SENTENZA N. 213
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Alfio FINOCCHIARO Giudice
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 4 della legge della Regione Marche 11 febbraio 2010, n. 7 (Norme per l’attuazione delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo), dell’articolo 5 della legge della Regione Veneto 16 febbraio 2010, n. 13 (Adeguamento della disciplina regionale delle concessioni demaniali marittime a finalità turistico-ricreativa alla normativa comunitaria. Modifiche alla legge regionale 4 novembre 2002, n. 33 «Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo» e successive modificazioni) e degli articoli 1 e 2 della legge della Regione Abruzzo 18 febbraio 2010, n. 3 (Estensione della durata delle concessioni demaniali per uso turistico-ricreativo), promossi dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorsi notificati il 19-22 aprile 2010, depositati in cancelleria il 28 aprile 2010 ed iscritti, rispettivamente, ai numeri 66, 67 e 68 del registro ricorsi 2010.
Visti gli atti di costituzione delle Regioni Marche, Veneto ed Abruzzo;
udito nell’udienza pubblica del 21 giugno 2011 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;
uditi l’avvocato dello Stato Maurizio Borgo per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Stefano Grassi per la Regione Marche, Luca Antonini per la Regione Veneto e Federico Tedeschini per la Regione Abruzzo.
Ritenuto in fatto
1.— Con ricorso notificato il 19 aprile 2010 (reg. ric. n. 66 del 2010) e depositato presso la cancelleria della Corte il successivo 28 aprile, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato ha impugnato l’art. 4 della legge della Regione Marche 11 febbraio 2010, n. 7 (Norme per l’attuazione delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo), per violazione dell’art. 117, primo e secondo comma, lettere a) ed e), della Costituzione.
L’art. 4, al comma 1, prevede la possibilità di estendere, su richiesta del concessionario, la durata della concessione demaniale fino ad un massimo di venti anni, in ragione dell’entità e della rilevanza economica delle opere realizzate e da realizzare sempre nel rispetto del piano di utilizzazione delle aree del demanio marittimo vigente.
Il successivo comma 2 dispone, poi, che la Giunta regionale stabilisce i criteri e le modalità per il rilascio ed il rinnovo delle suddette concessioni.
L’Avvocatura dello Stato osserva che a seguito della procedura di infrazione n. 2008/4908 da parte della Unione europea sulla compatibilità con il diritto comunitario della normativa italiana in materia di concessioni del demanio marittimo, il legislatore nazionale è intervenuto con l’art. 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, in legge 26 febbraio 2010, n. 25.
Per effetto di tale disposizione si è provveduto, da un lato, ad abrogare l’art. 37, secondo comma, del Codice della navigazione, nella parte in cui, nell’ambito delle procedure di affidamento in concessione di beni del demanio marittimo con finalità turistico-ricreativa, attribuiva preferenza – c.d. diritto di insistenza – al concessionario uscente, dall’altro, si è disposta una proroga, assentibile per la specificità del territorio italiano, delle concessioni in atto fino al massimo al 2015.
A parere del ricorrente la norma regionale impugnata si pone in contrasto con la normativa statale sopra indicata, poiché il previsto rinnovo automatico della concessione fino ad un massimo di vent’anni impedisce l’espletamento di qualsiasi forma di procedura selettiva volta a individuare nuovi possibili concessionari e, dunque, pone in essere una situazione di disparità di trattamento tra gli operatori economici.
Così disponendo, l’art. 4 censurato violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost., «in quanto non coerente con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario in tema di libertà di stabilimento e tutela della concorrenza» previsti, rispettivamente, dagli articoli 43 e 81 del Trattato CE.
Altresì violato sarebbe l’art. 117, secondo comma, lettera a), Cost., in relazione ai rapporti con l’Unione europea, in ragione della situazione derivante dalla pendenza della procedura comunitaria d’infrazione n. 2008/4908, riguardante la materia nella quale si inserisce la norma impugnata.
Infine la norma impugnata contrasterebbe anche con l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
1.1.— Si è costituita la Regione Marche chiedendo che la Corte dichiari la questione inammissibile o non fondata.
In via preliminare, la difesa regionale osserva che il ricorso contiene argomenti di censura solo con riferimento a quanto previsto dall’art. 4, comma 1, della citata legge regionale n. 7 del 2010, con la conseguenza che deve essere dichiarata inammissibile la questione riferita al successivo comma 2.
Altresì inammissibile sarebbe la censura riferita all’art. 117, secondo comma, lettera a), Cost., in quanto essa si fonda su di un generico rinvio ad una procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea che rende di fatto impossibile l’esercizio del diritto di difesa alla Regione.
Infine, sarebbe inammissibile la censura proposta in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in quanto le norme comunitarie interposte, richiamate dal ricorrente, sono state sostituite, a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, dagli artt. 49 e 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea – TFUE.
Nel merito la Regione Marche ritiene le censure non fondate, in quanto basate su di un erroneo presupposto interpretativo, frutto di una incompleta ricostruzione del quadro normativo di riferimento.
