SENTENZA N. 27
ANNO 1987
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici
Prof. Antonio LA PERGOLA, Presidente
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Prof. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco P. CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio sull'ammissibilità ai sensi dell'art. 2, comma primo, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione degli art.li 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 8 della legge 10 maggio 1978, n. 170, recante "Nuove norme sui procedimenti d'accusa di cui alla legge 25 gennaio 1962, n. 20", iscritto al n. 35 del Registro Referendum.
Vista l'ordinanza 13 dicembre 1986 con la quale l'Ufficio Centrale per il Referendum presso la Corte di Cassazione ha dichiarato legittima la predetta richiesta;
Udito nella Camera di Consiglio del 14 gennaio 1987 il giudice relatore Ettore Gallo;
Udito l'Avvocato Mauro Mellini per il Comitato promotore;
Ritenuto in fatto1. - Con ordinanza 13 dicembre 1986, l'Ufficio Centrale costituito presso la Corte di Cassazione dichiarava legittima la richiesta di Referendum popolare presentata da otto promotori il 9 luglio 1986 sul seguente quesito: "Volete voi l'abrogazione degli articoli 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 8 della l. 10 maggio 1978 n. 170 recante (Nuove norme sui procedimenti d'accusa di cui alla l. 25 gennaio 1962 n. 20)?". Conseguentemente, previo le comunicazioni e le notificazioni di rito dell'ordinanza stessa, trasmetteva gli atti a questa Corte per l'ulteriore corso in ordine al giudizio di ammissibilità: atti che venivano iscritti al n. 35 del Registro Referendum 1986.
In attuazione all'art.33 della l. 25 maggio 1970, n. 252, la Corte veniva convocata per questa Camera di Consiglio, dandosi le comunicazioni di legge.
2. - Il Comitato promotore depositava nei termini memoria, nella quale veniva ricordato che l'intero testo di legge, ora oggetto dell'iniziativa referendaria, aveva sostituito gli articoli 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, e parzialmente gli articoli 11, 12, 13, 14 e 16 della l. 25 gennaio 1962 n. 20, a loro volta, a suo tempo oggetto di analoga richiesta dichiarata ammissibile da questa Corte. La l. n. 170/1978 era stata, perciò, promulgata proprio per impedire il già detto referendum, e l'Ufficio centrale con ord. 25 maggio 1978 aveva, infatti, dichiarato, alla stregua dell'art. 39 l. 25 maggio 1970, n. 352 (così come ritenuto dalla sentenza di questa Corte 17 maggio 1978 n. 68), che le operazioni referendarie non dovevano avere più corso.
A seguito di ciò, il 23 ottobre successivo il comitato promotore proponeva ricorso per conflitto di attribuzione nei confronti della detta ordinanza. Il ricorso, dichiarato ammissibile in sede di sommaria deliberazione con ord. 8 gennaio 1979 n. 2 di questa Corte, veniva, però, successivamente dichiarato inammissibile con sent. 20 marzo 1980 n. 31.
I ricorrenti avevano in quella occasione lamentato che l'ordinanza dell'Ufficio Centrale non avrebbe tenuto conto che le nuove disposizioni non erano in realtà abrogative della sostanza di quelle investite dall'iniziativa referendaria, sì da doversi anzi ritenere che esse fossero ripetitive, in quanto non determinavano alcun effetto comunque riconducibile alla effettiva finalità dell'iniziativa.
Ma la sentenza della Corte, senza entrare nel merito, aveva rilevato che l'ordinanza dell'Ufficio Centrale non si era limitata alla mera constatazione del dato formale, ma aveva preso in esame l'aspetto del carattere sostanziale dell'intervenuta abrogazione.
A quel punto, perciò, la Corte non poteva sostituirsi ad un potere che la legge attribuisce all'Ufficio Centrale del Referendum.
Sta di fatto che, secondo i promotori, il tempo avrebbe poi dato torto all'Ufficio Centrale, giacché generale sarebbe divenuto il riconoscimento che la cosiddetta riforma del 1978 nulla avrebbe in realtà innovato, tanto che nuove proposte di modifica della legge sono state presentate assieme a quelle di revisione delle stesse disposizioni costituzionali che regolano la materia.
3. - Ciò premesso, sembrava ai promotori che, pur non potendosi parlare di questione già coperta da precedente giudicato, tuttavia, secondo i criteri espressi in via generale dalla sentenza n. 16/78 ammissiva del precedente Referendum, ogni questione rilevante sarebbe già stata definita dalla sentenza stessa.
Pacifiche, perciò, dovrebbero essere l'univocità e l'omogeneità del quesito, che viene oggi riproposto rispetto agli articoli che hanno sostituito i precedenti, così come non dovrebbe esservi alcun dubbio che questa legge, come la precedente, non possa essere considerata "a contenuto costituzionalmente vincolato": e ciò sia che - come sostengono i promotori - si tratti sempre sostanzialmente della stessa scelta che con la legge abrogata il legislatore aveva operato per attuare l'art. 12 della legge costituzionale 11 marzo 1953 n. 1, sia che si ritenga diversa quella contenuta nella legge oggetto dell'attuale iniziativa. Numerose, infatti, essendo le scelte possibili, non può negarsi il diritto di interpellare il popolo circa il gradimento di quella attuale.
