Sentenza n. 40 del 2017

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SENTENZA N. 40

ANNO 2017

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Paolo                      GROSSI                                                         Presidente

- Giorgio                   LATTANZI                                                      Giudice

- Aldo                        CAROSI                                                                ”

- Marta                      CARTABIA                                                           ”

- Mario Rosario        MORELLI                                                             ”

- Giancarlo                CORAGGIO                                                          ”

- Giuliano                 AMATO                                                                ”

- Silvana                   SCIARRA                                                              ”

- Daria                       de PRETIS                                                             ”

- Nicolò                     ZANON                                                                 ”

- Franco                    MODUGNO                                                          ”

- Augusto Antonio    BARBERA                                                            ”

- Giulio                     PROSPERETTI                                                     ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 8 e 9, della legge della Regione Puglia 10 aprile 2015, n. 17 (Disciplina della tutela e dell’uso della costa), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 12-16 giugno 2015, depositato il 15 giugno 2015 ed iscritto al n. 63 del registro ricorsi 2015.

Visto l’atto di costituzione della Regione Puglia;

udito nell’udienza pubblica del 10 gennaio 2017 il Giudice relatore Nicolò Zanon;

uditi l’avvocato dello Stato Gianna Galluzzo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Leonilde Francesconi per la Regione Puglia.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 12-16 giugno 2015 e depositato il 15 giugno 2015 (reg. ric. n. 63 del 2015), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento all’art. 117, primo e secondo comma, lettera e), della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 8 e 9, della legge della Regione Puglia 10 aprile 2015, n. 17 (Disciplina della tutela e dell’uso della costa).

1.1.– L’Avvocatura generale dello Stato premette che la legge reg. Puglia n. 17 del 2015 disciplina l’esercizio delle funzioni amministrative connesse alla gestione del demanio marittimo e delle zone del mare territoriale, individuando le funzioni trattenute in capo alla Regione e quelle conferite ai Comuni nell’ambito della gestione integrata della costa, definita dall’art. 1, comma 2, della stessa legge regionale quale «concorso della pluralità di interessi pubblici, ai diversi livelli territoriali, nella valutazione delle azioni programmatiche finalizzate all’uso, alla valorizzazione e alla tutela del bene demaniale marittimo».

In tale contesto, l’art. 14 della legge regionale, rubricato «[n]orme di salvaguardia e direttive per la pianificazione costiera», ai commi 8 e 9, disciplina le concessioni demaniali.

In particolare, il comma 8 dell’articolo citato prevede che «[i] PCC [Piani comunali delle coste], compatibilmente con gli indirizzi del PRC [Piano regionale delle coste] di cui al comma 2 dell’articolo 3 e le direttive e norme di salvaguardia di cui ai commi 1, 2, 3, 5, 6 e 10 del presente articolo, individuano nella quota concedibile l’intera superficie o parte di essa non inferiore al 50 per cento delle aree demaniali in concessione, confermandone la titolarità, fatte salve le circostanze di revoca e decadenza di cui all’articolo 12. Il Piano, anche in deroga ai limiti di cui al comma 5, individua apposite aree demaniali da destinare alla variazione o traslazione dei titoli concessori in contrasto con il PCC».

Secondo la ricostruzione del ricorrente, tale disposizione consentirebbe ai Comuni di confermare (salvo i casi di revoca o decadenza) la titolarità di almeno il 50 per cento delle aree demaniali in concessione e di individuare aree demaniali da assegnare direttamente (con provvedimento di «variazione» o «traslazione») ai titolari di concessioni divenute in contrasto con il Piano comunale delle coste.

Il comma 9, invece, prevede che «[i]l PCC, nelle disposizioni transitorie volte a disciplinare le modalità di adeguamento dello stato dei luoghi antecedenti alla pianificazione, salvaguarda le concessioni in essere fino alla scadenza del termine della proroga di cui all’articolo 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, salve le esigenze di sicurezza».

Nella prospettazione del ricorrente, questa disposizione sarebbe volta a salvaguardare le concessioni in essere fino alla scadenza del termine della proroga al 31 dicembre 2015 (recte: 31 dicembre 2020, per effetto della modifica apportata dall’art. 34-duodecies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, recante «Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese», convertito dall’art. 1, comma 1, della legge 17 dicembre 2012, n. 221), prevista dall’art.  1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito dall’art. 1, comma 1, della legge 26 febbraio 2010, n. 25.

Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, le disposizioni impugnate, determinando restrizioni e distorsioni dell’assetto concorrenziale, sarebbero «in contrasto con i principi dell’ordinamento comunitario», presentando profili di incostituzionalità per violazione dell’art. 117, primo comma (nella parte in cui prevede che la legislazione regionale si esercita nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario) e secondo comma, lettera e), Cost., essendo invasa la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia  di concorrenza.

In particolare, quanto al comma 8, la conferma della titolarità delle aree demaniali in concessione determinerebbe, secondo il ricorrente, anche per le concessioni demaniali da riassegnare sulla base del nuovo PCC, «un vantaggio competitivo rispetto al concessionario esistente», configurando un meccanismo analogo a quello che caratterizzava il cosiddetto «diritto  di insistenza» previsto dall’art. 37, secondo comma, del codice della navigazione, abrogato a seguito di una procedura di infrazione comunitaria. Tale art. 37, secondo comma, cod. nav. prevedeva (prima delle modifiche apportate dal d.l. n. 194 del 2009) che, per il rilascio di nuove concessioni demaniali marittime per attività turistico-ricreative, venisse data preferenza (oltre alle richieste che importassero attrezzature non fisse e completamente amovibili, come è ancora attualmente consentito) anche «alle precedenti concessioni, già rilasciate, in sede di rinnovo rispetto alle nuove istanze».

L’Avvocatura generale dello Stato ricorda che quest’ultima disposizione fu modificata proprio in funzione del superamento del diritto di insistenza, che la Commissione europea aveva ritenuto ostativo alla piena attuazione della concorrenza e del corretto funzionamento del mercato, dando luogo all’apertura della procedura di infrazione n. 2008/4908.

Secondo la difesa statale, la norma ora introdotta dalla Regione Puglia si porrebbe in contrasto con l’art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), che vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini dell’Unione, e con il più generale principio della concorrenza, desumibile dagli artt. 3, 101, 102 e 106 TFUE. La disposizione sarebbe, inoltre, in contrasto con l’art. 12 della direttiva 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno), che vieta forme di rinnovo automatico o preferenza nella selezione del concessionario.

Osserva l’Avvocatura generale dello Stato che, attraverso le concessioni demaniali marittime, si fornisce «un’occasione di guadagno a soggetti operanti nel mercato», per cui, una volta scaduto il titolo, occorre provvedere alla riassegnazione del bene mediante procedimenti competitivi: sicché la proroga disposta ex lege determinerebbe una illegittima sottrazione delle concessioni al mercato.

Anche il comma 9 dell’art. 14 della legge regionale impugnata, a giudizio dell’Avvocatura generale dello Stato, risulterebbe in contrasto con gli evocati parametri costituzionali, nella parte in cui proroga automaticamente le concessioni in scadenza, nelle more dell’adeguamento della nuova normativa regionale, ricalcando una disposizione statale (l’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194 del 2009), che, in considerazione del suo contrasto con i principi della concorrenza, ha provocato una procedura di infrazione ed è stata oggetto di un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea (è citata la causa C-67/15).

La disposizione in esame, oltre a porsi in contrasto con l’art. 49 TFUE e con il principio della concorrenza, desumibile dagli artt. 3, 101, 102 e 106 TFUE, violerebbe anche l’art. 12 della ricordata direttiva 2006/123/CE, che vieta forme di rinnovo automatico o preferenza nella selezione del concessionario, impone procedure selettive di gara per l’attribuzione della titolarità delle concessioni e prevede che queste ultime abbiano una durata adeguata, ma limitata, con esclusione di qualsiasi forma di rinnovo automatico, di preferenza del concessionario uscente (cosiddetto diritto di insistenza), o di altri vantaggi a questi o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami.

L’Avvocatura generale dello Stato ricorda, infine, che i «principi proconcorrenziali della Direttiva Servizi» si ritrovano anche nella direttiva del 26 febbraio 2014, n. 2014/23/UE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull’aggiudicazione dei contratti di concessione), in quanto entrambe prevedono che le concessioni siano assegnate a seguito di selezioni pubbliche, trasparenti e non discriminatorie, abbiano una durata limitata, non eccessivamente lunga e proporzionata agli investimenti, al fine di non precludere l’accesso al mercato e di non ostacolare la libera concorrenza.