In proposito, la Regione rileva che l’art. 01 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400 (Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime), convertito, con modificazioni in legge 4 dicembre 1993, n. 494, al comma 2, prevede che le concessioni dei beni demaniali marittimi hanno durata di sei anni, e si rinnovano automaticamente alla scadenza per altri sei anni e così ad ogni successiva scadenza. Il successivo art. 03, comma 4-bis, stabilisce, poi, che le suddette concessioni possono avere durata anche superiore a sei anni, ma comunque non superiore a venti anni. Tale ultima disposizione, inserita dal comma 253 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2007), a parere della Regione, legittima il rilascio di nuove concessioni e l’adeguamento di quelle in corso per una durata fino a venti anni.
Tale ultima norma è, infatti, rimasta in vigore anche dopo l’intervento dell’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194 del 2009, convertito in legge n. 25 del 2010, il quale, nell’abrogare il diritto di insistenza nelle concessioni previsto dall’art. 37, secondo comma, cod. nav., ne ha fatte salve le disposizioni in essa contenute.
In tale contesto si colloca la norma censurata, la quale si limita a prevedere quanto già stabilito dall’art. 3, comma 4-bis, del d.l. n. 400 del 1993. Essa, infatti, diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, non ha ad oggetto il rinnovo di concessioni già scadute ma attribuisce ai Comuni il potere discrezionale, esercitabile solo su richiesta del concessionario e alla presenza dei presupposti previsti dalla norma statale richiamata, di estendere la durata di quest’ultime fino al massimo di venti anni.
Non si tratterebbe, dunque, di un rinnovo ma di semplice modificazione di una concessione in corso, la quale, peraltro, impone che la durata complessiva di essa non può essere superiore a venti anni, assumendo a tali fini rilevanza anche il periodo di tempo trascorso prima di tale modifica.
In ragione della mancata previsione di un rinnovo automatico di concessioni scadute, poi, la fattispecie in esame sarebbe del tutto differente da quella già scrutinata dalla Corte con la sentenza n. 180 del 2010.
Quanto all’art. 4, comma 2, della legge n. 7 del 2010, la Regione osserva che tale disposizione si limita ad affidare alla Giunta regionale il recepimento dell’intesa Stato-Regioni prevista dall’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194 del 2009 per l’individuazione dei criteri di affidamento dei beni demaniali marittimi, risultando, quindi, evidente, la sua estraneità ai profili di censura avanzati dal ricorrente.
2.— Con ricorso notificato il 19 aprile 2010 (reg. ric. n. 67 del 2010) e depositato presso la cancelleria della Corte il successivo 28 aprile, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 5 della legge della Regione Veneto del 16 febbraio 2010, n. 13 (Adeguamento della disciplina regionale delle concessioni demaniali marittime a finalità turistico-ricreativa alla normativa comunitaria. Modifiche alla legge regionale 4 novembre 2002, n. 33 «Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo» e successive modificazioni), per violazione dell’art. 117, primo e secondo comma, lettere a) ed e), Cost.
L’Avvocatura dello Stato rileva che l’art. 5, al comma 1, prevede che tutte le concessioni demaniali marittime a finalità turistico-ricreativa in corso scadranno il 31 dicembre 2015, in coerenza con quanto stabilito dall’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194 del 2009, come convertito in legge n. 25 del 2010.
Il successivo comma 2 stabilisce che i titolari di concessione in corso di validità che abbiano eseguito o eseguano, durante la vigenza della concessione, interventi edilizi, ovvero che, oltre ad essi, abbiano effettuato investimenti mediante l’acquisto di attrezzature e beni mobili, possano presentare al Comune istanza di modifica della durata della concessione, in conformità a quanto previsto dalla lettera e)-ter dell’allegato S/3 della legge regionale 4 novembre 2002, n. 33 (Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo) e successive modificazioni.
Sempre l’art. 5, al comma 3, dispone poi che il Comune, verificate le condizioni di cui al comma 2, modifica la durata della concessione, con decorrenza dalla data del provvedimento di modifica, sempre in conformità a quanto previsto dalla lettera e)-ter dell’allegato S/3 della legge regionale n. 33 del 2002 e successive modificazioni.
L’Avvocatura dello Stato rileva che la lettera e)-ter dell’allegato S/3 della legge regionale n. 33 del 2002, contiene una tabella che consente la variazione della durata delle concessioni in relazione agli investimenti effettuati da un minimo di 7 anni ad un massimo di venti anni, di talché le norme impugnate, per effetto del richiamo ad essa operata, prevedono le condizioni per l’estensione della durata delle concessioni demaniali marittime a finalità turistico-ricreative.
Il ricorso fonda il contrasto dell’art. 5 impugnato con gli indicati parametri costituzionali sullo stesso iter argomentativo posto a sostegno del ricorso iscritto al n. 66 del 2010 e, in particolare, sulla difformità esistente tra l’indicata norma regionale e quella nazionale adottata all’esito della procedura di infrazione da parte della Comunità europea, che ha comportato, tra l’altro, l’abrogazione dell’art. 37, comma 2, cod. nav.
