SENTENZA N. 178
ANNO 2018
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI
Presidente
- Aldo CAROSI
Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO
”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
- Francesco VIGANÒ ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale degli artt. 13, comma 1, 29, comma 1, lettera a), 37, 38 e 39
della legge
della Regione autonoma della Sardegna 3 luglio 2017, n. 11 (Disposizioni
urgenti in materia urbanistica ed edilizia. Modifiche alla legge regionale n.
23 del 1985, alla legge regionale n. 45 del 1989, alla legge regionale n. 8 del
2015, alla legge regionale n. 28 del 1998, alla legge regionale n. 9 del 2006,
alla legge regionale n. 22 del 1984 e alla legge regionale n. 12 del 1994),
promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso
notificato il 4-7 settembre 2017, depositato in cancelleria il 13 settembre
2017, iscritto al n. 72 del registro ricorsi 2017 e pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2017.
Visto l’atto di costituzione
della Regione autonoma della Sardegna;
udito nell’udienza pubblica del
3 luglio 2018 il Giudice relatore Aldo Carosi;
udito l’avvocato dello Stato
Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato
Mattia Pani per la Regione autonoma della Sardegna.
Ritenuto in fatto
1.‒ Con ricorso
spedito per la notifica il 4 settembre 2017, ricevuto il 7 settembre 2017 e
depositato in cancelleria il successivo 13 settembre (reg. ric. n. 72 del
2017), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento all’art. 117, secondo comma,
lettera s), della Costituzione e alla legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), e
successive integrazioni e modificazioni ‒ in particolare all’art. 3,
primo comma, lettera n) ‒ e in relazione agli artt.
135 e 143 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni
culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002,
n. 137), questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13, comma 1,
29, comma 1, lettera a), 37, 38 e 39 della legge della Regione autonoma della
Sardegna 3 luglio 2017, n. 11 (Disposizioni urgenti in materia urbanistica ed
edilizia. Modifiche alla legge regionale n. 23 del 1985, alla legge regionale
n. 45 del 1989, alla legge regionale n. 8 del 2015, alla legge regionale n. 28
del 1998, alla legge regionale n. 9 del 2006, alla legge regionale n. 22 del
1984 e alla legge regionale n. 12 del 1994).
1.1.‒ Il Presidente
del Consiglio dei ministri ha premesso che la Regione autonoma della Sardegna
gode di competenza legislativa di tipo primario in materia di usi civici, ai
sensi dell’art. 3, primo comma, lettera n), dello statuto speciale, la quale,
in base alla citata norma statutaria, dovrebbe attuarsi «[i]n armonia con la
Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e col
rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché
delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica»; e
che anche le norme di attuazione dello statuto speciale che attribuiscono alla
medesima Regione funzioni relative ai beni culturali e ai beni ambientali e
quelle relative alla redazione e all’approvazione dei piani paesistici (art. 6
del decreto del Presidente della Repubblica 22 maggio 1975, n. 480, recante
«Nuove norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione autonoma della
Sardegna») dovrebbero essere adottate nel rispetto dei sopramenzionati limiti
di cui all’art. 3, primo comma, dello statuto speciale.
In particolare, tra le
norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica andrebbero
ricondotte quelle introdotte dal legislatore statale sulla base del titolo di
competenza legislativa nella materia «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e
dei beni culturali», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., e, specificamente, le norme in materia di beni
paesaggistici e di pianificazione paesaggistica contenute nel d.lgs. n. 42 del
2004, come già affermato, in diverse occasioni, da questa Corte.
1.2.‒ Fatte queste
premesse, è, in particolare, oggetto di impugnativa l’art. 13, comma 1, della
legge regionale in esame, che, aggiungendo le lettere i-bis) e i-ter) al comma
2 dell’art. 10-bis della legge della Regione autonoma della Sardegna 22 dicembre
1989, n. 45 (Norme per l’uso e la tutela del territorio regionale), esclude dal
«vincolo di integrale conservazione dei singoli caratteri naturalistici,
storico-morfologici e dei rispettivi insiemi» e, dunque, dal vincolo di
inedificabilità, gli interventi relativi alla realizzazione di parcheggi che
non determinino alterazione permanente e irreversibile dello stato dei luoghi e
le strutture di facile rimozione a servizio della balneazione e della
ristorazione, preparazione e somministrazione di bevande e alimenti, e
finalizzate all’esercizio di attività sportive, ludico-ricreative direttamente
connesse all’uso del mare e delle acque interne; nonché le infrastrutture
puntuali di facile rimozione a servizio delle strutture di interesse
turistico-ricreativo dedicate alla nautica.
Secondo il ricorrente, la
disposizione in esame anticiperebbe scelte di merito di compatibilità
paesaggistica di talune tipologie di interventi, i quali costituirebbero alcuni
dei contenuti minimi del piano paesaggistico in base all’art. 143, comma 1,
lettera c), del d.lgs. n. 42 del 2004 sottoposti, per i beni vincolati,
all’obbligo di condivisione preventiva con il Ministero competente in virtù
dell’art. 135 del d.lgs. citato; la disposizione violerebbe, dunque, l’art.
117, secondo comma, lettera s), Cost. e le norme
interposte sulla pianificazione congiunta (artt. 135 e 143 del d.lgs. n. 42 del
2004), in quanto interverrebbe unilateralmente, anziché con la pianificazione
condivisa con gli organi statali. La copianificazione
obbligatoria per le aree vincolate gravate da vincoli paesaggistici sarebbe,
difatti, norma di grande riforma economico-sociale, che si impone anche alle
Regioni ad autonomia speciale, in quanto risponde alle esigenze di uniformità
nella tutela dei beni paesaggistici (sono citate le sentenze n. 64 del
2015 e n.
180 del 2008).
1.3.‒ Anche l’art.
