SENTENZA
N. 170
ANNO
2017
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA
CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Paolo GROSSI
Presidente
- Giorgio LATTANZI
Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto
Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nei
giudizi di legittimità costituzionale del decreto-legge
12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la
realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la
semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la
ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dalla legge
11 novembre 2014, n. 164, dell’intero art. 38 del citato d.l. e dei commi
1, 1-bis, 2, 3, 4, 5, 6, 6-bis, 6-ter, 7, 8 e 10 del medesimo art. 38, promossi
dalle Regioni Abruzzo, Marche, Puglia, Lombardia, Veneto, Campania e Calabria
con ricorsi notificati il 30 dicembre 2014, il 9-14
gennaio 2018 (tre ricorsi), il 9 gennaio 2015, il 12 gennaio 2015 e il 13
gennaio 2015, depositati in cancelleria il 7, il 15 (tre ricorsi), il
16, il 21 (due ricorsi) gennaio 2015, ed iscritti ai nn. 2, 4, 5, 6, 10, 13 e 14 del
registro ricorsi 2015; nonché dell’art. 1, comma 554, della legge
23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015), promossi dalle Regioni Campania, Abruzzo, Marche e
Puglia, con ricorsi notificati il 27 febbraio-4 marzo (due ricorsi), il 25
febbraio e il 27 febbraio-5 marzo 2015, depositati in cancelleria il 4, il 5 ed
il 6 marzo (due ricorsi) 2015 ed iscritti ai nn. 32, 35, 39 e 40 del
registro ricorsi 2015.
Visti
gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché
gli atti di intervento dell’Associazione italiana per il World Wide Fund for
Nature (WWF Italia) Onlus Ong
e quello, fuori termine, dell’Associazione "Amici del Parco Archeologico di
Pantelleria”;
udito nell’udienza
pubblica del 23 maggio 2017 il Giudice relatore Aldo Carosi;
uditi gli avvocati
Francesca Lalli per la Regione Abruzzo, Francesco
Saverio Marini per le Regioni Marche e Puglia, Giovanni Guzzetta
per la Regione Lombardia, Ezio Zanon, Luca Antonini ed Andrea Manzi per la
Regione Veneto, Alba Di Lascio e Beniamino Caravita di Toritto per la Regione
Campania, Graziano Pungì per la Regione Calabria e
l’avvocato dello Stato Andrea Fedeli per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ritenuto in fatto
1.–
Con ricorso depositato il 7 gennaio 2015 (reg. ric. n. 2 del 2015) la Regione
Abruzzo ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 38 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per
l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la
digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del
dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive) – convertito
con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164 – nonché,
specificamente, dei commi 1, 1-bis,
4, 5, 6, 6-bis, 6-ter, 7, 8 e 10 del medesimo articolo, in
riferimento agli artt.
77, 117, primo e
terzo comma, 118,
primo comma, della Costituzione ed al principio di leale
collaborazione, nonché in relazione alla direttiva
30 maggio 1994, n. 94/22/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
relativa alle condizioni di rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla
prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi), recepita con decreto
legislativo 25 novembre 1996, n. 625 (Attuazione della direttiva 94/22/CEE
relativa alle condizioni di rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla
prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi).
Anzitutto,
la ricorrente censura l’art. 38 del d.l. n. 133 del 2014 in quanto contenuto in
un atto normativo adottato in difetto dei requisiti di straordinaria necessità
ed urgenza.
Inoltre,
sulla premessa che la disposizione sarebbe riconducibile alla materia
«produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» in cui la
Regione ha competenza legislativa concorrente, la ricorrente censura l’art. 38,
comma 1, del d.l. n. 133 del 2014, secondo il quale «Al fine di valorizzare le
risorse energetiche nazionali e garantire la sicurezza degli approvvigionamenti
del Paese, le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e
quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale rivestono carattere di
interesse strategico e sono di pubblica utilità, urgenti e indifferibili. I
relativi titoli abilitativi comprendono pertanto la dichiarazione di pubblica
utilità, indifferibilità ed urgenza dell’opera e l’apposizione del vincolo
preordinato all’esproprio dei beni in essa compresi […]».
Secondo
la Regione, la qualificazione delle citate attività come «di interesse
strategico e […] di pubblica utilità, urgenti e indifferibili» sarebbe generica
e priva di motivazione idonea ad attribuire tale status a priori ed in via
generale ed astratta. Inoltre, la strategicità non corrisponderebbe al
requisito di proporzionalità richiesto per la cosiddetta chiamata in
sussidiarietà che la norma intenderebbe realizzare e determinerebbe
l’applicazione, alle attività in considerazione, di una procedura semplificata
ed accelerata di valutazione di impatto ambientale (VIA) che inibirebbe
l’intervento della Regione nell’iter
autorizzativo, in violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma,
Cost.
La
ricorrente censura altresì il comma 1-bis
– nella versione anteriore alla sostituzione operata dall’art. 1, comma 554,
della legge 23 dicembre 2014, n. 190,
recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)» – del citato art. 38,
secondo cui «Il Ministro dello sviluppo economico, con proprio decreto, sentito
il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, predispone
un piano delle aree in cui sono consentite le attività di cui al comma 1».
La
norma, incidendo in materie di competenza regionale concorrente (produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; governo del territorio e
tutela della salute), richiederebbe il coinvolgimento della Regione
nell’adozione del piano attraverso la previsione di un’intesa in senso forte in
seno alla Conferenza unificata. La mancanza di simile previsione determinerebbe
la violazione degli artt.
117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonché del principio di leale
collaborazione.
La
ricorrente impugna inoltre il successivo comma 4 del medesimo articolo, il
quale dispone che «Per i procedimenti di valutazione di impatto ambientale in
corso presso le regioni alla data di entrata in vigore del presente decreto,
relativi alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, la regione
presso la quale è stato avviato il procedimento conclude lo stesso entro il 31
marzo 2015. Decorso inutilmente tale termine, la regione trasmette la relativa
documentazione al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del
mare per i seguiti istruttori di competenza, dandone notizia al Ministero dello
sviluppo economico. […]».
La
norma determinerebbe un’avocazione allo Stato di funzioni di attuale titolarità
regionale, in riferimento a procedimenti già in corso, correlata al mero
decorso del tempo ed in assenza di coinvolgimento della regione, in violazione
degli artt. 117,
terzo comma, e 118,
primo comma, Cost.
La
Regione censura altresì il successivo comma 5, secondo cui «Le attività di
ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi di cui alla legge 9
gennaio 1991, n. 9, sono svolte a seguito del rilascio di un titolo concessorio unico […]».
La
disposizione contrasterebbe con l’art. 117, primo comma,
Cost. in relazione alla direttiva
94/22/CE – recepita dal d.lgs.
n. 625 del 1996 – in base alla quale i titoli abilitativi dovrebbero essere
necessariamente due – il permesso di ricerca e la concessione di coltivazione –
anche per ragioni di tutela del diritto di proprietà.
La
ricorrente impugna anche il comma 6, secondo cui «Il titolo concessorio
unico di cui al comma 5 è accordato: a) a seguito di un procedimento unico
svolto nel termine di centottanta giorni tramite apposita conferenza di
servizi, nel cui ambito è svolta anche la valutazione ambientale preliminare
del programma complessivo dei lavori espressa, entro sessanta giorni, con
parere della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA/VAS
del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare; b) con
decreto del Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la regione o
la provincia autonoma di Trento o di Bolzano territorialmente interessata, per
le attività da svolgere in terraferma, sentite la Commissione per gli
idrocarburi e le risorse minerarie e le Sezioni territoriali dell’Ufficio
nazionale minerario idrocarburi e georisorse; c) a
soggetti che dispongono di capacità tecnica, economica ed organizzativa ed
offrono garanzie adeguate alla esecuzione e realizzazione dei programmi
presentati e con sede sociale in Italia o in altri Stati membri dell’Unione
europea e, a condizioni di reciprocità, a soggetti di altri Paesi. Il rilascio
del titolo concessorio unico ai medesimi soggetti è
subordinato alla presentazione di idonee fideiussioni bancarie o assicurative
commisurate al valore delle opere di recupero ambientale previste»; il comma 6-bis, secondo cui «I progetti di opere e
di interventi relativi alle attività di ricerca e di coltivazione di
idrocarburi liquidi e gassosi relativi a un titolo concessorio
unico di cui al comma 5 sono sottoposti a valutazione di impatto ambientale nel
rispetto della normativa dell’Unione europea. La valutazione di impatto
ambientale è effettuata secondo le modalità e le competenze previste dalla
parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive
modificazioni»; il comma 6-ter,
secondo cui «Il rilascio di nuove autorizzazioni per la ricerca e per la
coltivazione di idrocarburi è vincolato a una verifica sull’esistenza di tutte
le garanzie economiche da parte della società richiedente, per coprire i costi
di un eventuale incidente durante le attività, commisurati a quelli derivanti
dal più grave incidente nei diversi scenari ipotizzati in fase di studio ed analisi
dei rischi»; e il comma 7, a mente del quale «Con disciplinare tipo, adottato
con decreto del Ministero dello sviluppo economico, sono stabilite, entro
centoottanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, le modalità di
conferimento del titolo concessorio unico di cui al
comma 5, nonché le modalità di esercizio delle relative attività ai sensi del
presente articolo».
Tali
norme, nel disciplinare il procedimento per il rilascio del titolo concessorio unico, estrometterebbero da quello relativo
alle attività in mare (cosiddette offshore),
oltre agli enti locali, le Regioni, considerate alla stregua di tutte le altre
amministrazioni che concorrono al processo decisionale. Ciò in violazione degli
artt. 117, terzo
comma, e 118,
primo comma, Cost., che ne imporrebbero il coinvolgimento attraverso intese
forti, in ossequio al principio
di leale collaborazione, che non sarebbero previste nemmeno in sede di
conferenza di servizi e la cui mancanza non risulterebbe foriera di conseguenza
giuridica alcuna. Le disposizioni, inoltre, determinerebbero un impiego
improprio delle valutazioni ambientali.
La
ricorrente impugna anche il successivo comma 8, il quale dispone che «I commi
5, 6 e 6-bis si applicano, su istanza del titolare o del richiedente, da presentare
entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione
del presente decreto, anche ai titoli rilasciati successivamente alla data di
entrata in vigore del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e ai
procedimenti in corso. Il comma 4 si applica fatta salva l’opzione, da parte
dell’istante, di proseguimento del procedimento di valutazione di impatto
ambientale presso la regione, da esercitare entro trenta giorni dalla data di
entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto». La
disposizione, richiamando il precedente comma 4, viene impugnata rinviando alle
censure formulate con riferimento ad esso.
Infine,
la Regione impugna l’art. 38, comma 10, del d.l. n. 133 del 2014 – il quale
dispone che «All’articolo 8 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, dopo il comma
1 sono inseriti i seguenti: "1-bis. Al fine di tutelare le risorse nazionali di
idrocarburi in mare localizzate nel mare continentale e in ambiti posti in
prossimità delle aree di altri Paesi rivieraschi oggetto di attività di ricerca
e coltivazione di idrocarburi, per assicurare il relativo gettito fiscale allo
Stato e al fine di valorizzare e provare in campo l’utilizzo delle migliori
tecnologie nello svolgimento dell’attività mineraria, il Ministero dello
sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’ambiente e della tutela
del territorio e del mare, sentite le Regioni interessate, può autorizzare,
previo espletamento della procedura di valutazione di impatto ambientale che
dimostri l’assenza di effetti di subsidenza dell’attività sulla costa,
sull’equilibrio dell’ecosistema e sugli insediamenti antropici, per un periodo
non superiore a cinque anni, progetti sperimentali di coltivazione di
giacimenti. I progetti sono corredati sia da un’analisi tecnico-scientifica che
dimostri l’assenza di effetti di subsidenza dell’attività sulla costa,
sull’equilibrio dell’ecosistema e sugli insediamenti antropici e sia dai
relativi progetti e programmi dettagliati di monitoraggio e verifica, da
condurre sotto il controllo del Ministero dello sviluppo economico e del
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. Ove nel corso
delle attività di verifica vengano accertati fenomeni di subsidenza sulla costa
determinati dall’attività, il programma dei lavori è interrotto e
l’autorizzazione alla sperimentazione decade. Qualora al termine del periodo di
validità dell’autorizzazione venga accertato che l’attività è stata condotta senza
effetti di subsidenza dell’attività sulla costa, nonché sull’equilibrio
dell’ecosistema e sugli insediamenti antropici, il periodo di sperimentazione
può essere prorogato per ulteriori cinque anni, applicando le medesime
procedure di controllo. 1-ter. Nel caso di attività di cui al comma 1-bis, ai
territori costieri si applica quanto previsto dall’articolo 1, comma 5, della
legge n. 239 del 2004 e successive modificazioni. 1-quater. All’articolo 1,
comma 5, della legge 23 agosto 2004, n. 239, e successive modificazioni, dopo
le parole: ‘Le regioni’ sono inserite le seguenti: ‘, gli enti pubblici
territoriali’.”» – in quanto, in relazione a determinate risorse nazionali di
idrocarburi, consentirebbe al Ministero dello sviluppo economico di autorizzare
progetti sperimentali di coltivazione senza prevedere un’intesa forte con le
regioni, pur vertendosi in materia di legislazione concorrente.
2.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
deducendo l’infondatezza del ricorso.
Anzitutto
il Presidente del Consiglio dei ministri nega che nella fattispecie il
decreto-legge che contiene le norme impugnate sia stato adottato in violazione
dell’art. 77, secondo comma, Cost., vertendosi in un
caso straordinario di necessità ed d’urgenza.
Quanto
alle singole censure, in merito all’art. 38, comma 1, del d.l. n. 133 del 2014
evidenzia come la motivazione della qualificazione ivi operata delle attività
di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi nonché di quelle di
stoccaggio sotterraneo di gas naturale sia contenuta nell’incipit della disposizione – «Al fine di valorizzare le risorse
energetiche nazionali e garantire la sicurezza degli approvvigionamenti del
Paese» – e corroborata dalla relazione al disegno di legge di conversione del
decreto. Sarebbe inoltre la natura strategica delle attività in considerazione
ad integrare il requisito di proporzionalità necessario per la chiamata in
sussidiarietà realizzata dalla disposizione, senza in tal modo determinare
alcuna semplificazione del procedimento di VIA, come lamentato dalla
ricorrente.
In
ordine al successivo comma 1-bis,
l’Avvocatura generale dello Stato sottolinea l’intervenuta sostituzione della
disposizione ad opera dell’art. 1, comma 554, della legge n. 190 del 2014, con
l’introduzione della previsione che, per le attività sulla terraferma, il piano
delle aree venga adottato previa intesa con la Conferenza unificata. Di qui la
cessazione della materia del contendere.
Con
riguardo al censurato comma 4, la difesa erariale evidenzia come la norma miri
esclusivamente a dettare una disciplina transitoria destinata a disciplinare
gli effetti del trasferimento di competenze in materia di VIA, mantenendo
l’adozione del titolo concessorio unico subordinata
all’intesa con la Regione interessata.
In
merito all’impugnazione del comma 5, il Presidente del Consiglio dei ministri
eccepisce l’inammissibilità della censura relativa alla violazione dell’art.
117, primo comma, Cost., per difetto di ridondanza, e
ne contesta nel merito la fondatezza in quanto l’art. 1 della direttiva
94/22/CE non prevederebbe la necessaria duplicità dei
titoli abilitativi, ma anzi consentirebbe anche l’adozione di un unico atto
autorizzativo per più attività.
Con
riguardo al comma 6, il resistente nega la dedotta estromissione degli enti
locali – attesa la previsione della conferenza di servizi nel procedimento di
adozione del titolo concessorio unico in cui detti
enti potrebbero rappresentare gli interessi ad essi facenti capo – nonché la
lamentata marginalizzazione della regione, prevedendosi l’intesa con la stessa.
Le
considerazioni svolte confuterebbero anche le censure mosse ai commi 8 e 10 del
medesimo art. 38.
3.–
È intervenuta in giudizio l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for
Nature (WWF Italia) Onlus Ong,
deducendo in via preliminare la propria legittimazione all’intervento e, nel
merito, sostenendo l’illegittimità costituzionale, tra l’altro, dell’art. 38,
commi 1, 1-bis, 4 e 10, del d.l. n.
133 del 2014, per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma,
Cost., nonché del principio di leale collaborazione con argomenti
sostanzialmente coincidenti con quelli svolti dalla Regione Abruzzo.
4.– Con memoria depositata il 10 marzo 2016 la Regione Abruzzo
ha evidenziato che l’art. 1, comma 240, della legge 28 dicembre 2015, n. 208,
recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge di stabilità 2016)», ha modificato e abrogato alcune delle
disposizioni censurate. In ragione di ciò la Regione ha chiesto che sia
dichiarata cessata la materia del contendere con riferimento alle questioni di
legittimità costituzionale relative all’art. 38, commi 1 e 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014,
insistendo nelle censure relative alle altre norme impugnate, ulteriormente
avvalorate nella loro fondatezza dalle sopravvenute modifiche apportate al
comma 1, da cui è stato espunto il riferimento alla strategicità delle attività
minerarie oggetto della disciplina in considerazione.
Con
memoria depositata il 2 maggio 2017 la Regione Abruzzo, alla luce delle
abrogazioni o delle modifiche apportate dalla legge n. 208 del 2015 alle
disposizioni censurate, ha chiesto che sia dichiarata cessata la materia del
contendere con riferimento alle questioni di legittimità costituzionale
relative all’art. 38, commi 1, 1-bis
e 5, del d.l. n. 133 del 2014, rinunciando all’impugnativa del comma 4 del
medesimo articolo e, per il resto, insistendo nelle censure già proposte.
5.– Con memoria depositata il 15 marzo 2016 l’Avvocatura
generale dello Stato ha dedotto l’inammissibilità del ricorso quanto alle
censure rivolte all’art. 38, commi 1 e 1-bis,
in ragione delle modifiche ad essi apportate dalla legge n. 208 del 2015.
Quanto ai residui motivi di doglianza, la difesa erariale ha ribadito la
riconducibilità della disciplina della VIA alla materia «tutela dell’ambiente»
ed evidenziato come il comma 4 dell’art. 38 non rappresenti l’esercizio di un potere
sostitutivo, bensì una disciplina transitoria dettata nel passaggio
dell’allocazione a livello centrale delle procedure di VIA, prevista a regime
dal precedente comma 3 funzionalmente alla realizzazione di interventi
considerati strategici, in cui la posizione della Regione sarebbe salvaguardata
dalla possibilità di rendere il parere previsto dall’art. 25, comma 2, del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), e, a
valle, dalla previsione dell’intesa per il rilascio del titolo concessorio unico. Quest’ultima, peraltro, non sarebbe
richiesta per le attività minerarie da realizzarsi nel mare continentale –
oltre le dodici miglia marine – in quanto lo stesso esulerebbe dalla competenza
regionale, ragione per cui non sarebbe configurabile alcuna irragionevole
discriminazione.
Con
memoria depositata il 2 maggio 2017 l’Avvocatura generale dello Stato ha
sostenuto l’inammissibilità del ricorso quanto alle censure rivolte ai commi 1,
1-bis, e 5, in ragione delle
modifiche e delle abrogazioni operate dalla legge n. 208 del 2015 e della
conseguente sopravvenuta carenza di interesse. Inoltre, ha sostenuto
l’infondatezza delle residue censure, ribadendo in sostanza gli argomenti già
precedentemente dedotti.