2.– La Regione Puglia, in persona del Presidente della Giunta regionale, si è costituita in giudizio, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.

Ad avviso della difesa regionale, i commi 8 e 9 dell’art. 14 della legge regionale impugnata dovrebbero essere interpretati alla luce del contesto complessivo delle disposizioni di cui all’art. 14, inserito nel Titolo Terzo della legge regionale, dedicato alle norme transitorie e finanziarie.

Tali commi non avrebbero affatto il significato che viene loro attribuito dal ricorrente, quello cioè di reinserire il cosiddetto diritto di insistenza, definitivamente abbandonato dal legislatore statale nel sistema delle concessioni demaniali.

Ricorda la difesa regionale che il citato art. 14, nel suo insieme, introduce indirizzi per la pianificazione costiera regionale e comunale. Il comma 5 di tale articolo, in particolare, prevede che una percentuale non inferiore al 60 per cento della linea di costa utile, così come definita al successivo comma 6, sia riservata al pubblico uso, in armonia con i principi generali dettati dalla legislazione statale – art. 1, comma 254, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)» – in materia di predisposizione da parte delle Regioni dei cosiddetti piani di utilizzazione, e cioè di corretto equilibrio tra le aree concesse a soggetti privati e gli arenili liberamente fruibili, nonché di libero accesso alla battigia.

Di conseguenza, ciascun Comune costiero, cui la disciplina regionale conferisce le funzioni di gestione in materia, potrà destinare al massimo il 40 per cento della linea di costa utile all’uso cosiddetto discriminato (ad esempio, per l’installazione di uno stabilimento balneare) da assentire per mezzo del rilascio di concessioni amministrative.

In tal modo, l’esatta individuazione delle zone demaniali concedibili è demandata alla pianificazione comunale, secondo un criterio oggettivo indicato dalla pianificazione regionale, improntato al prevalente interesse pubblico alla tutela del paesaggio e dell’ambiente.

Esistono, tuttavia – secondo la difesa regionale – Comuni che, in forza di concessioni rilasciate in passato, presentano livelli di utilizzo della costa di gran lunga superiori rispetto al limite del 40 per cento stabilito dalla legge regionale: essi, evidentemente, per rientrare nella quota massima concedibile, devono ridurre l’estensione delle aree già oggetto di concessioni in corso. E proprio a questo scopo, osserva la difesa regionale, il comma 8 del citato art. 14 introduce un criterio da applicare nella pianificazione comunale, onde evitare fenomeni di discriminazione. La disposizione prevede, infatti, che, in fase di pianificazione, ciascuna delle superfici oggetto delle concessioni in essere debba essere ridotta fino ad un massimo del 50 per cento. Per non compromettere l’equilibrio economico dell’azienda turistico-ricreativa interessata, la disposizione inoltre conferma (e non già rinnova) la concessione vigente, perché non ancora scaduta, per la restante consistenza.

La norma impugnata, in sostanza, stabilirebbe che, in caso di superamento (a livello di linea della costa comunale) della quota concedibile, il PCC debba fissare il criterio di rientro, scelto liberamente dal Comune costiero, con l’unico limite rappresentato proprio dalle previsioni del comma 8 dell’art. 14, il quale dispone che alle concessioni vigenti può essere sottratto al massimo il 50 per cento della consistenza originaria.

Osserva ancora la difesa regionale che la disposizione impugnata introdurrebbe una previsione a danno del concessionario e non a vantaggio dello stesso, poiché questi potrebbe subire la revoca parziale della concessione ancora in corso e non scaduta, e cioè la riduzione fino al 50 per cento dell’area oggetto della medesima concessione. Tale riduzione sarebbe, del resto, correlata al disposto dell’art. 42 cod. nav., che consente la revoca, anche parziale, della concessione, «in caso di necessità determinata da una diversa valutazione del pubblico interesse».

Quanto al comma 9 dell’art. 14, anch’esso impugnato, secondo la difesa regionale tale disposizione «giustifica anche sotto il profilo normativo quanto stabilito dal precedente comma 8», in quanto prevede che tale operazione di riequilibrio (tra spiaggia libera e spiaggia in concessione), stante la norma statale che ha prorogato tutte le concessioni demaniali marittime fino all’anno 2020, non possa comportare la soppressione totale delle concessioni vigenti prima della loro naturale scadenza, salve esigenze di sicurezza.