29, comma 1, lettera a), della legge reg. Sardegna n. 11 del 2017 – che
modifica l’art. 38 della legge Regione autonoma della Sardegna 23 aprile 2015,
n. 8 (Norme per la semplificazione e il riordino di disposizioni in materia
urbanistica ed edilizia e per il miglioramento del patrimonio edilizio) –
prevedendo il trasferimento del patrimonio edilizio esistente mediante
interventi di demolizione e ricostruzione con differente localizzazione degli
edifici ricadenti «all’interno delle zone urbanistiche omogenee E ed H ed
interne al perimetro dei beni paesaggistici di cui all’articolo 142, comma 1,
lettere a), b), c), ed i) del decreto legislativo n. 42 del 2004», risulterebbe
non in linea con il quadro giuridico nazionale di riferimento e, in
particolare, con gli artt. 135 e 143 del d.lgs. n. 24 del 2004, per i medesimi
motivi in precedenza illustrati.
1.4.‒ Il Presidente del Consiglio dei ministri
impugna altresì gli artt. 37 e 38 della legge reg. Sardegna n. 11 del 2017, che
modificano, rispettivamente, gli artt. 18 e 18-ter della legge Regione autonoma
della Sardegna 14 marzo 1994, n. 12 (Norme in materia di usi civici. Modifica
della legge regionale 7 gennaio 1977, n. 1, concernente l’organizzazione
amministrativa della Regione sarda).
Il procedimento delineato
dalle menzionate disposizioni per la permuta, alienazione e trasferimento dei
terreni ovvero per il trasferimento dei diritti di uso civico vincolerebbe,
difatti, il potere dell’amministrazione statale di valutazione degli aspetti
paesaggistici delle aree coperte da usi civici, per le quali i Consigli
comunali richiedono la sclassificazione, solo in relazione al riconoscimento
«dell’assenza di valori paesaggistici determinati dall’uso civico», con
implicita esclusione di una diversa valutazione complessiva
tecnico-discrezionale della sussistenza attuale di ulteriori valori
paesaggistici.
Le previsioni censurate,
pertanto, imporrebbero la sclassificazione e la cessazione del vincolo
paesaggistico per il solo fatto che gli usi civici non sono più attualmente
praticati o praticabili a causa del mutamento dello stato dei luoghi,
precludendo diverse valutazioni, volte, ad esempio, a processi di
riqualificazione e recupero di contesti paesaggistici parzialmente compromessi
o degradati, oltre al ripristino dello stato dei luoghi, ove possibile.
Le richiamate disposizioni
sarebbero inoltre censurabili anche per il richiamo non appropriato all’art.
156, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004, che introdurrebbe una nuova figura di
potere sostitutivo ministeriale, da esercitarsi nel caso in cui non sia stato
stipulato l’accordo di copianificazione previsto
dalle menzionate disposizioni entro novanta giorni dalla delibera del Consiglio
comunale.
Alla luce delle precedenti
considerazioni, gli artt. 37 e 38 della legge regionale in esame eccederebbero
dalle competenze statutarie della Regione autonoma della Sardegna, in
particolare da quelle di cui all’art. 3, primo comma, lettera n), dello statuto
speciale, e contrasterebbero con le disposizioni statali citate, in violazione
della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente,
dell’ecosistema e dei beni culturali di cui all’art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost.
1.5.− Le medesime
ragioni condurrebbero, secondo il ricorrente, alla declaratoria di
illegittimità costituzionale dell’art. 39 della medesima legge reg. Sardegna n.
11 del 2017 che, inserendo l’art. 18-quater della legge reg. Sardegna n. 12 del
1994, prevede che possono essere oggetto di sdemanializzazione i terreni soggetti
a uso civico appartenenti ai demani civici a condizione che abbiano
irreversibilmente perso la conformazione fisica o la destinazione funzionale di
terreni agrari, ovvero boschivi o pascolativi per oggettiva trasformazione.
Anch’esso finirebbe, difatti, per pregiudicare la valutazione della possibile
sussistenza attuale di altri valori paesaggistici e per escludere, di
conseguenza, la stessa possibilità di «proporre soluzioni di riduzione in
pristino dello stato dei luoghi degradati o compromessi o di prospettare
soluzioni di rigenerazione e di recupero paesaggistico, fermo restando il
connesso regime vincolistico», come previsto dall’art. 143 del d.lgs. n. 42 del
2004.
2.‒ Si è costituta in
giudizio la Regione autonoma della Sardegna, che ha concluso per
l’inammissibilità o l’infondatezza del ricorso.
La resistente ha premesso
che la competenza legislativa primaria in materia di edilizia e urbanistica
(art. 3, primo comma, lettera f, dello statuto speciale) ricomprende,
nell’interpretazione fornita da questa Corte con la sentenza n. 51 del
2006, anche la tutela del paesaggio e dell’ambiente, che deve comunque rispettare
le norme fondamentali di riforma economico-sociale. In particolare, la sentenza n. 308
del 2013 avrebbe individuato nel principio della pianificazione congiunta
dei beni paesaggistici, espresso dagli artt. 135 e 143 del d.lgs. n. 42 del
2004, una norma fondamentale di riforma economico-sociale che costituisce un
limite alla competenza legislativa primaria delle Regioni a statuto speciale.
La Regione autonoma, pertanto, fuori dai limiti individuati e nell’esercizio
della propria competenza legislativa primaria, può «intervenire sulla
regolamentazione paesaggistica dei suddetti beni, anche attraverso una norma di
interpretazione autentica, non essendo vincolata a coinvolgere, né in via
preventiva, né in via successiva, i competenti organi statali» e, in sostanza,
può incidere sulla disciplina pianificatoria in tema
di beni paesaggistici (è citata la sentenza del TAR Sardegna, seconda sezione,
11 maggio 2017, n. 334), anche in virtù dell’art. 8 del d.lgs. n. 42 del 2004.
