SENTENZA N. 49
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
- Dott. Franco BILE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della legge 18 dicembre 1973, n. 877, recante "Nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio" e successive modificazioni, limitatamente a:
- articolo 2, comma 2: "E’ fatto divieto alle aziende interessate da programmi di ristrutturazione, riorganizzazione e di conversione che abbiano comportato licenziamenti o sospensioni dal lavoro, di affidare lavoro a domicilio per la durata di un anno rispettivamente dall’ultimo provvedimento di licenziamento e dalla cessazione delle sospensioni.", comma 3: "Le domande di iscrizione al registro di cui all’art. 3 dovranno essere respinte quando risulti che la richiesta di lavoro da eseguirsi a domicilio viene fatta a seguito di cessione - a qualsiasi titolo - di macchinari e attrezzature trasferite fuori dell’azienda richiedente e che questa intenda in tal modo proseguire lavorazioni per le quali aveva organizzato propri reparti con lavoratori da essa dipendenti.", nonché comma 4: "E’ fatto divieto ai committenti di lavoro a domicilio di valersi dell’opera di mediatori o di intermediari comunque denominati i quali, unitamente alle persone alle quali hanno commesso lavoro a domicilio, sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze del datore di lavoro per conto e nell’interesse del quale hanno svolto la loro attività.";
- articolo 3;
- articolo 4;
- articolo 5;
- articolo 6;
- articolo 7;
- articolo 8;
- articolo 9;
- articolo 10;
- articolo 11;
- articolo 12;
- articolo 13;
· articolo 14;
giudizio iscritto al numero 131 del registro referendum.
Vista l'ordinanza del 7-13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta;
udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Annibale Marini;
uditi l’avvocato Ghera Edoardo per i presentatori Capezzone Daniele, Giustino Mariano e De Lucia Michele e l’avvocato Alleva Piergiovanni per la Federazione dei Verdi, l'Associazione Nazionale per la Sinistra, Grandi Alfiero nella sua qualità di responsabile lavoro dei D.S. -Democratici di Sinistra, il Comitato per le libertà e i diritti sociali e il Partito della Rifondazione Comunista.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 7-13 dicembre 1999 l'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione ai sensi dell'art. 12 della legge 25 maggio 1970, n. 352 e successive modificazioni ed integrazioni, ha dichiarato legittima la richiesta di referendum popolare, presentata l'8 marzo 1999 da quattordici cittadini elettori, sul seguente quesito:
"Volete voi che sia abrogata la legge 18 dicembre 1973, n. 877, recante "Nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio" e successive modificazioni, limitatamente a: articolo 2, comma 2: "E’ fatto divieto alle aziende interessate da programmi di ristrutturazione, riorganizzazione e di conversione che abbiano comportato licenziamenti o sospensioni dal lavoro, di affidare lavoro a domicilio per la durata di un anno rispettivamente dall’ultimo provvedimento di licenziamento e dalla cessazione delle sospensioni.", comma 3: "Le domande di iscrizione al registro di cui all’art. 3 dovranno essere respinte quando risulti che la richiesta di lavoro da eseguirsi a domicilio viene fatta a seguito di cessione - a qualsiasi titolo - di macchinari e attrezzature trasferite fuori dell’azienda richiedente e che questa intenda in tal modo proseguire lavorazioni per le quali aveva organizzato propri reparti con lavoratori da essa dipendenti.", nonché comma 4: "E’ fatto divieto ai committenti di lavoro a domicilio di valersi dell’opera di mediatori o di intermediari comunque denominati i quali, unitamente alle persone alle quali hanno commesso lavoro a domicilio, sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze del datore di lavoro per conto e nell’interesse del quale hanno svolto la loro attività."; articolo 3; articolo 4; articolo 5; articolo 6; articolo 7; articolo 8; articolo 9; articolo 10; articolo 11; articolo 12; articolo 13; articolo 14 ?".