Anche in questo caso la difesa statale ritiene, infatti, che le disposizioni impugnate prevedano, in deroga alla normativa statale sopra riportata, una possibilità di rinnovo automatico delle concessioni fino ad un massimo di vent’anni, determinando ciò una disparità di trattamento tra gli operatori economici in violazione della libertà di stabilimento di cui all’art. 43 del Trattato.
In particolare, l’art. 5 impugnato violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost. in quanto non sarebbe «coerente con i vincoli derivanti dall’Ordinamento comunitario in tema di libertà di stabilimento e tutela della concorrenza, violando, rispettivamente gli articoli 43 e 81 del Trattato CE».
Altresì violato sarebbe l’art. 117, secondo comma, lettera a), Cost. in relazione ai rapporti con l’Unione europea, in ragione dell’esistente procedura d’infrazione pendente su analoga questione, nonché l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. in materia di tutela della concorrenza.
2.1.— Si è costituta in giudizio la Regione Veneto chiedendo che la Corte dichiari non fondata la questione sollevata.
Osserva la difesa regionale che la norma impugnata è rispettosa della normativa comunitaria e, in particolare, della direttiva 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno) che fissa i principi che ogni Stato deve rispettare nel rilascio di autorizzazioni, quali l’individuazione del destinatario secondo regole di trasparenza e imparzialità, nonché la loro limitata durata nel tempo.
La Regione Veneto rileva che il legislatore statale ha dato attuazione a tali principi con la disciplina contenuta nell’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194 del 2009, nonché con l’art. 03, comma 4-bis, del d.l. n. 400 del 1993, come introdotto dalla legge n. 296 del 2006. In base a tale disciplina viene prevista la proroga delle concessioni in atto fino al 31 dicembre 2015 e la salvezza di quelle di durata superiore ai sei anni rilasciate secondo quanto stabilito dall’indicato art. 3, comma 4-bis.
La Regione Veneto ritiene che l’art. 5 sia conforme alla disciplina statale, in quanto dispone che le concessioni demaniali marittime in atto e quelle oggetto di domanda di rinnovo scadano al 31 dicembre 2015. Tale disposizione si applica, dunque, per lo stesso arco temporale previsto dal legislatore statale, a seguito del quale si darà corso alla procedura comparativa di cui all’art. 3 della legge regionale impugnata.
In particolare, l’art. 5, comma 1, della legge regionale n. 13 del 2010 si riferisce a tutte le concessioni per le quali è applicabile il nuovo termine di legge del 31 dicembre 2015, prevedendo che i singoli Comuni si limitino ad informare i concessionari interessati del nuovo termine, al fine di apportare le necessarie modifiche ai relativi contratti.
L’art. 5, comma 2, prevede, poi, per determinati concessionari, la possibilità di chiedere una modifica della durata della concessione, condizionata all’esecuzione di opere di rilevante importo economico che non sarebbero state eseguite qualora il termine della concessione fosse posto secondo il criterio automatico di cui al precedente comma 1. Non si tratterebbe di un rinnovo automatico ma di una proroga in presenza di determinati requisiti che devono essere oggetto di valutazione da parte dei Comuni (art. 5, comma 3).
Per quanto attiene all’art. 5, comma 4, esso prende in considerazione l’esecuzione di lavori infrastrutturali di pubblica utilità previsti dal Comune e, in questo caso, il concessionario può richiedere la modifica della concessione per un periodo da due a quattro anni.
Tali previsioni, a parere della Regione, sono ispirate agli stessi principi che hanno portato il legislatore statale a prevedere, in ragione degli interventi compiuti dal concessionario e, dunque, al fine di consentirgli di ammortizzare gli investimenti compiuti, che la durata della concessione potesse arrivare fino a venti anni (art. 3, comma 4-bis, del d.l. n. 400 del 1993 come introdotto dalla legge n. 296 del 2006).
L’esigenza di tutelare il concessionario e il suo affidamento in simili situazioni è, peraltro, contenuta anche nella già citata direttiva comunitaria n. 2006/123/CE, di talché la norma regionale impugnata non risulterebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera a), Cost., in quanto, espressione della competenza legislativa della Regione in materia di turismo, sarebbe attuativa di una direttiva comunitaria.
3.— Con ricorso notificato il 19 aprile 2010 (reg. ric. n. 68 del 2010) e depositato presso la cancelleria della Corte il successivo 28 aprile, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato ha impugnato gli artt. 1 e 2 della legge della Regione Abruzzo del 18 febbraio 2010, n. 3 (Estensione della durata delle concessioni demaniali per uso turistico-ricreativo), per violazione dell’art. 117, primo e secondo comma, lettere a) ed e), Cost.
L’art. 1 stabilisce la possibilità di estendere, su richiesta del concessionario, la durata delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative in essere, fino ad un massimo di venti anni, in ragione dell’entità degli investimenti effettuati.
