Sentenza n. 170 del 2017

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SENTENZA N. 170

ANNO 2017

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo                             GROSSI                                             Presidente

-           Giorgio                          LATTANZI                                          Giudice

-           Aldo                              CAROSI                                                     

-           Marta                            CARTABIA                                               

-           Mario Rosario               MORELLI                                                  

-           Giancarlo                      CORAGGIO                                              

-           Giuliano                        AMATO                                                     

-           Silvana                          SCIARRA                                                  

-           Daria                             de PRETIS                                                 

-           Nicolò                           ZANON                                                     

-           Franco                           MODUGNO                                              

-           Augusto Antonio          BARBERA                                                

-           Giulio                            PROSPERETTI                                          

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, dell’intero art. 38 del citato d.l. e dei commi 1, 1-bis, 2, 3, 4, 5, 6, 6-bis, 6-ter, 7, 8 e 10 del medesimo art. 38, promossi dalle Regioni Abruzzo, Marche, Puglia, Lombardia, Veneto, Campania e Calabria con ricorsi notificati il 30 dicembre 2014, il 9-14 gennaio 2018 (tre ricorsi), il 9 gennaio 2015, il 12 gennaio 2015 e il 13 gennaio 2015, depositati in cancelleria il 7, il 15 (tre ricorsi), il 16, il 21 (due ricorsi) gennaio 2015, ed iscritti ai nn. 2, 4, 5, 6, 10, 13 e 14 del registro ricorsi 2015; nonché dell’art. 1, comma 554, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015), promossi dalle Regioni Campania, Abruzzo, Marche e Puglia, con ricorsi notificati il 27 febbraio-4 marzo (due ricorsi), il 25 febbraio e il 27 febbraio-5 marzo 2015, depositati in cancelleria il 4, il 5 ed il 6 marzo (due ricorsi) 2015 ed iscritti ai nn. 32, 35, 39 e 40 del registro ricorsi 2015.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché gli atti di intervento dell’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) Onlus Ong e quello, fuori termine, dell’Associazione "Amici del Parco Archeologico di Pantelleria”;

udito nell’udienza pubblica del 23 maggio 2017 il Giudice relatore Aldo Carosi;

uditi gli avvocati Francesca Lalli per la Regione Abruzzo, Francesco Saverio Marini per le Regioni Marche e Puglia, Giovanni Guzzetta per la Regione Lombardia, Ezio Zanon, Luca Antonini ed Andrea Manzi per la Regione Veneto, Alba Di Lascio e Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Campania, Graziano Pungì per la Regione Calabria e l’avvocato dello Stato Andrea Fedeli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso depositato il 7 gennaio 2015 (reg. ric. n. 2 del 2015) la Regione Abruzzo ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 38 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive) – convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164 – nonché, specificamente, dei commi 1, 1-bis, 4, 5, 6, 6-bis, 6-ter, 7, 8 e 10 del medesimo articolo, in riferimento agli artt. 77, 117, primo e terzo comma, 118, primo comma, della Costituzione ed al principio di leale collaborazione, nonché in relazione alla direttiva 30 maggio 1994, n. 94/22/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle condizioni di rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi), recepita con decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625 (Attuazione della direttiva 94/22/CEE relativa alle condizioni di rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi).

Anzitutto, la ricorrente censura l’art. 38 del d.l. n. 133 del 2014 in quanto contenuto in un atto normativo adottato in difetto dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza.

Inoltre, sulla premessa che la disposizione sarebbe riconducibile alla materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» in cui la Regione ha competenza legislativa concorrente, la ricorrente censura l’art. 38, comma 1, del d.l. n. 133 del 2014, secondo il quale «Al fine di valorizzare le risorse energetiche nazionali e garantire la sicurezza degli approvvigionamenti del Paese, le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale rivestono carattere di interesse strategico e sono di pubblica utilità, urgenti e indifferibili. I relativi titoli abilitativi comprendono pertanto la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dell’opera e l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio dei beni in essa compresi […]».