Al quesito l’Ufficio centrale ha attribuito il seguente titolo: "Lavoro a domicilio: abolizione delle norme di tutela speciale".
2.- Ricevuta comunicazione dell’ordinanza dell’Ufficio centrale, il Presidente di questa Corte ha fissato, per la conseguente deliberazione, la camera di consiglio del 13 gennaio 2000, disponendo che ne fosse data comunicazione ai presentatori della richiesta di referendum e al Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi dell’art. 33, secondo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352.
3.- Nell'imminenza della camera di consiglio hanno depositato memoria i Signori Daniele Capezzone, Mariano Giustino e Michele De Lucia, presentatori del referendum, insistendo per la declaratoria di ammissibilità della richiesta.
Rilevano innanzitutto i presentatori come le disposizioni che si intenderebbero abrogare non rientrino tra quelle per le quali l’art. 75, secondo comma, della Costituzione esclude la possibilità di referendum abrogativo. Il quesito, infatti, oltre ad essere estraneo alle materie elencate nella predetta norma costituzionale, non andrebbe neanche incontro ai limiti posti da leggi strumentali all’attuazione di trattati internazionali in quanto, allo stato, l’Italia non ha ancora provveduto a ratificare la convenzione OIL n. 177 del 22 giugno 1996 sul lavoro a domicilio. D’altronde, detta convenzione si limiterebbe a stabilire un generale principio di non discriminazione o parità di trattamento in favore dei lavoratori a domicilio, nonché ad impegnare gli Stati membri dell’OIL all’adozione di appropriate misure di politica nazionale per controllare e monitorare il fenomeno del lavoro a domicilio, lasciando agli Stati ampia libertà di scelta sugli strumenti e sulle norme protettive. Sicché, l’eventuale abrogazione delle norme speciali di tutela dei lavoratori, attualmente vigenti, non potrebbe determinare una situazione di inadempienza rispetto agli obblighi che deriverebbero dalla possibile ratifica della convenzione, i cui principi, in tal caso, potranno essere attuati dal legislatore nell’ambito della sua discrezionalità. Sempre ad avviso dei presentatori, e conclusivamente sul punto, il quesito, non incidendo sulla norma dell’art. 1 della legge n. 877 del 1973 concernente la definizione del lavoro a domicilio, e lasciando comunque in vigore la norma generale di cui all’art. 2128 del codice civile (che estende al lavoro a domicilio le disposizioni sul lavoro subordinato nell’impresa in quanto compatibili con la specialità del rapporto), non si porrebbe in contrasto con i principi - peraltro generici - di detta convenzione.
Il quesito risulterebbe, poi, di natura semplicemente abrogativa, investendo l’intera legge con le sole eccezioni dell'intero art. 1 e del primo comma dell’art. 2. Non sarebbe stata infatti adottata alcuna tecnica manipolativa cosiddetta di ritaglio diretta a creare nuove norme, tant'è che all’esito abrogativo corrisponderebbe la naturale espansione della disciplina generale prevista nell’ordinamento per il lavoro subordinato senza la creazione di alcuna disciplina innovativa di risulta.
Non si sarebbe inoltre in presenza, proseguono i presentatori, di norme costituzionalmente necessitate, né a contenuto costituzionalmente vincolato, poiché la disciplina del lavoro a domicilio non è prevista dalla Costituzione ed è rimessa alla discrezionalità del legislatore ordinario. Ciò, anche per quel che riguarda la tutela previdenziale garantita dall’art. 38, secondo comma, della Costituzione. Spetterebbe infatti al legislatore ordinario stabilire discrezionalmente quali tipi di assicurazione sociale debbano essere previsti per i lavoratori a domicilio e quale debba essere la misura della loro tutela previdenziale. In ogni caso, il quesito referendario, pur comprendendo l’abrogazione dell’art. 9 che, al primo comma, richiama l’applicazione delle norme vigenti in materia di assicurazioni sociali (ad esclusione della integrazione salariale), non determinerebbe alcuna riduzione degli attuali livelli di tutela. In particolare, ai sensi dell’art. 37, secondo comma, del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, rimarrebbe garantita l’assicurazione per i casi di invalidità e vecchiaia e per la tubercolosi nonché, ai sensi del secondo comma dell’art. 4 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.
