffici giudiziari di primo grado, ferma la necessità di garantire la permanenza del tribunale ordinario nei circondari di comuni capoluogo di provincia alla data del 30 giugno 2011;
b) ridefinire, anche mediante attribuzione di porzioni di territori a circondari limitrofi, l’assetto territoriale degli uffici giudiziari secondo criteri oggettivi e omogenei che tengano conto dell’estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell’indice delle sopravvenienze, della specificità territoriale del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale, e del tasso d’impatto della criminalità organizzata, nonché della necessità di razionalizzare il servizio giustizia nelle grandi aree metropolitane;
c) ridefinire l’assetto territoriale degli uffici requirenti non distrettuali, tenuto conto, ferma la permanenza di quelli aventi sedi presso il tribunale ordinario nei circondari di comuni capoluogo di provincia alla data del 30 giugno 2011, della possibilità di accorpare più uffici di procura anche indipendentemente dall’eventuale accorpamento dei rispettivi tribunali, prevedendo, in tali casi, che l’ufficio di procura accorpante possa svolgere le funzioni requirenti in più tribunali e che l’accorpamento sia finalizzato a esigenze di funzionalità ed efficienza che consentano una migliore organizzazione dei mezzi e delle risorse umane, anche per raggiungere economia di specializzazione ed una più agevole trattazione dei procedimenti;
d) procedere alla soppressione ovvero alla riduzione delle sezioni distaccate di tribunale, anche mediante accorpamento ai tribunali limitrofi, nel rispetto dei criteri di cui alla lettera b);
e) assumere come prioritaria linea di intervento, nell’attuazione di quanto previsto dalle lettere a), b), c) e d), il riequilibrio delle attuali competenze territoriali, demografiche e funzionali tra uffici limitrofi della stessa area provinciale caratterizzati da rilevante differenza di dimensioni;
f) garantire che, all’esito degli interventi di riorganizzazione, ciascun distretto di corte d’appello, incluse le sue sezioni distaccate, comprenda non meno di tre degli attuali tribunali con relative procure della Repubblica;
g) prevedere che i magistrati e il personale amministrativo entrino di diritto a far parte dell’organico, rispettivamente, dei tribunali e delle procure della Repubblica presso il tribunale cui sono trasferite le funzioni di sedi di tribunale, di sezioni distaccate e di procura presso cui prestavano servizio, anche in sovrannumero riassorbibile con le successive vacanze;
h) prevedere che l’assegnazione dei magistrati e del personale prevista dalla lettera g) non costituisca assegnazione ad altro ufficio giudiziario o destinazione ad altra sede, né costituisca trasferimento ad altri effetti;
i) prevedere con successivi decreti del Ministro della giustizia le conseguenti modificazioni delle piante organiche del personale di magistratura e amministrativo;
l) prevedere la riduzione degli uffici del giudice di pace dislocati in sede diversa da quella circondariale, da operare tenendo in specifico conto, in coerenza con i criteri di cui alla lettera b), dell’analisi dei costi rispetto ai carichi di lavoro;
m) prevedere che il personale amministrativo in servizio presso gli uffici soppressi del giudice di pace venga riassegnato in misura non inferiore al 50 per cento presso la sede di tribunale o di procura limitrofa e la restante parte presso l’ufficio del giudice di pace presso cui sono trasferite le funzioni delle sedi soppresse;
n) prevedere la pubblicazione nel bollettino ufficiale e nel sito internet del Ministero della giustizia degli elenchi degli uffici del giudice di pace da sopprimere o accorpare;
o) prevedere che, entro sessanta giorni dalla pubblicazione di cui alla lettera n), gli enti locali interessati, anche consorziati tra loro, possano richiedere e ottenere il mantenimento degli uffici del giudice di pace con competenza sui rispettivi territori, anche tramite eventuale accorpamento, facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi, ivi incluso il fabbisogno di personale amministrativo che sarà messo a disposizione dagli enti medesimi, restando a carico dell’amministrazione giudiziaria unicamente la determinazione dell’organico del personale di magistratura onoraria di tali sedi entro i limiti della dotazione nazionale complessiva nonché la formazione del personale amministrativo;
p) prevedere che, entro dodici mesi dalla scadenza del termine di cui alla lettera o), su istanza degli enti locali interessati, anche consorziati tra loro, il Ministro della giustizia abbia facoltà di mantenere o istituire con decreto ministeriale uffici del giudice di pace, nel rispetto delle condizioni di cui alla lettera o);
q) dall’attuazione delle disposizioni di cui al presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
