SENTENZA N. 496
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare MIRABELLI, Presidente
- Francesco GUIZZI
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Cesare RUPERTO
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Veneto, riapprovata l’8 ottobre 1998, recante "Referendum consultivo in merito alla presentazione di proposta di legge costituzionale per l’attribuzione alla Regione Veneto di forme e condizioni particolari di autonomia", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 28 ottobre 1998, depositato in cancelleria il 5 novembre 1998 ed iscritto al n. 42 del registro ricorsi 1998.
Visto l’atto di costituzione della Regione Veneto;
udito nell’udienza pubblica del 9 maggio 2000 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;
uditi l’avvocato dello Stato Giancarlo Mandò per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Mario Bertolissi e Luigi Manzi per la Regione Veneto.
Ritenuto in fatto
1. — Con ricorso in data 26 ottobre 1998, regolarmente notificato e depositato, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 1, 3, 5, 70, 71, 121, 123 e 138 della Costituzione e all’articolo 47 dello statuto della Regione Veneto, della legge della Regione Veneto, recante "Referendum consultivo in merito alla presentazione di proposta di legge costituzionale per l’attribuzione alla Regione Veneto di forme e condizioni particolari di autonomia", approvata dal Consiglio regionale nella seduta del 23 aprile 1998 e riapprovata a maggioranza assoluta, a seguito del rinvio governativo, l’8 ottobre 1998.
2. — La legge di cui é questione promuove, ai sensi dell’art. 47 dello statuto della Regione Veneto, un referendum consultivo della popolazione residente in merito alla presentazione da parte del Consiglio regionale, nell’esercizio della potestà ad esso conferita dall’art. 121 della Costituzione, di una proposta di legge costituzionale che attribuisca forme e condizioni particolari di autonomia alla Regione Veneto, a mezzo di uno specifico statuto speciale, che preveda in particolare: a) il conferimento generale della potestà legislativa alla Regione e la enumerazione tassativa delle materie di potestà legislativa e amministrativa statale (politica estera, difesa, moneta, giustizia, organi costituzionali dello Stato, livelli inderogabili delle prestazioni relative ai diritti sociali tutelati in Costituzione); b) l’esercizio a livello locale delle funzioni amministrative e l’attribuzione alla Regione delle funzioni di programmazione e di controllo; c) il riconoscimento alla Regione del potere di stipulare accordi con Stati o enti territoriali di altri Stati e di partecipare alla formazione degli atti dell’Unione europea, provvedendo in via autonoma all’attuazione degli atti comunitari; d) la determinazione da parte della Regione della propria forma di governo, inclusa la possibilità di prevedere l’elezione diretta del Presidente della Regione e la disciplina del sistema elettorale regionale; e) il conferimento alla Regione del potere di istituzione, accertamento e riscossione dei tributi, con devoluzione allo Stato di una quota non superiore ad un terzo delle entrate tributarie riscosse dalla Regione.
Secondo il ricorrente la legge regionale si porrebbe in contrasto con gli indicati parametri per ragioni analoghe a quelle poste da questa Corte a base della sentenza n. 470 del 1992, con la quale é stata dichiarata l’illegittimità costituzionale di una legge della Regione Veneto diretta a proporre un referendum consultivo in merito alla presentazione di una iniziativa legislativa volta a modificare disposizioni costituzionali concernenti l’ordinamento delle Regioni. In quella circostanza, la Corte aveva affermato che il referendum consultivo, per quanto sprovvisto di efficacia vincolante, esercita comunque la sua influenza, di indirizzo e di orientamento, nei confronti delle successive fasi del procedimento di formazione della legge statale e dunque può condizionare scelte discrezionali affidate alla esclusiva competenza di organi centrali dello Stato, facendo sorgere "il rischio di influire negativamente sull’ordine costituzionale e politico dello Stato". Inoltre, rammenta l’Avvocatura dello Stato, nella medesima sentenza n. 470 questa Corte aveva affermato che l’aggravamento, mediante forme di consultazione popolare variabili da Regione a Regione, del procedimento di formazione delle leggi costituzionali contrasta con la disciplina della revisione posta nell’art. 138 Cost.