6.– Con ricorso depositato il 15 gennaio 2015 (reg. ric. n. 4
del 2015) la Regione Marche ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 38, commi 1-bis,
4, 6, lettera b), e 10, del d.l. n.
133 del 2014 (come convertito) in riferimento agli artt. 3, primo comma,
117, terzo comma,
118, primo comma,
e 120, secondo comma,
Cost. ed in relazione all’art. 8, comma 1, della legge
5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della
Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3).
Anzitutto
la ricorrente impugna l’art. 38, comma 1-bis,
del d.l. n. 133 del 2014 in quanto, intervenendo nelle materie «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e «governo del territorio» di
competenza concorrente regionale, nell’attribuire al Ministro dello sviluppo
economico la predisposizione del piano delle aree in cui sono consentite le
attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di
stoccaggio sotterraneo di gas naturale senza al contempo prevedere l’intesa con
la singola Regione interessata, realizzerebbe una chiamata in sussidiarietà in
difetto dei requisiti in cui ciò è consentito. Di qui la violazione degli artt.
117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nella
parte in cui non è prevista l’intesa.
La
Regione censura altresì il successivo comma 4 del medesimo articolo, in quanto,
prevedendo l’avocazione al Ministero dell’ambiente e della tutela del
territorio e del mare i procedimenti di VIA relativi alle attività di cui al
comma 1 in corso alla data di entrata in vigore del decreto che non siano
conclusi al 31 dicembre 2015, violerebbe l’art. 120, secondo comma, Cost.,
atteso che, da un lato, la sostituzione non avverrebbe ad opera del Governo nel
suo complesso ma di una sua componente; dall’altro, la sostituzione non
interverrebbe secondo le condizioni previste dall’art. 8, comma 1, della legge
n. 131 del 2003 né secondo un modulo collaborativo ispirato ad analoghi
criteri, che coinvolga adeguatamente la Regione interessata dall’attivazione
del potere sostitutivo.
La
ricorrente impugna inoltre l’art. 38, comma 6, lettera b), del d.l. n. 133 del 2014, in quanto prevede il rilascio del
titolo concessorio unico per le attività di ricerca e
coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi previa intesa con la Regione
interessata solo nel caso in cui dette attività debbano svolgersi sulla
terraferma e non anche nel mare continentale. Tale disposizione, comunque
incidente in materie di competenza legislativa concorrente, realizzerebbe una
chiamata in sussidiarietà senza rispettare la condizione dell’intesa, con
conseguente violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nella parte in cui non la prevede. La previsione
sarebbe altresì in contrasto con l’art. 3, primo comma, Cost.,
in quanto realizzerebbe un’irragionevole disparità di trattamento tra
situazioni del tutto assimilabili.
Infine,
la Regione censura il successivo comma 10, in quanto consente l’autorizzazione
di progetti sperimentali di coltivazione di giacimenti di idrocarburi previo
mero parere delle Regioni interessate sebbene, incidendo in materie di
competenza concorrente, la chiamata in sussidiarietà imponga l’intesa. Di qui
la violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nella parte in cui si prevede il parere anziché
l’intesa con la Regione interessata.
7.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
deducendo l’infondatezza del ricorso.
Anzitutto,
il resistente deduce la cessazione della materia del contendere in ordine alla
questione relativa all’art. 38, comma 1-bis,
del d.l. n. 133 del 2014, attesa la sostituzione della norma ad opera dell’art.
1, comma 554, della legge n. 190 del 2014 e l’introduzione della previsione
che, per le attività sulla terraferma, il piano delle aree venga adottato
previa intesa con la Conferenza unificata, quale organo adeguatamente
rappresentativo di Regioni ed enti locali, anch’essi titolari di funzioni
amministrative riguardate dalle politiche del settore energetico (si cita la sentenza n. 383 del
2005).
In
ordine all’impugnazione del successivo comma 4, l’Avvocatura generale dello
Stato evidenzia che la disciplina transitoria ivi prevista, volta a riportare
la materia mineraria su un piano tecnico uniforme, superando i ritardi che
caratterizzerebbero le procedure di VIA in varie Regioni, non rappresenterebbe
l’esercizio di un potere sostitutivo da parte dello Stato ex art. 120 Cost. – che presupporrebbe trattarsi di competenze che
sono e restano proprie dell’ente sostituito – ma la rimessione al Governo delle
funzioni amministrative nella materia ambientale, di competenza esclusiva
statale, ivi allocando il procedimento di esercizio delle stesse per ragioni
unitarie ex art. 118 Cost.
In
merito all’impugnazione del comma 6, lettera b), del citato art. 38, la difesa erariale evidenzia che le
attività energetiche che interessino il mare continentale – oltre le dodici miglia
marine – rientrerebbero nella competenza legislativa esclusiva statale, in
quanto in detta zona troverebbe applicazione il principio di libertà dei mari
che comporterebbe il riconoscimento a ciascuno Stato di un uguale diritto di
sfruttamento a condizione che siano rispettati gli interessi degli altri Stati.
Si tratterebbe, dunque, di un ambito disciplinare rientrante nell’art. 117,
secondo comma, lettera a), Cost., da cui risulterebbe esclusa la Regione, anche
difficilmente individuabile come portatrice dell’interesse potenzialmente
inciso. Tale differenza si riverbererebbe sullo sfruttamento degli idrocarburi
sulla terraferma rispetto a quello nello spazio marino, soggetto anche ad
interessi internazionali, da cui l’insussistenza della disparità di trattamento
denunciata dalla Regione per violazione dell’art. 3, primo comma, Cost.
Per
le stesse ragioni sarebbe infondata la censura del successivo comma 10 del
medesimo articolo, posto che nel mare continentale ed in ambiti posti in
prossimità di altri Paesi rivieraschi non sussisterebbe alcuna competenza
regionale, ma solo quella dello Stato.
8.– È intervenuto in giudizio il WWF Italia, deducendo in via
preliminare la propria legittimazione all’intervento e, nel merito, sostenendo
l’illegittimità costituzionale, tra l’altro, dell’art. 38, commi 1-bis, 4 e 10, del d.l. n. 133 del 2014,
in riferimento a parametri e per profili in parte coincidenti con quelli
indicati dalla Regione Marche ed in parte ulteriori.
9.–
Con memoria depositata il 15 marzo 2016 la Regione Marche, nel riepilogare le
proprie censure anche alla luce dello ius superveniens, ha anzitutto evidenziato l’intervenuta
cessazione della materia del contendere relativamente alla questione di
legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014, attesa l’abrogazione della norma ad
opera dell’art. 1, comma 240, lettera b),
della legge n. 208 del 2015 senza che il piano delle aree originariamente
previsto sia mai stato adottato.
Con
riferimento al successivo comma 4, la ricorrente sostiene che nella fattispecie
non sarebbe stata realizzata un’attrazione a livello centrale di funzioni
amministrative, ma l’attivazione di un potere sostitutivo in ordine
all’esercizio delle stesse, trattandosi dei procedimenti di VIA in corso «presso
le regioni», che ne verrebbero private.
Quanto
al comma 6, lettera b), del medesimo
art. 38, la ricorrente insiste nel sostenere l’illegittimità della norma che
non prevede l’intesa con riferimento alle attività minerarie da svolgere in
mare. Ciò in quanto l’art. 6, comma 17, del d.lgs. n. 152 del 2006, nel testo
in vigore al momento della proposizione del ricorso, contemplava una serie di
eccezioni al divieto di attività entro le dodici miglia marine, onde la
sussistenza della competenza regionale, viceversa non estesa al mare aperto.
Peraltro, a seguito della legge n. 208 del 2015, tale divieto sarebbe stato
reso assoluto e poiché nel frattempo non sarebbe stato adottato il piano delle
aree subordinatamente al quale era previsto il rilascio del titolo concessorio unico, anche con riferimento alla censura in
considerazione sarebbe sopravvenuta la cessazione della materia del contendere.
Infine,
la Regione ribadisce le censure rivolte al successivo comma 10, analoghe a
quelle relative al comma 6, sollecitando questa Corte a valutare la potenziale
abrogazione della disposizione ad opera del divieto assoluto di attività
mineraria entro le dodici miglia marine previsto a seguito delle modifiche
apportate al citato art. 6, comma 17, del d.lgs. n. 152 del 2006 dalla legge n.
208 del 2015, con conseguente eventuale cessazione della materia del contendere
in caso di mancata applicazione della norma.
Con
memoria depositata il 2 maggio 2017 la Regione Marche ha riepilogato i motivi
di censura già articolati e replicato alla difesa erariale, insistendo nella
declaratoria di fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale
proposte, salva l’eventuale sussistenza degli estremi per dichiarare la
cessazione della materia del contendere quanto all’impugnativa dell’art. 38,
commi 1-bis, 6, lettera b), e 10, del d.l. n. 133 del 2014.
10.– Con memoria depositata il 15 marzo 2016 l’Avvocatura
generale dello Stato ha svolto argomenti coincidenti con quelli sviluppati
nella propria memoria illustrativa relativa al ricorso della Regione Abruzzo,
ribadendo in merito al comma 10 che non sussisterebbe competenza regionale sul
mare continentale e che la norma terrebbe in debito conto gli aspetti
ambientali.
11.–
Con ricorso depositato il 15 gennaio 2015 (reg. ric. n. 5 del 2015) la Regione
Puglia ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 38, commi 1-bis, 4, 6,
lettera b), e 10, del d.l. n. 133 del
2014 (come convertito), in riferimento agli artt. 3, primo comma, 117, terzo
comma, 118, primo comma, e 120, secondo comma, Cost., adducendo a sostegno
delle censure motivazioni coincidenti con quelle sviluppate dalla Regione
Marche nel ricorso con cui ha impugnato le medesime disposizioni.
12.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
deducendo l’infondatezza del ricorso con argomenti corrispondenti a quelli
svolti in merito al ricorso con cui la Regione Marche ha impugnato le medesime
disposizioni.
13.–
Sono intervenuti in giudizio il WWF Italia – deducendo in via preliminare la
propria legittimazione all’intervento e, nel merito, sostenendo l’illegittimità
costituzionale, tra l’altro, dell’art. 38, commi 1-bis, 4 e 10, del d.l. n. 133 del 2014, in riferimento a parametri e
per profili in parte coincidenti con quelli indicati dalla Regione Puglia ed in
parte ulteriori – e, fuori termine, l’Associazione "Amici del Parco
Archeologico di Pantelleria”, sostenendo la propria legittimazione
all’intervento e la fondatezza delle censure mosse dalla Regione Puglia alle
disposizioni impugnate, nonché sollecitando questa Corte a sollevare innanzi a
sé questione di legittimità costituzionale, tra l’altro, dell’art. 38 anche con
riferimento a parametri posti a presidio dell’autonomia speciale riconosciuta
alla Regione siciliana.
14.– Con memoria depositata il 15 marzo 2016 la Regione Puglia
ha svolto considerazioni coincidenti con quelle sviluppate dalla Regione Marche
nella memoria da essa depositata in pari data.
Con
memoria depositata il 2 maggio 2017 la Regione Puglia ha svolto considerazioni
coincidenti con quelle sviluppate dalla Regione Marche nella memoria da essa
depositata in pari data.
15.– Con memoria depositata il 15 marzo 2016 l’Avvocatura dello
Stato ha svolto argomenti coincidenti con quelli sviluppati nella propria
memoria illustrativa relativa al ricorso della Regione Marche.
16.–
Con ricorso depositato il 15 gennaio 2015 (reg. ric. n. 6 del 2015) la Regione
Lombardia ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’intero d.l.
n. 133 del 2014 (come convertito) e dell’art. 38 dello stesso nonché,
specificamente, dei commi 1, 1-bis,
4, 7 e 10 del medesimo articolo, in riferimento agli artt. 3, 11, 77, secondo comma, 117, primo, secondo e
terzo comma, 118,
119 e 120 Cost., nonché in
relazione agli artt. 3, paragrafo 2, lettera a), 4, e da 5 a 12, della direttiva
27 giugno 2001, n. 2001/42/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi
sull’ambiente), ed all’art. 8 della legge
n. 131 del 2003.
Anzitutto,
come risulterebbe dal titolo e dal preambolo, l’intero d.l. n. 133 del 2014 non
avrebbe un contenuto omogeneo e coerente né dal punto di vista oggettivo né da
quello finalistico, diversamente da quanto previsto dall’art. 15, comma 3,
della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e
ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), esplicitativo
della ratio implicita nell’art. 77,
secondo comma, Cost., che dunque risulterebbe violato.
Tale violazione ridonderebbe nella menomazione delle attribuzioni
costituzionali della Regione nella materia «governo del territorio» di cui
all’art. 117, terzo comma, Cost. ed in un vulnus alla sua autonomia finanziaria,
garantita dall’art. 119 Cost.
La
ricorrente censura altresì l’art. 38 del d.l. n. 133 del 2014 nella sua
interezza per difetto dei requisiti della decretazione d’urgenza, in violazione
dell’art. 77, secondo comma, Cost. La disposizione, infatti, prevederebbe lo svolgimento delle attività di ricerca e
coltivazione degli idrocarburi sulla base di un programma articolato in fasi di
una durata talmente lunga da non rappresentare una risposta a casi straordinari
di necessità ed urgenza, trattandosi piuttosto di corrispondere alla necessità
di interventi strutturali nel sistema della gestione delle risorse energetiche
– ossia, di un riassetto ordinamentale – che difetterebbe del carattere
accidentale, sopravvenuto ed emergenziale. Inoltre, l’art. 38, contemplando il
piano delle aree e disciplinando le modalità di attribuzione dei titoli
abilitativi ed i tempi di svolgimento delle attività di ricerca e coltivazione
degli idrocarburi, comprensivi delle relative proroghe, non prevederebbe
misure di immediata applicazione come richiesto dall’art. 15, comma 3, della
legge n. 400 del 1988, che espliciterebbe profili connaturati alla decretazione
d’urgenza. Infine, pure l’art. 38 sarebbe connotato da difetto di omogeneità e
coerenza delle misure con esso introdotte. Anche in questo caso la violazione
dell’art. 77 Cost. ridonderebbe nella menomazione
delle attribuzioni costituzionali della Regione nella materia «governo del
territorio» di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. ed
in un vulnus alla sua autonomia
finanziaria, garantita dall’art. 119 Cost.
Secondo
la Regione, l’art. 38 del d.l. n. 133 del 2014 nella sua interezza
contrasterebbe altresì con gli artt. 117, secondo e terzo comma, e 118 Cost., in quanto detterebbe misure di dettaglio nelle
materie di competenza legislativa concorrente «governo del territorio»,
«pianificazione urbanistica ed edilizia», «produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia» e «tutela della salute».
La
ricorrente impugna altresì specificamente i commi 1 e 1-bis del citato art. 38, in quanto le attività di prospezione,
ricerca e coltivazione degli idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di
gas naturale (contemplate dal comma 1) sono consentite nell’ambito di un piano
delle aree che, in quanto atto di pianificazione in materia di risorse
energetiche suscettibile di impatto ambientale, avrebbe dovuto essere
sottoposto a valutazione ambientale strategica (VAS), ai sensi degli artt. 3,
paragrafo 2, lettera a), 4 e da 5 a
12 della direttiva n. 2001/42/CE, recepita dal decreto legislativo 3 aprile
2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), durante la fase preparatoria del
programma e prima della sua approvazione. Le norme violerebbero gli artt. 11 e
117, primo comma, Cost., in relazione alla citata
direttiva, in quanto adottano il piano senza aver dato luogo alla necessaria
procedura di VAS o, comunque, non la prevedono con riferimento all’adozione del
decreto del Ministro dello sviluppo economico che predispone il piano. Le
dedotte violazioni ridonderebbero in un vulnus
delle competenze regionali in materia di «governo del territorio»,
«pianificazione urbanistica ed edilizia», «produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia» e «tutela della salute». In via
subordinata, la ricorrente sollecita questa Corte al rinvio pregiudiziale ai
sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE)
in ordine all’interpretazione degli artt. 1, 3, 4, 8 e 9 della direttiva
2001/42/CE come ostativa all’applicazione del combinato disposto dell’art. 38,
commi 1 e 1-bis, del d.l. n. 133 del
2014.
Inoltre,
i commi 1-bis, 4, 7 e 10 violerebbero
gli artt. 117, secondo e terzo comma, e 118 Cost. in
quanto, pur costituendo ipotesi di chiamata in sussidiarietà, non ne
rispetterebbero i requisiti di legittimità. In particolare, il comma 1-bis non prevederebbe
un’intesa in senso forte tra Stato e Regione, né a livello bilaterale né in
sede di conferenza. Anche il successivo comma 4 integrerebbe un’ipotesi di
chiamata in sussidiarietà dei procedimenti di VIA correlata al mero trascorrere
del tempo e senza alcuna forma di intesa con la Regione, vizi che si
riverbererebbero sulla conseguente assegnazione allo Stato degli oneri di spesa
istruttori prevista dalla medesima norma, altresì lesiva dell’autonomia
finanziaria regionale in violazione degli artt. 3 e 119 Cost. Il comma 7
prevede che con disciplinare tipo, adottato con decreto del Ministero dello
sviluppo economico, siano stabilite le modalità di esercizio delle attività
rientranti nelle materie di competenza concorrente, senza prevedere l’intesa
con la regione. Infine, pur vertendosi in materia di «governo del territorio» e
«produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», il comma 10 prevederebbe il parere della Regione e non l’intesa con la
stessa.
Secondo
la Regione, il citato comma 4 violerebbe altresì l’art. 120 Cost.,
in quanto prevederebbe l’attivazione di un potere
sostitutivo al di fuori dei casi previsti dal secondo comma del parametro
citato e senza rispettare i principi di sussidiarietà e di leale collaborazione
quali garantiti dalla procedura dettata dall’art. 8 della legge n. 131 del
2003, in mancanza di alcuna forma di coinvolgimento regionale. Inoltre, poiché
l’art. 118 attribuirebbe in via di principio ai comuni le funzioni
amministrative e poiché l’art. 120 Cost. legittimerebbe
anche il legislatore regionale, nelle materie di propria competenza, a
disciplinare un potere sostitutivo in relazione all’esercizio delle funzioni di
competenza dei comuni (si cita la sentenza n. 43 del
2004), il comma 4 violerebbe l’art. 120 Cost. anche
per aver previsto la sostituzione dello Stato agli enti locali, estromettendo
completamente la Regione.
17.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
deducendo l’infondatezza del ricorso.
Anzitutto,
sostenendo che le ragioni di necessità ed urgenza non debbano essere oggetto di
motivazione espressa e che la violazione dell’art. 77 Cost. debba
ravvisarsi solo nei casi di evidente mancanza dei presupposti, il resistente
evidenzia l’intrinseca coerenza delle norme contenute nel decreto, volte a
rilanciare le opere pubbliche e l’edilizia privata, nonché a rafforzare la
sicurezza e gli approvvigionamenti energetici del Paese. Pure l’impugnato art.
38 risponderebbe a dette finalità, come emergerebbe dalla relazione al disegno
di legge di conversione del decreto, anche attraverso la semplificazione e
l’accelerazione dell’iter
procedimentale autorizzatorio con misure di immediata
applicazione.