In altre parole, la disposizione censurata legittimerebbe una revoca solo parziale (e non totale) della concessione, tenendo conto della volontà del legislatore statale, che, prorogando le concessioni in corso, ha inteso salvaguardare gli investimenti degli imprenditori balneari, «nelle more del procedimento di revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi con finalità turistico-ricreativa».

Le norme regionali impugnate non violerebbero il principio di evidenza pubblica e, dunque, le norme comunitarie, in quanto non prevedono il rilascio di una nuova concessione (disciplinata, invece, dall’art. 8 della medesima legge reg. Puglia n. 17 del 2015), né un rinnovo automatico, non essendo applicabili ai casi di scadenza del titolo originario. Al contrario, esse introdurrebbero una rimodulazione, in riduzione, della superficie delle concessioni in corso, senza alcuna invasione della competenza legislativa esclusiva dello Stato: nell’ambito della pianificazione costiera, le disposizioni in questione sarebbero esclusivamente destinate alla disciplina del processo pianificatorio in atto nella Regione Puglia, teso al raggiungimento di un equilibrio tra uso del demanio marittimo e sua libera accessibilità.

2.1.– Con memoria depositata il 16 dicembre 2016, la Regione Puglia ha ribadito le difese già articolate nell’atto di costituzione in giudizio. Evidenzia, tuttavia, che, con sentenza del 14 luglio 2016 (cause riunite C-458/14 e C-67/15), la Corte di giustizia dell’Unione europea ha ritenuto che l’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale, come quella di cui all’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194 del 2009, come convertito e successivamente modificato, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati. In considerazione del fatto che il comma 9 dell’art. 14 della legge reg. Puglia n. 17 del 2015, impugnato dallo Stato, rinvia espressamente alla disposizione statale oggetto della indicata decisione della Corte di giustizia dell’Unione europea, la difesa regionale – pur rilevando che, a tutt’oggi, la norma statale non risulta né abrogata né modificata – ha rimesso alla Corte costituzionale ogni valutazione in ordine alle conseguenze che la sentenza della Corte europea può comportare sulla disposizione regionale.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’articolo 117, primo e secondo comma, lettera e), della Costituzione, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 8 e 9, della legge della Regione Puglia 10 aprile 2015, n. 17 (Disciplina della tutela e dell’uso della costa).

Nell’ambito della normativa regionale volta a disciplinare l’esercizio delle funzioni amministrative connesse alla gestione del demanio marittimo, l’art. 14, comma 8, della legge reg. Puglia n. 17 del 2015, secondo la ricostruzione del ricorrente, consentirebbe ai Comuni di confermare (salvo i casi di revoca o decadenza), a favore degli originari concessionari, la titolarità di almeno il 50 per cento delle aree demaniali già attribuite in concessione, laddove tali concessioni risultino non conformi al sopravvenuto Piano comunale delle coste (d’ora in avanti: PCC). Inoltre, la stessa disposizione autorizzerebbe i Comuni ad individuare nuove aree demaniali da assegnare direttamente in concessione, attraverso provvedimenti di «variazione» o «traslazione», agli stessi titolari delle concessioni rivelatesi in contrasto con il PCC. In tal modo, sarebbe garantito un indebito vantaggio ai soggetti già titolari di concessione, attraverso l’introduzione di una disciplina analoga al cosiddetto «diritto di insistenza», originariamente previsto dall’art. 37, secondo comma, del codice della navigazione: una disposizione, osserva l’Avvocatura generale dello Stato, abrogata a seguito di procedura di infrazione comunitaria proprio perché in contrasto con l’art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), che vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini  dell’Unione, e con il principio della concorrenza, desumibile dagli artt. 3, 101, 102 e 106 TFUE, oltre che con l’art. 12 della direttiva 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno), che non consente forme di rinnovo automatico o di preferenza nella selezione dei concessionari.

L’art. 14, comma 9, della legge reg. Puglia n. 17 del 2015, per parte sua, disporrebbe la salvaguardia delle concessioni in essere fino alla scadenza del termine della proroga prevista dall’art. 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito dall’art. 1, comma 1, della legge 26 febbraio 2010, n. 25, attualmente fissata al 31 dicembre 2020, per effetto della modifica apportata, alla disposizione appena ricordata, dall’art. 34-duodecies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito dall’art. 1, comma 1, della legge 17 dicembre 2012, n. 221.