Muovendo da simili premesse, e particolarmente insistendo sul tenore della relazione illustrativa della delibera impugnata, nella quale si fa esplicito riferimento alla necessità, nell’ambito di un "nuovo patto costituzionale", di rinegoziare con lo Stato il ruolo istituzionale, l’organizzazione, le funzioni della Regione, e dunque la propria originale soggettività, il ricorrente conclude che un referendum consultivo della popolazione veneta in materia fondamentale di revisione costituzionale, oltre a comportare un illegittimo aggravamento del procedimento previsto nell’art. 138 Cost., verrebbe in fatto ad assumere il significato politico di una "autodeterminazione" della Regione Veneto sulla forma e l’unità della Nazione, con ciò violando il principio della assolutezza della competenza parlamentare in materia, che opera come limite costituzionale all’ammissibilità di referendum consultivi regionali.
3. — Si é costituita la Regione Veneto, chiedendo che il ricorso sia rigettato. Preliminarmente rileva la Regione che, in questa fase di profonda evoluzione del sistema costituzionale delle autonomie e di potenziamento dei poteri locali, si renderebbe necessaria una globale riconsiderazione della materia, rispetto alle due pronunce costituzionali – la sentenza n. 470 del 1992 e la sentenza n. 256 del 1989 – che si pongono come immediati precedenti rispetto alla questione in esame. La difesa regionale nega comunque che la vicenda conclusa con la sentenza n. 470 del 1992 – alla quale l’Avvocatura esplicitamente si richiama – e quella oggetto del presente giudizio siano equiparabili, sostenendo che nella fattispecie odierna non verrebbe in rilievo un interesse diretto alla revisione degli ordinamenti regionali e dunque della stessa forma dell’unità politica, ma quello, più circoscritto, a definire un peculiare e differenziato statuto autonomistico per la sola Regione Veneto. Il referendum consultivo – assume la difesa regionale – per la sua funzione propedeutica rispetto all’esercizio della iniziativa legislativa regionale, non coinvolgerebbe dunque il corpo elettorale nazionale nella sua unità, ma esclusivamente la collettività territoriale veneta. Quanto alla lamentata lesione dell’art. 138 Cost., la difesa della Regione contesta che dalla tipicità del procedimento di formazione degli atti legislativi possa desumersi l’impossibilità di inserire, nella fase dell’iniziativa, "elementi aggiuntivi non previsti nel testo costituzionale". Si osserva in proposito che l’atto di iniziativa legislativa costituisce il prodotto di un procedimento che rimane del tutto estraneo a quello di revisione costituzionale disciplinato dall’art. 138 Cost., sicchè l’inserimento nell’iter procedimentale di un elemento ulteriore come il referendum consultivo non avrebbe alcuna rilevanza esterna, esaurendo comunque i suoi effetti entro l’ordinamento regionale.
Pure da respingere sarebbe, ad avviso della resistente, l’argomento secondo il quale la determinazione referendaria, quale atto di indirizzo politico, eserciterebbe un condizionamento su scelte discrezionali affidate all’esclusiva competenza di organi centrali dello Stato, con conseguente violazione dei limiti costituzionalmente posti al referendum consultivo regionale. Sviluppando coerentemente un simile ragionamento, secondo la Regione, dovrebbero infatti considerarsi condizionanti anche ipotetiche espressioni di volontà favorevoli ad una proposta di iniziativa legislativa formulate da Consigli comunali, gruppi di cittadini e forze sociali, secondo le normali modalità di libera manifestazione della dialettica politica. Inoltre, anche ad ammettere che il referendum consultivo possa assumere un valore di indirizzo, esso eserciterebbe comunque una forma di condizionamento nei confronti della Regione che presenta il progetto, non certo del Parlamento che lo riceve.