Secondo
il Presidente del Consiglio dei ministri, la censura al combinato disposto dei
commi 1 e 1-bis del citato art. 38 in
riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. sarebbe
inammissibile, per la mancata dimostrazione della lesione di competenze
regionali.
Viceversa,
in merito alla censura rivolta al comma 1-bis
per mancato rispetto delle condizioni della chiamata in sussidiarietà, la
difesa statale deduce la cessazione della materia del contendere alla luce
della modifica della norma censurata ad opera dell’art. 1, comma 554, della
legge n. 190 del 2014, che ha introdotto la previsione dell’intesa con la
Conferenza unificata.
Il
resistente sostiene l’infondatezza della censura mossa al successivo comma 4 –
che avoca allo Stato i procedimenti di VIA pendenti e non conclusi entro il 31
marzo 2015 – in riferimento agli artt. 117, secondo e terzo comma, e 118 Cost.
Si tratterebbe di una normativa transitoria finalizzata a riportare, in via
sussidiaria, la materia mineraria, sotto il profilo ambientale, su un piano
tecnico uniforme, superando i ritardi che le procedure di VIA subiscono in
varie Regioni, e da valutare alla stregua dell’intesa prevista per l’adozione
del titolo concessorio unico a valle. La legittimità
della norma si estenderebbe alla previsione del trasferimento allo Stato dei
corrispondenti oneri di spesa istruttori. Altrettanto infondata sarebbe la
censura mossa alla medesima norma in riferimento all’art. 120 Cost. Il comma 4
andrebbe letto unitamente al precedente comma 3, che riconduce a livello
centrale, per ragioni di uniformità, il procedimento di VIA. La normativa
transitoria, dunque, completerebbe la chiamata in sussidiarietà in materia
ambientale, di competenza esclusiva statale, senza esercitare alcun potere
sostitutivo di una funzione mantenuta in capo alla Regione.
Altrettanto
infondata sarebbe la censura mossa al comma 7 del medesimo articolo, che
detterebbe una disciplina uniforme dell’esercizio delle attività legittimate
dal titolo concessorio unico nell’esercizio di una
competenza statale.
Viceversa,
sarebbe inammissibile la censura del successivo comma 10, attesa la carenza di
interesse della ricorrente per ragioni correlate alla sua collocazione
geografica, che la priva di sbocchi sul mare. Peraltro, il mare continentale esulerebbe
dagli ambiti territoriali oggetto di competenze regionali, ricadendo
esclusivamente in quella dello Stato.
18.– È intervenuto in giudizio il WWF Italia, deducendo in via
preliminare la propria legittimazione all’intervento e, nel merito, sostenendo
l’illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate dalla Regione
Lombardia, argomentando in ordine ai parametri ed ai profili di censura dedotti
dalla ricorrente.
19.– Con memoria depositata il 15 marzo 2016 l’Avvocatura
generale dello Stato ha svolto argomenti coincidenti con quelli sviluppati
nella propria memoria illustrativa relativa al ricorso della Regione Marche ed,
in aggiunta, ha ribadito la sussistenza degli estremi di necessità ed urgenza
legittimanti il ricorso al decreto-legge e l’immediata applicabilità delle
misure contemplate dall’art. 38 del d.l. n. 133 del 2014. In ordine alle
censure mosse al comma 7 del citato articolo, la difesa erariale evidenzia
come, da un lato, la Regione sia adeguatamente coinvolta nel procedimento attraverso
la previsione dell’intesa in merito all’adozione del titolo concessorio
unico e, dall’altro, il decreto ministeriale di adozione del disciplinare
contemplato dalla norma impugnata sia destinato ad integrare il decreto del
Ministero dello sviluppo economico del 4 marzo 2011 (Disciplinare tipo per i
permessi di prospezione e di ricerca e per le concessioni di coltivazione di
idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma, nel mare e nella piattaforma
continentale), già esistente.
20.– Con memoria depositata il 2 maggio 2017 la Regione
Lombardia, nel prendere atto dell’incidenza della legge n. 208 del 2015
sull’art. 38, commi 1 e 1-bis, del
d.l. n. 133 del 2014, insiste in particolare nelle censure rivolte al comma 7
del medesimo articolo.
21.– Con ricorso depositato il 16 gennaio 2015 (reg. ric. n. 10
del 2015) la Regione Veneto ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 38, commi 1, 1-bis,
2, 3, 4, 5, 6, 8 e 10, del d.l. n. 133 del 2014 (come convertito), in
riferimento agli artt.
3, 9, 11, 32, 97, 117, primo, terzo e
quarto comma, 118,
119 e 120 Cost. ed in relazione agli artt. 3 e seguenti della direttiva
n. 2001/42/CE ed al principio di precauzione di cui all’art. 191 del TFUE.
Anzitutto,
la Regione censura il comma 1 del citato art. 38, in quanto, qualificando le
attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e di stoccaggio
sotterraneo di gas naturale di interesse strategico, di pubblica utilità,
urgenti ed indifferibili e prevedendo che i relativi titoli abilitativi
comprendano la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza
dell’opera e l’apposizione del vincolo espropriativo, realizzerebbe una
chiamata in sussidiarietà in materia di «produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell’energia» senza al contempo prevedere un’intesa in senso forte
con le Regioni, con ciò violando gli artt. 117, terzo comma,
118 e 120 Cost.
In
secondo luogo la ricorrente censura il comma 1-bis – nella versione modificata dall’art. 1, comma 554, della legge
n. 190 del 2014 – in quanto, per l’adozione del piano delle aree in cui
consentire le attività di cui al comma 1, la norma realizzerebbe una chiamata
in sussidiarietà accompagnata solo da un’intesa debole con la Conferenza
unificata, stabilendo in caso di mancato raggiungimento, l’attivazione della
procedura semplificata di cui all’art. 1, comma 8-bis, della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore
energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni
vigenti in materia di energia), peraltro limitata alle attività sulla
terraferma, in violazione degli artt. 117, terzo comma,
118 e 120 Cost. Inoltre,
la norma non contempla l’assoggettamento del piano a VAS, come previsto dagli
artt. 3 e seguenti della direttiva 2001/42/CE, con conseguente violazione degli
artt. 11 e 117, primo comma, Cost.,
che ridonderebbe nella lesione delle competenze regionali in materia di «tutela
della salute», «governo del territorio» e «valorizzazione dei beni culturali e
ambientali».
La
Regione impugna anche il successivo comma 2, secondo cui «Qualora le opere di
cui al comma 1 comportino variazione degli strumenti urbanistici, il rilascio
dell’autorizzazione ha effetto di variante urbanistica». Prescrivendo la
variante, la norma non si limiterebbe ad una disciplina di principio nella
materia urbanistica rientrante nella competenza legislativa concorrente, ma
recherebbe una disciplina dettagliata, in contrasto con gli artt. 117, terzo comma, 118 e 120 Cost.,
quest’ultimo espressivo del principio di leale collaborazione.
La
ricorrente censura altresì il comma 3 del citato art. 38, che, diversamente da
quanto precedentemente previsto dall’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 152 del
2006, sottrarrebbe interamente alla Regione la competenza sui procedimenti di
VIA afferenti ai progetti relativi ad attività minerarie sulla terraferma. Ciò
in una materia, quella della tutela dell’ambiente, intrinsecamente trasversale,
in cui alle Regioni, nell’ambito delle loro competenze, è consentito di
determinare un aumento dei livelli di tutela (si cita la sentenza n. 93 del
2013). In tal modo la norma violerebbe gli artt. 117, terzo e
quarto comma, e 118
Cost. Per gli stessi motivi e per violazione dei medesimi parametri sarebbe
illegittimo anche il successivo comma 4, che vede l’avocazione allo Stato dei
procedimenti di VIA non conclusi dalle Regioni entro il 31 marzo 2015. La
norma, inoltre, determinando un irragionevole e notevole aggravio del lavoro
della Commissione VIA nazionale, violerebbe anche gli artt. 3 e 97 Cost., con una evidente ricaduta sulle competenze regionali
poc’anzi indicate.
La
Regione impugna anche il comma 5 del citato art. 38, in quanto, prevedendo un
titolo concessorio unico in luogo dei precedenti due
distinti titoli (il permesso di ricerca e la concessione di coltivazione) – uno
funzionale all’individuazione di un giacimento coltivabile e l’altro abilitante
alla produzione a seguito del ritrovamento – attribuirebbe i poteri concessori
prima della scoperta del giacimento. Inoltre, il programma dei lavori da
predisporre prima dell’attività di ricerca difficilmente potrebbe specificare
le aree da essa interessate. Ciò dimostrerebbe l’irragionevolezza della
disciplina, in violazione dell’art. 3 Cost., con ridondanza sulle
materie di competenza concorrente «governo del territorio», «protezione
civile», «valorizzazione dei beni culturali e ambientali» e «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia».
Secondo
la ricorrente, anche il successivo comma 6, lettera b), sarebbe illegittimo, in quanto il titolo concessorio
unico sarebbe accordato previa intesa con la Regione senza che il suo mancato
raggiungimento costituisca ostacolo insuperabile alla conclusione del
procedimento e comunque limitata alle sole attività sulla terraferma. Di qui la
violazione degli artt.
117, terzo e quarto comma, e 118 Cost. nonché del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost.,
vertendosi in materie di competenza regionale. Inoltre, la lettera a) del medesimo comma confermerebbe
l’espropriazione delle competenze regionali in tema di VIA, esponendosi alle
medesime censure mosse al comma 4.
La
Regione impugna altresì il comma 8 del medesimo art. 38, che estende
l’applicazione delle norme sul titolo concessorio
unico anche ai titoli rilasciati successivamente all’entrata in vigore del
d.lgs. n. 152 del 2006 ed ai procedimenti in corso. La norma sarebbe affetta
dagli stessi vizi di legittimità costituzionale dedotti con riguardo ai commi
4, 5 e 6 ed inoltre violerebbe il principio di
ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., stante l’effetto retroattivo, ridondante sulle competenze
regionali già in precedenza indicate.
Infine,
la ricorrente censura il successivo comma 10. La norma legittimerebbe attività
di ricerca e coltivazione di idrocarburi nella forma di progetti sperimentali
di coltivazione di giacimenti anche in aree, come quella del golfo di Venezia,
in cui, a fronte del rischio di subsidenza sulle coste, l’art. 26, comma 2,
della legge 31 luglio 2002, n. 179 (Disposizioni in materia ambientale), le
aveva vietate e l’art. 8, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione
tributaria) – convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133
– aveva previsto il divieto fino a quando non fosse stata accertata
l’insussistenza di rischi di subsidenza. Prescindendo da tale accertamento, la
norma, come emergerebbe dalla relazione tecnica relativa al d.l. n. 133 del
2014, da un lato avrebbe l’obiettivo di realizzare studi volti ad escludere
rischi apprezzabili di subsidenza per superare il divieto e dall’altro
permetterebbe di garantire produzioni significative di gas e di effettuare
importanti investimenti privati, assicurando «il relativo gettito fiscale allo
Stato». L’impossibilità di conciliare simili finalità dimostrerebbe
l’intenzione del legislatore di sacrificare la tutela dell’ambiente, della
salute e dell’integrità del territorio agli altri scopi, come emergerebbe dal
coinvolgimento del Ministero dello sviluppo economico a fronte di un precedente
affidamento al Ministero dell’ambiente degli studi sui rischi di subsidenza, al
contempo esautorando la Regione e svilendo le sue competenze. Di qui
l’irragionevolezza e l’assenza di bilanciamento degli interessi in gioco
nonostante le evidenze del fenomeno della subsidenza, con conseguente
violazione dell’art.
3 Cost. Un’ulteriore violazione di tali principi deriverebbe dalla
possibilità di prorogare il periodo di sperimentazione ove, al termine del
periodo di validità dell’autorizzazione (fino a cinque anni) del progetto
sperimentale, si accerti che non vi siano stati effetti di subsidenza sulla
costa. Non solo il periodo originario sarebbe eccessivo, ma il fatto che sia
prevista una verifica ex post
dimostrerebbe l’insufficienza dei controlli previsti ex ante al fine di escludere danni ambientali. La norma, inoltre,
contrasterebbe con l’art.
191 del TFUE, espressivo del principio di precauzione, come declinato dalla
giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, per cui in
presenza di incertezze scientifiche in un caso dubbio dovrebbero prevalere le
esigenze di protezione dell’ambiente sugli interessi economici. Di qui il
contrasto con gli artt.
11 e 117, primo
comma, Cost. Risulterebbero altresì violati gli artt. 9, 32 e 97 Cost. con ridondanza sulle competenze regionali in materia di
«tutela della salute», «governo del territorio», «protezione civile»,
«valorizzazione dei beni culturali e ambientali» e «produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia», pregiudicate anche direttamente in
quanto la norma prevede che la Regione venga soltanto sentita e non contempla
l’intesa, in contrasto con gli artt. 117, terzo e
quarto comma, Cost. e con il principio di leale
collaborazione di cui all’art. 120 Cost. Infine, sarebbe violato anche l’art. 119, sesto comma,
Cost. per la lesione dell’integrità del demanio
regionale.
22.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
deducendo l’infondatezza del ricorso.
Anzitutto,
con riferimento all’impugnazione dell’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014, la difesa erariale nega che il piano
delle aree ivi previsto sia soggetto a VAS, dovendo contenere un mero elenco di
aree in cui possono essere svolte le attività di prospezione, ricerca e
coltivazione di idrocarburi e le attività di stoccaggio sotterraneo di gas
naturale, senza nessuna ulteriore indicazione da cui possano desumersi
potenziali effetti sull’ambiente, secondo la finalità a cui risponderebbe la
VAS ai sensi dell’art. 4, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 152 del 2006. Ne
discenderebbe l’infondatezza della questione sollevata in riferimento all’art.
117, primo comma, Cost.
Quanto
alla censura rivolta al successivo comma 3, il resistente evidenzia che, con
riguardo alla VIA, l’ambito competenziale in rilievo
sarebbe quello della «tutela dell’ambiente», attribuito in via esclusiva al
legislatore statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Di conseguenza, l’attribuzione
in via generale dei nuovi procedimenti di VIA allo Stato così come la
disciplina transitoria prevista dall’art. 38, comma 4, del d.l. n. 133 del 2014
costituirebbe esercizio di prerogative costituzionalmente riconosciute al
legislatore statale. Tale attribuzione, peraltro, corrisponderebbe agli
obbiettivi dichiarati nell’incipit
dell’art. 38, legittimando il ricorso a procedure unitarie ed a misure di accelerazione.
Peraltro, il comma 6-bis del medesimo
articolo prevede che la VIA debba essere effettuata secondo le modalità di cui
alla parte seconda del d.lgs. n. 152 del 2006, il cui art. 25, comma 2,
assicura il coinvolgimento della Regione interessata attraverso il parere.
23.– È intervenuto in giudizio il WWF Italia, deducendo in via
preliminare la propria legittimazione all’intervento e, nel merito, sostenendo
l’illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate dalla Regione
Veneto, argomentando in ordine ai parametri ed ai profili di censura dedotti
dalla ricorrente.
24.– Con memoria depositata il 15 marzo 2016 la Regione Veneto,
con riguardo alle censure mosse all’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014, ha sostenuto essere sopravvenuta
cessazione della materia del contendere a seguito dell’abrogazione della norma
da parte dell’art. 1, comma 240, lettera b),
della legge n. 208 del 2015. Diversamente, in ordine alle altre disposizioni
parimenti impugnate la ricorrente ribadisce le censure ad esse rivolte,
producendo altresì documentazione a suffragio della riscontrabilità
dell’effetto di subsidenza sulle coste a distanza di molto tempo dal
verificarsi della causa determinante, oltre i cinque anni di durata massima dei
progetti sperimentali previsti dal comma 10 del citato art. 38.
Con
memoria depositata il 2 maggio 2017 la Regione Veneto ha ribadito la
sopravvenuta cessazione della materia del contendere relativamente alla
questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014,
insistendo nelle censure rivolte alle altre disposizioni impugnate, negando
rilievo alla previsione dell’intesa da parte dell’art. 1, comma 7, lettera n), della legge n. 239 del 2004 e
dell’art. 38, comma 6, del d.l. n. 133 del 2014, peraltro non estesa alle
attività in mare, nonostante l’attrazione in sussidiarietà, comunque sprovvista
di proporzionalità quanto al censurato comma 10.
25.– Con memoria depositata il 15 marzo 2016 l’Avvocatura
generale dello Stato ha anzitutto dedotto l’inammissibilità del ricorso per
sopravvenuta carenza di interesse quanto alle censure rivolte all’art. 38,
commi 1, 1-bis, e 5, del d.l. n. 133
del 2014, alla luce delle modifiche apportate dalla legge n. 208 del 2015. In
secondo luogo l’Avvocatura ha ribadito la legittimità dei commi 3, 4 e 6,
lettera b), del medesimo art. 38 alla
stregua della loro riconducibilità alla materia ambientale di competenza
esclusiva statale e dell’adeguato coinvolgimento regionale attraverso parere,
salva la necessità dell’intesa per il rilascio del titolo concessorio
unico, correttamente circoscritta al caso di attività mineraria sulla
terraferma, attesa l’assenza di competenza regionale sul mare. In ragione di
quest’ultimo rilievo e della adeguata considerazione degli aspetti ambientali
sarebbero altresì infondate le censure rivolte all’art. 38, comma 10, del d.l.
n. 133 del 2014 in riferimento ai parametri competenziali
evocati dalla ricorrente, mentre, in riferimento a quelli non competenziali, il ricorso sarebbe inammissibile per difetto
di ridondanza.
26.– Con ricorso depositato il 21 gennaio 2015 (reg. ric. n. 13
del 2015) la Regione Campania ha proposto, tra le altre, questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 7, del d.l. n. 133 del 2014 in
riferimento agli artt.
117, terzo comma, e 118 Cost.
Dopo
aver dato atto della modifica dell’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014 ad opera dell’art. 1, comma 554,
della legge n. 190 del 2014 – ragione per la quale la ricorrente non censura la
norma nella versione originaria – la Regione lamenta che il successivo comma 7,
nel definire le modalità di conferimento del titolo concessorio
unico, nonché quelle di esercizio delle relative attività, non abbia previsto
la partecipazione regionale attraverso l’intesa, nonostante si tratti di un
caso di chiamata in sussidiarietà, vertendosi in materia di «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», «governo del territorio»,
«tutela della salute» e «valorizzazione dei beni culturali e ambientali». Di qui
la violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost.
27.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
deducendo l’infondatezza del ricorso.
Dopo
aver evidenziato le modifiche apportate dal legislatore all’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014, la difesa
erariale sottolinea come sia legittima la disposizione di cui al successivo
comma 7, in quanto tesa a definire, in maniera uniforme sull’intero territorio nazionale,
le modalità di conferimento del titolo unico e di esercizio delle relative
attività.
28.– È intervenuto in giudizio il WWF Italia, deducendo in via
preliminare la propria legittimazione all’intervento e, nel merito, sostenendo
l’illegittimità costituzionale sia dell’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014 – avverso il quale la Regione
Campania non muove censure, alla luce delle modifiche apportatevi dallo ius superveniens
– che del successivo comma 7 del medesimo articolo, argomentando in ordine ai
parametri ed ai profili d’impugnazione dedotti dalla ricorrente.