Il successivo articolo 2 dispone che la prevista estensione della durata delle concessioni sia applicabile anche alle nuove concessioni per le quali sia in corso il procedimento di rilascio.
Anche in tale ricorso, come nei precedenti, l’Avvocatura dello Stato, dopo aver riferito della procedura di infrazione contro l’Italia e del successivo intervento del legislatore statale, volto a rispettare gli obblighi comunitari in essa richiamati, osserva che le norme regionali impugnate, nel prevedere la possibilità di rinnovo automatico della concessione fino ad un massimo di vent’anni, si pongono in contrasto con le conclusioni della Commissione europea e con la richiamata normativa statale.
Con le stesse motivazioni indicate nei precedenti ricorsi lo Stato ritiene che le norme impugnate violino l’art. 117, primo e secondo comma, lettere a) ed e), della Cost.
3.1.— Si è costituita in giudizio la Regione Abruzzo chiedendo che la Corte dichiari le questioni non fondate, in quanto frutto di un errato presupposto interpretativo.
La difesa regionale, infatti, rileva che le norme impugnate non dispongono alcun rinnovo automatico delle concessioni demaniali marittime in corso.
In particolare, l’art. 1 prevede solo l’estensione del periodo di validità di concessioni in corso al ricorrere di specifiche condizioni la cui sussistenza è oggetto di valutazione da parte dell’Amministrazione.
Tra i suddetti presupposti assumono rilevanza la sussistenza di rilevanti investimenti da parte del concessionario e il rispetto dei criteri e delle modalità di attuazione, quali definiti dalla Giunta regionale ai sensi dell’art. 3 della legge impugnata.
Le norme censurate, dunque, si limitano a stabilire una disciplina che consente di equilibrare gli investimenti compiuti dal concessionario con la durata della concessione, così come peraltro stabilito dalla stessa normativa statale e, in particolare, dall’art. 1, comma 253, della legge n. 296 del 2006 che ha introdotto l’art. 3, comma 4-bis, al d.l. n. 400 del 1993, e dall’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194 del 2009.
La Regione ritiene che l’estensione della durata delle concessioni demaniali in relazione agli investimenti effettuati sia conforme anche alla direttiva comunitaria n. 123 del 2006, la quale espressamente prevede che la durata della concessione deve garantire l’ammortamento degli investimenti compiuti dal privato e la remunerazione equa dei capitali utilizzati.
Quanto alla censura relativa all’art. 2 della legge regionale n. 3 del 2010, la difesa regionale osserva che l’estensione ivi contemplata si riferisce anche alle nuove concessioni per le quali, però, già sia in essere il procedimento istruttorio.
Dunque, la cennata estensione non opera nei confronti di rapporti concessori già scaduti e in corso di rinnovo, ma su licenze in corso di rilascio e in conformità della normativa regionale di pianificazione turistica.
Quanto alla presunta violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera a), Cost., la difesa regionale, in via preliminare, osserva che la procedura di infrazione richiamata dal ricorrente riguarda la conformità della legislazione nazionale ai principi comunitari e, quindi, una fattispecie del tutto diversa da quella in esame. Oltre a ciò, la Regione Abruzzo ribadisce quanto sopra affermato in ordine alla piena conformità delle norme regionali impugnate con quanto affermato dalla direttiva n. 123 del 2006, giacché ne costituiscono attuazione nel rispetto delle competenze che la Costituzione assegna alle Regioni.
Quanto al richiamo fatto dal ricorrente all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., la relativa censura sarebbe inammissibile per difetto di motivazione e, nel merito, non fondata in quanto le norme impugnate non attengono alla materia oggetto della competenza legislativa invocata dal ricorrente.
4.— In prossimità dell’udienza tutte le parti hanno depositato memorie con le quali hanno ribadito le argomentazioni poste a fondamento dei propri precedenti atti.
Considerato in diritto
1.— Il Presidente del Consiglio dei ministri, con tre ricorsi, iscritti ai numeri 66, 67 e 68 del registro ricorsi 2010, ha proposto questioni di legittimità costituzionale, rispettivamente:
a) dell’art. 4 della legge della Regione Marche 11 febbraio 2010, n. 7 (Norme per l’attuazione delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo), nella parte in cui prevede, in presenza di determinati presupposti, la possibilità di prorogare le concessioni demaniali marittime in corso, per asserita violazione dell’art. 117, primo e secondo comma, lettere a) ed e), della Costituzione;
b) dell’art. 5 della legge della Regione Veneto 16 febbraio 2010, n. 13 (Adeguamento della disciplina regionale delle concessioni demaniali marittime a finalità turistico-ricreativa alla normativa comunitaria. Modifiche alla legge regionale 4 novembre 2002, n. 33 «Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo» e successive modificazioni), nella parte in cui contempla diverse ipotesi di proroga delle concessioni demaniali marittime in corso, per asserita violazione dell’art. 117, primo e secondo comma, lettere a) ed e), Cost.;
c) degli artt. 1 e 2 della legge della Regione Abruzzo 18 febbraio 2010, n. 3 (Estensione della durata delle concessioni demaniali per uso turistico-ricreativo), nella parte in cui prevedono la proroga automatica delle concessioni di beni demaniali marittimi, per asserita violazione dell’art. 117, primo e secondo comma, lettere a) ed e), Cost.
