Sentenza n. 175 del 2016

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 175

ANNO 2016

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo                          GROSSI                                Presidente

-           Alessandro                 CRISCUOLO                                     Giudice

-           Giuseppe                    FRIGO                                           ”

-           Giorgio                       LATTANZI                                   ”

-           Aldo                           CAROSI                                        ”

-           Mario Rosario             MORELLI                                     ”

-           Giancarlo                    CORAGGIO                                 ”

-           Giuliano                      AMATO                                        ”

-           Silvana                        SCIARRA                                     ”

-           Nicolò                         ZANON                                         ”

-           Giulio                         PROSPERETTI                             ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 7, commi 1, 3 e 5, 8, commi 1 e 3, della legge della Regione Puglia 23 marzo 2015, n. 12 (Promozione della cultura della legalità, della memoria e dell’impegno), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 25-27 maggio 2015, depositato in cancelleria il 28 maggio 2015 ed iscritto al n. 57 del registro ricorsi 2015.

Visto l’atto di costituzione della Regione Puglia;

udito nell’udienza pubblica del 21 giugno 2016 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

uditi l’avvocato dello Stato Giuseppe Albenzio per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Marina Altamura per la Regione Puglia.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso spedito per la notifica il 25 maggio 2015, ricevuto dalla resistente il 27 maggio 2015 e depositato il 28 maggio 2015 (reg. ric. n. 57 del 2015), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale, in via principale, dell’art. 7, commi 1, 3 e 5 e dell’art. 8, commi 1 e 3, della legge della Regione Puglia 23 marzo 2015, n. 12 (Promozione della cultura della legalità, della memoria e dell’impegno), per violazione degli artt. 3, 97, 117, secondo comma, lettere l) e o), della Costituzione.

1.1.– Quanto all’art. 7 della legge regionale citata, la parte ricorrente assume che le disposizioni impugnate dettino una disciplina difforme rispetto a quella racchiusa nella normativa statale di riferimento (legge 23 novembre 1998, n. 407, recante «Nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata») e siano, pertanto, lesive della competenza esclusiva statale in tema di ordinamento civile (art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.) e previdenza sociale (art. 117, secondo comma, lettera o), Cost.).

A dire della parte ricorrente, la disciplina del rapporto di lavoro nelle pubbliche amministrazioni attiene alla materia dell’ordinamento civile, di competenza esclusiva statale, e a un’altra materia di competenza esclusiva statale, la previdenza sociale, attiene la disciplina del collocamento obbligatorio.

Il ricorrente lamenta che le discrepanze tra la disciplina regionale attuativa e la normativa statale contravvengano al principio di eguaglianza, in quanto generano disparità di trattamento tra i parenti delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata: persone nell’identica situazione possono accedere al collocamento obbligatorio in Puglia e non in altre parti del territorio nazionale.

1.1.1.– In particolare, l’art. 7, comma 1, della legge regionale n. 12 del 2015, nel prevedere in linea generale l’assunzione nei ruoli regionali delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata per semplice chiamata diretta e personale, contrasterebbe con l’art. 1, comma 2, della legge n. 407 del 1998, che, per i livelli retributivi dal sesto all’ottavo, subordina l’assunzione del personale all’espletamento di una prova di idoneità e al rispetto del limite del dieci per cento delle vacanze nell’organico.

L’assunzione in ruolo senza previo concorso si porrebbe in conflitto, inoltre, con l’art. 97 Cost., che impone il concorso quale modalità di reclutamento del personale delle pubbliche amministrazioni.

1.1.2.– Quanto all’art. 7, comma 3, della legge regionale impugnata, esso contemplerebbe altri beneficiari (conviventi more uxorio e genitori) in aggiunta a quelli individuati dall’art. 1, comma 2, della legge n. 407 del 1998 (coniuge, figli superstiti, fratelli conviventi e a carico dei soggetti deceduti).