Con riguardo, infine, alla denunciata violazione, da parte della legge impugnata, dell’art. 47 dello statuto veneto, la difesa regionale sostiene che l’espressione "referendum su leggi e su provvedimenti determinati" contenuta in tale articolo non potrebbe essere riferita esclusivamente al referendum abrogativo di atti già perfetti, ma consentirebbe forme di consultazione popolare formalizzata anche su iniziative legislative ed amministrative adottate o adottabili dalla Regione, ancorchè esse siano relative ad atti di contenuto e portata territorialmente non circoscritta all’ambito regionale.
4. — Con memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica la Regione Veneto, oltre a rinnovare le argomentazioni contenute nell’atto di costituzione, ha svolto una più ampia riflessione sui concetti di unità e indivisibilità della Repubblica, nella loro relazione con il principio autonomistico, denunciando la persistenza di una visione che concepisce forme di dialogo solo tra i supremi organi dello Stato e trascura la possibilità di porre in rapporto dialettico le diverse soggettività dell’ordinamento, siano o meno titolari di potestà pubbliche. La previsione del referendum consultivo regionale in discorso costituirebbe espressione di questa vivifica tensione tra istanze dell’unità e istanze del pluralismo e varrebbe a rendere più credibili, in quanto più legittimate, iniziative legislative regionali di revisione costituzionale. Conclusivamente la difesa regionale chiede alla Corte di rivedere l’orientamento manifestato con la sentenza n. 470 del 1992 e di respingere il ricorso governativo.
Ha depositato altresì memoria l’Avvocatura dello Stato, fuori del termine previsto nell’art. 10 delle norme integrative per i giudizi davanti a questa Corte, illustrandone tuttavia il contenuto nella pubblica udienza.
Considerato in diritto
1 — Il giudizio in via principale promosso, con il ricorso in epigrafe, dal Presidente del Consiglio dei ministri, ha ad oggetto la legge della Regione Veneto recante "Referendum consultivo in merito alla presentazione di proposta di legge costituzionale per l’attribuzione alla Regione Veneto di forme e condizioni particolari di autonomia", approvata dal Consiglio regionale nella seduta del 23 aprile 1998 e riapprovata a maggioranza assoluta, a seguito del rinvio governativo, l’8 ottobre 1998. A giudizio del ricorrente la delibera legislativa impugnata, diretta ad indire un referendum consultivo della popolazione veneta in "materia fondamentale di revisione costituzionale", supererebbe i limiti costituzionali del referendum consultivo regionale, ponendosi in contrasto con i principî espressi negli articoli 1, 3, 5, 70, 71, 121, 123 e 138 della Costituzione, nonchè con l’articolo 47 dello statuto della Regione Veneto.
Richiamate le argomentazioni svolte da questa Corte nella sentenza n. 470 del 1992, il ricorrente lamenta che la consultazione popolare indetta dalla Regione con la legge impugnata, pur non essendo produttiva di vincoli giuridici per l’organo al quale si indirizza, verrebbe comunque ad assumere una indubbia valenza politica, tale da orientare le successive fasi del procedimento di formazione della legge statale e da condizionare scelte discrezionali di spettanza di organi centrali. Inoltre, l’inserimento di un referendum consultivo nella fase della iniziativa legislativa della Regione in materia costituzionale darebbe luogo ad un aggravamento procedurale, con ciò contrastando con la disciplina della revisione posta nell’art. 138 Cost.
2. — La sopravvenuta modifica dell’articolo 123 della Costituzione ad opera della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle Regioni) non altera i termini della questione, che é fondata in relazione a tutti i parametri indicati, i quali, nel loro insieme e letti sistematicamente, concorrono a definire la posizione costituzionale del referendum, in tutte le sue possibili varianti, come istituto di democrazia diretta, nonchè le forme e i limiti dell’intervento del popolo nei procedimenti di produzione normativa di livello costituzionale.