2.— In ragione dell’omogeneità della materia, i predetti ricorsi devono essere riuniti per essere decisi con un’unica sentenza.
Il ricorrente – con argomentazioni sostanzialmente identiche – muove dal presupposto che le norme regionali impugnate, nello stabilire, ricorrendo determinati presupposti, il rinnovo automatico delle concessioni demaniali marittime, violerebbero i principi derivanti dall’ordinamento comunitario e recepiti nell’ordinamento nazionale in tema di libertà di stabilimento e tutela della concorrenza, che non consentirebbero il suddetto automatismo.
In particolare, i suddetti principi sarebbero desumibili dall’art. 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, con il quale il legislatore nazionale ha adeguato l’ordinamento interno a quello comunitario in materia di concessioni del demanio marittimo.
Per effetto di tale disposizione è stato abrogato l’art. 37, secondo comma, del Codice della navigazione, nella parte in cui, nell’ambito delle procedure di affidamento in concessione di beni del demanio marittimo con finalità turistico-ricreativa, attribuiva preferenza – cosiddetto diritto di insistenza – al concessionario uscente.
Lo stesso art. 1 ha stabilito una proroga, fino al 31 dicembre 2015, delle concessioni in corso alla data di entrata in vigore della indicata legge, dovendosi successivamente a tale data procedere al loro affidamento mediante gara pubblica.
Le disposizioni impugnate, secondo la difesa statale, si porrebbero in contrasto con la richiamata normativa, in quanto il rinnovo automatico delle concessioni in atto impedirebbe l’espletamento di qualsiasi forma di procedura selettiva volta a individuare nuovi possibili concessionari.
3.— In via preliminare, devono essere esaminate le eccezioni sollevate dalle difese regionali.
3.1.— La Regione Marche ritiene il ricorso proposto nei suoi riguardi inammissibile, innanzitutto in quanto non conterrebbe alcuna motivazione a sostegno dell’impugnazione dell’art. 4, comma 2, della legge regionale n. 7 del 2010, e in secondo luogo perché, comunque, le censure riferite all’art. 117, primo e secondo comma, lettera a), Cost., si fonderebbero sul richiamo di norme comunitarie non più vigenti per effetto dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona e su un generico rinvio ad una procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea, sì che sarebbe stato reso di fatto impossibile l’esercizio del diritto di difesa alla Regione.
Tali eccezioni non sono fondate.
Quanto a quella riferita all’art. 4, comma 2, è sufficiente rilevare il rapporto di stretta inscindibilità che esiste tra tale disposizione e quella contenuta nel precedente comma 1, prevedendo la prima il potere in capo alla Giunta regionale di fissare i criteri per il rilascio delle concessioni demaniali marittime di cui al comma 1, sicché esse realizzano un’unitaria e omogenea disciplina del procedimento attinente al rilascio delle concessioni.
Quanto alle ulteriori eccezioni, esse non tengono conto degli argomenti prospettati nel ricorso a sostegno delle censure, dai quali si evincono gli esatti termini delle questioni sollevate dal ricorrente, sia quanto alle norme comunitarie effettivamente pertinenti, sia quanto alla rilevanza della procedura d’infrazione.
3.2.— La Regione Abruzzo ha dedotto l’inammissibilità della censura proposta in relazione all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., per difetto di motivazione.
Anche tale eccezione non è fondata, sulla base delle argomentazioni sopra riportate e, in particolare, della circostanza che dalle motivazioni contenute nel ricorso si desumono le ragioni poste a fondamento della asserita lesione, da parte della norma regionale impugnata, dei principi di libera concorrenza.
4.— Per un corretto inquadramento delle questioni sottoposte all’esame della Corte, occorre rilevare che la disciplina relativa al rilascio delle concessioni su beni demaniali marittimi investe diversi ambiti materiali, attribuiti alla competenza sia statale che regionale, atteso che particolare rilevanza, quanto ai criteri e alle modalità di affidamento di tali concessioni, assumono i principi della libera concorrenza e della libertà di stabilimento, previsti dalla normativa comunitaria e nazionale.
In proposito, va osservato che il legislatore nazionale ha stabilito, all’articolo 1, comma 18, del citato decreto-legge n. 194 del 2009, le modalità di accesso alle suddette concessioni da parte degli operatori economici.
Tale intervento normativo ha fatto seguito alla procedura d’infrazione comunitaria n. 2008/4908, aperta nei confronti dello Stato italiano per il mancato adeguamento all’articolo 12, comma 2, della direttiva 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno), il quale vieta qualsiasi forma di automatismo che, alla scadenza del rapporto concessorio, possa favorire il precedente concessionario.