1.1.3.– L’art. 7, comma 5, della legge regionale n. 12 del 2015, che vincola gli enti o agenzie istituiti o comunque dipendenti o controllati dalla Regione Puglia, le società di capitale dalla stessa interamente partecipate e le aziende e unità sanitarie locali all’attuazione del diritto al collocamento obbligatorio, allargherebbe la platea dei soggetti obbligati rispetto alle indicazioni dell’art. 1, comma 2, della legge n. 407 del 1998: la normativa statale, difatti, enumera tutte le pubbliche amministrazioni individuate dall’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), senza far parola degli enti e delle agenzie istituiti o comunque dipendenti o controllati dalla Regione Puglia, delle società di capitale partecipate dalla Regione e delle aziende e unità sanitarie locali.

1.2.– Il ricorrente dubita della legittimità costituzionale della disciplina regionale dei permessi retribuiti dei lavoratori assunti perché vittime della mafia, della criminalità organizzata, del terrorismo e del dovere.

Le censure del Presidente del Consiglio dei ministri investono, a tale riguardo, l’art. 8 della legge regionale n. 12 del 2015, che accorda ai lavoratori subordinati, assunti in applicazione della normativa regionale sul collocamento obbligatorio, il diritto di assentarsi per cento ore annue, al fine di partecipare a iniziative pubbliche, anche presso scuole e istituzioni, finalizzate a diffondere la cultura della legalità e della memoria delle vittime della mafia, della criminalità organizzata, del terrorismo e del dovere (comma 1).

Le ore di assenza sono retribuite, anche a fini previdenziali, quali normali ore di lavoro (comma 3).

Con riguardo a tali disposizioni, il Presidente del Consiglio dei ministri deduce la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. e argomenta che la disciplina in esame invade la competenza esclusiva statale nella materia dell’ordinamento civile, che ricomprende la regolamentazione dei rapporti di lavoro pubblico privatizzati, come quelli dei dipendenti delle Regioni.

Il ricorrente prospetta, inoltre, la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera o), Cost., sul presupposto che le disposizioni menzionate, nel disciplinare i riflessi previdenziali delle ore di assenza, invadano la competenza esclusiva che la Carta fondamentale attribuisce allo Stato nella materia della previdenza sociale.

Ad avviso del ricorrente, le disposizioni impugnate ledono anche il principio di eguaglianza: con riguardo al diritto di fruire dei permessi per assenze retribuite, i lavoratori con le medesime caratteristiche, collocati presso altre amministrazioni pubbliche, si troverebbero in una diversa e deteriore posizione rispetto ai lavoratori assunti dalla Regione Puglia.

2.– Nel giudizio si è costituita la Regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore, e ha chiesto di dichiarare l’inammissibilità o comunque l’infondatezza delle censure proposte con il ricorso introduttivo.

2.1.– La Regione resistente eccepisce l’inammissibilità delle censure riguardanti l’art. 7 della legge impugnata, asserendo di non essere stata adeguatamente informata circa le critiche formulate a tale riguardo: la relazione inviata dal Dipartimento per gli Affari regionali, le Autonomie e lo Sport non conterrebbe alcun richiamo ai precetti costituzionali violati dall’art. 7 della legge regionale.

Ad ogni modo, le censure, che si appuntano contro tale disposizione, sarebbero infondate.

2.1.1.– La Regione replica che, soltanto per l’assunzione nei livelli sesto, settimo e ottavo, si svolge una previa prova selettiva e si applica il limite del 10% del numero di vacanze dell’organico.

Il personale della Regione, per contro, sarebbe articolato in quattro categorie contrattuali, che comprendono livelli retributivi tutti inferiori al sesto.

Le disposizioni regionali non arrecherebbero alcun pregiudizio al sistema del collocamento obbligatorio: la legge regionale mantiene inalterato il sistema del collocamento obbligatorio e si muove nell’alveo delle prescrizioni della legge statale.

2.1.2.– Quanto all’estensione del collocamento obbligatorio al convivente more uxorio, la legge censurata si sarebbe limitata a recepire l’equiparazione tra coniuge e convivente more uxorio che già traspare, seppure in modo frammentario e incompiuto, dalla legislazione statale e da altre leggi regionali, come quella siciliana, adottate nella medesima materia e non impugnate dallo Stato.