2.1.‒ Preliminarmente, la Regione autonoma della
Sardegna ha eccepito l’inammissibilità del ricorso che non avrebbe articolato
le censure tenendo conto delle norme statutarie che le conferiscono competenza
legislativa primaria in materia e, comunque, non avrebbe illustrato le ragioni
per le quali non trovano applicazione le norme speciali statutarie. Ha inoltre
eccepito la carenza di interesse all’impugnativa e, in particolare, l’omessa
indicazione dell’ipotetico pregiudizio per l’interesse pubblico conseguente
alla esecuzione delle norme in esame. Risulterebbero infine genericamente
evocati i parametri violati, in assenza di un adeguato supporto argomentativo.
2.2.‒ Nel merito, secondo la Regione resistente,
l’art. 13, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 11 del 2017, non avrebbe leso
il principio di copianificazione dei beni
paesaggistici, annoverato tra le norme fondamentali di riforma
economico-sociale che si impongono anche alle Regioni a statuto speciale.
L’art. 10-bis della legge
reg. Sardegna n. 45 del 1989 è stato difatti inserito dalla legge della Regione
autonoma della Sardegna 7 maggio 1993, n. 23 (Modifiche ed integrazioni alla
legge regionale 22 dicembre 1989, n. 45, recante «Norme per l'uso e la tutela del
territorio regionale»), la quale ha introdotto una disciplina particolarmente
rigorosa, rendendo del tutto inedificabili alcuni ambiti territoriali, e, al
contempo, ha individuato le fattispecie escluse da detto vincolo. Tra queste
sono stati inseriti anche gli interventi previsti dalla disposizione in esame,
che sarebbe volta soltanto a chiarire che essi non sono ricompresi nel vincolo
di intrasformabilità, ma non sarebbero ammessi nelle
aree sottoposte a vincolo paesaggistico né si sottrarrebbero alla copianificazione.
In definitiva, la
disposizione in esame sarebbe volta a consentire che tali interventi non
trovino ostacolo nelle previsioni legislative di cui all’articolo 10-bis, primo
comma, della legge reg. Sardegna n. 45 del 1989.
2.3.– Peraltro, gli ambiti oggetto di tutela in
base all’art. 10-bis della legge reg. Sardegna n. 45 del 1989 e i beni
paesaggistici ai sensi dell’art. 142 del d.lgs. n. 42 del 2004 avrebbero
caratteri differenti.
La norma regionale,
difatti, imporrebbe un vincolo assoluto che precluderebbe la trasformabilità e
l’edificabilità delle aree interessate dal vincolo, impedendo ogni
trasformazione degli ambiti oggetto di tutela. Diversamente, il codice dei beni
culturali e del paesaggio valuterebbe la compatibilità delle trasformazioni con
il contesto paesaggistico e con i valori che sottendono al vincolo,
subordinandole al rilascio dell’autorizzazione di cui all’art. 146 del medesimo
codice. La disciplina conseguente all’apposizione del vincolo e il connesso
regime autorizzatorio non verrebbero, in definitiva, modificati dalla norma in
esame.
2.4.− Analogamente, anche l’obbligo di
pianificazione congiunta previsto dagli artt. 135 e 143 del cod. beni culturali
non verrebbe meno in virtù della normativa in esame, che si limiterebbe a
elencare gli interventi esclusi dal vincolo di inedificabilità e non quelli
sottratti alla disciplina dei beni paesaggistici. D’altronde, norme analoghe
(art. 5, comma 7, della legge della Regione autonoma della Sardegna 7 agosto
2009, n. 3, recante «Disposizioni urgenti nei settori economico e sociale», e
art. 17, comma 1, lettera b, della legge della reg. Sardegna n. 8 del 2015),
che hanno modificato l’art. 10-bis della legge reg. Sardegna n. 45 del 1989,
non sarebbero state impugnate dal Presidente del Consiglio dei ministri sulla
base del presupposto per cui non avrebbero potuto essere lesive dell’obbligo di
copianificazione dei beni paesaggistici.
2.5.− Infine, l’art.
13, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 11 del 2017 sarebbe in realtà conforme
ai parametri evocati dal ricorrente, in quanto gli interventi ivi contemplati
corrisponderebbero a quelli indicati negli allegati A e B del d.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31 (Regolamento recante
individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o
sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata),
volti a rendere maggiormente fruibile il bene paesaggistico, o inidonei ad
arrecarvi un vulnus, in quanto caratterizzati o dal presupposto della mancanza
di alterazione permanente e irreversibile dello stato dei luoghi ovvero da
quello della facile rimozione delle strutture. D’altronde, anche la relazione
illustrativa del menzionato d.P.R. n. 31 del 2017
delinea il rapporto tra gli artt. 149 e 146 del cod. beni culturali, chiarendo
che un intervento può essere ritenuto rilevante in questo ambito solo quando
può arrecare pregiudizio al bene paesaggistico, con la conseguenza che il
sacrificio della proprietà e dell’iniziativa economica deve trovare un limite
logico, ragionevole e proporzionato.
In conclusione, la norma
impugnata non potrebbe violare il principio di copianificazione,
in quanto individuerebbe fattispecie insuscettibili di produrre modificazione
dei beni paesaggistici che alterino i caratteri naturalistici e
storico-morfologici tutelati dalla norma.
2.6.− Anche le censure attinenti all’art. 29,
comma 1, lettera a), della medesima legge regionale sarebbero infondate, dal
momento che l’intervento ivi contemplato sarebbe comunque soggetto al regime di
cui all’art. 146 del cod. beni culturali.
2.7.− In relazione
agli artt. 37 e 38 della legge reg. in esame che disciplinano, rispettivamente,
le procedure per la permuta e l’alienazione dei terreni civici e per il
trasferimento dei diritti di uso civico su altri terreni comunali, la Regione
autonoma resistente chiarisce che l’adozione del decreto assessoriale di
autorizzazione a disporre di detti beni è subordinata alla valutazione degli
aspetti paesaggistici effettuata dalla Regione e dal Ministero in occasione
dell’elaborazione congiunta del piano paesaggistico regionale o, in fase
anticipata, attraverso singoli accordi di copianificazione,
come richiesto da questa Corte nella sentenza n. 210 del
2014.