Secondo la Regione, la qualificazione delle citate attività come «di interesse strategico e […] di pubblica utilità, urgenti e indifferibili» sarebbe generica e priva di motivazione idonea ad attribuire tale status a priori ed in via generale ed astratta. Inoltre, la strategicità non corrisponderebbe al requisito di proporzionalità richiesto per la cosiddetta chiamata in sussidiarietà che la norma intenderebbe realizzare e determinerebbe l’applicazione, alle attività in considerazione, di una procedura semplificata ed accelerata di valutazione di impatto ambientale (VIA) che inibirebbe l’intervento della Regione nell’iter autorizzativo, in violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost.

La ricorrente censura altresì il comma 1-bis – nella versione anteriore alla sostituzione operata dall’art. 1, comma 554, della legge 23 dicembre 2014, n. 190,  recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)» – del citato art. 38, secondo cui «Il Ministro dello sviluppo economico, con proprio decreto, sentito il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, predispone un piano delle aree in cui sono consentite le attività di cui al comma 1».

La norma, incidendo in materie di competenza regionale concorrente (produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; governo del territorio e tutela della salute), richiederebbe il coinvolgimento della Regione nell’adozione del piano attraverso la previsione di un’intesa in senso forte in seno alla Conferenza unificata. La mancanza di simile previsione determinerebbe la violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonché del principio di leale collaborazione.

La ricorrente impugna inoltre il successivo comma 4 del medesimo articolo, il quale dispone che «Per i procedimenti di valutazione di impatto ambientale in corso presso le regioni alla data di entrata in vigore del presente decreto, relativi alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, la regione presso la quale è stato avviato il procedimento conclude lo stesso entro il 31 marzo 2015. Decorso inutilmente tale termine, la regione trasmette la relativa documentazione al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare per i seguiti istruttori di competenza, dandone notizia al Ministero dello sviluppo economico. […]».

La norma determinerebbe un’avocazione allo Stato di funzioni di attuale titolarità regionale, in riferimento a procedimenti già in corso, correlata al mero decorso del tempo ed in assenza di coinvolgimento della regione, in violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost.

La Regione censura altresì il successivo comma 5, secondo cui «Le attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi di cui alla legge 9 gennaio 1991, n. 9, sono svolte a seguito del rilascio di un titolo concessorio unico […]».

La disposizione contrasterebbe con l’art. 117, primo comma, Cost. in relazione alla direttiva 94/22/CE – recepita dal d.lgs. n. 625 del 1996 – in base alla quale i titoli abilitativi dovrebbero essere necessariamente due – il permesso di ricerca e la concessione di coltivazione – anche per ragioni di tutela del diritto di proprietà.

La ricorrente impugna anche il comma 6, secondo cui «Il titolo concessorio unico di cui al comma 5 è accordato: a) a seguito di un procedimento unico svolto nel termine di centottanta giorni tramite apposita conferenza di servizi, nel cui ambito è svolta anche la valutazione ambientale preliminare del programma complessivo dei lavori espressa, entro sessanta giorni, con parere della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA/VAS del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare; b) con decreto del Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la regione o la provincia autonoma di Trento o di Bolzano territorialmente interessata, per le attività da svolgere in terraferma, sentite la Commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie e le Sezioni territoriali dell’Ufficio nazionale minerario idrocarburi e georisorse; c) a soggetti che dispongono di capacità tecnica, economica ed organizzativa ed offrono garanzie adeguate alla esecuzione e realizzazione dei programmi presentati e con sede sociale in Italia o in altri Stati membri dell’Unione europea e, a condizioni di reciprocità, a soggetti di altri Paesi. Il rilascio del titolo concessorio unico ai medesimi soggetti è subordinato alla presentazione di idonee fideiussioni bancarie o assicurative commisurate al valore delle opere di recupero ambientale previste»; il comma 6-bis, secondo cui «I progetti di opere e di interventi relativi alle attività di ricerca e di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi relativi a un titolo concessorio unico di cui al comma 5 sono sottoposti a valutazione di impatto ambientale nel rispetto della normativa dell’Unione europea. La valutazione di impatto ambientale è effettuata secondo le modalità e le competenze previste dalla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni»; il comma 6-ter, secondo cui «Il rilascio di nuove autorizzazioni per la ricerca e per la coltivazione di idrocarburi è vincolato a una verifica sull’esistenza di tutte le garanzie economiche da parte della società richiedente, per coprire i costi di un eventuale incidente durante le attività, commisurati a quelli derivanti dal più grave incidente nei diversi scenari ipotizzati in fase di studio ed analisi dei rischi»; e il comma 7, a mente del quale «Con disciplinare tipo, adottato con decreto del Ministero dello sviluppo economico, sono stabilite, entro centoottanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, le modalità di conferimento del titolo concessorio unico di cui al comma 5, nonché le modalità di esercizio delle relative attività ai sensi del presente articolo».