Né si vede - aggiungono i promotori - quali altre questioni potrebbero essere affacciate in ordine all'ammissibilità dell'attuale referendum, che già non siano state escluse dalla citata sentenza n. 16/1978 con riguardo al precedente giudizio.
All'odierna Camera di Consiglio é comparso, per il Comitato promotore, l'Avv. Mauro Mellini che, illustrando la memoria di cui s'é detto, ha insistito per l'ammissione del referendum.
Considerato in diritto1. - Come si é ricordato nella parte narrativa, i promotori insistono nell'affermare che le disposizioni della legge vigente, investite dall'iniziativa referendaria, sono sostanzialmente ripetitive di quelle abrogate, contenute nella l. n. 20/1962. Nonostante sul punto questa Corte sia già intervenuta con la citata sentenza n. 31/1980, non può essere sottaciuto che una sommaria comparazione delle due normative mette facilmente in luce le notevoli differenze, non certo formali.
Già i poteri, attribuiti alla Commissione dall'art. 3 della legge precedente, sono notevolmente più ampi di quanto non lo siano quelli che l'art. 4, quarto co. della legge attuale conferisce richiamando l'art. 82 Cost.: e ciò non foss'altro che per il potere di disporre direttamente, non solo della polizia giudiziaria, ma di tutta la forza pubblica, e di richiedere direttamente l'intervento delle Forze armate.
Ma, anche da ciò prescindendo, é certo, comunque, che nella nuova legge sono scomparsi aspetti sostanziali e processuali di non poco rilievo. Non c'é più, infatti, la fattispecie penale di cui all'art. 8 (Rifiuto di obbedienza alla Commissione); non esistono più le prerogative processuali dei funzionari, degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, della forza pubblica e delle Forze armate, addetti o richiesti dalla Commissione, per fatti compiuti in esecuzione di ordini della Commissione stessa (art. 9); la facoltà di riunione dei procedimenti di cui all'art. 16 della vecchia legge, é stata nell'attuale limitata alle ipotesi di cui ai numeri 1 e 2 dell'art. 45 cod. proc. pen.; é scomparsa l'efficacia preclusiva della definizione del procedimento d'accusa per causa diversa da quella di cui agli art.li 90 e 96 Cost. (art. 15); é caduta l'inopponibilità del segreto d'ufficio o di Stato per l'esibizione di cui all'art. 342 cod. proc. pen. da parte di pubblici ufficiali, impiegati e incaricati di pubblico servizio.
É stato, invece, introdotto ex novo nella legge attualmente in vigore l'istituto della convalida dell'arresto disposto dalla Commissione, ad opera della Camera di appartenenza, per le persone indicate negli art.li 90 e 96 Cost., o della Camera dei deputati per i non parlamentari (art. 2). É stato altresì fissato un termine perentorio entro cui - salvo una breve proroga - le indagini della Commissione debbono essere concluse (art. 4, secondo comma).
Non ci si può, dunque, semplicemente riferire al precedente giudizio di questa Corte (sent. n.16 del 1978), ma é necessario prendere in esame la legge investita dall'attuale iniziativa referendaria, che é legge sostanzialmente diversa da quella su cui il "referendum" era stato dichiarato ammissibile. Ciò non significa ovviamente che i principi giurisprudenziali affermati nella citata sentenza non debbano, tuttavia, essere tenuti presenti, ed adeguatamente riconsiderati anche alla luce della giurisprudenza costituzionale successiva e del dibattito della dottrina.
2. - Nella sentenza n.16 del 1978 questa Corte ha affermato che non sono sottoponibili a Referendum abrogativo le disposizioni di legge ordinaria "a contenuto costituzionalmente vincolato", precisando che tali devono, intendersi quelle disposizioni "il cui nucleo normativo non possa venire alterato o privato di efficacia senza che ne risultino lesi i corrispondenti specifici disposti della Costituzione stessa (o di altre leggi costituzionali)". Come appare chiaro da questa definizione e come questa Corte ha avuto modo di dire anche in sentenze successive, a questa categoria di leggi possono essere ricondotte due distinte ipotesi: innanzitutto, le leggi ordinarie che contengono l'unica necessaria disciplina attuativa conforme alla norma costituzionale, di modo che la loro abrogazione si tradurrebbe in lesione di quest'ultima (cfr. sentenze n. 26/1981 e 16/1978); in secondo luogo, le leggi ordinarie, la cui eliminazione ad opera del referendum, priverebbe totalmente di efficacia un principio o un organo costituzionale "la cui esistenza é invece voluta e garantita dalla Costituzione (cfr. sentenza n. 25/1981)".