In una materia attribuita alla competenza esclusiva dello Stato – quale la «tutela della concorrenza» – la disposizione regionale riprodurrebbe una disposizione statale (l’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194 del 2009), in lesione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. Inoltre, evidenzia l’Avvocatura generale dello Stato, tale disposizione statale è oggetto di procedura di infrazione, «in considerazione della sua contrarietà ai principi della concorrenza», poiché introduce una proroga di concessioni demaniali in scadenza, senza alcuna selezione aperta, pubblica e trasparente tra gli operatori interessati, come invece richiesto dai principi europei.

Secondo la difesa statale, in definitiva, le disposizioni ricordate determinerebbero restrizioni e distorsioni della concorrenza, in contrasto con i principi dell’ordinamento europeo e perciò in violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. Inoltre, sarebbe invasa la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «tutela della concorrenza», in violazione del secondo comma, lett. e), del medesimo art. 117 Cost.

2.– La questione relativa al comma 8 dell’art. 14 della legge reg. Puglia n. 17 del 2015 è fondata, limitatamente al secondo periodo di tale disposizione. È fondata anche la questione relativa all’art. 14, comma 9, della medesima legge regionale.

3.– Il corretto inquadramento delle questioni sottoposte all’esame di questa Corte richiede una sintetica ricostruzione del quadro normativo in cui si inseriscono le disposizioni impugnate.

Con l’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194 del 2009, convertito dall’art. 1, comma 1, della legge 26 febbraio 2010, n. 25, il legislatore nazionale ha modificato le modalità di accesso degli operatori economici alle concessioni relative a beni demaniali marittimi. L’intervento normativo ha fatto seguito alla procedura d’infrazione comunitaria n. 2008/4908, aperta nei confronti dello Stato italiano per il mancato adeguamento all’art. 12, comma 2, della direttiva n. 2006/123/CE, in virtù del quale è vietata qualsiasi forma di automatismo che favorisca il precedente concessionario alla scadenza del rapporto concessorio. La Commissione europea, infatti, con una lettera di costituzione in mora notificata il 2 febbraio 2009, aveva ritenuto che il dettato dell’art. 37 cod. nav. fosse in contrasto con l’art. 43 del Trattato CE (ora art. 49 TFUE) poiché, prevedendo un diritto di preferenza a favore del concessionario uscente nell’ambito della procedura di attribuzione delle concessioni (cosiddetto diritto di insistenza), configurava una restrizione alla libertà di stabilimento e comportava, in particolare, discriminazioni in base al luogo di stabilimento dell’operatore economico, rendendo difficile, se non impossibile, l’accesso di qualsiasi altro concorrente alle concessioni in scadenza.

Il citato art. 1, comma 18, del d.l. n. 194 del 2009, dunque, ha previsto la soppressione del secondo comma dell’articolo 37 cod. nav., nella parte in cui stabiliva la preferenza al concessionario uscente. Ha, inoltre, disposto la proroga al 31 dicembre 2015 delle concessioni per finalità turistico-ricreative in scadenza prima di tale data e in atto al 30 dicembre 2009, giorno dell’entrata in vigore dello stesso decreto-legge, qualificando espressamente tale disciplina come transitoria, in quanto dettata «nelle more del procedimento di revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni» di beni demaniali marittimi, da realizzarsi nel rispetto dei principi pro-concorrenziali.

Successivamente, l’art. 11 della legge 15 dicembre 2011, n. 217 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2010), ha conferito una delega legislativa per la revisione e il riordino della normativa relativa alle concessioni demaniali marittime. Tale delega non è stata tuttavia esercitata poiché, dopo la chiusura della procedura di infrazione comunitaria, con l’articolo 34-duodecies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 17 dicembre 2012, n. 221, è stata disposta la proroga sino al 31 dicembre 2020 delle concessioni demaniali in essere alla data del 30 dicembre 2009 ed in scadenza entro il 31 dicembre 2015.

La nuova proroga ope legis ha costituito oggetto di due rinvii pregiudiziali alla Corte di giustizia dell’Unione europea che, con sentenza del 14 luglio 2016 (nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15), ha statuito che «l’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123 deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati».