Inoltre, la procedura
delineata dalle suddette norme non limiterebbe l’attività congiunta al
riconoscimento dell’assenza di valori paesaggistici determinati dall’uso
civico, bensì «alla valutazione degli aspetti paesaggistici», come enunciato
nella parte iniziale, che potrebbe portare a dettare apposite prescrizioni, ai
sensi dell’art. 143, o a riproporre un vincolo paesaggistico e ambientale, ai
sensi degli artt. 136 e ss. del d.lgs. n. 42 del 2004.
Con riferimento
all’asserito erroneo richiamo dell’art. 156, comma 1, cod. beni culturali, esso
sarebbe in realtà coerente con la configurazione di un accordo di copianificazione quale anticipazione dell’adeguamento del
piano paesaggistico regionale e con la conseguente riconducibilità all’intesa
di cui all’art. 143, comma 2, del d.lgs. n. 42 del 2004, ivi richiamata.
Infine, anche l’art. 39
impugnato dovrebbe essere interpretato nel senso di subordinare
l’autorizzazione alla sdemanializzazione alla valutazione degli aspetti
paesaggistici non necessariamente connessi all’esistenza dell’uso civico
effettuata dalla Regione e dal Ministero in occasione dell’elaborazione
congiunta del piano paesaggistico regionale o, in fase anticipata, attraverso
singoli accordi di copianificazione.
3.‒ In prossimità dell’udienza pubblica la Regione
autonoma della Sardegna ha depositato il parere del Ministero dei beni delle
attività culturali e del turismo [rectius: Ministero dei beni e delle attività culturali e del
turismo ex ord.
226/2018] del 3 maggio 2018 reso, a sua richiesta, in
merito alla portata applicativa della legge 20 novembre 2017, n. 168 (Norme in
materia di domini collettivi).
Il Presidente del Consiglio
dei ministri, nella memoria illustrativa, ha replicato alle eccezioni di
inammissibilità sollevate e ribadito le argomentazioni a sostegno della
illegittimità delle disposizioni impugnate, contestando l’interpretazione della
Regione autonoma volta a "dequotarne” la portata
precettiva.
Considerato in diritto
1.‒ Il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13,
comma 1, 29, comma 1, lettera a), 37, 38 e 39 della legge della Regione
autonoma della Sardegna 3 luglio 2017, n. 11 (Disposizioni urgenti in materia
urbanistica ed edilizia. Modifiche alla legge regionale n. 23 del 1985, alla
legge regionale n. 45 del 1989, alla legge regionale n. 8 del 2015, alla legge
regionale n. 28 del 1998, alla legge regionale n. 9 del 2006, alla legge
regionale n. 22 del 1984 e alla legge regionale n. 12 del 1994), in riferimento
all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione e alla legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), e
successive integrazioni e modificazioni, in particolare all’art. 3, primo
comma, lettera n), e in relazione agli artt. 135 e 143 del decreto legislativo
22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi
dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137).
L’art. 13, comma 1 della
legge reg. Sardegna n. 11 del 2017 ‒ che aggiunge le lettere i-bis e
i-ter al comma 2 dell’art. 10-bis della legge della Regione autonoma della
Sardegna 22 dicembre 1989, n. 45 (Norme per l’uso e la tutela del territorio
regionale) ‒ esclude dal vincolo di integrale conservazione dei singoli
caratteri naturalistici, storico-morfologici e dei rispettivi insiemi «gli
interventi relativi alla realizzazione di parcheggi che non determinino
alterazione permanente e irreversibile dello stato dei luoghi e le strutture di
facile rimozione a servizio della balneazione e della ristorazione,
preparazione e somministrazione di bevande e alimenti, e finalizzate
all’esercizio di attività sportive, ludico-ricreative direttamente connesse
all’uso del mare e delle acque interne»; nonché «le infrastrutture puntuali di
facile rimozione a servizio delle strutture di interesse turistico-ricreativo
dedicate alla nautica».
Secondo il Presidente del
Consiglio dei ministri, la menzionata disposizione sarebbe lesiva dell’art.
117, secondo comma, lettera s), Cost., che riserva
allo Stato la potestà legislativa esclusiva in materia «tutela dell’ambiente,
dell’ecosistema e dei beni culturali», in quanto interverrebbe unilateralmente
e non con la pianificazione condivisa prevista, per i beni vincolati, dagli
artt. 135 e 143 del d.lgs. n. 42 del 2004, che costituiscono norme di grande
riforma economica-sociale vincolanti anche le Regioni ad autonomia speciale.
Anche l’art. 29, comma 1,
lettera a), della medesima legge reg. Sardegna n. 11 del 2017 – che modifica
l’art. 38 della legge Regione autonoma della Sardegna 23 aprile 2015, n. 8
(Norme per la semplificazione e il riordino di disposizioni in materia
urbanistica ed edilizia e per il miglioramento del patrimonio edilizio) – il
quale prevede il trasferimento del patrimonio edilizio esistente mediante
interventi di demolizione e ricostruzione con differente localizzazione degli
edifici ricadenti «all’interno delle zone urbanistiche omogenee E ed H ed
interne al perimetro dei beni paesaggistici di cui all’articolo 142, comma 1,
lettere a), b), c), ed i)» del decreto legislativo n. 42 del 2004, sarebbe
lesivo degli stessi parametri per analoghe ragioni.
1.2.‒ Sono inoltre impugnati gli artt. 37, 38 e 39
della legge reg. Sardegna n. 11 del 2017, che modificano, rispettivamente, gli
artt. 18 e 18-ter della legge Regione autonoma della Sardegna 14 marzo 1994, n.
12 (Norme in materia di usi civici. Modifica della legge regionale 7 gennaio
1977, n. 1, concernente l’organizzazione amministrativa della Regione sarda), e
vi aggiungono l’art. 18-quater, poiché subordinano il decreto di autorizzazione
alla alienazione, alla permuta o alla sdemanializzazione dei terreni civici ad
un accordo che riconosca l’assenza di valori paesaggistici determinati dall’uso
civico.