3. La riforma realizza il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti.
4. Gli schemi dei decreti legislativi previsti dal comma 2 sono adottati su proposta del Ministro della giustizia e successivamente trasmessi al Consiglio superiore della magistratura e al Parlamento ai fini dell’espressione dei pareri da parte del Consiglio e delle Commissioni competenti per materia. I pareri, non vincolanti, sono resi entro il termine di trenta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti sono emanati anche in mancanza dei pareri stessi. Qualora detto termine venga a scadere nei trenta giorni antecedenti allo spirare del termine previsto dal comma 2, o successivamente, la scadenza di quest’ultimo è prorogata di sessanta giorni.
5. Il Governo, con la procedura indicata nel comma 4, entro due anni dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi emanati nell’esercizio della delega di cui al comma 2 e nel rispetto dei principi e criteri direttivi fissati, può adottare disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi medesimi.
5-bis. In virtù degli effetti prodotti dal sisma del 6 aprile 2009 sulle sedi dei tribunali dell’Aquila e di Chieti, il termine di cui al comma 2 per l’esercizio della delega relativamente ai soli tribunali aventi sedi nelle province dell’Aquila e di Chieti è differito di tre anni.”;
2) tutte le disposizioni di cui al decreto legislativo 7 settembre 2012 n. 155 recante “Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011 n. 148”;
3) tutte le disposizioni di cui al decreto legislativo 7 settembre 2012 n.156, recante “Revisione delle circoscrizioni giudiziarie – Uffici dei giudici di pace, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148”».
2.– L’Ufficio centrale ha attribuito al quesito referendario la seguente denominazione: «Revisione delle circoscrizioni giudiziarie e nuova organizzazione dei tribunali ordinari».
3.– Il Presidente della Corte costituzionale, ricevuta comunicazione dell’ordinanza, ha fissato, per la conseguente deliberazione, la camera di consiglio del 15 gennaio 2014, disponendo che ne fosse data comunicazione ai delegati delle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Puglia, Marche, Friuli-Venezia Giulia, Campania, Liguria, Piemonte e al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’art. 33, secondo comma, della legge n. 352 del 1970.
4.– In data 10 gennaio 2014, si sono avvalsi della facoltà di depositare memorie, di cui all’art. 33, terzo comma, della legge n. 352 del 1970, i delegati dei Consigli regionali di Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Friuli-Venezia Giulia, Liguria e Piemonte.
I summenzionati delegati hanno depositato identiche memorie illustrative a sostegno dell’ammissibilità della richiesta referendaria. I presentatori della richiesta insistono sull’ammissibilità del quesito in quanto, in primo luogo, la formulazione dello stesso risulterebbe chiara e chiamerebbe, senza richiedere interpretazioni manipolative, il corpo elettorale ad una scelta di fondo sulle modalità di organizzazione del sistema giudiziario. In secondo luogo, perché la normativa oggetto della richiesta referendaria non riguarderebbe le materie indicate nell’art. 75, secondo comma, Cost. In particolare le memorie sostengono l’estraneità della normativa oggetto del quesito alla categoria delle leggi di bilancio.
4.1.– In data 10 gennaio 2014, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha depositato una memoria a sostegno dell’inammissibilità della richiesta referendaria. In primo luogo la memoria afferma che la normativa oggetto della richiesta referendaria rientra nella categoria delle norme costituzionalmente necessarie e che la sua eventuale abrogazione determinerebbe un vuoto normativo – non potendosi determinare la reviviscenza della normativa precedente – non colmabile dall’interprete, determinando l’assenza di qualsivoglia normativa in grado di garantire l’operatività della funzione giudiziaria, con conseguente lesione degli artt. 24 e 111 Cost. In secondo luogo si sostiene che la normativa oggetto della richiesta referendaria sarebbe produttiva di effetti collegati in via diretta e immediata alla legge di bilancio e che, di conseguenza, rientrerebbe nelle esclusioni previste dall’art. 75, secondo comma, Cost.