Da ultimo, l’art. 24, comma 3-septies, del decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113 (Misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio), introdotto in sede di conversione dalla legge 7 agosto 2016, n. 160, successivamente al deposito della sentenza della Corte di giustizia UE prima ricordata, ha previsto che «conservano validità i rapporti già instaurati e pendenti in base all’art. 1, comma 18», del d.l. n. 194 del 2009, ancora una volta «[n]elle more della revisione e del riordino della materia in conformità ai princìpi di derivazione europea».

4.– Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la disciplina relativa al rilascio delle concessioni su beni demaniali marittimi investe diversi ambiti materiali, attribuiti alla competenza sia statale che regionale. In tale disciplina, particolare rilevanza, quanto ai criteri e alle modalità di affidamento delle concessioni, «assumono i principi della libera concorrenza e della libertà di stabilimento, previsti dalla normativa comunitaria e nazionale» (sentenza n. 213 del 2011).

Nel contesto normativo descritto, occorre perciò verificare se le disposizioni regionali impugnate abbiano invaso la competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, dettando una disciplina contraria anche ai principi di derivazione europea.

A questo scopo occorre tenere conto della ratio, della finalità, del contenuto e dell’oggetto della disciplina impugnata (da ultimo, sentenze n. 175 del 2016 e n. 245 del 2015).

4.1.– Il comma 8 dell’art. 14 della legge reg. Puglia n. 17 del 2015 dispone, nel primo periodo, che i PCC «individuano nella quota concedibile l’intera superficie o parte di essa non inferiore al 50 per cento delle aree demaniali in concessione, confermandone la titolarità, fatte salve le circostanze di revoca e decadenza», aggiungendo, nel secondo periodo, che il PCC, «anche in deroga ai limiti di cui al comma 5, individua apposite aree demaniali da destinare alla variazione o traslazione dei titoli concessori in contrasto con il PCC».

Il ricorrente muove dal presupposto secondo cui il suddetto comma 8, considerato nella sua interezza, avrebbe introdotto un meccanismo analogo al cosiddetto diritto di insistenza, in precedenza disciplinato dall’art. 37, secondo comma, cod. nav.

Tale prospettazione è solo parzialmente corretta, essendo in realtà necessario analizzare partitamente i due periodi di cui si compone il comma impugnato.

Come suggerisce anche la difesa regionale, tale comma, nel suo primo periodo, deve essere letto alla luce di quanto prevede il precedente comma 5 del medesimo art. 14. Quest’ultimo prescrive che «[a]llo scopo di garantire il corretto utilizzo delle aree demaniali marittime per le finalità turistico-ricreative, una quota non inferiore al 60 per cento del territorio demaniale marittimo di ogni singolo comune costiero è riservata a uso pubblico e alla libera balneazione». È in tal modo introdotta una previsione coerente con quanto disposto dall’art. 1, comma 254, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), che richiede alle Regioni, nella redazione dei piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo, di individuare un corretto equilibrio tra l’estensione delle aree concesse a soggetti privati e quella degli arenili liberamente fruibili.

La prima parte del comma 8 dell’art. 14 della legge reg. Puglia n. 17 del 2015 è in realtà strumentale all’attuazione della previsione appena descritta, che impone di riservare al pubblico uso una percentuale non inferiore al 60 per cento della linea di costa utile, e così autorizza ogni singolo Comune costiero a destinare non oltre il 40 per cento della propria linea di costa ad un uso diverso, da assentire per mezzo del rilascio di concessioni demaniali marittime.

Con formulazione peraltro non lineare, il primo periodo del comma 8 detta un criterio generale per procedere all’individuazione, in sede di redazione del PCC, della parte di costa rientrante nella quota concedibile, prescrivendo ai Comuni costieri di identificarla in corrispondenza delle aree già oggetto di concessione demaniale. Per i casi in cui – in forza di concessioni rilasciate prima dell’adozione dei singoli PCC – la somma di tali aree risulti superiore al limite percentuale massimo concedibile, tale parte di disposizione impone di procedere ad una revoca parziale delle singole concessioni già assentite, in una misura non superiore al 50 per cento per ciascuna. Ciò si ricava, a contrario, dal fatto che la disposizione individua la quota concedibile prendendo in considerazione una parte non inferiore al 50 per cento di ciascuna delle aree già in concessione.