Tale equiparazione – argomenta la parte resistente – è conforme ai princìpi enunciati dal Parlamento Europeo, con la Risoluzione 13 marzo 2012 sulla parità tra donne e uomini nell’Unione europea, dalla giurisprudenza costituzionale e dalle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo.

L’estensione del beneficio ai genitori della vittima sarebbe in linea con altre previsioni statali, riguardanti dipendenti pubblici e cittadini vittime del dovere o di azioni terroristiche.

2.1.3.– La parte resistente reputa generiche e, di conseguenza, inammissibili le doglianze sull’estensione della platea degli obbligati al collocamento, che comunque ricomprende anche le società interamente partecipate dalla Regione, per effetto dell’art. 18 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133.

2.2.– Ad avviso della Regione resistente, non coglierebbero nel segno neppure le censure riguardanti l’art. 8 della legge regionale.

La contrattazione collettiva, che, secondo la difesa statale, avrebbe la prerogativa di disciplinare la materia dei permessi, ha accordato al dipendente la facoltà di fruire di altri permessi, a patto che siano previsti da ulteriori disposizioni di legge (art. 19, comma 9, del contratto collettivo nazionale per Regioni ed enti locali del 6 luglio 1995). La legge regionale impugnata sarebbe riconducibile al novero di tali disposizioni.

A dire della Regione Puglia, le disposizioni sui permessi si configurano come misure di “collocamento mirato”, volte a facilitare l’inserimento nel posto di lavoro, secondo le previsioni dell’art. 2 della legge 12 marzo 1999, n. 68 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili), applicabile anche alla fattispecie del collocamento obbligatorio delle vittime del dovere in virtù del richiamo generale contenuto nell’art. 1 della legge n. 407 del 1998.

Così inquadrata, la disciplina sui permessi rientra nella competenza residuale della Regione sull’ordinamento e sull’organizzazione amministrativa regionale e persegue l’obiettivo di promuovere efficacemente la cultura della legalità, riconoscendo l’apporto offerto dalle vittime della mafia, della criminalità organizzata, del terrorismo e del dovere.

3.– In prossimità dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria illustrativa, nella quale ha ribadito le conclusioni già rassegnate e ha contrastato i rilievi della parte resistente.

Quanto all’inammissibilità parziale dell’impugnazione, la parte ricorrente ha replicato che la corrispondenza dei motivi di ricorso dev’essere valutata con riguardo alla relazione del Ministro degli affari regionali, allegata alla deliberazione del Consiglio dei ministri, e non già con riguardo alla comunicazione, peraltro non obbligatoria, successivamente inviata dagli uffici del Dipartimento per gli Affari regionali, le Autonomie e lo Sport.

Quanto alle censure formulate all’art. 7, il Presidente del Consiglio dei ministri osserva che la legge regionale, senza alcuna distinzione tra gli effettivi livelli di inquadramento, dispensa i propri dipendenti dalla preventiva prova di idoneità e dal limite percentuale di assunzioni sancito dalla legge statale.

Ad avviso della parte ricorrente, è apodittico, oltre che inesatto, il rilievo che i livelli retributivi sesto, settimo e ottavo non trovino riscontro nei livelli retributivi e di inquadramento del personale della Regione.

La legislazione regionale, inoltre, si dovrebbe uniformare alle prescrizioni della legge statale, che delimitano la platea dei beneficiari del collocamento obbligatorio, escludendo i genitori e i conviventi more uxorio, con apprezzamento discrezionale rispettoso del canone di ragionevolezza.

Il Presidente del Consiglio dei ministri osserva che, sulle restanti censure, la parte resistente non ha articolato critiche di sorta.

4.– All’udienza pubblica del 21 giugno 2016, la difesa della Regione Puglia ha rinunciato all’eccezione di inammissibilità parziale del ricorso; per il resto, le parti hanno ribadito le conclusioni già rassegnate nei rispettivi atti.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri dubita della legittimità costituzionale dell’art. 7, commi 1, 3 e 5, e dell’art. 8, commi 1 e 3, della legge della Regione Puglia 23 marzo 2015, n. 12 (Promozione della cultura della legalità, della memoria e dell’impegno), per violazione degli artt. 3, 97, 117, secondo comma, lettere l) e o), della

Costituzione.