5.– Nella camera di consiglio del 15 gennaio 2013 sono stati sentiti gli avvocati Giandomenico Falcon per i delegati del Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia, Roberto di Pietro e Mario Petrella per i delegati dei Consigli regionali dell’Abruzzo, della Basilicata e della Liguria, Angelo Marzocchella per i delegati del Consiglio regionale della Campania e gli avvocati dello Stato Giustina Noviello e Massimo Massella Ducci Teri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1.– La richiesta di referendum abrogativo, dichiarata conforme alle disposizioni di legge dall’Ufficio centrale per il referendum con ordinanza del 28 novembre 2013, riguarda la revisione delle circoscrizioni giudiziarie e la nuova organizzazione dei tribunali ordinari previste dalla delega legislativa contenuta nell’art. 1, commi 2, 3, 4, 5 e 5-bis, della legge 14 settembre 2011, n. 148 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari), come modificato dall’art. 1, comma 3, della legge 24 febbraio 2012, n. 14 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative. Differimento di termini relativi all’esercizio di deleghe legislative) e nei due decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155 (Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148) e n. 156 (Revisione delle circoscrizioni giudiziarie – Uffici dei giudici di pace, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148).
2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha eccepito l’inammissibilità della richiesta di referendum proposta dalle Regioni, ritenendo, anzitutto, che la normativa oggetto di referendum produca effetti così strettamente collegati alla legge di bilancio da rientrare tra le esclusioni esplicite indicate dall’art. 75, secondo comma, Cost., secondo l’interpretazione datane dalla giurisprudenza costituzionale sin dalla sentenza n. 16 del 1978. In particolare, l’Avvocatura generale dello Stato sottolinea che la riforma dell’organizzazione giudiziaria persegue esplicitamente obiettivi di risparmio di spesa pubblica e incremento di efficienza, attraverso un intervento di tipo strutturale, come riconosciuto anche dalla Corte costituzionale con sentenza n. 237 del 2013. Essa, pertanto, si inserirebbe nel quadro dei provvedimenti adottati per la razionalizzazione della spesa e sarebbe dotata di rilevanza strategica ai fini della stabilizzazione della finanza pubblica, così da non essere suscettibile di valutazioni frazionate ed avulse dal quadro delle compatibilità finanziarie generali (sentenza n. 2 del 1994).
Questa prospettazione non può essere condivisa.
È vero che questa Corte ha affermato in passato che debbono essere sottratte a referendum le leggi che producono effetti strettamente collegati alla legge di bilancio e che «[q]uesto stretto collegamento si può ritenere sussista se il legame genetico, strutturale e funzionale con le leggi di bilancio sia tale che le norme sostanziali collegate incidano direttamente sul quadro delle coerenze macroeconomiche e siano essenziali per realizzare l’indispensabile equilibrio finanziario» (sentenza n. 2 del 1994). Ma è altresì vero che, così come allora la Corte ebbe cura di precisare che tale criterio non consente di sottrarre a referendum qualunque legge di spesa, analogamente non è sufficiente che una legge, come quella in esame, persegua obiettivi o produca effetti di contenimento della spesa pubblica in vista del riequilibrio del bilancio statale, perché essa sia attratta nell’ambito delle leggi di bilancio, espressamente escluse dal referendum, ai sensi dell’art. 75, secondo comma, Cost.
Dopo tutto, già in Assemblea costituente fu scartata l’originaria proposta volta ad annoverare tra le categorie di leggi escluse da referendum le leggi finanziarie; e tale dizione fu sostituita invece con il riferimento alle leggi di bilancio, oltre che alle leggi tributarie, proprio per evitare che attraverso tale limite si finisse per impedire il referendum su qualunque legge capace di produrre effetti sulle finanze pubbliche, e cioè in definitiva sulla quasi totalità degli atti legislativi.
Pertanto, in riferimento al limite delle leggi di bilancio, il quesito non presenta profili di inammissibilità.
3.– In secondo luogo, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che la proposta di referendum presenti un ulteriore motivo di inammissibilità, in quanto avrebbe ad oggetto l’eliminazione integrale di una legge «costituzionalmente necessaria».
Sotto questo profilo il quesito deve essere dichiarato inammissibile, in quanto il referendum promosso dalle Regioni ha ad oggetto un insieme di provvedimenti legislativi, la cui abrogazione priverebbe totalmente l’ordinamento dell’assetto organizzativo indispensabile all’esercizio di una funzione fondamentale dello Stato, qual è quella giurisdizionale, in violazione degli artt. 101 e seguenti Cost., con irrimediabile lesione del diritto fondamentale di agire e di difendersi in giudizio, ex art. 24 Cost.