29.– Con memoria depositata il 15 marzo 2016 l’Avvocatura
generale dello Stato ha svolto argomenti coincidenti con quelli sviluppati a
proposito dell’art. 38, comma 7, del d.l. n. 133 del 2014 nella memoria
depositata in relazione all’impugnativa della Regione Lombardia.
Con
successiva memoria depositata il 3 marzo 2017, la medesima Avvocatura ha
evidenziato la cessazione della materia del contendere quanto all’asserita
impugnativa dell’art. 38, comma 1-bis,
del d.l. n. 133 del 2014 – stante l’abrogazione della disposizione ad opera
dell’art. 1, comma 240, lettera b),
della legge n. 208 del 2015 e ribadito gli argomenti già esposti nella
precedente memoria illustrativa a proposito del comma 7 dello stesso art. 38.
30.– Con ricorso depositato il 21 gennaio 2015 (reg. ric. n. 14
del 2015) la Regione Calabria ha promosso, tra le altre, questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 38, commi 1, 4, 5 e 6, del d.l. n. 133 del
2014 (come convertito), in riferimento agli artt. 114, 117, terzo, quarto e
quinto comma, 118
e 120 Cost. ed ai
principi di leale
collaborazione e sussidiarietà,
nonché in relazione agli artt. 1 della legge
n. 239 del 2004, 31 del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti
amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del
capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), 6, comma 17, del d.lgs.
n. 152 del 2006, 4, paragrafo 6, della direttiva
12 giugno 2013, n. 2013/30/UE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e che
modifica la direttiva 2004/35/CE), 1, paragrafo 1, lettera b), e 6, paragrafo 1, della direttiva
16 aprile 2014, n. 2014/52/UE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
che modifica la direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell'impatto
ambientale di determinati progetti pubblici e privati).
La
Regione, dopo aver evidenziato che l’art. 38 del d.l. n. 133 del 2014
inciderebbe su materie di competenza concorrente quali «produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia», «governo del territorio»,
«valorizzazione dei beni culturali e ambientali» e «tutela della salute»,
censura il comma 1 in quanto, in ragione dell’ampiezza e dell’indeterminatezza
dell’intervento normativo operato e della semplificazione ed accelerazione
delle procedure che ne seguirebbero, si porrebbe in contrasto con gli artt.
117, terzo e quarto comma, e 118 Cost. e con i
principi di leale collaborazione e sussidiarietà, escludendo ogni
coinvolgimento regionale.
Il
successivo comma 4, riguardando l’intera materia ambientale, non farebbe
corretta applicazione dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed
adeguatezza nell’allocazione delle funzioni amministrative, violando gli artt.
117, terzo, quarto e quinto comma, 118 e 120 Cost.
Anche
i successivi commi 5 e 6 relativi al rilascio del titolo concessorio
unico a seguito di un procedimento unico svolto nel termine di centottanta
giorni tramite apposita conferenza di servizi sarebbero illegittimi – in quanto
contrari agli artt. 114, 117, terzo, quarto e quinto comma, e 118 Cost. nonché ai principi di leale collaborazione e sussidiarietà –
atteso che non riconoscerebbero alla Regione, attraverso un’idonea intesa in
senso forte, una posizione specifica differenziata rispetto a qualsiasi altra
amministrazione.
Inoltre,
i citati commi 4, 5 e 6 non garantirebbero il coinvolgimento degli enti locali,
violando le norme di principio di cui agli artt. 1 della legge n. 239 del 2004,
31 del d.lgs. n. 112 del 1998 e 6, comma 17, del d.lgs. n. 152 del 2006, e
contrasterebbero con l’art. 4, paragrafo 6, della direttiva 2013/30/UE nonché
con gli artt. 1, paragrafo 1, lettera b),
e 6, paragrafo 1, della direttiva 2014/52/UE.
31.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
deducendo l’infondatezza del ricorso.
La
difesa erariale anzitutto evidenzia come la chiamata in sussidiarietà operata
dall’art. 38, comma 1, del d.l. n. 133 del 2014 sia rispettosa del principio di
proporzionalità, attesa la natura strategica degli interventi. Evidenzia
inoltre come le Regioni siano idoneamente salvaguardate attraverso il
coinvolgimento sia nell’adozione del piano delle aree in cui consentire le
attività di cui al comma 1, subordinato all’intesa con la Conferenza unificata
(ex comma 1-bis, come modificato dall’art. 1, comma 554, della legge n. 190 del
2014) – a presidio di tutto il sistema delle autonomie territoriali – sia con
riguardo agli interventi specifici, mediante l’intesa con le singole regioni
(si cita la sentenza
n. 163 del 2012). Di qui l’infondatezza delle censure mosse ai commi 4, 5 e
6 del medesimo art. 38.
Circa
la dedotta violazione della normativa europea, il Presidente del Consiglio
eccepisce l’inammissibilità della questione per mancata dimostrazione della
lesione di competenze regionali, e, nel merito, deduce l’infondatezza delle
censure.
32.– È intervenuto in giudizio il WWF Italia, assumendo in via
preliminare la propria legittimazione all’intervento e, nel merito, sostenendo
l’illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate dalla Regione
Calabria, argomentando in ordine ai parametri ed ai profili di censura dedotti
dalla ricorrente.
33.– Con memoria depositata il 15 marzo 2016 l’Avvocatura
generale dello Stato ha anzitutto dedotto l’inammissibilità del ricorso per
sopravvenuta carenza di interesse quanto alle censure rivolte all’art. 38,
commi 1, 1-bis, e 5, del d.l. n. 133
del 2014, alla luce delle modifiche apportate dalla legge n. 208 del 2015. In
secondo luogo l’Avvocatura generale ha ribadito la legittimità delle
disposizioni contenute nell’art. 38 del d.l. n. 133 del 2014 che incidono sulla
disciplina della VIA, anche in ragione della previsione del coinvolgimento
delle Regioni attraverso l’intesa per il rilascio del titolo concessorio unico.
Con
memoria depositata il 2 maggio 2017 l’Avvocatura generale dello Stato ha svolto
argomenti coincidenti con quelli contenuti nella propria memoria – salvo quanto
ivi dedotto in ordine all’art. 38, commi 7 e 10, del d.l. n. 133 del 2014 –
depositata in pari data in relazione al ricorso proposto dalla Regione Abruzzo.
34.– Con ricorso depositato il 4 marzo 2015 (reg. ric. n. 32
del 2015) la Regione Campania ha promosso, tra le altre, questione di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 554, della legge n. 190 del 2014,
in riferimento agli artt.
117 e 118 Cost.
ed al principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.
La
ricorrente evidenzia che la norma censurata ha sostituito l’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014 con una
disposizione del seguente tenore: «Il Ministro dello sviluppo economico, con
proprio decreto, sentito il Ministro dell’ambiente e della tutela del
territorio e del mare, predispone un piano delle aree in cui sono consentite le
attività di cui al comma 1. Il piano, per le attività sulla terraferma, è adottato
previa intesa con la Conferenza unificata. In caso di mancato raggiungimento
dell’intesa, si provvede con le modalità di cui all’articolo 1, comma 8-bis,
della legge 23 agosto 2004, n. 239. Nelle more dell’adozione del piano i titoli
abilitativi di cui al comma 1 sono rilasciati sulla base delle norme vigenti
prima della data di entrata in vigore della presente disposizione».
Le
censure della Regione riguardano il terzo periodo della disposizione, in quanto
la procedura semplificata prevista dall’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004 – secondo cui «[…] nel caso di
mancata espressione da parte delle amministrazioni regionali degli atti di
assenso o di intesa, comunque denominati, inerenti alle funzioni di cui al
comma 8 del presente articolo, entro il termine di centocinquanta giorni dalla
richiesta nonché nel caso di mancata definizione dell’intesa di cui al comma 5
dell’articolo 52-quinquies del testo unico di cui al decreto del Presidente
della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, e nei casi di cui all’articolo 3, comma
4, del decreto legislativo 1° giugno 2011, n. 93, il Ministero dello sviluppo
economico invita le medesime a provvedere entro un termine non superiore a
trenta giorni. In caso di ulteriore inerzia da parte delle amministrazioni
regionali interessate, lo stesso Ministero rimette gli atti alla Presidenza del
Consiglio dei Ministri, la quale, entro sessanta giorni dalla rimessione,
provvede in merito con la partecipazione della regione interessata […]» –
conterrebbe la «drastica previsione» della decisività della volontà di una sola
parte in caso di dissenso, come conseguenza automatica del mancato
raggiungimento dell’intesa e senza preventivo ulteriore svolgimento di idonee
procedure a ciò finalizzate, comunque ostacolate dalla previsione di un termine
esiguo. Di qui la violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e
del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., non
essendo stati rispettati i presupposti della chiamata in sussidiarietà
realizzata dalla norma in materie di competenza concorrente.
35.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
deducendo l’infondatezza del ricorso.
La
difesa statale, premesso che il sistema delle Conferenze rappresenterebbe il
principale strumento per consentire alle Regioni di avere un ruolo determinante
nelle decisioni statali che incidono su materia di loro competenza, evidenzia
coma la procedura di cui all’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004 sia già stata scrutinata
favorevolmente da questa Corte con la sentenza n. 239 del
2013.
Inoltre,
tanto le norme statali ispirate alla semplificazione amministrativa ed alla
celerità, al fine di garantire sull’intero territorio nazionale la conclusione
del procedimento autorizzatorio entro termini
definiti, quanto quelle che definiscono le modalità di esercizio dell’intesa e,
soprattutto, le procedure per ricercarla in caso di diniego e comunque di
supplire alla sua carenza rappresenterebbero principi fondamentali che il
legislatore sarebbe legittimato a dettare in materie a competenza concorrente.
Ne conseguirebbe la legittimità della normativa nella parte attinta dalla
censura.
36.– Con ricorso depositato il 5 marzo 2015 (reg. ric. n. 35
del 2015) la Regione Abruzzo ha promosso, tra le altre, questione di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 554, della legge n. 190 del 2014
in riferimento agli artt.
117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost.
Ad
avviso della ricorrente, l’intesa prevista dalla norma garantirebbe soltanto
una forma "debole” di partecipazione regionale alla predisposizione del piano
delle aree ove consentire le attività di cui al comma 1 dell’art. 38 del d.l.
n. 133 del 2014, peraltro limitatamente alle sole attività sulla terraferma e
non esteso anche al mare continentale, ambito compreso nella competenza
regionale. La mancata previsione dell’intesa forte, estesa alle attività da
svolgere in mare, renderebbe illegittima la chiamata in sussidiarietà operata
dalla norma, con conseguente violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118,
primo comma, Cost.
37.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo la reiezione del ricorso.
La
difesa erariale anzitutto evidenzia come, in generale, il sistema delle
conferenze rappresenti il principale strumento per consentire alle Regioni di
avere un ruolo determinante nelle decisioni statali che incidono su materia di
loro competenza. In particolare, l’acquisizione dell’intesa con la Conferenza
unificata garantirebbe la partecipazione sia delle Regioni che degli enti
locali e sarebbe lo strumento adeguato di coinvolgimento, atteso che non
verrebbe in gioco l’interesse esclusivo della singola Regione, come nel
rilascio dello specifico titolo abilitativo, per il quale è prevista l’intesa
con la stessa. Peraltro, la determinazione delle modalità della collaborazione
nonché le procedure per superare l’eventuale stallo rappresenterebbero principi
fondamentali che il legislatore statale sarebbe legittimato a dettare in
materie a competenza concorrente.
In
secondo luogo il Presidente del Consiglio dei ministri evidenzia come il mare
continentale, in cui potrebbero intervenire le attività previste dall’art. 38,
comma 1, del d.l. n. 133 del 2014, costituisca un ambito territoriale sottratto
alla competenza della singola Regione – che sarebbe anche difficile individuare
quale portatrice di un interesse – e ricadente in quella dello Stato,
considerati anche gli evidenti riflessi nei rapporti esteri.
38.– Con memoria depositata il 10 marzo 2016 la Regione Abruzzo
ha evidenziato l’avvenuta abrogazione dell’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014, come
sostituito dall’art. 1, comma 554, della legge n. 190 del 2014, chiedendo, in
ragione di ciò, che sia dichiarata cessata la materia del contendere.
Con
memoria depositata il 2 maggio 2017 la ricorrente ha reiterato tale richiesta.
39.– Con memoria depositata il 2 maggio 2017 l’Avvocatura
generale dello Stato ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile per
sopravvenuta carenza di interesse, attesa l’abrogazione dell’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014 – come
modificato dall’art. 1, comma 554, della legge n. 190 del 2014 – ad opera
dell’art. 1, comma 240, lettera b),
della legge n. 208 del 2015.
40.– Con ricorso depositato il 6 marzo 2015 (reg. ric. n. 39
del 2015) la Regione Marche ha promosso, tra le altre, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 554, della legge n. 190 del 2014 in
riferimento agli artt.
117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost.
Anzitutto,
la ricorrente lamenta che, nelle materie di competenza concorrente «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e «governo del territorio»,
la norma impugnata, realizzando una chiamata in sussidiarietà, abbia previsto
l’intesa con la Conferenza unificata anziché con la Regione interessata. Ciò
sebbene le competenze coinvolte siano di pertinenza della singola Regione.
Viceversa, l’intesa normativamente prevista da un lato coinvolgerebbe gli enti
locali, estranei all’attribuzione costituzionale delle competenze in rilievo, e
dall’altro consentirebbe la pretermissione della Regione interessata, in virtù
dell’applicazione del principio della maggioranza.
Inoltre,
l’intesa riguarderebbe solo le aree collocate sulla terraferma e non anche
quelle ubicate nel mare continentale, in mancanza di qualunque rilevante
elemento di differenziazione.
Infine,
la disposizione consentirebbe l’applicazione della procedura di superamento
della mancata intesa prevista dall’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004 anche al caso in cui lo stallo
decisionale non dipenda dall’inerzia delle amministrazioni regionali, ma da
divergenze sostanziali tra le parti, attribuendo il potere decisionale al
Presidente del Consiglio dei ministri senza prevedere lo svolgimento di
reiterate trattative tra le parti ed, al limite, devolvere la decisione ad un
organo terzo.
La
norma, pertanto, contrasterebbe con gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo
comma, Cost., nella parte in cui prevede una previa
intesa con la Conferenza unificata anziché con ciascuna Regione interessata e
limitatamente alle aree ubicate sulla terraferma e nella parte in cui prevede
il procedimento di cui all’art. 1, comma 8-bis,
della legge n. 239 del 2004 anche quando la mancata intesa dipenda da
divergenze sostanziali.
41.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo la reiezione del ricorso.
La
difesa erariale sostiene che nella materia energetica si renderebbe
costituzionalmente obbligata la previsione di un’intesa forte tra Stato e
sistema delle autonomie territoriali rappresentato in sede di Conferenza
unificata. Infatti, a differenza del caso del singolo intervento, nell’adozione
del piano delle aree non verrebbe in gioco l’interesse esclusivo della singola
Regione, ma l’esigenza di una visione unitaria per l’intero territorio
nazionale.
Quanto
alla mancata estensione dell’intesa alle aree marittime, esse sarebbero ubicate
nel mare continentale, ambito territoriale esulante dalla competenza regionale
e ricadente in quella esclusiva statale, anche per i risvolti transfrontalieri.
Infine,
la determinazione delle modalità della collaborazione nonché le procedure per
superare l’eventuale stallo rappresenterebbero principi fondamentali che il
legislatore statale sarebbe legittimato a dettare in materie a competenza
concorrente.
42.– Con memoria depositata il 15 marzo 2016 la Regione Marche
ha ribadito gli argomenti svolti in ricorso a supporto dell’impugnativa e
replicato alle difese dell’Avvocatura generale dello Stato, insistendo per la
declaratoria d’illegittimità costituzionale della norma censurata o, in
subordine, di cessazione della materia del contendere, alla luce
dell’abrogazione dell’art. 38, comma 1-bis,
del d.l. n. 133 del 2014 ad opera dell’art. 1, comma 240, lettera b), della legge n. 208 del 2015.
Con
memoria depositata il 2 maggio 2017 la Regione ha riepilogato gli argomenti a
sostegno dell’impugnativa e replicato alle difese del Presidente del Consiglio
dei ministri, concludendo per l’accoglimento del ricorso ove non fossero
ravvisati gli estremi per la declaratoria di cessazione della materia del
contendere in ragione dello ius superveniens.
43.– Con ricorso depositato il 6 marzo 2015 (reg. ric. n. 40
del 2015) la Regione Puglia ha promosso, tra le altre, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 554, della legge n. 190 del 2014, in
riferimento agli artt.
117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost.,
adducendo motivazioni coincidenti con quelle svolte dalla Regione Marche a
sostegno dell’impugnazione della medesima disposizione.
44.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo la reiezione del ricorso per le ragioni già esposte a proposito del
ricorso della Regione Marche relativo alla stessa norma.
45.– Con memoria depositata il 15 marzo 2016 la Regione Puglia
ha svolto considerazioni coincidenti con quelle contenute nella memoria
illustrativa della Regione Marche, depositata in pari data, relativa
all’impugnativa della medesima disposizione.
Con
memoria depositata il 2 maggio 2017 la Regione Puglia ha svolto argomenti
coincidenti con quelli di cui alla memoria illustrativa della Regione Marche,
depositata in pari data, relativa all’impugnativa della medesima disposizione.
Considerato in diritto
1.–
Con un primo gruppo di ricorsi (rispettivamente iscritti al reg. ric. n. 2, n.
4, n. 5, n. 6, n. 10, n. 13 e n. 14 del 2015) le Regioni Abruzzo, Marche,
Puglia, Lombardia, Veneto, Campania e Calabria hanno promosso, tra le altre,
questioni di legittimità costituzionale dell’intero decreto-legge 12 settembre
2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione
delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione
burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle
attività produttive) – convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre
2014, n. 164 – in riferimento all’art. 77 della Costituzione; dell’intero art.
38 del citato decreto, in riferimento agli artt. 77, 117, secondo e terzo
comma, e 118 Cost.; nonché, specificamente, dei commi 1, 1-bis, 2, 3, 4, 5, 6, 6-bis,
6-ter, 7, 8 e 10, del medesimo art.
38, in riferimento agli artt. 3, 5, 9, 11, 32, 97, 114, 117, primo, secondo,
terzo, quarto e quinto comma, 118, 119 e 120 Cost. ed ai principi di
ragionevolezza, leale collaborazione e sussidiarietà, nonché in relazione agli
artt. 31 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di
funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali,
in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), 8, comma 1, della
legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento
della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), 1 della
legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al
Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), e
6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia
ambientale); all’art. 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea
(TFUE), alla direttiva 30 maggio 1994, n. 94/22/CE (Direttiva del Parlamento
europeo e del Consiglio relativa alle condizioni di rilascio e di esercizio
delle autorizzazioni alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi), ed
agli artt. 3, paragrafo 2, lettera a),
4, e da 5 a 12, della direttiva 27 giugno 2001, n. 2001/42/CE (Direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione degli effetti di
determinati piani e programmi sull’ambiente), 4, paragrafo 6, della direttiva
12 giugno 2013, n. 2013/30/UE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e che
modifica la direttiva 2004/35/CE), 1, paragrafo 1, lettera b), e 6, paragrafo 1, della direttiva 16 aprile 2014, n. 2014/52/UE
(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva
2011/92/UE concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati
progetti pubblici e privati).