La partecipazione delle popolazioni locali a fondamentali decisioni che le riguardano costituisce un principio di portata generale che é connaturale alla forma di democrazia pluralista accolta nella Costituzione repubblicana ed alla posizione di autonomia riconosciuta agli enti territoriali nel Titolo V, Parte II, della Costituzione (sentenza n. 453 del 1989). La possibilità di concorrere alla determinazione delle scelte delle quali si é destinatari, infatti, vivifica gli istituti della rappresentanza offrendo agli organi politici e amministrativi l’opportunità di un più stretto raccordo con le popolazioni amministrate.
Tra le forme giuridiche della partecipazione popolare si colloca il referendum consultivo. Accanto alle ipotesi di cui agli artt. 132 e 133 Cost. di referendum consultivo obbligatorio per la modificazione di enti territoriali, forme di consultazione popolare facoltative, finalizzate alla espressione di pareri su questioni di interesse sia regionale che locale o a conoscere l’orientamento delle popolazioni interessate a determinati provvedimenti, sono previste in numerose disposizioni statutarie e di legislazione regionale. Ad una simile forma di partecipazione popolare intenderebbe riferirsi la consultazione indetta dalla Regione Veneto con la legge impugnata.
3. — Questa Corte ha già riconosciuto il potere del Consiglio regionale di presentare proposte di legge alle Camere anche in materia di revisione costituzionale (sentenze nn. 256 del 1989 e 470 del 1992), osservando che l’art. 121, secondo comma, Cost. non ha introdotto nei confronti di tale potere limitazioni riferite alla forza, ordinaria o costituzionale, dell’atto normativo che la Regione intenda proporre. Nè sarebbe possibile d’altra parte desumere limitazioni del genere, sia pure indirettamente, dalla disciplina generale che l’art. 71 Cost. ha posto in tema di soggetti legittimati all’esercizio dell’iniziativa delle leggi dello Stato, ove non si opera alcun riferimento alla forza dell’atto che viene proposto.
Inoltre, in relazione alla soggettività politica e costituzionale della quale, nella nostra forma di Stato, sono titolari le Regioni, é stato riconosciuto ad esse un interesse qualificato ai contenuti di una riforma, come quella oggetto della delibera legislativa oggi scrutinata, che riguarda l’assetto istituzionale della Regione ed i suoi rapporti con lo Stato centrale (sentenza n. 470 del 1992).
4. — Con la questione oggi all’esame di questa Corte non può venire dunque nuovamente in considerazione il problema dei limiti formali alla iniziativa legislativa attribuita ai Consigli regionali dall’art. 121 Cost., poichè non v’é motivo di discostarsi dall’univoco orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo il quale tale iniziativa riguarda indubbiamente anche le leggi di revisione. Ed é da ritenere connaturata a questo potere la disciplina del procedimento, tutto interno all’ordinamento regionale, che conduce alla formalizzazione dell’atto di iniziativa. La questione é però se il potere di regolare il sub-procedimento ricadente nella competenza regionale incontri limiti sistematici, inerenti alla posizione costituzionale del popolo in relazione alla revisione; se cioé il popolo stesso, sia pure nella sua più limitata dimensione di corpo elettorale regionale e nella forma partecipativa apparentemente più tenue, quale ricorre nei referendum consultivi, possa essere chiamato a pronunciarsi su provvedimenti intesi ad innovare all’ordinamento a livello costituzionale. Sotto questo profilo, la finalità della legge impugnata non può essere condivisa e si espone alle fondate censure dello Stato, per rendere ragione delle quali non può prescindersi dalla definizione del ruolo del referendum in genere e dalla sua collocazione nel sistema costituzionale.