Il quesito in esame, dunque, incontra il limite delle leggi costituzionalmente necessarie (ex plurimis, sentenze n. 45 del 2005, n. 35 del 1997, n. 29 del 1987, n. 25 del 1981), «l’esistenza e la vigenza delle quali sono indispensabili per assicurare il funzionamento e la continuità degli organi costituzionali e a rilevanza costituzionale della Repubblica» (sentenza n. 13 del 2012, e in precedenza sentenze n. 16 e n. 15 del 2008) e che, pertanto, possono essere «modificate o sostituite con altra disciplina, ma non possono essere puramente e semplicemente abrogate» (sentenza n. 49 del 2000).
Si tratta, dunque, di leggi ordinarie – o atti aventi forza di legge, come in questo caso – il cui contenuto è frutto della discrezionalità del legislatore, mentre non lo è la loro esistenza.
Invero, in caso di abrogazione per via referendaria della norma di delega e dei due decreti legislativi, i quali prevedono, rispettivamente, la riorganizzazione degli uffici della magistratura ordinaria e degli uffici dei giudici di pace, si determinerebbe un vuoto normativo, non colmabile in via interpretativa, che provocherebbe la paralisi dell’indefettibile funzione giurisdizionale.
Infatti, i due decreti legislativi n. 155 e n. 156 del 2012 hanno soppresso le tabelle relative alla cosiddetta geografia giudiziaria precedentemente in vigore e le hanno sostituite con le nuove, cosicché l’abrogazione di queste ultime lascerebbe l’ordinamento del tutto sguarnito dei necessari strumenti organizzativi per l’amministrazione della giustizia.
D’altra parte, il vuoto normativo che si verrebbe a creare non sarebbe colmabile, come assume invece la difesa delle Regioni proponenti, attraverso la reviviscenza della legislazione precedente. Infatti, in base alla giurisprudenza di questa Corte, ribadita, da ultimo, dalla sentenza n. 13 del 2012, «l’abrogazione, a séguito dell’eventuale accoglimento della proposta referendaria, di una disposizione abrogativa è […] inidonea a rendere nuovamente operanti norme che, in virtù di quest’ultima, sono state già espunte dall’ordinamento (sentenza n. 28 del 2011)».
Né a conclusioni diverse si può giungere in considerazione del fatto, anch’esso evidenziato dalla difesa delle proponenti, che la richiesta referendaria esibirebbe un chiaro intento oppositivo alla riforma approvata dal legislatore nel 2012. Nella medesima sentenza n. 13 del 2012, la Corte ha infatti già precisato che «[l]a volontà di far “rivivere” norme precedentemente abrogate, d’altra parte, non può essere attribuita, nemmeno in via presuntiva, al referendum, che ha carattere esclusivamente abrogativo, quale “atto libero e sovrano di legiferazione popolare negativa” (sentenza n. 29 del 1987), e non può “direttamente costruire” una (nuova o vecchia) normativa (sentenze n. 34 e n. 33 del 2000). La finalità incorporata in una richiesta referendaria non può quindi andare oltre il limite dei possibili effetti dell’atto. Se così non fosse, le disposizioni precedentemente abrogate dalla legge oggetto di abrogazione referendaria rivivrebbero per effetto di una volontà manifestata presuntivamente dal corpo elettorale».
In definitiva, il corpo normativo oggetto della richiesta referendaria, in quanto costituzionalmente necessario per lo svolgimento della funzione giurisdizionale ordinaria di cui agli artt. 101 e seguenti Cost. e per l’esercizio del diritto fondamentale di agire e di difendersi in giudizio, di cui all’art. 24 Cost., è nel suo insieme indefettibile e quindi non può essere meramente e integralmente abrogato, senza essere sostituito contestualmente da una diversa normativa.
4.– Peraltro, la richiesta è altresì inammissibile, perché il quesito proposto difetta della necessaria omogeneità.
La giurisprudenza costituzionale ha sempre manifestato un chiaro sfavore per i referendum aventi ad oggetto interi testi legislativi complessi, o ampie porzioni di essi, comprendenti una pluralità di proposizioni normative eterogenee.