1.1.– Quanto alle disposizioni dell’art. 7 della legge regionale n. 12 del 2015, il ricorrente prospetta la lesione della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile (art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.) e previdenza sociale (art. 117, secondo comma, lettera o), Cost.) e la violazione del principio di eguaglianza e pone in risalto il contrasto con la normativa statale di riferimento, dettata dalla legge 23 novembre 1998, n. 407 (Nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata).

1.1.1.– Il ricorrente impugna l’art. 7, comma 1, della legge regionale citata, nella parte in cui sancisce la regola dell’assunzione nei ruoli della Regione per chiamata diretta e personale, discostandosi dalla previsione statale che, per i livelli retributivi dal sesto all’ottavo, individua presupposti più rigorosi (una prova preliminare di idoneità e un limite del 10% delle vacanze dell’organico).

Tale disposizione derogatoria, ad avviso del ricorrente, confliggerebbe anche con il principio del pubblico concorso, consacrato dalla Carta fondamentale come modalità generale di reclutamento del personale delle pubbliche amministrazioni (art. 97 Cost.).

1.1.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri censura l’art. 7, comma 3, della legge della Regione Puglia n. 12 del 2015, nella parte in cui estende la platea dei beneficiari del collocamento obbligatorio delle vittime del dovere anche ai conviventi more uxorio e ai genitori.

Una tale estensione non troverebbe alcun riscontro nella normativa di principio dettata dalla legge statale.

1.1.3.– Le censure del Presidente del Consiglio dei ministri investono anche l’art. 7, comma 5, della legge regionale citata, che demanda il compito di attuare il collocamento obbligatorio anche agli enti e alle agenzie «istituiti o comunque dipendenti o controllati dalla Regione Puglia», alle «società di capitale dalla stessa interamente partecipate» e alle «aziende e unità sanitarie locali».

Il ricorrente assume che tali enti, contemplati soltanto dalla previsione regionale, esulino dal novero dei soggetti enumerati dalla legge dello Stato, che si indirizza alle pubbliche amministrazioni, così come identificate dall’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).

2.– Le doglianze del ricorrente si appuntano anche contro la speciale disciplina dei permessi, racchiusa nell’art. 8, commi 1 e 3, della legge impugnata.

Il Presidente del Consiglio dei ministri argomenta che la concessione alle vittime del dovere del beneficio di cento ore annue di permessi retribuiti e l’equiparazione delle ore di assenza, anche ai fini previdenziali, a normale tempo di lavoro invadono la competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile e di previdenza sociale (art. 117, secondo comma, lettere l)  e o), Cost.).

3.– Si deve dare atto, in linea preliminare, che la difesa della Regione Puglia, all’udienza del 21 giugno 2016, ha rinunciato all’eccezione di inammissibilità del ricorso, formulata con riguardo all’impugnazione dell’art. 7 della legge regionale.

La Regione, nel costituirsi in giudizio, aveva evidenziato che la relazione del Ragioniere generale dello Stato non enunciava in maniera esaustiva «tutte le obiezioni rivolte alla legge regionale impugnata», limitandosi a rinviare al «Dipartimento per la funzione pubblica, specificamente competente in materia». La nota del Dipartimento, tuttavia, non getterebbe luce sulle ragioni dell’impugnazione.

La rinuncia della Regione consente di soprassedere alla disamina di tale questione preliminare, che, nel merito, si rivela comunque infondata.

La documentazione, prodotta con il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, smentisce la violazione del «principio di corrispondenza fra i motivi del rinvio e i motivi del ricorso».

La delibera del Consiglio dei ministri del 18 maggio 2015 è corredata, con riguardo ai dubbi di costituzionalità sull’art. 7, da una diffusa argomentazione, che consente di riscontrare la corrispondenza tra la deliberazione con cui l’organo legittimato si determina all’impugnazione e il contenuto del ricorso (fra le altre, la sentenza n. 246 del 2013).

4.– L’esame delle censure presuppone la ricognizione della complessa normativa statale, preordinata a tutelare le vittime del terrorismo e delle organizzazioni mafiose.