La Commissione europea aveva denunciato il contrasto dell’art. 37 cod. nav. con gli artt. 43 e 81 del Trattato CE (ora artt. 49 e 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea-TFUE) sul presupposto che, nell’attribuire preferenza al momento della scadenza della concessione al vecchio concessionario, lo stesso art. 37 costituiva un ostacolo all’accesso al mercato di nuovi operatori economici del settore.
In ragione di ciò, il legislatore statale è intervenuto con l’art. 1, comma 18, del citato d.l. n. 194 del 2009, con il quale sono state previste:
la soppressione del secondo comma dell’articolo 37 cod. nav., nella parte in cui stabiliva la preferenza accordata al vecchio concessionario;
la proroga al 31 dicembre 2015 delle concessioni per finalità turistico-ricreative in scadenza prima di tale data e in atto al 30 dicembre 2009, giorno dell’entrata in vigore dello stesso decreto-legge;
la conferma delle concessioni ex art. 3, comma 4-bis, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400 (Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, comma aggiunto dall’art. 1, comma 253, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2007) e, dunque, aventi durata tra sei e venti anni, rilasciate per tale periodo di tempo in ragione dell’entità e della rilevanza economica delle opere realizzate dal concessionario.
L’art. 1, comma 18, sopra citato, ha attribuito a tale disciplina carattere transitorio, in attesa della revisione della legislazione in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi da realizzarsi, quanto ai criteri e alle modalità di affidamento, sulla base di una intesa da raggiungere in sede di Conferenza Stato-Regioni, nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento, di garanzia dell’esercizio, dello sviluppo, della valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti, nonché in funzione del superamento del diritto di insistenza di cui al citato art. 37, secondo comma, cod. nav.
La finalità del legislatore è stata, dunque, quella di rispettare gli obblighi comunitari in materia di libera concorrenza e di consentire ai titolari di stabilimenti balneari di completare l’ammortamento degli investimenti nelle more del riordino della materia, da definire in sede di Conferenza Stato-Regioni.
Alla luce di tali premesse, si possono esaminare le singole norme oggetto di censura.
5.— La questione relativa all’art. 4, comma 1, della legge della Regione Marche n. 7 del 2010 è fondata.
Tale comma stabilisce che ai sensi dell’articolo 03, comma 4-bis, del d.l. n. 400 del 1993, i Comuni, su richiesta del concessionario, possono estendere la durata della concessione fino ad un massimo di venti anni, in ragione dell’entità e della rilevanza economica delle opere realizzate e da realizzare, in conformità al piano di utilizzazione delle aree del demanio marittimo vigente.
Il legislatore regionale, nel sancire la possibilità di estendere la durata delle concessioni demaniali in corso, ha posto una disciplina che, violando quella introdotta dall’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194 del 2009, eccede dalle sue competenze.
Quest’ultima disposizione, infatti, rende solo possibile – in ragione dell’entità e della rilevanza economica delle opere da realizzare – il rilascio di nuove concessioni di durata superiore a sei anni e comunque non superiore a venti anni.
La norma impugnata, diversamente, prevede la possibilità di estendere la durata delle concessioni in atto fino al limite di venti anni.
Il legislatore regionale attribuisce, dunque, al titolare della concessione la possibilità di ottenerne la proroga (seppure in presenza dei presupposti indicati dal richiamato art. 3) e, in tal modo, «viola l’art. 117, primo comma, Cost., per contrasto con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario in tema di diritto di stabilimento e di tutela della concorrenza. Infatti, la norma regionale prevede un diritto di proroga in favore del soggetto già possessore della concessione, consentendo il rinnovo automatico della medesima. Detto automatismo determina una disparità di trattamento tra gli operatori economici in violazione dei principi di concorrenza, dal momento che coloro che in precedenza non gestivano il demanio marittimo non hanno la possibilità, alla scadenza della concessione, di prendere il posto del vecchio gestore se non nel caso in cui questi non chieda la proroga o la chieda senza un valido programma di investimenti» (sentenza n. 180 del 2010).
Né, al fine di escludere l’illegittimità della norma impugnata, valgono gli argomenti utilizzati dalla Regione secondo i quali le concessioni non sarebbero prorogate automaticamente, ma previa valutazione caso per caso, in considerazione degli investimenti effettuati, in quanto tale disciplina, per le ragioni indicate, pone un ostacolo all’accesso di altri potenziali operatori economici nel mercato relativo alla gestione di tali concessioni (sentenza n. 340 del 2010).
6.— La questione relativa all’art. 4, comma 2, della medesima legge regionale n. 7 del 2010 non è, invece, fondata.
Detto comma prevede che con deliberazione della Giunta regionale, sulla base dell’intesa Stato-Regioni ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), sentita la competente Commissione consiliare e il Consiglio delle autonomie locali, sono stabiliti i criteri per il rilascio delle concessioni demaniali con finalità turistico-ricreative, nonché le modalità per il loro rinnovo.