Infatti, sin dalla sentenza n. 16 del 1978 la Corte ha affermato la necessità che il quesito referendario osservi il requisito dell’omogeneità, perché la libertà di voto dell’elettore sia effettivamente rispettata: «occorre che i quesiti posti agli elettori siano tali da esaltare e non da coartare le loro possibilità di scelta; mentre è manifesto che un voto bloccato su molteplici complessi di questioni, insuscettibili di essere ridotte ad unità, contraddice il principio democratico, incidendo di fatto sulla libertà del voto stesso (in violazione degli artt. 1 e 48 Cost.)». Il criterio dell’omogeneità del quesito è dunque presidio della libertà di convincimento dell’elettore a garanzia dell’autenticità dell’espressione della volontà popolare (ex plurimis, sentenze n. 47 del 1991, n. 64 e n. 65 del 1990, n. 27 del 1981).
Nel caso in esame, il requisito dell’omogeneità non risulta soddisfatto. L’oggetto del referendum proposto dalle Regioni comprende tre testi legislativi: la norma di delega, contenuta nell’art. 1, commi 2 e seguenti, della legge n. 148 del 2011, nonché l’intero testo dei decreti legislativi n. 155 e n. 156 del 2012.
È vero che un nesso lega i tre testi legislativi sopramenzionati, essendo tutti volti a comporre il nuovo disegno dell’organizzazione giudiziaria, nelle sue varie articolazioni, al fine di semplificarlo e di alleggerirne i costi. E, tuttavia, tale disegno è frutto di diversi tasselli, con cui si provvede alla redistribuzione sul territorio di vari tipi di uffici giudiziari, distinguendo da un lato la magistratura ordinaria – tribunali ordinari, sezioni distaccate di questi ultimi, corti di assise, uffici di sorveglianza, corti di appello, corti di assise di appello, procure della Repubblica, procure generali della Repubblica (d.lgs. n. 155 del 2012 e relative tabelle) – e, dall’altro, gli uffici del giudice di pace (d.lgs. n. 156 del 2012 e relative tabelle). Di fronte ad un’architettura composita, com’è quella dell’ordine giudiziario, può accadere che il cittadino valuti in modo diverso l’accorpamento dei vari tipi di uffici giudiziari e intenda esprimersi a favore della soppressione di alcuni e del mantenimento di altri, per i quali più viva avverta l’esigenza di una prossimità territoriale. Parimenti, potrebbe darsi che, esaminando caso per caso la ristrutturazione disposta dal legislatore, il cittadino maturi un convincimento negativo verso l’abolizione di una determinata sede giudiziaria, mentre vorrebbe esprimere una opinione favorevole alla eliminazione di altre, magari nell’ambito di un apprezzamento complessivo dell’operazione voluta dal legislatore, considerata nel suo insieme.
Il referendum, per sua natura, non consente di operare tali distinzioni, non consente di scindere il quesito e quindi non offre possibilità di soluzioni intermedie tra il rifiuto e l’accettazione integrale della proposta abrogativa, con il rischio che l’elettore sia determinato nella sua decisione dalla presenza di qualche disposizione, magari anche secondaria rispetto al quadro legislativo generale. In definitiva, poiché la riforma è sottoposta all’abrogazione popolare come un aggregato indivisibile, l’elettore si troverebbe a dover esprimere un voto bloccato su una pluralità di atti e di disposizioni diverse, con conseguente compressione della propria libertà di scelta.
Assai più flessibili e modulabili, invece, sono gli interventi del legislatore, anche delegato, che resta libero di apportare le necessarie modifiche e correzioni ai decreti legislativi n. 155 e n. 156 del 2012, eventualmente anche in attuazione della delega per l’approvazione dei decreti integrativi e correttivi, prevista dall’art. 1, comma 5, della legge n. 148 del 2011 e tuttora esercitabile da parte del Governo.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione dell’art. 1, commi 2, 3, 4, 5 e 5-bis della legge 14 settembre 2011, n. 148 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari); del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155 (Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell’art. 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148); del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156 (Revisione delle circoscrizioni giudiziarie – Uffici dei giudici di pace, a norma dell’art. 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148), richiesta dichiarata legittima, con ordinanza del 28 novembre 2013, dall’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 gennaio 2014.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 29 gennaio 2014.