Con
un secondo gruppo di ricorsi (rispettivamente iscritti al reg. ric. n. 32, n.
35, n. 39 e n. 40 del 2015) le Regioni Campania, Abruzzo, Marche e Puglia hanno
promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 554, della
legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato – (legge di stabilità 2015)», in
riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., nonché al principio di leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.
Le
censure del primo gruppo di ricorsi – in disparte quelle relative all’intero
decreto-legge – riguardano la nuova disciplina delle attività minerarie nel
settore degli idrocarburi recata dall’art. 38 del d.l. n. 133 del 2014, mentre
le censure contenute nel secondo gruppo si concentrano sulla disposizione che
ha sostituito il comma 1-bis del
citato articolo, afferente al piano delle aree in cui consentire le attività di
prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi, nonché di stoccaggio
sotterraneo di gas naturale.
2.– I ricorsi vertono sulle medesime disposizioni o su norme
strettamente collegate ed avanzano censure in larga misura coincidenti, onde
l’opportunità di riunire i giudizi ai fini di una decisione congiunta,
riservando a separate pronunce lo scrutinio delle altre questioni di
legittimità costituzionale promosse con gli stessi atti introduttivi.
3.– In via preliminare deve essere dichiarata
l’inammissibilità degli interventi spiegati dall’Associazione Italiana per il
World Wide Fund for Nature (WWF Italia) Onlus Ong nei giudizi introdotti con il primo gruppo di ricorsi e
dall’Associazione "Amici del Parco Archeologico di Pantelleria” nel giudizio
promosso dalla Regione Puglia (reg. ric. n. 5 del 2015).
Quest’ultimo
intervento è inammissibile in ragione del preliminare ed assorbente profilo
relativo alla tardività del deposito, effettuato oltre il termine previsto
dagli artt. 4, comma 4, e 23 delle norme integrative per i giudizi davanti alla
Corte costituzionale (sentenza n. 226 del
2003).
Quanto
all’intervento del WWF Italia, si deve richiamare la costante giurisprudenza di
questa Corte, secondo cui «il giudizio di costituzionalità delle leggi,
promosso in via d’azione ai sensi dell’art. 127 Cost. e
degli artt. 31 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), si svolge
esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa e non ammette
l’intervento di soggetti che ne siano privi, fermi restando, per costoro, ove
ne ricorrano i presupposti, gli altri mezzi di tutela giurisdizionale
eventualmente esperibili» (ex plurimis, sentenza n. 110 del
2016).
4.– Ancora in via preliminare, va ribadita in questa sede
l’inammissibilità del ricorso presentato dalla Regione Calabria (reg. ric. n.
14 del 2015), già dichiarata in occasione dello scrutinio di altra questione di
legittimità costituzionale promossa con il medesimo ricorso in ragione della
tardività del deposito della deliberazione della Giunta di ratifica del decreto
presidenziale con cui è stata assunta la determinazione all’impugnativa (sentenza n. 110 del
2016).
Nel
corso della discussione in udienza la difesa regionale ha sostenuto che il
deposito non è potuto intervenire tempestivamente in quanto la Giunta che
doveva ratificare il decreto non era stata ancora costituita.
L’argomento,
tuttavia, non inficia l’inammissibilità del ricorso.
L’art.
33, comma 8, della legge della Regione Calabria 19 ottobre 2004, n. 25 (Statuto
della Regione Calabria), attribuisce al Presidente della Giunta regionale il potere
di compiere, nei dieci giorni successivi alla proclamazione, gli atti
improrogabili ed urgenti di competenza della Giunta. Tra di essi rientra, a
norma dell’art. 32, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme
sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), la
deliberazione alle impugnative davanti alla Corte costituzionale, stante anche
quanto previsto dall’art. 36, comma 1, lettera l), dello statuto regionale.
Nella
fattispecie il decreto presidenziale è intervenuto il 12 gennaio 2015, ben
oltre i dieci giorni dalla proclamazione del Presidente della Regione,
risalente – secondo quanto si legge nel decreto stesso, prodotto dalla
ricorrente – al 9 dicembre 2014.
Dunque,
anche a prescindere dai motivi che hanno determinato il tardivo deposito della
deliberazione della Giunta a ratifica dell’originario decreto, il ricorso è
comunque inammissibile per difetto di legittimazione processuale attiva in capo
al Presidente della Regione.
5.– Sempre in via preliminare, deve essere dichiarata
inammissibile la questione di legittimità costituzionale del decreto-legge n.
133 del 2014 nella sua interezza, promossa dalla Regione Lombardia in
riferimento all’art. 77 Cost.
Non
sussiste, infatti, la necessaria piena corrispondenza, quanto ad oggetto, tra
la deliberazione con cui la Giunta regionale si è determinata all’impugnazione
– che nella fattispecie non menziona il decreto-legge nella sua interezza – ed
il ricorso (ex plurimis,
sentenza n. 153
del 2015).
Parimenti
inammissibile è la questione di legittimità costituzionale dell’intero art. 38
del d.l. n. 133 del 2014, promossa dalla Regione Abruzzo in riferimento
all’art. 77 Cost.
Anche
in questo caso difetta la piena corrispondenza tra la deliberazione ad
impugnare – che non include l’art. 77 Cost. tra i
parametri dei quali si lamenta la violazione ad opera della disposizione
censurata – ed il contenuto del ricorso (ex
plurimis, sentenza n. 110 del
2016).
6.– La Regione Lombardia impugna l’intero art. 38 del d.l. n.
133 del 2014 sia in riferimento all’art. 77, secondo comma, Cost. – in quanto
difetterebbero i requisiti previsti per il ricorso alla decretazione d’urgenza
– sia in riferimento agli artt. 117, secondo e terzo comma, e 118 Cost., in quanto l’articolo detterebbe misure di dettaglio
in materie di competenza legislativa concorrente.
6.1.– La questione di legittimità costituzionale dell’intero
art. 38 del d.l. n. 133 del 2014 in riferimento agli artt. 117, secondo e terzo
comma, e 118 Cost. è inammissibile.
Da
un lato, l’evocazione degli artt. 117, secondo comma – peraltro contraddetta
dall’assunto che l’art. 38 del d.l. n. 133 del 2014 inciderebbe su materie di
competenza legislativa concorrente – e 118 Cost. risulta
immotivata; dall’altro, la censura proposta in riferimento all’art. 117, terzo
comma, Cost. è generica, non essendo argomentata in
relazione alle singole disposizioni – connotate da varietà contenutistica,
seppur astretta da un’omogeneità di fondo, come meglio si dirà nell’immediato
prosieguo – di cui l’articolo si compone, e finisce per risultare priva di
un’adeguata motivazione, esigenza che si pone in termini particolarmente
pregnanti nei giudizi in via principale (ex
plurimis, sentenza n. 244 del
2016).
6.2.– La questione di legittimità costituzionale dell’intero
art. 38 del d.l. n. 133 del 2014 in riferimento all’art. 77, secondo comma,
Cost. non è fondata.
La
censura è proposta sotto tre distinti profili: a) la mancanza dei presupposti della necessità ed urgenza; b) la non immediata applicabilità della
disciplina recata dall’impugnato art. 38, in contrasto con quanto richiesto
dall’art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina
dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei
Ministri); c) il difetto di
omogeneità e coerenza delle misure introdotte.
Quanto
al primo profilo, vale a dire la mancanza dei presupposti della straordinaria
necessità ed urgenza, occorre ricordare come questa Corte, con orientamento
costante, abbia affermato che il proprio sindacato è circoscritto «ai casi di
"evidente mancanza” dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza
richiesti dall’art. 77, secondo comma, Cost. o di
"manifesta irragionevolezza o arbitrarietà della relativa valutazione” (ex plurimis, sentenze n. 22 del
2012, n. 93
del 2011, n.
355 e n. 83
del 2010; n.
128 del 2008; n.
171 del 2007)» (sentenza n. 10 del
2015; nello stesso senso, sentenza n. 287 del
2016).
Considerati
la notoria situazione di crisi economica sistemica, il tenore delle
disposizioni censurate e la ratio che
le ispira – consistente nella finalità di valorizzare le risorse energetiche
nazionali, consentire il raggiungimento degli obiettivi della strategia
energetica, garantire la sicurezza degli approvvigionamenti del Paese e
sbloccare gli investimenti privati nel settore – non sono riscontrabili né la
mancanza dei presupposti della straordinaria necessità ed urgenza né
l’irragionevolezza o l’arbitrarietà della loro valutazione. Ne consegue l’infondatezza
della censura sotto il profilo in considerazione.
Quanto
alla mancanza del requisito di immediata applicabilità delle disposizioni
censurate, occorre ricordare che l’art. 15, comma 3, della legge n. 400 del
1988 prescrive – con disposizione che rileva anche per l’ulteriore censura
relativa al difetto di omogeneità e coerenza dell’impugnato art. 38 – che «I
decreti devono contenere misure di immediata applicazione e il loro contenuto
deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo» e che «[l’]art. 15,
comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di
Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri) […] pur non
avendo, in sé e per sé, rango costituzionale, e non potendo quindi assurgere a
parametro di legittimità in un giudizio davanti a questa Corte, costituisce
esplicitazione della ratio implicita
nel secondo comma dell’art. 77 Cost.» (sentenze
n. 220 del 2013 e n. 22 del 2012).
Tanto
premesso, dalla mera lettura delle disposizioni impugnate emergono la loro
portata precettiva e la immediata e diretta applicabilità. Esse, infatti, lungi
dal perseguire finalità programmatiche, hanno un contenuto qualificatorio
(strategicità, indifferibilità ed urgenza, pubblica utilità attribuita alle
attività ed ai relativi titoli abilitativi), regolano il procedimento di
adozione di uno strumento di pianificazione delle attività minerarie, allocano
quello di valutazione di impatto ambientale (VIA), prevedono le condizioni e le
modalità per il rilascio del titolo concessorio unico
ed il suo subentro ai titoli minerari precedenti, disciplinano il procedimento
di autorizzazione di progetti sperimentali di coltivazione di giacimenti. Si
tratta di disposizioni che, nell’assoluta maggioranza dei casi, non richiedono
l’adozione di ulteriore normativa, considerato, peraltro, che «la straordinaria
necessità ed urgenza non postula inderogabilmente un’immediata applicazione
delle disposizioni normative contenute nel decreto-legge, ma ben può fondarsi
sulla necessità di provvedere con urgenza, anche laddove il risultato sia per
qualche aspetto necessariamente differito» (sentenza n. 16 del
2017). Ne consegue che la censura proposta dalla Regione Lombardia non è
fondata neanche sotto questo profilo.
Infine,
quanto al dedotto difetto di omogeneità e coerenza della normativa impugnata,
secondo la giurisprudenza costituzionale «il riconoscimento dell’esistenza dei
presupposti fattuali, di cui all’art. 77, secondo comma, Cost.,
[si ricollega] ad una intrinseca coerenza delle norme contenute in un
decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista
funzionale e finalistico. La urgente necessità del provvedere può riguardare
una pluralità di norme accomunate dalla natura unitaria delle fattispecie
disciplinate, ovvero anche dall’intento di fronteggiare situazioni
straordinarie complesse e variegate, che richiedono interventi oggettivamente
eterogenei, afferenti quindi a materie diverse, ma indirizzati all’unico scopo
di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare»
(sentenza n. 22
del 2012).
Le
disposizioni contenute nel censurato art. 38 risultano omogenee per ratio al contenuto dell’intero
decreto-legge n. 133 del 2014. Quest’ultimo, nonostante la diversità dei
settori in cui interviene, reca una normativa unitaria sotto il profilo della
finalità perseguita, come questa Corte ha già avuto modo di affermare: «è bensì
vero che il decreto-legge n. 133 del 2014 è riconducibile alla categoria dei
"provvedimenti governativi ab origine
a contenuto plurimo”, annoverati dalla Corte tra gli "atti [...] che di per sé
non sono esenti da problemi rispetto al requisito dell’omogeneità” (sent.
n. 32 del 2014); nondimeno, le molteplici disposizioni che lo
compongono, ancorché eterogenee dal punto di vista materiale, presentano una
sostanziale omogeneità di scopo, essendo tutte preordinate all’unitario
obiettivo di accelerare e semplificare la realizzazione e la conclusione di
opere infrastrutturali strategiche, nel più ampio quadro della promozione dello
sviluppo economico e del rilancio delle attività produttive. Il decreto-legge
in esame, dunque, ancorché articolato e differenziato al proprio interno,
appare fornito di una sua intrinseca coerenza» (sentenza n. 244 del
2016).
D’altra
parte, l’art. 38 del d.l. n. 133 del 2014 è effettivamente orientato al
perseguimento dell’indicato obiettivo, regolando – con intento semplificativo
ed acceleratorio – l’attività amministrativa concessoria
nel settore degli idrocarburi (anche) con la finalità di sbloccare gli
investimenti privati in tale ambito.
L’articolo,
infine, presenta altresì un contenuto omogeneo al suo interno, dal momento che
si compone di disposizioni che disciplinano organicamente misure volte alla
valorizzazione delle risorse energetiche nazionali.
Dunque,
alla luce delle ragioni che precedono, la questione promossa non è fondata
nemmeno sotto il profilo da ultimo considerato.
7.– Le Regioni Abruzzo e Veneto impugnano l’art. 38, comma 1,
del d.l. n. 133 del 2014 che – nella versione originaria – prevedeva che «Al
fine di valorizzare le risorse energetiche nazionali e garantire la sicurezza
degli approvvigionamenti del Paese, le attività di prospezione, ricerca e
coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale
rivestono carattere di interesse strategico e sono di pubblica utilità, urgenti
e indifferibili. I relativi titoli abilitativi comprendono pertanto la
dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dell’opera e
l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio dei beni in essa compresi,
conformemente al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327,
recante il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia di espropriazione per pubblica utilità».
In
particolare, secondo la Regione Abruzzo, la qualificazione delle citate
attività come di interesse strategico e di pubblica utilità, urgenti ed
indifferibili sarebbe generica e priva di motivazione idonea ad attribuire tale
status a priori ed in via generale ed astratta. Inoltre, la strategicità
non corrisponderebbe al requisito di proporzionalità richiesto per la
cosiddetta chiamata in sussidiarietà e determinerebbe l’applicazione alle
attività in considerazione di una procedura semplificata ed accelerata di VIA
che inibirebbe l’intervento della Regione nell’iter autorizzativo, in contrasto con gli artt. 117, terzo comma, e
118, primo comma, Cost.
La
Regione Veneto sostiene che la norma realizzerebbe una chiamata in
sussidiarietà nella materia di competenza concorrente «produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia», senza al contempo prevedere un’intesa in
senso forte con le Regioni, così violando gli artt. 117, terzo comma, 118 e 120
Cost.
La
disposizione censurata è stata sostituita dall’art. 1, comma 240, lettera a), della legge 28 dicembre 2015, n. 208
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
– legge di stabilità 2016), statuendo che «Le attività di prospezione, ricerca
e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas
naturale sono di pubblica utilità. I relativi titoli abilitativi comprendono
pertanto la dichiarazione di pubblica utilità».
Lo
ius superveniens,
tuttavia, non determina la cessazione della materia del contendere, la quale,
secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, richiede che la modifica
della norma censurata sia satisfattiva delle pretese avanzate con il ricorso e
che essa non abbia medio tempore
ricevuto applicazione (di recente, sentenza n. 50 del
2017).
Quanto
alla prima condizione, la disposizione sopravvenuta, mantenendo l’unilaterale
qualificazione di pubblica utilità delle attività ed il relativo effetto
declaratorio ad opera dei titoli abilitativi, non soddisfa le ragioni dedotte
dalle ricorrenti. Quanto alla seconda, si deve rilevare che la norma originaria
ha natura autoapplicativa, in considerazione del
contenuto qualificatorio, e si riferisce a tutti i
«titoli abilitativi», dunque anche a quelli precedenti al titolo concessorio unico – come, peraltro, si evince
indirettamente anche dall’art. 14 del decreto del Ministero dello sviluppo
economico del 25 marzo 2015 (Aggiornamento del disciplinare tipo in attuazione
dell’articolo 38 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con
modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164), che, nel ribadire il
contenuto della norma censurata, richiama anche la normativa afferente ai
titoli minerari di cui alla legge del 9 gennaio 1991, n. 9 (Norme per
l’attuazione del nuovo Piano energetico nazionale: aspetti istituzionali,
centrali idroelettriche ed elettrodotti, idrocarburi e geotermia,
autoproduzione e disposizioni fiscali) – frattanto eventualmente rilasciati,
difettando così certezze in ordine al requisito della mancata applicazione.
7.1.– Tanto premesso, la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 38, comma 1, del d.l. n. 133 del 2014, promossa dalla Regione Abruzzo
in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., non è fondata.
La
norma censurata prevede una fattispecie di chiamata in sussidiarietà, cui,
secondo il costante orientamento di questa Corte, «[l]o Stato può ricorrere […]
"al fine di allocare e disciplinare una funzione amministrativa (sentenza n. 303 del
2003) pur quando la materia, secondo un criterio di prevalenza, appartenga
alla competenza regionale concorrente, ovvero residuale” (sentenza n. 278 del
2010)» (sentenza
n. 7 del 2016), ossia, nel caso in esame, alla materia concorrente
«produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» (sentenze n. 114 del
2017 e n.
383 del 2005).
Secondo
la ricorrente, la norma non corrisponderebbe a quanto da questa Corte affermato
in più occasioni: «perché nelle materie di cui all’art. 117, terzo e quarto
comma, Cost., una legge statale possa legittimamente attribuire funzioni
amministrative a livello centrale ed al tempo stesso regolarne l’esercizio, è
necessario che essa innanzi tutto rispetti i princìpi di sussidiarietà,
differenziazione ed adeguatezza nella allocazione delle funzioni
amministrative, rispondendo ad esigenze di esercizio unitario di tali funzioni.
È necessario, inoltre, che tale legge detti una disciplina logicamente
pertinente, dunque idonea alla regolazione delle suddette funzioni, e che
risulti limitata a quanto strettamente indispensabile a tale fine […]» (ex plurimis, sentenza n. 7 del
2016, punto 2). Insomma, occorre che «"la valutazione dell’interesse
pubblico sottostante all’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato
sia proporzionata” e "non risulti affetta da irragionevolezza”» (sentenza n. 142 del
2016). In forza di tali principi sono state ritenute illegittime norme che
pretendevano di realizzare una chiamata in sussidiarietà «prevedendo una
attribuzione generalizzata ed astratta ad un organo statale di un insieme
indifferenziato di funzioni, individuate in modo generico e caratterizzate
anche da una notevole eterogeneità quanto alla possibile incidenza sulle
specifiche attribuzioni di competenza» (sentenze n. 144 del
2014 e n.