4.1.– La ratio che ispira la normativa in questione consiste nell’attuare gli inderogabili doveri di solidarietà della comunità statale (art. 2 Cost.) nei confronti di chi, a causa delle azioni di associazioni terroristiche e mafiose, abbia sofferto pregiudizio o abbia sacrificato la vita.

Tale disciplina, successivamente estesa al personale ferito ed ai superstiti del personale ucciso nell’adempimento del dovere a causa di azioni criminose (art. 82, comma 1, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001»), agli orfani o, in alternativa, al coniuge superstite delle vittime del lavoro (art. 3, comma 123, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008») e ai testimoni di giustizia (art. 7, comma 2-bis, secondo periodo, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, recante « Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni», convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 ottobre 2013, n. 125), ha registrato un’incessante evoluzione.

Per quel che attiene al collocamento obbligatorio, parte qualificante di tali misure di promozione, il legislatore statale, già con l’art. 12 della legge 13 agosto 1980, n. 466 (Speciali elargizioni a favore di categorie di dipendenti pubblici e di cittadini vittime del dovere o di azioni terroristiche), aveva riconosciuto, principalmente a beneficio del coniuge superstite e dei figli di chiunque fosse morto o rimasto invalido a causa di azioni terroristiche, il «diritto di assunzione presso le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici e le aziende private», a preferenza di altre categorie protette.

L’art. 14 della legge 20 ottobre 1990, n. 302 (Norme a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata) ha individuato i beneficiari nel coniuge superstite, nei figli, nei genitori dei soggetti deceduti o colpiti da invalidità permanente in misura non superiore all’80% della capacità lavorativa in conseguenza di atti di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico. La normativa introdotta nel 1980 e nel 1990  è stata abrogata dalla legge 12 marzo 1999, n. 68 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili).

La legge n. 407 del 1998 ha delineato un diverso assetto del collocamento obbligatorio delle vittime del dovere.

Del diritto all’assunzione sono oggi titolari, purché non vi sia alcuna connessione con gli ambienti delinquenziali, la vittima, rappresentante delle istituzioni o semplice cittadino, che abbia subíto un’invalidità permanente a causa dell’evento terroristico o mafioso, nonché il coniuge e i figli superstiti; in alternativa a questi familiari, possono accedere al beneficio dell’assunzione i fratelli, a patto che siano gli unici superstiti e siano conviventi a carico della vittima.

Il collocamento obbligatorio delle vittime del terrorismo o della criminalità organizzata opera con precedenza assoluta rispetto al collocamento obbligatorio di altre categorie protette e con preferenza a parità di titoli, e prescinde dal fatto che i beneficiari già svolgano un’attività lavorativa.

Il decreto del Presidente della Repubblica 28 luglio 1999, n. 510 (Regolamento recante nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata) interviene per definirne i dettagli applicativi, con riferimento al rilascio delle certificazioni attestanti lo status di invalido civile o di caduto a causa di atti di terrorismo, di criminalità organizzata o comune.

Il collocamento obbligatorio riguarda anche le pubbliche amministrazioni e, in quest’àmbito, ottempera a prescrizioni peculiari, sancite dall’art. 1, comma 2, della legge n. 407 del 1998 e dall’art. 35, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).

Per il personale di tutte le amministrazioni pubbliche, fino al quinto livello retributivo, le assunzioni obbligatorie avvengono mediante chiamata diretta nominativa.

Per il solo “comparto Ministeri”, la norma statale estende le assunzioni per chiamata diretta fino all’ottavo livello retributivo.

Per gli inquadramenti dal sesto all’ottavo livello retributivo, la legge richiede il superamento di una prova di idoneità non comparativa e pone il limite del 10% dell’organico vacante.

La normativa di settore si raccorda a quella generale, dettata dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, prima richiamata, vero e proprio snodo nella disciplina del collocamento obbligatorio.