Secondo il ricorrente, essi
lederebbero l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.,
che riserva allo Stato la potestà legislativa esclusiva in materia di «tutela
dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», e l’art. 3, primo comma,
lettera n), dello statuto speciale, in relazione all’art. 143 del d.lgs. n. 42
del 2004, in quanto vincolerebbero il potere dell’amministrazione statale di
valutazione degli aspetti paesaggistici delle aree coperte da usi civici, per
le quali la stessa norma prevede che i Consigli comunali richiedono la
sclassificazione.
Le richiamate disposizioni
sarebbero inoltre censurabili anche per il richiamo non appropriato all’art.
156, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004, che introdurrebbe una nuova figura di
potere sostitutivo ministeriale, da esercitarsi nel caso in cui non sia stato
stipulato l’accordo di copianificazione previsto da
dette disposizioni entro novanta giorni dalla delibera del Consiglio comunale.
2.‒ La Regione
autonoma della Sardegna ha eccepito in via preliminare l’inammissibilità del ricorso
in quanto è stato formulato non tenendo conto delle norme statutarie che le
conferiscono «competenza legislativa primaria ed esclusiva in materia» e,
comunque, per non essere state illustrate le ragioni per le quali non
troverebbero applicazione le norme speciali statutarie. Ha inoltre eccepito la
carenza di interesse all’impugnativa in esame e, in particolare, l’omessa
indicazione dell’ipotetico pregiudizio per l’interesse pubblico conseguente
alla «esecuzione delle norme impugnate».
Risulterebbero infine
genericamente evocati i parametri violati, in assenza di un adeguato supporto
argomentativo.
2.1.‒ Le eccezioni sollevate dalla Regione
autonoma resistente non sono fondate.
Questa Corte ha già avuto
modo di affermare, anche di recente, proprio con riferimento alla Regione
autonoma della Sardegna, che «la conservazione ambientale e paesaggistica
spetta, in base all’articolo 117, secondo comma, lettera s), Cost., alla cura esclusiva dello Stato [e che ] le
disposizioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio si impongono al
rispetto del legislatore della Regione autonoma della Sardegna, anche in
considerazione della loro natura di norme di grande riforma economico-sociale e
dei limiti posti dallo stesso statuto sardo alla potestà legislativa regionale
(sentenze n. 210
del 2014 e n.
51 del 2006)» (sentenza n. 103 del
2017).
Parimenti infondate sono le
ulteriori eccezioni preliminari sollevate dalla Regione resistente, ossia la
carenza di interesse alla proposizione dell’impugnativa ‒ e, in
particolare, l’omessa indicazione dell’ipotetico pregiudizio per l’interesse
pubblico derivante dalla norma in esame ‒ e la carente argomentazione in
ordine alle censure.
Per costante giurisprudenza
di questa Corte, difatti, il giudizio promosso in via principale è giustificato
dalla mera pubblicazione di una legge che si ritenga lesiva della ripartizione
di competenze, a prescindere dagli effetti che essa abbia prodotto (ex multis, sentenze n. 195 del
2017, n. 262
del 2016 e n.
118 del 2015). Nel caso in esame, l’asserita lesione dei criteri di
ripartizione delle competenze legislative statali giustifica l’impugnativa in
esame.
Del pari da respingere è
l’ultima eccezione di inammissibilità circa la carenza di motivazione.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla Regione autonoma della Sardegna, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha sufficientemente motivato le ragioni
per le quali le disposizioni impugnate sarebbero contrarie alle norme di grande
riforma economico-sociale, specificamente individuate, in materia di tutela
dell’ambiente.
3.‒ Venendo al
merito, è necessario sinteticamente premettere l’evoluzione delle norme
regionali e statali, da cui emerge la stretta interrelazione logica e
cronologica tra le stesse.
In seguito all’entrata in
vigore del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312 (Disposizioni urgenti per la
tutela delle zone di particolare interesse ambientale), convertito, con
modificazioni, nella legge 8 agosto 1985, n. 431 – che ha, tra l’altro,
previsto l’obbligo per le Regioni di sottoporre a specifica normativa d’uso e
di valorizzazione ambientale i beni e le aree vincolate mediante la redazione
di piani paesistici o di piani urbanistico-territoriali ‒, la legge reg.
Sardegna n. 45 del 1989 ha previsto e disciplinato i piani territoriali
paesistici.
Dopo la proposta di piano
di cui all’art. 11 della menzionata legge regionale, è stata adottata la legge
della Regione autonoma della Sardegna 7 maggio 1993, n. 23 (Modifiche ed
integrazioni alla legge regionale 22 dicembre 1989, n. 45, recante «Norme per
l’uso e la tutela del territorio regionale»), che, tra l’altro, ha individuato,
introducendo l’art. 10-bis nella legge reg. n. 45 del 1989, una serie di beni
tutelati con vincolo di integrale conservazione delle caratteristiche naturali
e, pertanto, inedificabili.
In sostanza, nella
menzionata disposizione la Regione autonoma ha dato attuazione alle norme di
salvaguardia previste dagli artt. 1-bis e 1-ter del
d.l. n. 312 del 1985, convertito, con modificazioni, nella legge n. 431 del
1985, sui beni assoggettati a vincolo dall’art. 1 dello stesso decreto-legge,
trasformandoli in divieti di edificazione.
Il legislatore regionale ha
individuato aree e interventi esclusi dal suddetto vincolo nel successivo comma
2 del medesimo art. 10-bis, nel quale l’art. 13, comma 1, della legge reg.
Sardegna n. 11 del 2017, oggi impugnato, ha inserito le lettere i-bis e i-ter.