232 del 2011) in «assoluta carenza nel contesto dispositivo di una
qualsiasi esplicitazione sia dell’esigenza di assicurare l’esercizio unitario
perseguito attraverso tali funzioni, sia della congruità, in termini di
proporzionalità e ragionevolezza, di detta avocazione rispetto al fine voluto
ed ai mezzi predisposti per raggiungerlo, sia della impossibilità che le
funzioni amministrative de quibus possano essere adeguatamente svolte agli
ordinari livelli inferiori» (sentenze n. 144 del
2014 e n.
232 del 2011).
L’intervento
normativo in esame, tuttavia, non è assimilabile a quelli da ultimo descritti.
Esso, infatti, riguarda le sole attività di prospezione, ricerca e coltivazione
degli idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale e i
relativi titoli abilitativi; dunque, un ambito circoscritto, con riferimento al
quale l’art. 38, comma 1, esplicita, seppur sinteticamente – «Al fine di […]
garantire la sicurezza degli approvvigionamenti del Paese» – le ragioni di
unitarietà e proporzionalità fondanti la chiamata in sussidiarietà. La
menzionata finalità, peraltro, costituisce uno degli «obiettivi generali di
politica energetica del Paese, il cui conseguimento è assicurato sulla base dei
principi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione
dallo Stato, dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas, dalle regioni e
dagli enti locali» (art. 1, comma 3, lettera a, della legge n. 239 del 2004). A tal fine sono state attribuite
allo Stato «le determinazioni inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione
di idrocarburi, ivi comprese le funzioni di polizia mineraria, adottate, per la
terraferma, di intesa con le regioni interessate» (art. 1, comma 7, lettera n, della legge n. 239 del 2004), tanto
da non essere stati trasferiti alle Regioni «[…] i giacimenti petroliferi e di
gas e le relative pertinenze nonché i siti di stoccaggio di gas naturale e le
relative pertinenze» (art. 3, comma 1, lettera a, del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, recante
«Attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio
patrimonio, in attuazione dell’articolo 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42»).
In
tale contesto l’accentramento realizzato dalla norma impugnata non risulta
sproporzionato bensì coerente (in tal senso, sentenza n. 142 del
2016) col carattere strategico degli interventi cui si rivolge (sentenza n. 165 del
2011) e si giustifica alla luce del ruolo centrale nella politica
energetica nazionale (in tal senso, sentenza n. 313 del
2010) già riconosciuto alle attività minerarie nel settore degli
idrocarburi.
Quanto
al preteso effetto acceleratorio e semplificatorio sulla procedura di VIA
asseritamente ascrivibile alla declaratoria normativa di strategicità, il
presupposto interpretativo da cui muove la Regione è erroneo, risultando
smentito dall’art. 38, comma 6-bis –
aggiunto in sede di conversione – del d.l. n. 133 del 2014, il quale rimanda
alle normali «modalità» e «competenze» di cui alla Parte II del d.lgs. n. 152
del 2006, nel cui ambito si collocano gli artt. da 19 a 29 che disciplinano in
linea generale l’ordinaria procedura di VIA.
7.2.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 38,
comma 1, del d.l. n. 133 del 2014, promossa dalla Regione Veneto in riferimento
agli artt. 117, terzo comma, 118 e 120 Cost., non è fondata.
Diversamente
da quanto lamentato dalla ricorrente, e coerentemente con la costante
giurisprudenza costituzionale (ex plurimis, sentenza n. 7 del
2016), la chiamata in sussidiarietà realizzata dalla norma censurata
richiede l’intesa con la Regione per ogni tipologia di titolo abilitativo
all’esercizio delle attività minerarie nel settore degli idrocarburi.
In
particolare, quanto ai titoli disciplinati dalla legge n. 9 del 1991, l’intesa
con le Regioni interessate è prevista dall’art. 1, comma 7, lettera n), della legge n. 239 del 2004, che la
prescrive in generale per «le determinazioni inerenti la prospezione, ricerca e
coltivazione di idrocarburi» sulla terraferma; quanto al titolo concessorio unico, l’intesa per lo svolgimento delle
attività minerarie sulla terraferma è esplicitamente prevista dall’art. 38,
comma 6, lettera b), del d.l. n. 133
del 2014; infine, per le attività di stoccaggio di gas naturale, l’intesa con
la Regione interessata è richiesta dall’art. 3, comma 2, del decreto del
Ministero dello sviluppo economico del 21 gennaio 2011 (Modalità di
conferimento della concessione di stoccaggio di gas naturale in sotterraneo e
relativo disciplinare tipo), adottato in attuazione dell’art. 11, comma 1, del
decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164 (Attuazione della direttiva n.
98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma
dell’articolo 41 della legge 17 maggio 1999, n. 144).
Con
riguardo alle attività minerarie in mare, non si configura alcuna fattispecie
di attrazione in sussidiarietà, stante il difetto di competenza regionale in
detto ambito, come meglio risulterà in prosieguo.
8.– Le Regioni Abruzzo, Marche, Puglia e Lombardia impugnano
l’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n.
133 del 2014, introdotto in sede di conversione, che originariamente prevedeva
che il Ministro dello sviluppo economico, con proprio decreto, sentito il
Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, predisponesse
un piano delle aree in cui consentire le attività minerarie di cui al comma 1
del medesimo art. 38.
La
disposizione in questione è stata sostituita dall’art. 1, comma 554, della
legge n. 190 del 2014, in virtù del quale, diversamente da quanto
precedentemente previsto, il piano delle aree disponibili per le attività
minerarie doveva essere adottato, per quelle sulla terraferma, previa intesa
con la Conferenza unificata. In caso di mancato raggiungimento della stessa, la
norma disponeva che si provvedesse con le modalità di cui all’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004 e che,
nelle more dell’adozione del piano, i titoli abilitativi di cui al comma 1
fossero rilasciati sulla base delle norme previgenti.
La
nuova versione del menzionato comma 1-bis
è stata impugnata dalla Regione Veneto; il citato comma 554 è stato impugnato
dalle Regioni Campania, Abruzzo, Marche e Puglia.
L’art.
1, comma 240, lettera b), della legge
n. 208 del 2015 ha abrogato l’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014, come modificato dall’art. 1, comma
554, della legge n. 190 del 2014.
Prima
dell’abrogazione la norma sul piano delle aree non ha mai trovato applicazione,
così come questa Corte ha già avuto modo di affermare (sentenza n. 114 del
2017), mentre il previsto regime transitorio non è stato censurato.
Pertanto,
coerentemente a quanto costantemente ritenuto da questa Corte (ex plurimis, sentenza n. 50 del
2017), sussistono le condizioni per dichiarare cessata la materia del
contendere limitatamente alle questioni di legittimità costituzionale dell’art.
38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del
2014 e dell’art. 1, comma 554, della legge n. 190 del 2014.
9.– La Regione Veneto impugna l’art. 38, comma 2, del d.l. n.
133 del 2014, secondo cui, «Qualora le opere di cui al comma 1 comportino
variazione degli strumenti urbanistici, il rilascio dell’autorizzazione ha
effetto di variante urbanistica». Prescrivendo l’effetto di variante, la norma
non si limiterebbe ad una disciplina di principio nella materia urbanistica,
rientrante nella competenza legislativa concorrente, ma recherebbe una
normativa di dettaglio, in contrasto con gli artt. 117, terzo comma, 118 e 120 Cost., quest’ultimo espressivo del principio di leale
collaborazione.
Dette
censure sono inammissibili in riferimento agli artt. 118 e 120 Cost. e non fondate in riferimento all’art. 117, terzo comma,
Cost.
Anche
la disposizione censurata realizza una fattispecie di attrazione in
sussidiarietà, riconducendo ai titoli abilitativi di cui all’art. 38, comma 1,
del d.l. n. 133 del 2014 l’eventuale effetto di variante urbanistica.
Poiché
la chiamata in sussidiarietà consente di regolare la funzione amministrativa in
rilievo pur quando la materia appartenga alla competenza regionale concorrente
o addirittura residuale, in presenza di tale fattispecie la distinzione tra
normativa di principio e normativa di dettaglio è destinata a dissolversi,
dovendosi piuttosto valutare la rispondenza della norma, da un lato, ai criteri
dell’art. 118 Cost. per allocazione e disciplina e,
dall’altro, al principio di leale collaborazione (sentenza n. 6 del
2004). Da ciò discende che, nell’ambito della chiamata in sussidiarietà, il
legislatore ha correttamente disciplinato la funzione anche nel dettaglio.
Quanto all’evocazione degli artt. 118 e 120 Cost.,
come espressivi del principio di leale collaborazione, essa risulta
inammissibile, atteso che la ricorrente non denuncia la mancanza degli estremi
per l’attrazione in sussidiarietà, cui tali parametri si riferiscono.
10.– La Regione Veneto impugna altresì l’art. 38, comma 3, del
d.l. n. 133 del 2014, che, modificando il punto 7) dell’allegato II della parte
seconda del d.lgs. n. 152 del 2006, in virtù del richiamo operato dall’art. 7,
comma 3, del medesimo decreto, sottrarrebbe interamente alla Regione la
competenza sui procedimenti di VIA afferenti ai progetti relativi ad attività
di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi sulla terraferma. Ciò
in una materia, quella della tutela dell’ambiente, intrinsecamente trasversale,
in cui alle Regioni, nell’ambito delle loro competenze, sarebbe consentito di
determinare un aumento dei livelli di tutela. In tal modo la norma violerebbe
gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost.
La
questione non è fondata.
Per
costante giurisprudenza di questa Corte la disciplina in tema di VIA e la
relativa procedura vanno ascritte alla materia della «tutela dell’ambiente», di
cui all’art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost. (sentenze n. 114 del 2017, n. 117 del 2015,
n. 199 del 2014
e n. 221 del
2010). La VIA «è autonoma, ancorché connessa, rispetto al procedimento
amministrativo nell’ambito del quale si colloca» (sentenza n. 221 del
2010). Dunque, ove pure siano presenti ambiti materiali di spettanza
regionale, deve ritenersi prevalente il citato titolo di legittimazione statale
(sentenze n. 93
del 2013 e n.
234 del 2009). All’identificazione della competenza esclusiva del
legislatore statale conseguono, da un lato, l’impossibilità di configurare una
fattispecie di chiamata in sussidiarietà (sentenza n. 114 del
2017) e, dall’altro, la spettanza allo stesso del potere di allocare le
relative funzioni amministrative ai diversi livelli di governo ed anche ad
organi centrali ove giustificato alla luce dei principi di sussidiarietà,
differenziazione ed adeguatezza (sentenze n. 20 del
2012, n. 234
del 2009 e n.
225 del 2009), senza che la Regione abbia titolo per concorrere al relativo
esercizio (sentenza
n. 278 del 2010).
Peraltro,
la ricorrente, pur evocando l’art. 118 Cost., non
contesta affatto che l’allocazione delle funzioni a livello centrale sia
adeguata o risponda ad esigenze di esercizio unitario.
11.–
Le Regioni Abruzzo, Marche, Puglia, Lombardia e Veneto impugnano anche l’art.
38, comma 4, del d.l. n. 133 del 2014, il quale prevede un regime transitorio
per l’allocazione delle procedure di VIA, disponendo che «Per i procedimenti di
valutazione di impatto ambientale in corso presso le regioni alla data di
entrata in vigore del presente decreto, relativi alla prospezione, ricerca e
coltivazione di idrocarburi, la regione presso la quale è stato avviato il
procedimento conclude lo stesso entro il 31 marzo 2015. Decorso inutilmente
tale termine, la regione trasmette la relativa documentazione al Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare per i seguiti istruttori
di competenza, dandone notizia al Ministero dello sviluppo economico. I
conseguenti oneri di spesa istruttori rimangono a carico delle società
proponenti e sono versati all’entrata del bilancio dello Stato per essere
successivamente riassegnati al Ministero dell’ambiente e della tutela del
territorio e del mare».
Le
censure dalle ricorrenti possono essere sintetizzate come segue: a) la norma determinerebbe un’avocazione
allo Stato di funzioni di attuale titolarità regionale, in riferimento a
procedimenti già in corso, correlata al mero decorso del tempo ed in assenza di
coinvolgimento della Regione, sebbene si tratti di ambiti materiali in cui essa
potrebbe intervenire, eventualmente innalzando il livello di tutela, in
violazione degli artt. 117, secondo, terzo e quarto comma, e 118, primo comma,
Cost. (Regioni Abruzzo, Lombardia e Veneto); b) la disposizione violerebbe l’art. 120 Cost., in quanto, da un
lato, la sostituzione non avverrebbe ad opera del Governo nel suo complesso ma
da parte di una sua componente e non secondo le condizioni previste dall’art.
8, comma 1, della legge n. 131 del 2003 o un modulo collaborativo ispirato ad
analoghi criteri, che coinvolga adeguatamente la Regione interessata
dall’attivazione del potere sostitutivo (Regioni Marche, Puglia e Lombardia) e,
dall’altro, la sostituzione dello Stato agli enti locali estrometterebbe
completamente la Regione nonostante l’art. 120 Cost. legittimi
anche il legislatore regionale, nelle materie di propria competenza, a
disciplinare un potere sostitutivo in relazione all’esercizio delle funzioni di
competenza dei Comuni ai sensi dell’art. 118 Cost. (Regione Lombardia); c) la norma, determinando un
irragionevole e notevole aggravio del lavoro della Commissione VIA nazionale,
violerebbe gli artt. 3 e 97 Cost., con un’evidente
ricaduta sulle competenze regionali (Regione Veneto); d) l’attribuzione allo Stato dei procedimenti di VIA in corso,
lesiva dell’art. 3 Cost., estenderebbe la propria illegittimità alla previsione
della spettanza dei relativi oneri di spesa istruttori al bilancio statale, con
conseguente violazione dell’art. 119 Cost. (Regione Lombardia).
11.1.– Preliminarmente si deve rilevare come, con memoria
depositata in prossimità dell’udienza, la difesa della Regione Abruzzo abbia
rinunciato all’impugnativa dell’art. 38, comma 4, del d.l. n. 133 del 2014.
Ciò, tuttavia, non determina la cessazione della materia del contendere, atteso
che la deliberazione in tal senso della Giunta regionale non è stata prodotta
in tempo utile per poter essere presa in considerazione.
11.2.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 38,
comma 4, del d.l. n. 133 del 2014, promosse dalle Regioni Abruzzo, Lombardia e
Veneto in riferimento agli artt. 117, secondo, terzo e quarto comma, e 118,
primo comma, Cost., non sono fondate.
Al
riguardo vale quanto detto a proposito delle analoghe censure rivolte al comma
3 del medesimo articolo: dall’identificazione della competenza esclusiva del
legislatore statale in materia di tutela dell’ambiente – cui ricondurre anche
la norma in esame, sempre in tema di VIA – discende, da un lato,
l’impossibilità di configurare una fattispecie di chiamata in sussidiarietà,
«con conseguente infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale
proposte in riferimento ai parametri che la presidiano» (sentenza n. 114 del
2017), e, dall’altro, la spettanza al legislatore statale del potere di
allocare le relative funzioni amministrative ai diversi livelli di governo ed
anche presso organi centrali ove giustificato alla luce dei principi di
sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza – della cui violazione le
ricorrenti nella fattispecie non si dolgono – senza che la Regione abbia titolo
per concorrere al relativo esercizio.
Con
specifico riguardo al regime transitorio di trasferimento in sede statale delle
procedure di VIA non tempestivamente definite presso le Regioni, si deve
altresì rilevare che «la previsione di un termine entro cui il procedimento
deve concludersi [… è] espressione di una generale esigenza di speditezza volta
a garantire uniformemente su tutto il territorio nazionale il celere
svolgimento del procedimento autorizzatorio (cfr. sentenza n. 336 del
2005)» (sentenza
n. 383 del 2005) e che «deve desumersi da quanto previsto dall’art. 118
Cost. […] anche la previsione di "eccezionali sostituzioni di un livello ad un
altro di governo per il compimento di specifici atti o attività, considerati
dalla legge necessari per il perseguimento degli interessi unitari coinvolti, e
non compiuti tempestivamente dall’ente competente” (sentenza n. 43 del
2004)» (sentenza
n. 249 del 2009).
11.3.– Non sono neppure fondate le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 38, comma 4, del d.l. n. 133 del 2014, promosse dalle
Regioni Marche, Puglia e Lombardia in riferimento all’art. 120 Cost., anche in
relazione all’art. 8, comma 1, della legge n. 131 del 2003.
Le
funzioni e le procedure di VIA afferenti ai progetti relativi ad attività di
prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi sulla terraferma sono
state allocate presso organi centrali – in applicazione dell’art. 118 Cost. –
dall’art. 38, comma 3, del d.l. n. 133 del 2014, onde soddisfare le esigenze
unitarie che permeano l’intera disciplina dettata da tale articolo nel settore
energetico in considerazione. Alla luce di ciò, l’avocazione delle procedure
che non siano state tempestivamente esaurite dalle Regioni dopo la già avvenuta
assunzione in via ordinaria delle relative funzioni da parte dello Stato trova
il proprio fondamento nell’art. 118 Cost. e non viola
l’art. 120 Cost., il quale riguarda la diversa fattispecie di sostituzione
statale nell’esercizio di una competenza di spettanza regionale.
Questa
Corte ha infatti chiarito che, «quando si applichi il principio di
sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost., quelle stesse
esigenze unitarie che giustificano l’attrazione della funzione amministrativa
per sussidiarietà consentono di conservare in capo allo Stato poteri
acceleratori da esercitare nei confronti degli organi della Regione che restino
inerti. In breve, la già avvenuta assunzione di una funzione amministrativa in
via sussidiaria legittima l’intervento sollecitatorio diretto a vincere
l’inerzia regionale. Nella fattispecie di cui all’art. 120 Cost.,
invece, l’inerzia della Regione è il presupposto che legittima la sostituzione
statale nell’esercizio di una competenza che è e resta propria dell’ente
sostituito» (sentenza
n. 303 del 2003).
Le
considerazioni che precedono determinano l’infondatezza anche dell’altro
profilo di censura formulato dalla Regione Lombardia in riferimento all’art. 120
Cost., che non trova applicazione nella fattispecie in
considerazione. Né giova richiamare la giurisprudenza di questa Corte secondo
cui «non può farsi discendere dall’art. 120, secondo comma, Cost. una riserva a
favore della legge statale di ogni disciplina del potere sostitutivo, dovendosi
viceversa riconoscere che "la legge regionale, intervenendo in materie di
propria competenza e nel disciplinare, ai sensi dell’art. 117, terzo e quarto
comma, e dell’art. 118, primo e secondo comma, Cost., l’esercizio di funzioni
amministrative di competenza dei Comuni, preveda anche poteri sostitutivi in
capo ad organi regionali, per il compimento di atti o attività obbligatorie,
nel caso di inerzia o di inadempimento da parte dell’ente competente, al fine
di salvaguardare interessi unitari che sarebbero compromessi dall’inerzia o
dall’inadempimento medesimi” (sentenza n. 43 del
2004)» (sentenza
n. 249 del 2009).