Si deve evidenziare che l’ampia categoria della disabilità consente, nell’impostazione voluta dal legislatore, di superare regimi diversi di tutela e di prescindere dalla causa generatrice del disagio. Si perfeziona, in tal modo, un sistema integrato di collocamento obbligatorio che, nel consentire una diramazione territoriale di funzioni organizzative, attua la legge statale, seguendo un principio di prossimità nell’erogazione delle misure di tutela. Il raggio di azione del sostegno legislativo si espande fino a includere in tale tutela le vittime del terrorismo o della criminalità organizzata.

4.2.– Occorre, preliminarmente, individuare l’àmbito materiale nel quale ricade la ricordata normativa sul collocamento obbligatorio, alla luce del costante orientamento di questa Corte, che impone di conferire rilievo alla ratio che ispira la disciplina, al suo contenuto precettivo e all’oggetto specifico della regolamentazione adottata (sentenze n. 245 del 2015, punto 3.1. del Considerato in diritto, e n. 140 del 2015, punto 6. del Considerato in diritto).

La disciplina del collocamento obbligatorio delle vittime del terrorismo o della criminalità organizzata deve essere ascritta, in via prevalente, alla materia dell’ordinamento civile (art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.), di competenza esclusiva dello Stato.

La definizione dei presupposti oggettivi e soggettivi di una normativa speciale, volta a dare concreta attuazione a inderogabili doveri di solidarietà, interferisce, difatti,  con la disciplina del rapporto di lavoro, riconducibile a tale materia, e postula un trattamento uniforme su tutto il territorio nazionale.

La pertinenza della disciplina del collocamento obbligatorio delle vittime del terrorismo o della criminalità organizzata alla materia dell’ordinamento civile deve essere ribadita anche per il lavoro alle dipendenze delle Regioni e degli enti locali (sentenza n. 150 del 2015),  in séguito alla “privatizzazione”, che ha assoggettato tale rapporto alla disciplina generale dei rapporti di lavoro tra privati (art. 2 del d.lgs. n. 165 del 2001).

Il collocamento obbligatorio, per altro verso, coinvolge anche competenze delle Regioni, come traspare da un assetto normativo risalente, a partire dal decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469 (Conferimento alle regioni e agli enti locali di funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro, a norma dell’articolo 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59), che demandava alle Regioni la titolarità di funzioni e compiti relativi al collocamento e alle politiche attive del lavoro, «nell’ambito di un ruolo generale di indirizzo, promozione e coordinamento dello Stato» (art. 1).

A tale ruolo si riallaccia anche il disposto dell’art. 20 della legge n. 68 del 1999, che, in tema di collocamento obbligatorio dei soggetti svantaggiati, conferisce alle Regioni e alle Province autonome il compito di attuare, «nell’àmbito delle rispettive competenze», le disposizioni dettate dalla legge statale.

Nel contesto normativo così delineato, si situa l’intervento della Regione Puglia, che si prefigge di allestire «un sistema integrato di interventi per la diffusione della cultura della legalità e della pace» e di promuovere l’impegno «contro ogni forma di criminalità e per il contrasto ad ogni fenomeno di infiltrazione del crimine organizzato nel tessuto sociale ed economico regionale» (art. 1).

L’impegno è strettamente correlato alla scelta di attuare il diritto al collocamento obbligatorio delle vittime della mafia, della criminalità organizzata, del terrorismo e del dovere (art. 7, comma 1), attraverso la disciplina censurata con l’odierno ricorso.

5.– Non sono fondate, nei termini di cui si dirà, le censure che vertono sull’art. 7, commi 1 e 5, della legge regionale impugnata.

5.1.– Nel prevedere che l’assunzione dei beneficiari del collocamento obbligatorio delle vittime della mafia, della criminalità organizzata, del terrorismo e del dovere avvenga per chiamata diretta e personale, l’art. 7, comma 1, della legge della Regione Puglia n. 12 del 2015 non lede la potestà legislativa statale in materia di ordinamento civile e non è disarmonico rispetto alle previsioni della legge dello Stato, invocate nel ricorso.

La legge regionale, che manifesta a chiare lettere l’intento di dare attuazione al diritto al collocamento obbligatorio riconosciuto dalla legge statale, prevede la chiamata diretta nei limiti in cui anche la legge statale, richiamata come riferimento normativo ineludibile, lo consente.