4.1. — E’ pacifico che il referendum abrogativo di cui all’articolo 75 della Costituzione può avere ad oggetto leggi ed atti con valore di legge, ma non può incidere su fonti di grado costituzionale, poichè diversamente verrebbero compromessi il principio di rigidità e la tipicità del procedimento di revisione di cui all’art. 138. L’istanza protettiva delle fonti superiori é così intensa, e così cogente é l’esigenza che l’abrogazione popolare di leggi non raggiunga mai quel livello, che l’art. 2 della legge costituzionale 11 marzo 1953 n. 1, ha istituito un apposito giudizio preventivo di ammissibilità delle richieste di referendum inteso a verificare non solo che esse non siano comprese nelle materie esplicitamente sottratte dall’art. 75, secondo comma, della Costituzione alla consultazione popolare, ma anche a controllare che il referendum stesso si attenga ad un livello subordinato alla Costituzione e alle altre fonti di rango costituzionale. Basti qui richiamare la copiosa giurisprudenza di questa Corte, a partire dalla sentenza n. 16 del 1978, sulle leggi ordinarie a contenuto costituzionalmente vincolato che sono escluse dal referendum abrogativo proprio ad impedire che la decisione popolare, dietro lo schermo formale della legge ordinaria fatta oggetto di richiesta referendaria, si diriga contro le corrispondenti norme costituzionali, delle quali quelle leggi sono la sola possibile attuazione.
Già quindi la semplice considerazione della collocazione del referendum abrogativo, che pure, diversamente dai referendum consultivi, interviene su un atto legislativo in vigore e dal contenuto interamente determinato, in ordine al quale é più agevole per l’elettore maturare un consapevole convincimento che non trasmodi in manifestazione plebiscitaria, depone nel senso che nel nostro sistema le scelte fondamentali della comunità nazionale, che ineriscono al patto costituzionale, sono riservate alla rappresentanza politica, sulle cui determinazioni il popolo non può intervenire se non nelle forme tipiche previste dall’art. 138 della Costituzione.
4.2. — La decisione politica di revisione é opzione rimessa in primo luogo alla rappresentanza politico-parlamentare. L’art. 138, secondo comma, della Costituzione non solo prevede un referendum popolare sulla legge costituzionale come ipotesi meramente eventuale, rimessa alla iniziativa di cinquecentomila elettori, cinque Consigli regionali o un quinto dei membri di una Camera, ma, ad impedire che l’intervento popolare sia svincolato dal procedimento parlamentare al quale soltanto può conseguire, circoscrive entro limiti temporali rigorosi l’esercizio del potere di iniziativa: tre mesi dalla pubblicazione della legge di revisione sulla Gazzetta Ufficiale. Al terzo comma, lo stesso articolo 138 preclude del tutto la possibilità di un intervento popolare quando stabilisce che "non si fa luogo a referendum se la legge é stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti", con ciò confermando che la revisione costituzionale é appunto, in primo luogo, potere delle Camere.
Non vuole dirsi con ciò che il dibattito relativo alla modificazione delle norme più importanti per la vita della comunità nazionale debba restare confinato nei luoghi istituzionali della politica. Al contrario é opportuno che esso si diffonda nella opinione pubblica e che fornisca alla discussione parlamentare l’habitat culturale necessario ad affrontare un procedimento di revisione. E’ però indubitabile che la decisione é dall’art. 138 rimessa primariamente alla rappresentanza politico-parlamentare. All’interno del procedimento di formazione delle leggi costituzionali il popolo interviene infatti solo come istanza di freno, di conservazione e di garanzia, ovvero di conferma successiva, rispetto ad una volontà parlamentare di revisione già perfetta, che, in assenza di un pronunciamento popolare, consolida comunque i propri effetti giuridici.
Se ne possono desumere due fondamentali proposizioni: la prima di esse é che il popolo in sede referendaria non é disegnato dalla Costituzione come il propulsore della innovazione costituzionale. La seconda é che l’intervento del popolo non é a schema libero, poichè l’espressione della sua volontà deve avvenire secondo forme tipiche e all’interno di un procedimento, che, grazie ai tempi, alle modalità e alle fasi in cui é articolato, carica la scelta politica del massimo di razionalità di cui, per parte sua, é capace, e tende a ridurre il rischio che tale scelta sia legata a situazioni contingenti.