Infine, conclude la difesa dei presentatori, il quesito risponderebbe ai requisiti di omogeneità, chiarezza ed univocità. Risulterebbe, infatti, evidente la finalità intrinseca della richiesta referendaria che consentirebbe agli elettori l’espressione di un voto consapevole sul mantenimento o meno della vigente disciplina vincolativa del lavoro a domicilio. L’effetto dell’eventuale accoglimento della richiesta referendaria sarebbe, dunque, chiarissimo, conseguendone l'eliminazione della disciplina speciale del lavoro a domicilio subordinato, al quale rimarrebbe applicabile la regola generale dell'art. 2128 del codice civile che estende al lavoro a domicilio le disposizioni sul lavoro subordinato nell’impresa in quanto compatibili con la specialità del rapporto.
4.- Nell’imminenza della camera di consiglio hanno depositato memorie la Federazione dei Verdi in persona del responsabile nazionale del settore economia-lavoro senatore Natale Ripamonti, l'Associazione Nazionale per la Sinistra in persona del presidente onorevole Andrea Sergio Garavini, Alfiero Grandi nella sua qualità di responsabile lavoro dei D.S. - Democratici di Sinistra, il Comitato per le libertà e i diritti sociali in persona del presidente Paolo Cagna Ninchi, ed il Partito della Rifondazione Comunista in persona del segretario generale onorevole Fausto Bertinotti, deducendo tutti l'inammissibilità della richiesta referendaria. Questa, infatti, da un lato sarebbe inidonea al dichiarato fine di definitiva "liberalizzazione" del contratto di lavoro a domicilio, risolvendosi nella mera ablazione della disciplina vigente; dall’altro, se intesa come introduttiva di un divieto di normazione limitativa di quel rapporto, assumerebbe un non consentito carattere propositivo. L’iniziativa referendaria si porrebbe altresì in contrasto con specifici obblighi internazionali derivanti dalla sottoscrizione della convenzione OIL n. 177 del 1996, che all’art. 4 indica espressamente i profili del rapporto di lavoro a domicilio che devono essere regolati onde realizzare la parità di trattamento con gli altri lavoratori.
5.- Nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 è stato ascoltato per i presentatori, l'avv. Edoardo Ghera, il quale ha eccepito preliminarmente che le memorie e l’audizione della Federazione dei Verdi, dell’Associazione nazionale per la Sinistra, di Alfiero Grandi, del Comitato per le libertà ed i diritti sociali e del Partito della Rifondazione Comunista costituirebbero un inammissibile intervento in giudizio di soggetti non legittimati ed ha richiamato sul punto la giurisprudenza di questa Corte che, secondo quanto sostenuto, sarebbe ostativa all’ammissibilità sia delle memorie che dell’audizione dei soggetti sopra specificati. Nel merito, l’avvocato Ghera ha illustrato le argomentazioni a sostegno dell’ammissibilità del referendum prospettate nella memoria difensiva.
Essendosi la Corte riservata di decidere in sentenza sull’ammissibilità delle memorie e dell’audizione, è stato ascoltato per la Federazione dei Verdi, l'Associazione Nazionale per la Sinistra, Alfiero Grandi, il Comitato per le libertà e i diritti sociali ed il Partito della Rifondazione Comunista, l’avvocato Piergiovanni Alleva il quale, ribadita la ritualità delle memorie e dell’audizione dei soggetti dallo stesso rappresentati, ha illustrato le già dedotte ragioni di inammissibilità della richiesta referendaria.