Fermo
restando che la fattispecie in esame si colloca al di fuori della portata
applicativa dell’art. 120 Cost., si deve comunque
rilevare che, alla stregua di quanto già detto, nel caso in considerazione non
si verte in un ambito di competenza regionale, ma esclusivo del legislatore
statale, il quale, in materia di «tutela dell’ambiente», si riappropria della
procedura di VIA, coerentemente con quanto previsto a regime dal precedente
comma 3 del medesimo art. 38. Peraltro, l’attrazione delle funzioni non attinge
al livello locale, ma a quello regionale, presso il quale erano allocate prima
dell’accentramento; infine, come detto, l’avocazione avviene per esigenze
unitarie nazionali di sfruttamento delle risorse energetiche. Infatti, «la
valutazione della necessità del conferimento di una funzione amministrativa ad
un livello territoriale superiore rispetto a quello comunale deve essere
necessariamente effettuata dall’organo legislativo corrispondente almeno al
livello territoriale interessato e non certo da un organo legislativo operante
ad un livello territoriale inferiore (come sarebbe un Consiglio regionale in
relazione ad una funzione da affidare – per l’esercizio unitario – al livello
nazionale)» (sentenza
n. 6 del 2004).
11.4.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 38,
comma 4, del d.l. n. 133 del 2014, promossa dalla Regione Veneto in riferimento
agli artt. 3 e 97 Cost., non è fondata.
L’asserito
aggravio del lavoro della Commissione VIA nazionale che la norma determinerebbe
costituisce un mero inconveniente di fatto, «"che secondo la giurisprudenza di
questa Corte non è idoneo ad introdurre il giudizio di legittimità di una norma
(sentenza n. 117
del 2012 e ordinanza
n. 362 del 2008)” (ordinanza n. 158
del 2014) in quanto non direttamente riferibile alla previsione normativa,
ma ricollegabile, invece, "a circostanze contingenti attinenti alla sua
concreta applicazione (sentenza n. 270 del
2012), non involgenti, per ciò, un problema di costituzionalità (sentenza n. 295 del
1995)” (sentenza
n. 157 del 2014)» (sentenza n. 114 del
2017).
11.5.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 38,
comma 4, del d.l. n. 133 del 2014, promossa dalla Regione Lombardia in
riferimento agli artt. 3 e 119 Cost., è in parte inammissibile ed in parte
infondata.
La
questione proposta in riferimento all’art. 3 Cost. è
inammissibile, atteso che il parametro risulta meramente evocato, senza
indicazione dei motivi per cui la norma impugnata vi contrasterebbe.
Quanto
alla dedotta violazione dell’art. 119 Cost., lo stesso
principio – invocato dalla ricorrente – di corrispondenza tra la spettanza
delle spese istruttorie ed il livello di governo a cui è attribuito il
procedimento impone che, a seguito del legittimo trasferimento della procedura
di VIA all’amministrazione centrale, gli oneri di spesa istruttori
«conseguenti» siano devoluti al bilancio dello Stato, senza pregiudizio alcuno
per l’autonomia finanziaria regionale. D’altra parte, la stessa Regione
prospetta la violazione come consequenziale all’illegittima assegnazione allo
Stato dei procedimenti pendenti: esclusa quest’ultima per quanto in precedenza
esposto, difetta anche la prima. Ne consegue l’infondatezza della questione
proposta.
12.–
Le Regioni Abruzzo e Veneto impugnano l’art. 38, comma 5, del d.l. n. 133 del
2014, che – nella versione originaria – prevedeva che «Le attività di ricerca e
coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi di cui alla legge 9 gennaio 1991,
n. 9, sono svolte a seguito del rilascio di un titolo concessorio
unico, sulla base di un programma generale di lavori articolato in una prima
fase di ricerca, per la durata di sei anni, prorogabile due volte per un
periodo di tre anni nel caso sia necessario completare le opere di ricerca, a
cui seguono, in caso di rinvenimento di un giacimento tecnicamente ed
economicamente coltivabile, riconosciuto dal Ministero dello sviluppo economico,
la fase di coltivazione della durata di trenta anni, prorogabile per una o più
volte per un periodo di dieci anni ove siano stati adempiuti gli obblighi
derivanti dal decreto di concessione e il giacimento risulti ancora
coltivabile, e quella di ripristino finale».
In
particolare, secondo la Regione Abruzzo la norma violerebbe l’art. 117, primo
comma, Cost. in relazione alla direttiva n. 94/22/CE
del 1994, in base alla quale i titoli abilitativi dovrebbero essere
necessariamente due – il permesso di ricerca e la concessione di coltivazione –
anche per ragioni di tutela del diritto di proprietà. Ad avviso della Regione
Veneto, invece, la norma sarebbe in contrasto con il canone di ragionevolezza
di cui all’art. 3 Cost. Ciò dal momento che prevederebbe
un titolo concessorio unico in luogo dei precedenti
due distinti titoli. In tal modo i poteri concessori verrebbero attribuiti
antecedentemente alla scoperta del giacimento ed al programma dei lavori, da
predisporre prima dell’attività di ricerca, rendendo difficoltosa la
specificazione delle aree interessate.
L’art.
1, comma 240, lettera c), della legge
n. 208 del 2015 ha sostituito la disposizione censurata, prevedendo che «Le
attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi sono svolte
con le modalità di cui alla legge 9 gennaio 1991, n. 9, o a seguito del
rilascio di un titolo concessorio unico, sulla base
di un programma generale di lavori articolato in una prima fase di ricerca, per
la durata di sei anni, a cui seguono, in caso di rinvenimento di un giacimento
tecnicamente ed economicamente coltivabile, riconosciuto dal Ministero dello
sviluppo economico, la fase di coltivazione della durata di trent’anni, salvo
l’anticipato esaurimento del giacimento, nonché la fase di ripristino finale».
Anche
in questo caso lo ius superveniens
non determina la cessazione della materia del contendere, la quale, come detto,
richiede che la modifica della norma impugnata sia satisfattiva delle pretese
avanzate con il ricorso e che essa non sia stata applicata medio tempore.
Quanto
alla prima condizione, la disposizione sopravvenuta non soddisfa le ragioni
dedotte dalle ricorrenti, atteso che il titolo concessorio
unico viene mantenuto con i suoi connotati originari (salvo che per quanto
concerne la possibilità di proroga, non riguardata dalle censure regionali),
seppur accanto ai precedenti titoli abilitativi. Quanto alla seconda, si deve
rilevare che la norma impugnata può aver ricevuto frattanto applicazione in
ragione del dettato del comma 8 del medesimo art. 38, il quale prevede che, su
istanza del titolare o del richiedente, il comma 5 possa essere applicato anche
ai titoli rilasciati successivamente alla data di entrata in vigore del d.lgs.
n. 152 del 2006 ed ai procedimenti in corso.
12.1.– Tanto premesso, la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 38, comma 5, del d.l. n. 133 del 2014, promossa dalla Regione Abruzzo
in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost. ed in
relazione alla direttiva n. 94/22/CE del 1994, è inammissibile.
La
censura, infatti, è del tutto generica, in quanto la ricorrente non indica i
parametri interposti che assume violati, limitandosi ad un rinvio all’intero
corpo della direttiva comunitaria (sentenza n. 156 del
2016).
12.2.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 38,
comma 5, del d.l. n. 133 del 2014, promossa dalla Regione Veneto in riferimento
all’art. 3 Cost., non è fondata.
La
medesima Regione ha rivolto censure, peraltro già scrutinate da questa Corte,
di identico tenore all’art. 1, comma 240, lettera c), della legge n. 208 del 2015, che ha sostituito la disposizione
oggetto dell’odierna impugnazione. Può dunque essere ribadito che «in un’ottica
acceleratoria e semplificatoria, non è di per sé irragionevole […] attribuire i
poteri ex ante solo per il caso in
cui effettivamente sia scoperto un giacimento suscettibile di sviluppo,
situazione in cui potranno essere concretamente esercitati» (sentenza n. 114 del
2017) e che l’eventuale difficoltà di specificazione delle aree interessate
dal programma generale di lavori sulla base del quale rilasciare il titolo concessorio unico, «preteso indice di irragionevolezza,
costituisce un mero inconveniente di fatto» (sentenza n. 114 del
2017, già citata).
13.–
Le Regioni Abruzzo, Marche, Puglia e Veneto impugnano anche l’art. 38, comma 6,
del d.l. n. 133 del 2014, il quale concorre a disciplinare il titolo concessorio unico, stabilendo che: «Il titolo concessorio unico di cui al comma 5 è accordato: a) a seguito di un procedimento unico
svolto nel termine di centottanta giorni tramite apposita conferenza di
servizi, nel cui ambito è svolta anche la valutazione ambientale preliminare
del programma complessivo dei lavori espressa, entro sessanta giorni, con
parere della Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale VIA/VAS
del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare; b) con decreto del Ministro dello
sviluppo economico, previa intesa con la regione o la provincia autonoma di
Trento o di Bolzano territorialmente interessata, per le attività da svolgere
in terraferma, sentite la Commissione per gli idrocarburi e le risorse
minerarie e le Sezioni territoriali dell’Ufficio nazionale minerario
idrocarburi e georisorse; c) a soggetti che dispongono di capacità tecnica, economica ed
organizzativa ed offrono garanzie adeguate alla esecuzione e realizzazione dei
programmi presentati e con sede sociale in Italia o in altri Stati membri
dell’Unione europea e, a condizioni di reciprocità, a soggetti di altri Paesi.
Il rilascio del titolo concessorio unico ai medesimi
soggetti è subordinato alla presentazione di idonee fideiussioni bancarie o
assicurative commisurate al valore delle opere di recupero ambientale
previste».
Le
censure delle ricorrenti possono essere sintetizzate come segue: a) l’intero comma 6 violerebbe gli artt.
117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., non prevedendo un’intesa in senso
forte con la Regione, nemmeno in sede di conferenza di servizi, la cui mancanza
non risulterebbe foriera di conseguenza giuridica alcuna, e determinando un
impiego improprio delle valutazioni ambientali (Regione Abruzzo); b) la lettera a) del comma 6 confermerebbe l’espropriazione delle competenze
regionali in tema di VIA, esponendosi alle medesime censure mosse al precedente
comma 4 del medesimo art. 38 in riferimento agli artt. 3, 97, 117, terzo e
quarto comma, e 118 Cost. (Regione Veneto); c)
la disposizione – in particolare la
lettera b) del comma 6 – violerebbe
gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118, primo comma, Cost., nonché il
principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., in quanto non prevederebbe l’intesa con la Regione per il rilascio del
titolo concessorio unico relativo alle attività in
mare (Regioni Abruzzo, Marche, Puglia e Veneto); d) la norma comporterebbe altresì la violazione dell’art. 3 Cost.,
realizzando un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto alle attività
minerarie sulla terraferma (Regioni Marche e Puglia).
13.1.– La questione di legittimità costituzionale della norma in
esame promossa dalla Regione Abruzzo in riferimento agli artt. 117, terzo
comma, e 118, primo comma, Cost. – indicata sub
a) al punto precedente – è
inammissibile.
La
ricorrente non chiarisce la ragione per cui l’intesa prevista dal comma 6 non
sarebbe "forte” e neppure in che modo l’asserita impropria previsione di VIA e
valutazione ambientale strategica (VAS) determinerebbe la violazione dei
parametri evocati.
Si
deve pertanto concludere che «le argomentazioni svolte dalla ricorrente a
sostegno dell’impugnazione "non raggiungono quella soglia minima di chiarezza e
completezza cui è subordinata l’ammissibilità delle impugnative in via
principale (ex plurimis,
sentenza n. 312
del 2013)” (sentenza
n. 88 del 2014)» (sentenza n. 125 del
2015), con conseguente inammissibilità della questione proposta.
13.2.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 38,
comma 6, lettera a), del d.l. n. 133
del 2014, promossa dalla Regione Veneto in riferimento agli artt. 3, 97, 117,
terzo e quarto comma, e 118 Cost., non è fondata.
Valgono
in proposito le stesse osservazioni rivolte alle censure della stessa Regione
nei confronti del comma 4 del medesimo art. 38 (precedenti punti 11.2 e 11.4),
estese al successivo comma 6, lettera a),
in quanto la norma si rivolge alla procedura di VIA, implicitamente
confermandone la sottrazione alla sede regionale.
13.3.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 38,
comma 6, lettera b), del d.l. n. 133
del 2014, promosse dalle Regioni Abruzzo, Marche, Puglia e Veneto in
riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118, primo comma, Cost.,
nonché al principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., non sono
fondate.
Le
censure muovono dal presupposto che la norma realizzi una fattispecie di
attrazione in sussidiarietà, la quale, per essere legittima, imporrebbe il
modulo collaborativo dell’intesa con la Regione.
Tale
assunto contrasta con quanto recentemente affermato da questa Corte, ossia che,
«[s]ebbene la disposizione sia astrattamente riconducibile alla materia
concorrente "produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”,
occupandosi dei titoli che abilitano alle attività minerarie nel settore degli
idrocarburi, non si ravvisano i presupposti per la chiamata in sussidiarietà,
la quale implica, come detto, la sussistenza di una competenza regionale. Le
regioni, infatti, non hanno alcuna competenza con riguardo alle attività di
prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi in mare (di recente, sentenza n. 39 del 2017).
Ne consegue l’infondatezza della pretesa delle ricorrenti di coinvolgimento
regionale, attraverso l’intesa, nel rilascio dei titoli abilitativi a dette
attività che ivi dovrebbero svolgersi» (sentenza n. 114 del
2017).
13.4.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 38,
comma 6, lettera b), del d.l. n. 133
del 2014, promosse dalle Regioni Marche e Puglia in riferimento all’art. 3
Cost., non sono fondate.
La
discriminazione che la norma realizza tra attività minerarie sulla terraferma
ed omologhe attività in mare – subordinando solo per le prime il rilascio del
titolo concessorio unico all’intesa con la Regione –
si giustifica in ragione del rilievo che nel secondo caso, diversamente
dall’altro, non sussiste alcuna competenza regionale con riguardo alle attività
di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi, onde l’impossibilità
di configurare una fattispecie di attrazione in sussidiarietà e la necessità
dell’intesa che essa implica.
14.– La Regione Abruzzo impugna, in riferimento agli artt. 117,
terzo comma, e 118, primo comma, Cost., i commi 6-bis – secondo cui «I progetti di opere e di interventi relativi
alle attività di ricerca e di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi
relativi a un titolo concessorio unico di cui al
comma 5 sono sottoposti a valutazione di impatto ambientale nel rispetto della
normativa dell’Unione europea. La valutazione di impatto ambientale è
effettuata secondo le modalità e le competenze previste dalla parte seconda del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni» – e 6-ter – secondo cui «Il rilascio di nuove
autorizzazioni per la ricerca e per la coltivazione di idrocarburi è vincolato
a una verifica sull’esistenza di tutte le garanzie economiche da parte della
società richiedente, per coprire i costi di un eventuale incidente durante le
attività, commisurati a quelli derivanti dal più grave incidente nei diversi
scenari ipotizzati in fase di studio ed analisi dei rischi» – dell’art. 38 del
d.l. n. 133 del 2014.
Le
norme estrometterebbero dal procedimento volto al rilascio del titolo concessorio unico relativamente alle attività minerarie in
mare, oltre che gli enti locali, anche le Regioni, considerate alla stregua di
tutte le altre amministrazioni che concorrono al processo decisionale.
La
descritta questione di legittimità costituzionale è inammissibile.
Le
censure sono rivolte cumulativamente ed indistintamente ai commi in questione,
senza che emerga in maniera chiara in che modo si colleghino agli stessi,
cosicché non risulta adeguatamente assolto l’onere motivazionale (sentenza n. 244 del
2016).
15.– Le Regioni Abruzzo, Lombardia e Campania impugnano l’art.
38, comma 7, del d.l. n. 133 del 2014, secondo il quale «Con disciplinare tipo,
adottato con decreto del Ministero dello sviluppo economico, sono stabilite,
entro centoottanta giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, le
modalità di conferimento del titolo concessorio unico
di cui al comma 5, nonché le modalità di esercizio delle relative attività ai
sensi del presente articolo».
Le
ricorrenti, muovendo dal presupposto che la norma integri una fattispecie di
chiamata in sussidiarietà, lamentano il mancato coinvolgimento regionale
attraverso l’intesa nell’adozione del disciplinare, con conseguente violazione
degli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost.
Le
questioni sono fondate.
Il
disciplinare tipo – adottato con decreto del Ministro dello sviluppo economico
del 25 marzo 2015 (Aggiornamento del disciplinare tipo in attuazione
dell’articolo 38 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con
modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164) e successivamente abrogato
e sostituito dal decreto del Ministero dello sviluppo economico 7 dicembre 2016
(Disciplinare tipo per il rilascio e l’esercizio dei titoli minerari per la
prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in
terraferma, nel mare territoriale e nella piattaforma continentale) – prevede,
coerentemente con quanto disposto dalla norma impugnata, le modalità di
conferimento del titolo concessorio unico e le
modalità di esercizio delle attività in tema di idrocarburi. Ciò anche con
riferimento a quelle sulla terraferma, come chiaramente previsto dall’art. 1 di
entrambi i decreti.
Il
censurato comma incide dunque sulla materia di competenza concorrente
«produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», cui ricondurre
le attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi sulla
terraferma. Rimettendo esclusivamente al Ministro dello sviluppo economico
l’adozione del disciplinare tipo, realizza una chiamata in sussidiarietà senza
alcun coinvolgimento delle Regioni, sebbene questa Corte abbia reiteratamente
affermato l’esigenza della previsione «di procedure che assicurino la
partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di leale
collaborazione o, comunque, [… di] adeguati meccanismi di cooperazione per
l’esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi
centrali» (sentenza
n. 7 del 2016).
D’altra
parte, scrutinando una fattispecie normativa analoga a quella in
considerazione, sempre afferente al settore energetico degli idrocarburi,
questa Corte ha ravvisato «la parziale illegittimità costituzionale della
disposizione censurata, per la mancata previsione di strumenti di leale
collaborazione per la parte che si riferisce a materie di competenza
legislativa ed amministrativa delle Regioni interessate» (sentenza n. 339 del
2009).
Si
deve pertanto concludere che l’art. 38, comma 7, del d.l. n. 133 del 2014 è
costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui non prevede un adeguato
coinvolgimento delle Regioni nel procedimento finalizzato all’adozione del
decreto del Ministro dello sviluppo economico con cui sono stabilite le
modalità di conferimento del titolo concessorio
unico, nonché le modalità di esercizio delle relative attività.
16.– Le Regioni Abruzzo e Veneto impugnano l’art. 38, comma 8,
del d.l. n. 133 del 2014, secondo cui «I commi 5, 6 e 6-bis si applicano, su
istanza del titolare o del richiedente, da presentare entro novanta giorni
dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto, anche ai titoli rilasciati successivamente alla data di entrata in
vigore del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e ai procedimenti in
corso. Il comma 4 si applica fatta salva l’opzione, da parte dell’istante, di
proseguimento del procedimento di valutazione di impatto ambientale presso la
regione, da esercitare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore
della legge di conversione del presente decreto».
In
particolare, la Regione Abruzzo estende al comma in considerazione le censure
rivolte al precedente comma 4 del medesimo art. 38 – espressamente richiamato
dal secondo periodo della disposizione impugnata – deducendone pertanto il
contrasto con gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost. La Regione
Veneto rivolge alla norma le stesse censure formulate con riguardo ai
precedenti commi 4, 5 e 6 dell’art. 38 – gli ultimi due richiamati dal primo
periodo del comma 8 – in riferimento agli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto
comma, 118 Cost., nonché al principio di leale
collaborazione di cui all’art. 120 Cost., lamentando la violazione dell’art. 3
Cost. sotto un ulteriore profilo, ossia in ragione
dell’effetto retroattivo della norma.