5. — Se, muovendo da questo quadro sistematico, si passa allo scrutinio della legge impugnata, non é difficile rendersi conto che essa, per il ruolo che pretende di assegnare alla popolazione regionale in un procedimento che ha come suo oggetto e come suo fine politico immanente il mutamento dell’ordinamento costituzionale, incrina le linee portanti del disegno costituzionale proprio in relazione ai rapporti tra l’istituto del referendum e la Costituzione. E’ innanzitutto evidente che laddove il popolo, in sede di revisione, può intervenire come istanza ultima di decisione e nella sua totalità, esso é evocato dalla legge regionale nella sua parzialità di frazione autonoma insediata in una porzione del territorio nazionale, quasi che nella nostra Costituzione, ai fini della revisione, non esistesse un solo popolo, che dà forma all’unità politica della Nazione e vi fossero invece più popoli; e quasi che, in particolare, al corpo elettorale regionale potesse darsi l’opportunità di una doppia pronuncia sul medesimo quesito di revisione: una prima volta, preventivamente, come parte scorporata dal tutto, in fase consultiva, ed una seconda volta, eventuale e successiva, come componente dell’unitario corpo elettorale nazionale, in fase di decisione costituzionale. Nè varrebbe affermare che nel referendum consultivo in questione il corpo elettorale agirebbe come espressione di autonomia politica e non come istanza di innovazione costituzionale. Anche intesa nella sua accezione più lata, l’autonomia non può infatti essere invocata per dare sostegno e forma giuridica a domande referendarie che investono scelte fondamentali di livello costituzionale. Non é quindi consentito sollecitare il corpo elettorale regionale a farsi portatore di modificazioni costituzionali, giacchè le regole procedimentali e organizzative della revisione, che sono legate al concetto di unità e indivisibilità della Repubblica (art. 5 Cost.), non lasciano alcuno spazio a consultazioni popolari regionali che si pretendano manifestazione di autonomia.
6. — Per negare che la legge impugnata incida sui fondamenti del sistema costituzionale e sulla posizione che in questo é attribuita al referendum popolare, non varrebbe neanche l’obiezione che nel caso presente si tratti soltanto di un referendum consultivo, privo di effetti giuridici vincolanti. Sarebbe invero riduttivo esaminare la vicenda della legge regionale in questione soltanto nell’ottica dell’efficacia formale del referendum consultivo e limitarsi ad osservare che da esso non scaturirebbe alcun imperativo cogente o dovere giuridico inderogabile a carico del Consiglio regionale o degli organi della revisione costituzionale. Non può essere trascurato, poichè é materia di apprezzamento costituzionale, che la rappresentanza regionale verrebbe comunque astretta ad un vincolo politico la cui forza appare in grado di offuscare la prospettiva puramente formale dell’ordine delle competenze interne alla Regione. In questo caso, l’utilizzazione impropria di un istituto preordinato a rinsaldare i legami tra rappresentanti e rappresentati e che giammai potrebbe risolversi nella semplice manifestazione di opinioni di cui si arricchisce la dialettica democratica, fa sì che l’iniziativa revisionale della Regione, pur formalmente ascrivibile al Consiglio regionale, appaia nella sostanza poco più che un involucro nel quale la volontà del corpo elettorale viene raccolta e orientata contro la Costituzione vigente, ponendone in discussione le stesse basi di consenso. Ed é appunto ciò che non può essere permesso al corpo elettorale regionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Veneto, riapprovata l’8 ottobre 1998, recante "Referendum consultivo in merito alla presentazione di proposta di legge costituzionale per l’attribuzione alla Regione Veneto di forme e condizioni particolari di autonomia".
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 ottobre 2000.
Cesare MIRABELLI, Presidente
Carlo MEZZANOTTE, Redattore
Depositata in cancelleria il 14 novembre 2000.