In una legge che persegue compiti meramente attuativi della disciplina statale e si colloca, perciò, nell’alveo tracciato dal citato art. 20 della legge n. 68 del 1999, il riferimento alla chiamata diretta, prevista dall’art. 1, comma 2, della legge n. 407 del 1998 e dall’art. 35, comma 2, secondo periodo, del d.lgs. n. 165 del 2001, concerne le sole ipotesi (livelli retributivi fino al quinto), in cui la normativa statale contempla tale forma di assunzione.

A favore di tale interpretazione sistematica della normativa impugnata militano l’inequivocabile riferimento alla disciplina statale, preordinata a garantire la più efficace attuazione delle misure di sostegno e di inserimento nel lavoro, e l’assenza di elementi che possano avvalorare un’estensione indebita di tale forma di assunzione, derogatoria rispetto alla regola del pubblico concorso. Tale sarebbe l’ampliamento delle assunzioni dirette nei livelli retributivi superiori al quinto, non contemplato dalla legge statale. 

5.2.– Non colgono nel segno i motivi di ricorso, formulati con riguardo all’art. 7, comma 5, della legge regionale impugnata.

Nel disporre che il diritto al collocamento obbligatorio sia attuato «dagli enti e agenzie istituiti o comunque dipendenti o controllati dalla Regione Puglia, dalle società di capitale dalla stessa interamente partecipate nonché dalle aziende e unità sanitarie locali», la normativa regionale impugnata non sconfina nella competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile e non estende arbitrariamente la platea degli obbligati rispetto alle previsioni della legge statale.

Con la disposizione censurata, la Regione intende attuare una normativa dello Stato provvista di valenza generale.

L’enumerazione degli enti, chiamati ad attuare il diritto al collocamento obbligatorio, deve essere letta in una prospettiva sistematica, che ponderi, da un lato, la normativa statale di riferimento, nella parte in cui identifica le amministrazioni pubbliche destinatarie dei precetti del d.lgs. n. 165 del 2001, e, dall’altro lato, le specificità dei soggetti enumerati nella legge regionale.

Quanto alle aziende e alle unità sanitarie locali, è la stessa normativa statale, dettata dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 che include anche «le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale».

Quanto agli altri organismi indicati nella legge regionale (agenzie, enti istituiti o controllati o dipendenti dalla Regione), le prescrizioni della legge pugliese costituiscono specificazioni dell’ente Regione, indicato tra i destinatari della normativa statale di cui al predetto decreto legislativo.

L’espressione, adoperata dal legislatore pugliese, evoca una categoria di enti, legati alla Regione da un rapporto di strumentalità, che conferisce loro il rango di articolazione dell’amministrazione regionale. Si tratta di una vasta gamma di figure soggettive (enti, agenzie, istituti e società), cui l’amministrazione affida parte dei propri compiti istituzionali, sorvegliando, controllando e impartendo direttive.

In tale moltitudine di enti si possono ricomprendere anche le società di capitale interamente partecipate dalla Regione: non si può disconoscere in capo alla Regione, titolare di poteri direttivi e di controllo in virtù della partecipazione totalitaria al capitale, il compito di attuare, anche in relazione a tali soggetti, le norme in questione.

Circoscritta entro queste precise coordinate, la normativa censurata coglie la complessità dell’apparato amministrativo della Regione, comprensivo di tutti i soggetti che perseguono le finalità istituzionali precipue dell’ente territoriale. La connessione con l’ente territoriale, che esercita la direzione e il controllo, si sostanzia in vincoli pregnanti di dipendenza.

Con l’indicazione dei soggetti chiamati ad attuare il diritto al collocamento obbligatorio, la disciplina impugnata non esorbita dalle previsioni di principio della legge n. 68 del 1999 (art. 20), che rimette alla Regione il compito di attuare le disposizioni dettate dal legislatore statale, e incide su materie che hanno una stretta attinenza con l’organizzazione amministrativa della Regione.

Pertanto, la disciplina in esame non invade la competenza esclusiva dello Stato, ma presidia la forza precettiva delle disposizioni generali della legge statale, tutelandone l’effettiva attuazione anche sul versante dell’amministrazione regionale e di tutte le sue multiformi realtà.