Considerato in diritto
1.- La richiesta di referendum investe l’intera legge 18 dicembre 1973, n. 877 (Nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio) e successive modificazioni, ad eccezione dell’articolo 1 e del primo comma dell’articolo 2.
Più precisamente essa riguarda:
A)le disposizioni contenute nei commi secondo, terzo e quarto dell’articolo 2. La prima di tali disposizioni fa divieto "alle aziende interessate da programmi di ristrutturazione, riorganizzazione e di conversione che abbiano comportato licenziamenti o sospensioni dal lavoro, di affidare lavoro a domicilio per la durata di un anno rispettivamente dall’ultimo provvedimento di licenziamento e dalla cessazione della sospensione".
Secondo la disposizione successiva le domande di iscrizione al registro dei committenti di cui all’art. 3 della legge "dovranno essere respinte quando risulti che la richiesta di lavoro da eseguirsi a domicilio viene fatta a seguito di cessione - a qualsiasi titolo - di macchinari e attrezzature trasferite fuori dell’azienda richiedente e che questa intenda in tal modo proseguire lavorazioni per le quali aveva organizzato propri reparti con lavoratori da essa dipendenti".
Il quarto comma dello stesso articolo vieta ai committenti di lavoro a domicilio di valersi dell’opera di mediatori o di intermediari comunque denominati;
B)l’intero articolo 3, che istituisce presso l’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione un registro dei committenti nel quale devono iscriversi coloro che intendono commettere lavoro a domicilio e impone al datore di lavoro che faccia eseguire lavoro al di fuori della propria azienda di tenere un apposito registro "sul quale debbono essere trascritti il nominativo ed il relativo domicilio dei lavoratori esterni all’unità produttiva, nonché l’indicazione del tipo e della quantità del lavoro da eseguire e la misura della retribuzione" (comma quinto);
C)l’intero articolo 4, che istituisce presso ciascuna sezione comunale dell’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione un registro dei lavoratori a domicilio e stabilisce che l’impiego dei lavoratori a domicilio avviene esclusivamente per il tramite delle sezioni comunali di collocamento. Ferma restando l’ammissibilità della richiesta nominativa;
D)l’intero articolo 5, che prevede l’istituzione presso ogni ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione di una commissione per il controllo del lavoro a domicilio definendone i relativi compiti;
E)l’intero articolo 6, che prevede la istituzione presso ogni ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione di una commissione regionale per il lavoro a domicilio disciplinandone la composizione, i compiti e la durata in carica dei membri.
Occorre, peraltro, precisare che, ai sensi di quanto disposto dal comma 2 dell’art. 6 del d.lgs. 23 dicembre 1997, n. 469, "con effetto dalla costituzione della commissione provinciale di cui al comma 1 (e cioè della commissione al livello provinciale per le politiche del lavoro) i seguenti organi collegiali sono soppressi e le relative funzioni e competenze sono trasferite alla provincia:
a)(omissis)
b)(omissis)
c)commissione regionale per il lavoro a domicilio;
d)commissione provinciale per il lavoro a domicilio;
e)commissione comunale per il lavoro a domicilio".
F)l’intero articolo 7, che istituisce presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale la commissione centrale per il lavoro a domicilio e ne disciplina la composizione, i compiti e la durata in carica dei membri;
G)l’intero articolo 8, che dispone che i lavoratori a domicilio debbono essere retribuiti sulla base di tariffe di cottimo pieno;
H)l’intero articolo 9, che estende, nel primo comma, ai lavoratori a domicilio le norme vigenti per i lavoratori subordinati in materia di assicurazioni sociali e di assegni familiari, fatta eccezione di quelle in materia di integrazione salariale; mentre nel secondo comma si prevede che, con decreto del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale di concerto con il Ministro per il tesoro, siano stabilite, anche per singole zone territoriali, tabelle di retribuzioni convenzionali ai fini del calcolo dei contributi previdenziali e assistenziali;
I)l’intero articolo 10, che dispone che il lavoratore a domicilio debba essere munito a cura dell’imprenditore di uno speciale libretto personale di controllo;
L)l’intero articolo 11, che stabilisce nel primo comma che il lavoratore a domicilio "deve prestare la sua attività con diligenza, custodire il segreto sui modelli del lavoro affidatogli e attenersi alle istruzioni ricevute dall’imprenditore nell’esecuzione del lavoro".