A ben vedere, dunque, il comma 8 dell’art. 14 della legge reg. Puglia n. 17 del 2015 non reintroduce, nella sua prima parte, alcun diritto di insistenza a favore del concessionario in essere, in quanto non dispone alcun rinnovo di concessioni già assentite e non riserva alcuna preferenza ai rispettivi titolari. Invece, previa fissazione di un criterio oggettivo volto ad evitare discriminazioni, consente una revoca parziale di quelle concessioni, ove indispensabile per permettere il rientro nel limite percentuale massimo di area concedibile, legittimamente fissato dalla stessa legge regionale. Ciò in armonia con l’art. 42 cod. nav., che consente la revoca, anche parziale, della concessione «per specifici motivi inerenti al pubblico uso del mare o per altre ragioni di pubblico interesse»: ragione di pubblico interesse che, nel caso di specie, è costituita dalla necessità di armonizzare la concedibilità di aree demaniali marittime a privati per finalità turistico-ricreative con il (prevalente) utilizzo pubblico di esse.

In tal modo, il legislatore regionale non ha previsto, né il rilascio in via preferenziale di nuove concessioni in favore di precedenti titolari, né un rinnovo automatico delle concessioni già in atto. Non ha, dunque, invaso la competenza legislativa statale nella materia della tutela della concorrenza, né si è posto in contrasto con i principi comunitari. Ha invece fatto legittimo ricorso alle proprie competenze legislative, in una materia che attiene sia al governo del territorio sia alla disciplina del turismo, operando un bilanciamento tra l’interesse pubblico alla libera fruibilità degli arenili e l’interesse dei privati al loro sfruttamento per finalità turistico-ricreative.

In definitiva, in relazione al primo periodo del comma 8 dell’art. 14 della legge reg. Puglia n. 17 del 2015, le questioni di legittimità costituzionale sollevate con il ricorso statale non sono fondate.

5.– A conclusioni opposte deve giungersi con riferimento al secondo periodo del medesimo comma 8 dell’art. 14 della legge regionale e la relativa questione è perciò fondata.

Il secondo periodo del citato comma 8 consente la «variazione» o «traslazione» delle concessioni già assentite – e che risultino in contrasto con il PCC – su aree demaniali diverse ed appositamente individuate, anche in deroga ai limiti di cui al comma 5 dell’art. 14 della legge reg. Puglia n. 17 del 2015, ossia anche in modo da superare la quota concedibile del 40 per cento della linea di costa utile di ciascun Comune costiero.

In base a tale disposizione, dunque, vengono salvaguardate le concessioni già assentite e in sopravvenuto contrasto con il PCC di nuova adozione, per quota parte o per intero. Ciò avviene o attraverso una variazione dell’area oggetto della concessione, a compensazione della parte revocata (compensazione che, peraltro, dovrebbe realizzarsi attraverso indennizzo, come espressamente prevede, per casi del genere, l’art. 21-quinquies della legge 7 agosto 1990 n. 241, recante «Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi»), o attraverso una traslazione del titolo concessorio, che comporta il trasferimento totale di questo su un’area diversa da quella originariamente concessa.

A tali modalità di variazione e traslazione dei titoli concessori corrisponde, invero, il riconoscimento di un diritto su aree diverse da quelle originariamente assentite. E ciò, si osservi, avviene addirittura in deroga ai limiti complessivi fissati per l’estensione territoriale delle concessioni demaniali e su aree alle quali nessun altro operatore economico può aspirare. Si è, dunque, in presenza del rilascio di nuove concessioni (in tal senso Consiglio di Stato, sezione sesta, 28 gennaio 2014, n. 432, con riferimento alla variazione del titolo concessorio), per le quali l’art. 8 della stessa legge reg. Puglia n. 17 del 2015 prescrive, correttamente, il ricorso a procedure di evidenza pubblica, non previste, invece, dalla seconda parte del comma impugnato, che appunto dispone la destinazione diretta di tali aree alla variazione o traslazione dei titoli concessori in contrasto con il PCC.

Il mancato ricorso a procedure di selezione aperta, pubblica e trasparente tra gli operatori economici interessati determina, dunque, un ostacolo all’ingresso di nuovi soggetti nel mercato, non solo risultando invasa la competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., ma conseguendone altresì il contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., per lesione dei principi di derivazione europea nella medesima materia (sentenze n. 171 del 2013, n. 213 del 2011, n. 340, n. 233 e n. 180 del 2010).