Successivamente, il d.lgs.
n. 42 del 2004 ha recepito nell’art. 142, comma 1, l’elenco dei beni
paesaggistici già individuati nella legge n. 431 del 1985, sottoponendoli a
pianificazione paesaggistica regionale (art. 143, comma 1, lettera c) e, con le
successive modifiche normative (decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 156,
recante «Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 22
gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali» e decreto legislativo 26
marzo 2008, n. 63, recante «Ulteriori disposizioni integrative e correttive del
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio»), li ha
assoggettati alla pianificazione paesaggistica condivisa. L’art. 135 cod. beni
culturali, nel testo in vigore dal 2008, stabilisce difatti, all’ultimo periodo
del comma 1, l’obbligo dell’elaborazione congiunta dei piani paesaggistici tra
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare [rectius: Ministero
dei beni e delle attività culturali e del turismo ex ord.
226/2018] e Regioni, «limitatamente ai beni
paesaggistici di cui all’articolo 143, comma 1, lettere b), c) e d), nelle
forme previste dal medesimo articolo 143». Si tratta degli «immobili e delle
aree dichiarati di notevole interesse pubblico ai sensi dell’art. 136» (lettera
b), delle «aree di cui al comma 1 dell’articolo 142» (lettera c) – e cioè delle
«[a]ree tutelate per legge», tra le quali i territori costieri, i territori
contermini ai laghi, i fiumi, i parchi, le zone gravate da usi civici, le zone
umide e quelle di interesse archeologico – e degli «ulteriori immobili od aree,
di notevole interesse pubblico a termini dell’articolo 134, comma 1, lettera
c)» (lettera d).
Con la legge della Regione
autonoma della Sardegna 25 novembre 2004, n. 8 (Norme urgenti di provvisoria
salvaguardia per la pianificazione paesaggistica e la tutela del territorio
regionale), l’odierna resistente ha fatto propria questa disciplina statale
paesistico-ambientale ed ha introdotto misure di salvaguardia finalizzate alla
redazione del nuovo piano paesistico regionale, qualificando quest’ultimo quale
«principale strumento della pianificazione territoriale regionale ai sensi
dell’articolo 135 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 [...] al fine
di assicurare un’adeguata tutela e valorizzazione del paesaggio» (art. 1, comma
1), che «assume i contenuti di cui all’articolo 143 del decreto legislativo n.
42 del 2004» (art. 1, comma 2).
4.− Tanto premesso,
le questioni sollevate nei confronti degli artt. 13, comma 1, e 29, comma 1,
lettera a), della legge reg. della Sardegna n. 11 del 2017, in riferimento
all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e in
relazione agli artt. 135 e 143 del d.lgs. n. 42 del 2004, sono fondate.
Dal momento che, come
dianzi illustrato, i beni elencati nell’art. 142, comma 1, del d.lgs. n. 42 del
2004 e quelli indicati nell’art. 10-bis della legge reg. Sardegna n. 45 del
1989 sostanzialmente coincidono, la disposizione impugnata – che esclude dal
«vincolo di integrale conservazione dei singoli caratteri naturalistici, storico-morfologici
e dei rispettivi insiemi», previsto dal medesimo art. 10-bis, determinati
interventi – contrasta con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 135 e 143, comma 1, lettera
c), del d.lgs. n. 42 del 2004.
Nelle fattispecie in esame
la Regione autonoma resistente ha, difatti, proceduto in via unilaterale, e non
attraverso la pianificazione condivisa conformemente a quanto previsto dai
citati artt. 135 e 143 del d.lgs. n. 42 del 2004. Questa Corte ha già
riconosciuto a tali disposizioni il rango di norme di grande riforma
economico-sociale (sentenze n. 103 del
2017, n. 210
del 2014 e n.
308 del 2013); in ogni caso, in presenza di più competenze, quale quella
dello Stato in materia ambientale, e quella della Regione autonoma della
Sardegna in materia edilizia ed urbanistica, così intrecciate ed
interdipendenti in relazione alla fattispecie in esame, la concertazione in
sede legislativa ed amministrativa risulta indefettibile per prevenire ed
evitare aporie del sistema.
Come sopra ricordato,
questa Corte ha già avuto modo di affermare, proprio con riferimento alla
Regione autonoma della Sardegna, che la conservazione ambientale e
paesaggistica spetta, in base all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., alla cura esclusiva dello Stato, aggiungendo che
tale titolo di competenza statale «riverbera i suoi effetti anche quando si
tratta di Regioni speciali o di Province autonome, con l’ulteriore
precisazione, però, che qui occorre tener conto degli statuti speciali di
autonomia» (sentenza
n. 378 del 2007).
Non è di per sé rilevante,
quindi, che l’art. 3, primo comma, lettera f), dello statuto speciale della
Regione autonoma della Sardegna conferisca a quest’ultima la competenza
legislativa primaria in materia di «edilizia ed urbanistica», ancorché – come
chiarito dall’art. 6 del d.P.R. 22 maggio 1975, n.
480 (Nuove norme di attuazione dello statuto speciale della regione autonoma
della Sardegna) – essa riguardi non solo le funzioni di tipo strettamente
urbanistico, ma anche quelle relative ai beni culturali e ambientali.
Il legislatore statale
conserva il potere di vincolare la potestà legislativa primaria dell’autonomia
speciale attraverso l’emanazione di leggi qualificabili come «riforme
economico-sociali». E ciò anche sulla base – per quanto qui viene in rilievo –
del titolo di competenza legislativa nella materia «tutela dell’ambiente,
dell’ecosistema e dei beni culturali», di cui all’art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost., comprensiva tanto della tutela del
paesaggio quanto della tutela dei beni ambientali e culturali. Da ciò deriva
che il legislatore della Regione autonoma della Sardegna non può esercitare
unilateralmente la propria competenza statutaria nella materia edilizia e
urbanistica quando siano in gioco interessi generali riconducibili alla
predetta competenza esclusiva statale e risultino in contrasto con norme
fondamentali di riforma economico-sociale.
Neppure è dirimente
l’asserita coincidenza, evidenziata dalla resistente, delle disposizioni
impugnate con quanto stabilito negli allegati A (Interventi ed opere in aree
vincolate esclusi dall’autorizzazione paesaggistica) e B (Elenco di interventi
di lieve entità soggetti a procedimento autorizzatorio semplificato) del d.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31 (Regolamento recante
individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o
sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata),
in quanto la semplice novazione della fonte normativa costituisce comunque
causa di illegittimità della disposizione regionale (ex plurimis,
sentenze n. 110
del 2018, n.