16.1.– La questione nei confronti di tale norma, promossa dalla
Regione Abruzzo in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma,
Cost., non è fondata.
In
merito possono richiamarsi gli argomenti esposti a proposito delle censure
rivolte dalla stessa Regione al comma 4 del medesimo art. 38 (precedente punto
11.2), estese al successivo comma 8, secondo periodo, in ragione del richiamo
normativo ivi contenuto.
16.2.– Le questioni proposte dalla Regione Veneto in riferimento
agli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto comma, 118 Cost., nonché al principio di
leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., sono in parte inammissibili ed
in parte infondate.
La
questione proposta in riferimento all’art. 3 Cost. è
inammissibile quanto al profilo afferente all’effetto retroattivo della norma,
atteso che la dedotta censura non è assistita da adeguata motivazione (sentenza n. 131 del
2016).
Quanto
agli ulteriori parametri, la questione non è fondata per le ragioni indicate a
proposito delle censure rivolte dalla medesima Regione ai commi 4, 5 e 6
dell’art. 38 (precedenti punti 11.2, 11.4, 12.2 e 13.3), richiamati dalla
disposizione censurata.
17.– Le Regioni Abruzzo, Marche, Puglia, Lombardia e Veneto
impugnano l’art. 38, comma 10, del d.l. n. 133 del 2014, il quale dispone che
«All’articolo 8 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, dopo il comma 1 sono inseriti
i seguenti: "1-bis. Al fine di tutelare
le risorse nazionali di idrocarburi in mare localizzate nel mare continentale e
in ambiti posti in prossimità delle aree di altri Paesi rivieraschi oggetto di
attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi, per assicurare il relativo
gettito fiscale allo Stato e al fine di valorizzare e provare in campo
l’utilizzo delle migliori tecnologie nello svolgimento dell’attività mineraria,
il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentite le Regioni
interessate, può autorizzare, previo espletamento della procedura di
valutazione di impatto ambientale che dimostri l’assenza di effetti di
subsidenza dell’attività sulla costa, sull’equilibrio dell’ecosistema e sugli
insediamenti antropici, per un periodo non superiore a cinque anni, progetti
sperimentali di coltivazione di giacimenti. I progetti sono corredati sia da
un’analisi tecnico-scientifica che dimostri l’assenza di effetti di subsidenza
dell’attività sulla costa, sull’equilibrio dell’ecosistema e sugli insediamenti
antropici e sia dai relativi progetti e programmi dettagliati di monitoraggio e
verifica, da condurre sotto il controllo del Ministero dello sviluppo economico
e del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. Ove nel
corso delle attività di verifica vengano accertati fenomeni di subsidenza sulla
costa determinati dall’attività, il programma dei lavori è interrotto e
l’autorizzazione alla sperimentazione decade. Qualora al termine del periodo di
validità dell’autorizzazione venga accertato che l’attività è stata condotta
senza effetti di subsidenza dell’attività sulla costa, nonché sull’equilibrio
dell’ecosistema e sugli insediamenti antropici, il periodo di sperimentazione
può essere prorogato per ulteriori cinque anni, applicando le medesime
procedure di controllo. 1-ter. Nel
caso di attività di cui al comma 1-bis,
ai territori costieri si applica quanto previsto dall’articolo 1, comma 5,
della legge n. 239 del 2004 e successive modificazioni. 1-quater. All’articolo 1, comma 5, della legge 23 agosto 2004, n.
239, e successive modificazioni, dopo le parole: ‘Le regioni’ sono inserite le
seguenti: ‘, gli enti pubblici territoriali’.”».
La
disposizione introduce una deroga al divieto di attività minerarie in mare –
altrimenti assentibili alla stregua del generale regime giuridico dei titoli
abilitativi – «in ambiti posti in prossimità delle aree di altri Paesi
rivieraschi» oggetto di attività analoghe. Il riferimento alla vicinanza alle
sedi di insistenza delle attività minerarie dei Paesi rivieraschi, se esclude
che i progetti sperimentali possano riguardare il mare territoriale (in cui il
divieto è sancito dall’art. 6, comma 17, del d.lgs. n. 152 del 2006) e, per
ragioni geografiche, la maggior parte – se non tutte – le altre aree in cui
dette attività sono altrimenti precluse (le acque del Golfo di Napoli, del
Golfo di Salerno e delle Isole Egadi, ai sensi dell’art. 4 della legge n. 9 del
1991), induce a ritenere che la norma censurata sia applicabile al Golfo di
Venezia, in cui il divieto, anch’esso previsto dal menzionato art. 4 della
legge n. 9 del 1991, è stato successivamente ribadito dall’art. 8, comma 1, del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico,
la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica
e la perequazione Tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6
agosto 2008, n. 133.
D’altra
parte, la stessa collocazione sistematica del comma 1-bis – introdotto dalla norma censurata nell’ambito del citato art.
8 del d.l. n. 112 del 2008 subito di seguito al comma 1 – corrobora la
conclusione che la deroga operi in detta area.
Tanto
premesso, le censure rivolte dalle ricorrenti all’art. 38, comma 10, del d.l.
n. 133 del 2014 si possono sintetizzare come segue: a) la norma violerebbe gli artt. 117, secondo, terzo e quarto
comma, e 118 Cost., nonché il principio di leale collaborazione di cui all’art.
120 Cost., in quanto la fattispecie di chiamata in sussidiarietà da essa
integrata esigerebbe l’intesa con le Regioni interessate anziché il mero parere
delle stesse (Regioni Abruzzo, Marche, Puglia, Lombardia e Veneto); b) la norma sarebbe irragionevole, con
conseguente violazione dell’art. 3 Cost., in quanto legittimerebbe attività
minerarie in un’area in cui, a fronte del rischio di subsidenza sulle coste,
l’art. 26, comma 2, della legge 31 luglio 2002, n. 179 (Disposizioni in materia
ambientale) – integrando l’art. 4, comma 1, della legge n. 9 del 1991 – le aveva
vietate e l’art. 8, comma 1, del d.l. n. 112 del 2008 aveva previsto il divieto
fino a quando non fosse stata accertata l’insussistenza di rischi di
subsidenza: nonostante l’evidenza del fenomeno della subsidenza, mancherebbe un
adeguato bilanciamento degli interessi in gioco, sacrificandosi la tutela
dell’ambiente, della salute e dell’integrità del territorio agli altri scopi di
natura economica (Regione Veneto); c) la norma contrasterebbe altresì con gli
artt. 11 e 117, primo comma, Cost. in relazione all’art.
191 del TFUE, espressivo del principio di precauzione, in quanto, in presenza
di incertezze scientifiche, nel dubbio circa i rischi correlati alle attività
minerarie dovrebbero prevalere le esigenze di protezione dell’ambiente sugli
interessi economici (Regione Veneto); d) infine, la norma violerebbe l’art. 119,
sesto comma, Cost. – ledendo l’integrità del demanio regionale – e gli artt. 9,
32 e 97 Cost. (Regione Veneto).
17.1.– In via preliminare deve essere dichiarata
l’inammissibilità delle censure rivolte all’art. 38, comma 10, del d.l. n. 133
del 2014 dalla Regione Lombardia.
Occorre
rammentare che le Regioni «hanno titolo a denunciare soltanto le violazioni che
siano in grado di ripercuotere i loro effetti, in via diretta ed immediata,
sulle prerogative costituzionali loro riconosciute dalla Costituzione. Da ciò
consegue che è in tale quadro – caratterizzato dalla necessità che l’iniziativa
assunta dalle Regioni ricorrenti sia oggettivamente diretta a conseguire
l’utilità propria, ovviamente, del tipo di giudizio che, di volta in volta,
venga in rilievo – che deve essere valutata la sussistenza dell’interesse ad
agire, da postulare soltanto quando esso presenti le caratteristiche della
concretezza e dell’attualità, consistendo in quella utilità diretta ed
immediata che il soggetto che agisce può ottenere con il provvedimento
richiesto al giudice» (sentenze n. 107 del
2009 e n.
216 del 2008).
Poiché
(anche) la Regione Lombardia, attraverso l’impugnativa, mira alla sostituzione
del parere con l’intesa con la Regione interessata e poiché, trattandosi di
progetti sperimentali «nel mare continentale e in ambiti posti in prossimità
delle aree di altri Paesi rivieraschi oggetto di attività» minerarie, per la
sua collocazione geografica (priva di sbocchi sul mare) la ricorrente non
potrebbe mai trovarsi in tale situazione, si deve concludere che essa non può
trarre nessuna utilità diretta ed immediata, sul piano sostanziale, da una
eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della contestata disciplina
legislativa statale. Difettano, dunque, le caratteristiche di concretezza ed
attualità che devono necessariamente connotare l’interesse ad agire, onde
l’inammissibilità della questione promossa dalla Regione Lombardia.
17.2.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 38,
comma 10, del d.l. n. 133 del 2014, promosse dalle Regioni Abruzzo, Marche,
Puglia e Veneto in riferimento agli artt. 117, secondo, terzo e quarto comma, e
118 Cost., nonché al principio di leale collaborazione di cui all’art. 120
Cost., non sono fondate.
Anche
in questo caso le censure muovono dal presupposto che la norma realizzi una
fattispecie di attrazione in sussidiarietà, la quale, per essere
costituzionalmente legittima, imporrebbe il modulo collaborativo dell’intesa
con la Regione.
Tuttavia,
anche nella fattispecie «non si ravvisano i presupposti per la chiamata in
sussidiarietà, la quale implica, come detto, la sussistenza di una competenza
regionale. Le regioni, infatti, non hanno alcuna competenza con riguardo alle
attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi in mare (di
recente, sentenza
n. 39 del 2017). Ne consegue l’infondatezza della pretesa delle ricorrenti
di coinvolgimento regionale, attraverso l’intesa» (sentenza n. 114 del
2017). Di qui l’infondatezza delle questioni proposte.
17.3.– Le censure rivolte dalla Regione Veneto all’art. 38, comma
10, del d.l. n. 133 del 2014 in riferimento agli artt. 9, 32, 97 e 119, sesto
comma, Cost. sono inammissibili.
La
ricorrente deduce la violazione dei citati parametri senza offrire adeguata
motivazione a supporto dell’asserita illegittimità, sostanzialmente limitandosi
ad evocarli.
17.4.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 38,
comma 10, del d.l. n. 133 del 2014, promossa dalla Regione Veneto in
riferimento all’art. 3 Cost., è fondata.
La
norma, infatti, a fronte del precedente reiterato divieto di attività minerarie
nel Golfo di Venezia fino a quando non sia definitivamente accertata «la non
sussistenza di rischi apprezzabili di subsidenza sulle coste» (art. 8, comma 1,
del d.l. n. 112 del 2008), prevede la sperimentazione «delle migliori
tecnologie nello svolgimento delle attività minerarie» proprio nell’area in
questione – quantomeno connotata da un alto grado di rischio ambientale, alla
luce della precedente norma, peraltro ad oggi non abrogata – e la consente fino
a quando l’effetto di subsidenza non si sia verificato, prevedendone pertanto
l’interruzione quando l’eventuale danno si sia ormai prodotto.
In
tal modo essa non bilancia affatto i valori che vengono in rilievo, bensì
sacrifica agli interessi energetici e fiscali – desumibili dalle finalità
esplicitamente perseguite – quello alla salvaguardia dell’ambiente, ossia
proprio il bene che l’impianto normativo intenderebbe maggiormente proteggere.
Di qui la palese irragionevolezza della disposizione e la fondatezza della
questione proposta.
17.5.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 38,
comma 10, del d.l. n. 133 del 2014, promossa dalla Regione Veneto in
riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. ed
in relazione all’art. 191 del TFUE, resta assorbita.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle
altre questioni di legittimità costituzionale promosse con i ricorsi indicati
in epigrafe;
riuniti i giudizi,
1) dichiara inammissibili gli interventi
dell’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus Ong (WWF Italia) nei
giudizi promossi dalle Regioni Abruzzo, Marche, Puglia, Lombardia, Veneto,
Campania e Calabria rispettivamente con i ricorsi n. 2, n. 4, n. 5, n. 6, n.
10, n. 13 e n. 14 del 2015 e dell’Associazione "Amici del Parco Archeologico di
Pantelleria” nel giudizio promosso dalla Regione Puglia con il ricorso n. 5 del
2015;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 38, comma 7, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure
urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la
digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del
dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito,
con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, nella parte in cui non
prevede un adeguato coinvolgimento delle Regioni nel procedimento finalizzato
all’adozione del decreto del Ministero dello sviluppo economico con cui sono
stabilite le modalità di conferimento del titolo concessorio
unico, nonché le modalità di esercizio delle relative attività;
3) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 38, comma 10, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito;
4) dichiara inammissibile il ricorso n. 14
del 2015, proposto dalla Regione Calabria avverso l’art. 38, commi 1, 4, 5 e 6,
del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, in riferimento agli artt. 114, 117,
terzo, quarto e quinto comma, 118 e 120 della Costituzione, nonché ai principi
di leale collaborazione e di sussidiarietà;
5) dichiara inammissibile la questione di
legittimità costituzionale del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, promossa,
in riferimento all’art. 77 Cost., dalla Regione
Lombardia con il ricorso n. 6 del 2015;
6)
dichiara inammissibile la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 38 del d.l. n. 133 del 2014, come
convertito, promossa, in riferimento all’art. 77 Cost.,
dalla Regione Abruzzo con il ricorso n. 2 del 2015;
7) dichiara inammissibile la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 38 del d.l. n. 133 del 2014, come
convertito, promossa, in riferimento agli artt. 117, secondo e terzo comma, e
118 Cost., dalla Regione Lombardia con il ricorso n. 6
del 2015;
8) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 38 del d.l. n. 133 del 2014, come
convertito, promossa, in riferimento all’art. 77, secondo comma, Cost., dalla Regione Lombardia con il ricorso n. 6 del 2015;
9) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 1, del d.l. n. 133 del 2014,
come convertito, promossa, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., dalla Regione Abruzzo con il ricorso n. 2 del 2015;
10) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 1, del d.l. n. 133 del 2014,
come convertito, promossa, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, 118 e
120 Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso n. 10
del 2015;
11) dichiara cessata la materia del
contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 38,
comma 1-bis, del d.l. n. 133 del
2014, come convertito – promosse in riferimento agli artt. 11, 117, primo,
secondo e terzo comma, 118 e 120 Cost. ed in relazione agli artt. 3, paragrafo
2, lettera a), 4 e da 5 a 12 della
direttiva 27 giugno 2001, n. 2001/42/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e
programmi sull’ambiente), dalle Regioni Abruzzo, Marche, Puglia, Lombardia e
Veneto, rispettivamente con i ricorsi n. 2, n. 4, n. 5, n. 6 e n. 10 del 2015 –
nonché dell’art. 1, comma 554, della legge 23 dicembre 2014, n. 190
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
– legge di stabilità 2015), promosse, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost.
ed al principio di leale collaborazione di cui agli
artt. 5 e 120 Cost., delle Regioni Campania, Abruzzo, Marche e Puglia
rispettivamente con i ricorsi n. 32, n. 35, n. 39 e n. 40 del 2015;
12) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 2, del d.l. n. 133 del 2014,
come convertito, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso n. 10 del 2015;
13) dichiara inammissibile la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 2, del d.l. n. 133 del 2014,
come convertito, promossa, in riferimento agli artt. 118 e 120 Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso n. 10 del 2015;
14) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 3, del d.l. n. 133 del 2014,
come convertito, promossa, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma,
e 118 Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso n. 10
del 2015;
15) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 4, del d.l. n. 133 del 2014,
come convertito, promosse, in riferimento agli artt. 117, secondo, terzo e quarto
comma, e 118, primo comma, Cost., dalle Regioni
Abruzzo, Lombardia e Veneto rispettivamente con i ricorsi n. 2, n. 6 e n. 10
del 2015;
16) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 4, del d.l. n. 133 del 2014,
come convertito, promosse, in riferimento all’art. 120 Cost.,
anche in relazione all’art. 8, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131
(Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), dalle Regioni Marche, Puglia e Lombardia
rispettivamente con i ricorsi n. 4, n. 5 e n. 6 del 2015;
17) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 4, del d.l. n. 133 del 2014,
come convertito, promossa, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.,
dalla Regione Veneto con il ricorso n. 10 del 2015;
18)
dichiara inammissibile la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 4, del d.l. n. 133 del 2014,
come convertito, promossa, in riferimento all’art. 3 Cost.,
dalla Regione Lombardia con il ricorso n. 6 del 2015;
19) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 4, del d.l. n. 133 del 2014,
come convertito, promossa, in riferimento all’art. 119 Cost.,
dalla Regione Lombardia con il ricorso n. 6 del 2015;
20) dichiara inammissibile la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 5, del d.l. n. 133 del 2014,
come convertito, promossa, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost. ed in relazione alla direttiva 30 maggio 1994, n. 94/22/CE
(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle condizioni di
rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla prospezione, ricerca e
coltivazione di idrocarburi), dalla Regione Abruzzo con il ricorso n. 2 del 2015;
21) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 5, del d.l. n. 133 del 2014,
come convertito, promossa, in riferimento all’art. 3 Cost.,
dalla Regione Veneto con il ricorso n. 10 del 2015;
22) dichiara inammissibile la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 6, del d.l. n. 133 del 2014,
come convertito, promossa, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118,
primo comma, Cost., dalla Regione Abruzzo con il
ricorso n. 2 del 2015;
23) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 6, lettera a), del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, promossa, in
riferimento agli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso n. 10 del 2015;
24) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 6, lettera b), del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, promosse, in
riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118, primo comma, Cost. ed al principio di leale collaborazione di cui all’art. 120
Cost., dalle Regioni Abruzzo, Marche, Puglia e Veneto rispettivamente con i
ricorsi n. 2, n. 4, n. 5 e n. 10 del 2015;
25) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 6, lettera b), del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, promosse, in
riferimento all’art. 3 Cost., dalle Regioni Marche e
Puglia rispettivamente con i ricorsi n. 4 e n. 5 del 2015;
26) dichiara inammissibile la questione di
legittimità costituzionale dell’art 38, commi 6-bis e 6-ter, del d.l. n.
133 del 2014, come convertito, promossa, in riferimento agli artt. 117, terzo
comma, e 118, primo comma, Cost., dalla Regione
Abruzzo con il ricorso n. 2 del 2015;
27) dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 38, comma 8, del d.l. n. 133 del 2014, come
convertito, promossa, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo
comma, Cost., dalla Regione Abruzzo con il ricorso n.
2 del 2015;
28)
dichiara inammissibile la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 8, del d.l. n. 133 del 2014,
come convertito, promossa, in riferimento all’art. 3 Cost. sotto
il profilo della retroattività, dalla Regione Veneto con il ricorso n. 10 del
2015;
29) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 8, del d.l. n. 133 del 2014,
come convertito, promosse, in riferimento agli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto
comma, e 118 Cost. ed al principio di leale
collaborazione di cui all’art. 120 Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso
n. 10 del 2015.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2017.
F.to:
Paolo
GROSSI, Presidente
Aldo
CAROSI, Redattore
Roberto
MILANA, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria il 12 luglio 2017.