La norma in esame non è idonea a ledere alcuna competenza legislativa statale, in quanto essa, per la sua operatività, presuppone il rispetto del procedimento previsto dall’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194 del 2009.
Il legislatore regionale, infatti, attribuisce ad una delibera della Giunta regionale il potere sopra indicato, subordinandolo all’adozione di una previa intesa da raggiungere in sede di Conferenza Stato-Regioni, volta ad esprimere, secondo quanto previsto dal citato art. 1, comma 18, i criteri validi per il rilascio delle concessioni in esame.
7.— La questione relativa all’art. 5 della legge della Regione Veneto n. 13 del 2010 è fondata nei termini di seguito precisati.
L’art. 5, comma 1, prevede che «ai fini dell’applicazione delle procedure di cui all’articolo 3 e fatto salvo quanto previsto dal presente articolo, tutte le concessioni demaniali marittime a finalità turistico-ricreativa in essere alla data di entrata in vigore della presente legge ivi comprese quelle oggetto di domanda di rinnovo in corso di istruttoria alla stessa data, scadono al 31 dicembre 2015, fatta salva la diversa maggiore durata prevista dal titolo concessorio».
Il successivo comma 2 stabilisce che «il titolare di concessione in corso di validità all’entrata in vigore della presente legge, anche per effetto del comma 1, che abbia eseguito o esegua durante la vigenza della concessione interventi edilizi, come definiti dall’articolo 3, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (…), ovvero che, oltre agli interventi edilizi, abbia acquistato attrezzature e beni mobili per un valore non superiore al venti per cento dell’importo degli interventi edilizi, può presentare al comune, entro quarantacinque giorni dall’entrata in vigore della presente legge, una istanza di modifica della durata della concessione in conformità a quanto previsto dalla lettera e)-ter dell’allegato S/3 della legge regionale 4 novembre 2002, n. 33 e successive modificazioni».
Il successivo comma 3 dispone che «il Comune, verificate le condizioni di cui al comma 2, modifica la durata della concessione, con decorrenza dalla data del provvedimento di modifica, in conformità a quanto previsto dalla lettera e)-ter dell’allegato S/3 della legge regionale 4 novembre 2002, n. 33 e successive modificazioni».
Il comma 4, a sua volta, prevede che «il titolare di concessione in corso di validità all’entrata in vigore della presente legge, anche per effetto del comma 1, che abbia eseguito o esegua durante la vigenza della concessione interventi infrastrutturali di pubblica utilità previsti dal comune, non rientranti nelle tipologie di cui al comma 2, può presentare al comune, entro quarantacinque giorni dall’entrata in vigore della presente legge, una istanza di modifica della durata della concessione per un periodo compreso tra due e quattro anni. Il Comune, valutate le condizioni, può accogliere la domanda di modifica della durata della concessione, con decorrenza della durata dalla data del provvedimento di modifica».
7.1.— In via preliminare, va sottolineato che, nonostante il ricorso non contenga alcuna esplicita motivazione in ordine all’impugnazione dei commi 1 e 4 dell’art. 5 in esame, occorre considerare, da un lato, che le argomentazioni che sviluppa appaiono implicitamente riferibili anche a tali commi e, dall’altro, che la disciplina introdotta dall’intero art. 5 si caratterizza per la sua unitarietà.
Quanto al primo aspetto, si deve rilevare che il presupposto argomentativo da cui muove il ricorrente è che le proroghe (o rinnovi automatici) delle concessioni demaniali marittime, previste dal legislatore regionale con l’articolo 5 impugnato, contrastino con i principi di libera concorrenza e di libertà di stabilimento, posti a fondamento della disciplina relativa al rilascio delle suddette concessioni.
Quanto al secondo aspetto, è sufficiente osservare che i commi di cui è composto l’art. 5, seppure prendano in esame diverse fattispecie, sono tutti accomunati dal fatto che disciplinano in modo unitario la proroga o il rinnovo automatico delle concessioni demaniali marittime in corso di validità.
Chiarito ciò, deve rilevarsi come la normativa regionale impugnata regoli talune ipotesi di rilascio di concessione su beni demaniali marittimi, tutte in contrasto con la disciplina fissata dall’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194 del 2009.
La prima ipotesi è quella prevista dall’art. 5, comma 1, il quale dispone che le concessioni in corso al momento dell’entrata in vigore della legge regionale e quelle che, alla medesima data, sono oggetto di domanda di rinnovo e in corso di istruttoria, sono prorogate al 31 dicembre 2015.
Tale disposizione, pur indicando lo stesso termine di scadenza, disciplina una fattispecie, nel complesso, diversa da quella statale.