234 e n. 40
del 2017 e n.
195 del 2015).
Inoltre, con riguardo
all’art. 29, comma 1, lettera a), la violazione del parametro evocato dal
Presidente del Consiglio dei ministri si manifesta anche in quanto la norma
censurata legittima interventi di demolizione e ricostruzione, con differente
localizzazione degli edifici situati in aree ricadenti all’interno delle zone
urbanistiche omogenee E e H e interne al perimetro
dei beni paesaggistici di cui all’art. 142, comma 1, lettere a), b), c), e i)
del d.lgs. n. 42 del 2004. In tal modo, infatti, attraverso il previo mutamento
della disciplina inerente a tali zone urbanistiche si viene a svuotare la
competenza esclusiva dello Stato finalizzata a determinare i criteri con cui
intervenire negli ambiti ambientali e paesistici.
5.− Anche le
questioni promosse nei confronti degli artt. 37, 38 e 39 della legge reg.
Sardegna n. 11 del 2017, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera
s), Cost. e in relazione all’art. 143 del d.lgs. n.
42 del 2004, nonché all’art. 3, primo comma, lettera n), dello statuto
speciale, sono fondate.
Non può essere, difatti,
accolta la difesa della Regione autonoma resistente secondo cui le norme
censurate farebbero applicazione dell’art. 143, comma 2, del d.lgs. n. 42 del
2004, e in particolare del procedimento facoltativo dell’intesa «per la
definizione delle modalità di elaborazione congiunta dei piani paesaggistici».
L’intesa, infatti, deve precedere l’eventuale trasposizione normativa di rango
primario e non può essere, come è ovvio, predeterminata unilateralmente nei
contenuti con legge della Regione autonoma.
Esaminando fattispecie
sostanzialmente analoghe in riferimento al medesimo parametro, questa Corte ha
affermato che «la conciliazione degli interessi in gioco e la coesistenza dei
due ambiti di competenza legislativa statale e regionale» avviene attraverso
«la previa istruttoria e il previo coinvolgimento dello Stato nella decisione di
sottrarre eventualmente alla pianificazione ambientale beni che, almeno in
astratto, ne fanno "naturalmente” parte» (sentenza n. 103 del
2017).
Peraltro, le disposizioni
previste dagli artt. 37, 38 e 39 della legge reg. Sardegna n. 11 del 2017,
oltre che emanate unilateralmente, riguardano una competenza che non
appartiene, e non è mai appartenuta, alla Regione autonoma della Sardegna,
poiché «nell’intero arco temporale di vigenza del Titolo V, Parte II, della
Costituzione – sia nella versione antecedente alla legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della
Costituzione), sia in quella successiva – e, quindi, neppure a seguito dei d.P.R. n. 11 del 1972 e n. 616 del 1977 […], il regime
civilistico dei beni civici non è mai passato nella sfera di competenza delle
Regioni. Infatti, la materia "agricoltura e foreste” di cui al previgente art.
117 Cost., che giustificava il trasferimento delle
funzioni alle Regioni e l’inserimento degli usi civici nei relativi statuti,
mai avrebbe potuto comprendere la disciplina della titolarità e dell’esercizio
di diritti dominicali sulle terre civiche» (sentenza n. 113 del
2018).
La competenza regionale
nella materia degli usi civici deve essere intesa come legittimazione a
promuovere, ove ne ricorrano i presupposti, i procedimenti amministrativi
finalizzati alle ipotesi tipiche di sclassificazione previste dalla legge 16
giugno 1927, n. 1766 (Conversione in legge del R. decreto 22 maggio 1924, n.
751, riguardante il riordinamento degli usi civici nel Regno, del R. decreto 28
agosto 1924, n. 1484, che modifica l’art. 26 del R. decreto 22 maggio 1924, n.
751, e del R. decreto 16 maggio 1926, n. 895, che proroga i termini assegnati
dall’art. 2 del R. decreto-legge 22 maggio 1924, n. 751) e dal relativo
regolamento di attuazione (Regio decreto 26 febbraio 1928, n. 332 recante
«Approvazione del regolamento per la esecuzione della legge 16 giugno 1927, n.
1766, sul riordinamento degli usi civici del Regno»), nonché quelli inerenti al
mutamento di destinazione.
Al contrario, «[u]n bene
gravato da uso civico non può essere […] oggetto di alienazione al di fuori
delle ipotesi tassative previste dalla legge n. 1766 del 1927 e dal r.d. n. 332 del 1928 per il particolare regime della sua
titolarità e della sua circolazione, "che lo assimila ad un bene appartenente
al demanio, nemmeno potendo per esso configurarsi una cosiddetta
sdemanializzazione di fatto. L’incommerciabilità derivante da tale regime
comporta che […] la preminenza di quel pubblico interesse, che ha impresso al
bene immobile il vincolo dell’uso civico stesso, ne vieti qualunque
circolazione” (Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 28 settembre
2011, n. 19792)» (sentenza
n. 113 del 2018).
Le disposizioni in esame
risultano, dunque, in contrasto con la legge n. 1766 del 1927 e con il r.d. n. 332 del 1928 che la attua, in quanto regolano la
disciplina di istituti di natura civilistica comportanti il regime dei beni da
sottrarre al vincolo paesistico-ambientale.
Dette disposizioni, come
già rilevato nella sentenza n. 113 del
2018, non sono state abrogate o emendate dalla recente legge 20 novembre
2017, n. 168 (Norme in materia di domini collettivi), che non ha «modificato il
procedimento di sclassificazione e mutamento di destinazione contemplato dalle
richiamate disposizioni».
In ordine a tale novella
legislativa, non ancora in vigore al momento del ricorso statale, la resistente
ha prodotto un parere dell’ufficio legislativo del Ministero dei beni e delle
attività culturali e del turismo [rectius: Ministero dei beni e delle attività culturali e del
turismo ex ord.