6.– Quanto al comma 9 dell’art. 14 della legge reg. Puglia n. 17 del 2015, esso prevede che «[i]l PCC, nelle disposizioni transitorie volte a disciplinare le modalità di adeguamento dello stato dei luoghi antecedenti alla pianificazione, salvaguarda le concessioni in essere fino alla scadenza del termine della proroga di cui all'articolo 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, salve le esigenze di sicurezza».

Secondo il ricorrente, tale disposizione avrebbe introdotto una proroga di concessioni demaniali in scadenza, con invasione della competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza e lesione dei principi pro-concorrenziali di derivazione europea.

La questione è fondata, in relazione all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.

Con riferimento alla fase transitoria di adeguamento dello stato dei luoghi preesistente alla nuova pianificazione, la disposizione in esame impone di «salvaguardare le concessioni in essere», fino alla scadenza del termine della proroga fissata dall’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194 del 2009, come convertito e successivamente novellato, e, dunque, fino al 31 dicembre 2020.

Essa è testualmente riferita a tutte «le concessioni in essere» e si applica, perciò, sia alle concessioni già assentite alla data di entrata in vigore del d.l. n. 194 del 2009, come convertito e successivamente modificato, sia alle concessioni rilasciate successivamente, incluse quelle conseguenti alla «variazione o traslazione dei titoli concessori in contrasto con il PCC», di cui alla seconda parte del precedente comma 8 del medesimo art. 14 della legge regionale.

Il contenuto precettivo della disposizione impugnata è dunque volto a stabilire, per tutte le concessioni menzionate, una scadenza comune, individuata in quella fissata dal legislatore statale in sede di proroga disposta con l’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194 del 2009.

Tuttavia, la disciplina dei termini di scadenza delle concessioni demaniali marittime incide sull’ingresso di altri potenziali operatori economici nel mercato e rientra nella materia «tutela della concorrenza» (sentenze n. 171 del 2013, n. 213 del 2011, n. 340, n. 233 e n. 180 del 2010). E questa Corte ha già chiarito (sentenza n. 49 del 2014) che in materie di competenza esclusiva dello Stato, come quella ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., sono «inibiti alle Regioni interventi normativi diretti ad incidere sulla disciplina dettata dallo Stato, finanche in modo meramente riproduttivo della stessa (sentenza n. 245 del 2013, che richiama le sentenze n. 18 del 2013, n. 271 del 2009, n. 153 e n. 29 del 2006)».

Proprio con riferimento alle concessioni già in essere alla data di entrata in vigore del d.l. n. 194 del 2009, la costante giurisprudenza costituzionale (da ultimo, sentenza n. 195 del 2015) afferma che la novazione della fonte, con intrusione negli ambiti di competenza esclusiva statale, costituisce causa di illegittimità costituzionale della norma regionale (sentenza n. 35 del 2011), derivante non dal modo in cui essa ha disciplinato, ma dal fatto stesso di aver disciplinato una materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato (sentenza n. 18 del 2013).

Ancora più evidente appare la violazione del parametro costituzionale ricordato nella parte in cui il comma 9 dell’art. 14 della legge reg. Puglia n. 17 del 2015 si applica anche alle concessioni rilasciate successivamente alla data di entrata in vigore del d.l. n. 194 del 2009. La disposizione regionale riconduce, infatti, la scadenza ad un termine di nuovo conio, individuato per relationem in quello contenuto nella legge statale. In tal modo risultano prorogate concessioni che di una tale proroga non avrebbero potuto beneficiare, poiché la disciplina statale è relativa alle sole concessioni già in essere alla data di entrata in vigore del d.l. n. 194 del 2009.

Già con la sentenza n. 213 del 2011, del resto, questa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittime norme regionali che indicavano lo stesso termine di proroga fissato dal legislatore statale, applicandolo tuttavia a fattispecie diverse da quelle disciplinate da quest’ultimo.

Restano, in tal caso, assorbiti gli ulteriori profili di censura, riferiti alla violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 8, secondo periodo, e comma 9, della legge della Regione Puglia 10 aprile 2015, n. 17 (Disciplina della tutela e dell’uso della costa);

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 8, primo periodo, della legge reg. Puglia n. 17 del 2015, promosse, in riferimento agli artt. 117, primo e secondo comma, lettera e), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 gennaio 2017.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Nicolò ZANON, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2017.

Il Direttore della Cancelleria