Il legislatore regionale, infatti, nel fare uso della proroga ope legis prevista dalla norma statale (fino al 31 dicembre 2015) la applica a concessioni diverse da quelle prese in considerazione da quest’ultima (e cioè in corso al 30 dicembre 2009, data di entrata in vigore del d.l n. 194 del 2009). In sostanza, la disposizione impugnata prende in considerazione le concessioni in corso e quelle oggetto di domanda di rinnovo alla data di entrata in vigore della legge regionale, cioè il 19 febbraio 2010 e, dunque, con riguardo ad un momento temporale diverso e successivo rispetto a quello indicato dalla norma statale, così trovando applicazione rispetto a fattispecie differenti da quelle di cui all’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194 del 2009.
La seconda ipotesi, presa in esame dal legislatore regionale, è quella indicata dall’art. 5, commi 2 e 3, in virtù dei quali il titolare di una concessione in corso di validità al momento dell’entrata in vigore della legge regionale, anche se per effetto del precedente comma 1, che abbia eseguito delle opere edilizie ed abbia acquistato attrezzature per un determinato importo, può richiedere la modifica della durata della concessione in conformità a quanto previsto dall’allegato S/3, lettera e)-ter, dalla legge regionale n. 4 novembre 2002, n. 33 e cioè per un periodo che varia da sei a venti anni.
La terza ipotesi è quella prevista nell’art. 5, comma 4, per effetto del quale il titolare di una concessione in corso di validità al momento dell’entrata in vigore della legge regionale, se ha eseguito lavori di pubblica utilità previsti dal Comune e non rientranti in quelli dei precedenti commi, può chiedere la modifica della durata della concessione per un periodo tra i due e i quattro anni.
Ebbene, per quanto attiene alle fattispecie di cui all’art. 5, commi 2 e 3, valgono le considerazioni fatte con riferimento all’art. 4 della legge della Regione Marche n. 7 del 2010, atteso che si prevedono proroghe delle concessioni demaniali in corso, in violazione dell’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194 del 2009 e, conseguentemente, dell’art. 117, primo comma, Cost.
Alla luce delle considerazioni in precedenza svolte la declaratoria di illegittimità costituzionale delle disposizioni contenute nell’art. 5, commi 2 e 3, della legge regionale impugnata si estende, per consequenzialità logica, anche a quelle previste nei commi 1 e 4 del medesimo articolo.
8.— Anche la questione relativa agli artt. 1 e 2 della legge della Regione Abruzzo n. 3 del 2010 è fondata.
L’art. 1 prevede che «i titolari di concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative possono richiedere l’estensione della durata della concessione fino ad un massimo di venti anni a partire dalla data di rilascio, in ragione dell’entità degli investimenti e secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 253, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2007)».
Il successivo art. 2 stabilisce che «l’estensione della durata della concessione è applicabile anche alle nuove concessioni, per le quali, alla data di approvazione della presente legge, sia in corso il procedimento di rilascio della concessione demaniale».
Quanto all’art. 1, valgono le considerazioni sopra indicate con riferimento all’art. 4, comma 1, della legge della Regione Marche n. 7 del 2010, avendo il legislatore regionale abruzzese previsto, anche in questo caso, la possibilità di estendere la durata delle concessioni demaniali in atto, con ciò attribuendo ai titolari delle stesse una proroga in violazione dei principi di libertà di stabilimento e di tutela della concorrenza.
Quanto all’art. 2, esso applica l’estensione disciplinata dal precedente art. 1 alle concessioni il cui procedimento di rilascio sia in itinere al momento dell’approvazione della legge regionale.
Per effetto del collegamento tra le due norme, è evidente che l’estensione prevista dall’art. 2 è subordinata all’entità degli investimenti, secondo quanto stabilito dall’art. 1, comma 253, della legge n. 296 del 2006, che ha introdotto l’art. 3, comma 4-bis, del d.l. n. 400 del 1993.
Il fatto che l’art. 2 si riferisca a nuove concessioni e, quindi, non disponga alcuna proroga o modifica di quelle in corso, non esclude la sua illegittimità; ciò in quanto il rilascio delle concessioni demaniali marittime e, quindi, le regole che disciplinano l’accesso ai relativi beni da parte dei potenziali concessionari sono aspetti che rientrano nella materia della tutela della concorrenza, attribuita alla competenza esclusiva dello Stato, di cui l’art.1, comma 18, del d.l. n. 194 del 2009 è espressione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i ricorsi,
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, della legge della Regione Marche 11 febbraio 2010, n. 7 (Norme per l’attuazione delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo);
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 della legge della Regione Veneto 16 febbraio 2010, n. 13 (Adeguamento della disciplina regionale delle concessioni demaniali marittime a finalità turistico-ricreativa alla normativa comunitaria. Modifiche alla legge regionale 4 novembre 2002, n. 33 «Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo» e successive modificazioni);
dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge della Regione Abruzzo 18 febbraio 2010, n. 3 (Estensione della durata delle concessioni demaniali per uso turistico-ricreativo);
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 2, della legge della Regione Marche n. 7 del 2010, promossa, in riferimento all’art. 117, primo e secondo comma, lettere a) ed e), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso n. 66 del 2010, indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2011.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente e Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2011.