226/2018] del 3 maggio 2018, senza accompagnarlo con
ulteriori deduzioni. Detto parere conferma il principio secondo cui la
valutazione ambientale e paesaggistica dei beni civici deve essere effettuata
attraverso una complessiva copianificazione, evitando
interventi settoriali e per di più antecedenti alla medesima pianificazione
concertata.
È utile comunque
sottolineare che l’art. 3, comma 3, della legge n. 168 del 2017 stabilisce che:
«[i]l regime giuridico dei beni [collettivi] resta quello della inalienabilità,
dell’indivisibilità, dell’inusucapibilità e della
perpetua destinazione agro-silvo-pastorale», mentre
il successivo comma 6 ribadisce che il vincolo paesaggistico ex lege sui beni civici, ai sensi dell’art. 142, comma 1,
lettera h), del d.lgs. n. 42 del 2004, «garantisce l’interesse della
collettività generale alla conservazione degli usi civici per contribuire alla
salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio». Enunciato, quest’ultimo, che
collide diametralmente con le ipotesi contenute nelle disposizioni impugnate
relative alla permuta, al trasferimento e alla perdita di conformazione fisica
e di destinazione funzionale.
Le norme impugnate
contrastano, dunque, con il presupposto indefettibile della previa
"sclassificazione”, che può concretarsi solo nelle fattispecie legali tipiche,
nel cui ambito procedimentale precedentemente richiamato è oggi ricompreso
anche il concerto tra Regione e Ministero dell’ambiente e della tutela del
territorio e del mare [rectius: Ministero dei beni e delle attività culturali e del
turismo ex ord.
226/2018] (sentenze n. 113 del
2018, n. 103
del 2017 e n.
210 del 2014).
Certamente il principio
indefettibile della pianificazione condivisa non consente al legislatore
regionale di pregiudicare normativamente contenuti e moduli procedimentali
della suddetta copianificazione e neppure di imporre
allo Stato, attraverso il menzionato art. 39, comma 9, l’esercizio di un potere
sostitutivo finalizzato ad attuare le unilaterali prescrizioni regionali.
Nondimeno è necessario
chiarire che la difesa formulata dalla Regione autonoma della Sardegna –
secondo cui l’impossibilità per la stessa di adottare atti di disposizione del
patrimonio civico renderebbe impossibile governare il territorio in modo
dinamico e rispondente ai bisogni della collettività – risulta priva di
fondamento, poiché l’ordinamento non prevede solo una tutela statica del
demanio civico.
Fermo restando che «l’art.
66 del d.P.R. n. 616 del 1977, che ha trasferito alle
Regioni soltanto le funzioni amministrative in materia di usi civici, non ha
mai consentito alla Regione – e non consente oggi, nel mutato contesto del Titolo
V della Parte II della Costituzione – di invadere, con norma legislativa, la
disciplina dei diritti [condominiali degli utenti], estinguendoli,
modificandoli o alienandoli [e che] un bene gravato da uso civico non può
essere oggetto di alienazione al di fuori delle ipotesi tassative previste
dalla legge n. 1766 del 1927 e dal r.d. n. 332 del
1928 per il particolare regime della sua titolarità e della sua circolazione,
"che lo assimila ad un bene appartenente al demanio […]” (Corte di cassazione,
sezione terza civile, sentenza 28 settembre 2011, n. 19792)» (sentenza n. 113 del
2018), quando sono presenti preminenti interessi di carattere generale,
l’utilizzazione dei terreni gravati da uso civico può essere modificata
attraverso l’istituto all’uopo previsto dalla predetta legge n. 1766 del 1927 e
dal relativo regolamento di attuazione, e cioè mediante il mutamento di
destinazione.
È stato già affermato da
questa Corte che «[i]n tale prospettiva, il mutamento di destinazione non
contrasta con il regime di indisponibilità del bene civico» quando avviene
«attraverso la valutazione delle autorità competenti. Queste ultime […] devono
essere oggi individuate nel Ministero dell’ambiente e della tutela del
territorio e del mare [rectius: Ministero dei beni e delle attività culturali e del
turismo ex ord.
226/2018] e nella regione (in tal senso, sentenza n. 210 del
2014)» (sentenza
n. 103 del 2017).
In conclusione, è proprio
la pianificazione ambientale e paesaggistica, esercitata da Stato e Regione,
secondo le condivise modalità specificate da questa Corte (sentenza n. 210 del
2014), la sede nella quale eventualmente può essere modificata, attraverso
l’istituto del mutamento di destinazione, l’utilizzazione dei beni d’uso civico
per nuovi obiettivi e – solo in casi di particolare rilevanza – per esigenze di
adeguamento a situazioni di fatto meritevoli di salvaguardia sulla base di una
valutazione non collidente con gli interessi generali della popolazione locale.
Infatti, il mutamento di destinazione «ha lo scopo di mantenere, pur nel
cambiamento d’uso, un impiego utile alla collettività che ne rimane
intestataria» (sentenza
n. 113 del 2018). La ratio di tale regola è nell’attribuzione alla
collettività e agli utenti del bene d’uso civico, uti
singuli et cives, del potere
di vigilare a che la nuova utilizzazione mantenga nel tempo caratteri conformi
alla pianificazione paesistico ambientale che l’ha determinata.
per
questi motivi
LA
CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale
degli artt. 13, comma 1, 29, comma 1, lettera a), 37, 38 e 39 della legge della
Regione autonoma della Sardegna 3 luglio 2017, n. 11 (Disposizioni urgenti in
materia urbanistica ed edilizia. Modifiche alla legge regionale n. 23 del 1985,
alla legge regionale n. 45 del 1989, alla legge regionale n. 8 del 2015, alla
legge regionale n. 28 del 1998, alla legge regionale n. 9 del 2006, alla legge
regionale n. 22 del 1984 e alla legge regionale n. 12 del 1994).
Così deciso in Roma, nella
sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI,
Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria
il 26 luglio 2018.