Orbene, é pacifico che anche la legge ordinaria attuale (10 maggio 1978, n.170), disciplinando i poteri e i modi di funzionamento di quella Commissione che la legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 prevede all'art.12, rappresenta una fra le tante soluzioni astrattamente possibili per attuare il disposto di rango costituzionale: così come la legge abrogata ne rappresentava altra. In altri termini, la disciplina che il legislatore ordinario detta per dare attuazione al disposto costituzionale, rappresenta " una scelta politica del Parlamento che poteva anche essere diversa" senza che ne resti elusa o violata la volontà della norma costituzionale e in ordine alla quale non può, pertanto, negarsi al popolo di esprimere il suo voto.
Deve, inoltre, escludersi che la legge oggetto della presente richiesta referendaria rientri anche nella seconda delle ipotesi di "leggi a contenuto costituzionalmente vincolato" formulate da questa Corte. Secondo tale ipotesi deve ritenersi inammissibile una votazione referendaria che, abrogando determinate disposizioni di legge ordinaria, minacci l'esistenza stessa di un principio, di un organo o di un istituto previsto dalla Costituzione o da una legge costituzionale. Si tratta, più precisamente, di un'ipotesi che va distinta logicamente da quella in cui il referendum possa, in caso di approvazione, semplicemente intaccare il funzionamento di un organo costituzionale, o l'applicazione di un principio, nello specifico modo previsto dalla legge di cui si chiede l'abrogazione, senza tuttavia vanificarne totalmente gli effetti o l'operatività.
Orbene, se non vi é dubbio che, ove fosse accolta dal voto popolare, la richiesta referendaria in esame renderebbe più difficoltoso il funzionamento della Commissione prevista dalla legge costituzionale n.1 del 1953, dev'essere tuttavia escluso che, per quanto si riferisce alla proposta di referendum in esame, l'eventuale abrogazione degli articoli della l. 10 maggio 1978, n.170, sottoposti ad iniziativa referendaria, comporti la vanificazione della Commissione medesima. Tanto meno, poi, risulterebbero eliminate la particolare procedura prevista dagli artt. 90 secondo comma e 96 Cost., nonché la speciale giurisdizione contemplata nell'ultimo inciso dall'art.134 Cost. per le persone ivi elencate. Del resto, né l'esistenza della "Commissione" ex art.12 citato, né le procedure e la giurisdizione particolari previste dalla Costituzione sono investite (né potrebbero esserlo) dall'iniziativa referendaria.
3. - Deve dirsi, anzi, che l'art.12 della legge costituzionale citata si limita a disporre che la messa in stato d'accusa delle dette personalità é deliberata dal Parlamento in seduta comune "su relazione di una Commissione", formata ed eletta nei modi ivi previsti. Al limite, pertanto, specie nei casi di tutta evidenza, la Commissione ben potrebbe limitare il suo compito a redigere la relazione per il Parlamento sulla base delle risultanze documentali acquisite: in tal modo, quindi, rendendo operativo il dettato di rango costituzionale senza ricorrere a particolari discipline. Sennonché, intendere in tal senso la funzione di una Commissione bicamerale a carattere permanente di ben venti membri, espressamente contemplata da una legge costituzionale per mettere il Parlamento in condizione di decidere sulla messa in stato d'accusa di personalità investite delle più alte funzioni dello Stato, sarebbe estremamente riduttivo. Quanto meno, si deve ammettere che la Commissione bicamerale permanente in parola, per adempiere seriamente alla funzione imposta dalla legge costituzionale, dovrebbe avere almeno i poteri che la Costituzione assegna alle Commissioni unicamerali temporanee previste dall'art. 82 Cost. Ed, infatti, il Parlamento se n'era dato carico, già prima della legge precedente, intervenendo frattanto a disegnare una disciplina interna che regolasse sul piano formale un procedimento istruttorio fondato su esperimento di indagini; come dimostra l'art.17 del Regolamento, approvato dalla Camera dei deputati e dal Senato rispettivamente il 14 e 20 luglio 1961, successivamente modificato dai due rami nel 1979.
Tutto ciò significa che l'eventuale abrogazione degli articoli della l. n.170/1978, a seguito di esito affermativo del referendum, non potrebbe in alcun modo paralizzare il funzionamento della Commissione durante il tempo in cui il legislatore elaborasse altra più completa disciplina, perché il Regolamento parlamentare sarebbe di per sé sufficiente a consentire la funzionalità dell'Organo.
Questo non vuol dire, però, che il referendum richiesto risulti inutile. Una volta che il legislatore ha rinnovato, fra le tante possibili, un'altra scelta di più completa disciplina per il funzionamento della Commissione, non può essere impedito ai promotori di sottoporre anche questa al giudizio del popolo.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione dei primi otto articoli della l. 10 maggio 1978 n. 170 (Nuove norme sui procedimenti d'accusa di cui alla l. 25 gennaio 1962 n. 20), nei termini di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, in Camera di Consiglio, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 gennaio 1987.
Il Presidente: LA PERGOLA
Il Redattore: GALLO
Depositata in cancelleria il 3 febbraio 1987.
Il direttore della cancelleria: VITALE