Il divieto di svolgere attività lavorativa per conto proprio o di terzi in concorrenza con l’imprenditore è disposto dal secondo comma dello stesso articolo ed è condizionato all’affidamento di una quantità di lavoro atta a procurare al lavoratore una prestazione continuativa corrispondente all’orario normale di lavoro secondo le disposizioni vigenti e quelle stabilite dal contratto collettivo di lavoro di categoria;
M)l’intero articolo 12, che affida la vigilanza sull’applicazione della legge al Ministero del lavoro e della previdenza sociale per il tramite dell’ispettorato del lavoro;
N)l’intero articolo 13, che per il caso di inosservanza delle disposizioni contenute nella legge prevede a carico del committente lavoro a domicilio un articolato sistema di sanzioni sia di carattere penale che amministrativo;
O)l’intero articolo 14, che dispone espressamente l’abrogazione della legge 13 marzo 1958, n. 264 per la tutela del lavoro a domicilio.
2.- Va preliminarmente dichiarata - per tutte le considerazioni esposte nella sentenza n. 31 del 2000 - la ricevibilità delle memorie depositate dai soggetti diversi dai presentatori e, conseguentemente, l’ammissibilità dell’illustrazione orale delle memorie stesse effettuata nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000.
3.- Il referendum è inammissibile.
Va evidenziato come il lavoro a domicilio, avuto riguardo sia al luogo ed alle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa che ai criteri di retribuzione, costituisca una di quelle forme speciali di lavoro che la Repubblica, secondo quanto dispone l’art. 35 della Costituzione, deve tutelare.
La doverosità, espressa da tale precetto, di una tutela del lavoro non già generica ed indistinta, ma articolata e coerente con la specificità delle varie forme (ed applicazioni) del lavoro si pone, dunque, alla base di quella disciplina speciale del lavoro a domicilio, già introdotta dal legislatore con la legge n. 264 del 1958, (poi sostituita appunto dalla legge n. 877 del 1973) e che la proposta referendaria vorrebbe ora abrogare, così eliminando una specifica e diretta attuazione di un principio costituzionale.
I modi e le forme dell’attuazione della tutela costituzionale sono ovviamente rimessi alla discrezionalità del legislatore, cosicché le leggi attraverso le quali di volta in volta si realizza la tutela del lavoro, nelle sue diverse manifestazioni, pur essendo costituzionalmente necessarie, non sono a contenuto vincolato. Esse, in quanto dirette a rendere effettivo un diritto fondamentale della persona, una volta venute ad esistenza possono essere dallo stesso legislatore modificate o sostituite con altra disciplina, ma non possono essere puramente e semplicemente abrogate, così da eliminare la tutela precedentemente concessa, pena la violazione diretta di quel medesimo precetto costituzionale della cui attuazione costituiscono strumento (si veda, sul punto, con specifico riferimento all’abrogazione referendaria, la sentenza n. 35 del 1997, nonché le sentenze n. 134 del 1994 e n. 106 del 1992).
Tale limite si oppone all’abrogazione della vigente normativa di tutela speciale del lavoro a domicilio e determina l’inammissibilità della proposta referendaria.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle parti indicate in epigrafe, della legge 18 dicembre 1973, n. 877 (Nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio) e successive modificazioni, richiesta dichiarata legittima con ordinanza del 7-13 dicembre 1999 dall’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 febbraio 2000.
Giuliano VASSALLI, Presidente
Annibale MARINI, Redattore
Depositata in cancelleria il 7 febbraio 2000.