6.– È fondata, in relazione all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 3, della legge regionale impugnata.

Nell’includere tra i beneficiari del collocamento obbligatorio delle vittime della mafia, della criminalità organizzata, del terrorismo e del dovere anche i conviventi more uxorio e i genitori, la legge regionale lede la competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile e si discosta dalla previsione dell’art. 1, comma 2, della legge n. 407 del 1998, che, nella sua attuale formulazione, menziona soltanto il coniuge, i figli e, a certe condizioni, i fratelli.

L’individuazione dei beneficiari del collocamento obbligatorio delle vittime della mafia, della criminalità organizzata, del terrorismo e del dovere, aspetto di primario rilievo di tale disciplina speciale, attiene alla materia dell’ordinamento civile, di competenza esclusiva statale.

La pertinenza della disciplina in esame alla materia dell’ordinamento civile esclude che il legislatore regionale possa intervenire in contrasto con le previsioni della legge statale, chiamate a garantire la parità di trattamento e il contemperamento, nell’àmbito di una disciplina generale e astratta, dei diversi valori in gioco.

Restano assorbite le censure che fanno leva sulla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera o), e dell’art. 3 Cost.

7.– Tali considerazioni si attagliano anche alle censure, prospettate con riguardo alla disciplina regionale dei permessi (art. 8, commi 1 e 3, della legge regionale), e conducono all’accoglimento dei dubbi di costituzionalità sollevati dal ricorrente.

La legge regionale, nell’attribuire cento ore di permessi retribuiti, interviene su una materia – la regolamentazione del rapporto di lavoro – attinente all’ordinamento civile e attratta nella competenza esclusiva dello Stato.

La regolamentazione del rapporto di lavoro è contraddistinta dal concorso della fonte legislativa statale (le previsioni imperative del d.lgs. n. 165 del 2001) e della contrattazione collettiva (art. 2 del d.lgs. n. 165 del 2001), alla quale, in forza della legge statale, è attribuita una potestà regolamentare di ampia latitudine.

In una materia attinente all’ordinamento civile, vista la rigorosa tassatività delle fonti di disciplina del rapporto (legge statale e, nei limiti segnati dalla legge statale, la contrattazione collettiva), non è dato ravvisare alcuna riserva in favore della legislazione regionale a disciplinare aspetti, che si riverberano in misura rilevante nello svolgersi del rapporto di lavoro, come accade per l’attribuzione di un cospicuo numero di ore di permessi retribuiti.

La previsione della legge pugliese, dal carattere marcatamente derogatorio, non ha alcun addentellato con le disposizioni della legge statale sul collocamento obbligatorio delle vittime della mafia, della criminalità organizzata, del terrorismo e del dovere. Nell’estendere una disciplina speciale, quale è quella dei permessi, essa non si connette in alcun modo con le misure di collocamento mirato previste in linea generale dall’art. 2 della legge n. 68 del 1999, sotto forma di iniziative e azioni di sostegno per l’inserimento dei disabili nel posto di lavoro.

Nel disciplinare il trattamento previdenziale delle ore retribuite per permessi, il legislatore regionale ha leso, inoltre, la competenza esclusiva in materia di previdenza sociale, attribuita allo Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera o), Cost.

Restano assorbite le censure, incentrate sulla violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 3, della legge della Regione Puglia 23 marzo 2015, n. 12 (Promozione della cultura della legalità, della memoria e dell’impegno), nella parte in cui annovera anche i conviventi more uxorio e i genitori tra i beneficiari del collocamento obbligatorio delle vittime della mafia, della criminalità organizzata, del terrorismo e del dovere;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, commi 1 e 3, della citata legge regionale, nella parte in cui accorda, ai beneficiari del collocamento obbligatorio delle vittime della mafia, della criminalità organizzata, del terrorismo e del dovere, permessi retribuiti per cento ore annue e parifica le ore di assenza, anche ai fini previdenziali, a normali ore di lavoro;

3) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7, commi 1 e 5, della citata legge regionale, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 giugno 2016.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Silvana SCIARRA, Redattore

Carmelinda MORANO, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 14 luglio 2016.