Tali norme, nel disciplinare il procedimento per il rilascio del titolo concessorio unico, estrometterebbero da quello relativo alle attività in mare (cosiddette offshore), oltre agli enti locali, le Regioni, considerate alla stregua di tutte le altre amministrazioni che concorrono al processo decisionale. Ciò in violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., che ne imporrebbero il coinvolgimento attraverso intese forti, in ossequio al principio di leale collaborazione, che non sarebbero previste nemmeno in sede di conferenza di servizi e la cui mancanza non risulterebbe foriera di conseguenza giuridica alcuna. Le disposizioni, inoltre, determinerebbero un impiego improprio delle valutazioni ambientali.

La ricorrente impugna anche il successivo comma 8, il quale dispone che «I commi 5, 6 e 6-bis si applicano, su istanza del titolare o del richiedente, da presentare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, anche ai titoli rilasciati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e ai procedimenti in corso. Il comma 4 si applica fatta salva l’opzione, da parte dell’istante, di proseguimento del procedimento di valutazione di impatto ambientale presso la regione, da esercitare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto». La disposizione, richiamando il precedente comma 4, viene impugnata rinviando alle censure formulate con riferimento ad esso.

Infine, la Regione impugna l’art. 38, comma 10, del d.l. n. 133 del 2014 – il quale dispone che «All’articolo 8 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti: "1-bis. Al fine di tutelare le risorse nazionali di idrocarburi in mare localizzate nel mare continentale e in ambiti posti in prossimità delle aree di altri Paesi rivieraschi oggetto di attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi, per assicurare il relativo gettito fiscale allo Stato e al fine di valorizzare e provare in campo l’utilizzo delle migliori tecnologie nello svolgimento dell’attività mineraria, il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentite le Regioni interessate, può autorizzare, previo espletamento della procedura di valutazione di impatto ambientale che dimostri l’assenza di effetti di subsidenza dell’attività sulla costa, sull’equilibrio dell’ecosistema e sugli insediamenti antropici, per un periodo non superiore a cinque anni, progetti sperimentali di coltivazione di giacimenti. I progetti sono corredati sia da un’analisi tecnico-scientifica che dimostri l’assenza di effetti di subsidenza dell’attività sulla costa, sull’equilibrio dell’ecosistema e sugli insediamenti antropici e sia dai relativi progetti e programmi dettagliati di monitoraggio e verifica, da condurre sotto il controllo del Ministero dello sviluppo economico e del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. Ove nel corso delle attività di verifica vengano accertati fenomeni di subsidenza sulla costa determinati dall’attività, il programma dei lavori è interrotto e l’autorizzazione alla sperimentazione decade. Qualora al termine del periodo di validità dell’autorizzazione venga accertato che l’attività è stata condotta senza effetti di subsidenza dell’attività sulla costa, nonché sull’equilibrio dell’ecosistema e sugli insediamenti antropici, il periodo di sperimentazione può essere prorogato per ulteriori cinque anni, applicando le medesime procedure di controllo. 1-ter. Nel caso di attività di cui al comma 1-bis, ai territori costieri si applica quanto previsto dall’articolo 1, comma 5, della legge n. 239 del 2004 e successive modificazioni. 1-quater. All’articolo 1, comma 5, della legge 23 agosto 2004, n. 239, e successive modificazioni, dopo le parole: ‘Le regioni’ sono inserite le seguenti: ‘, gli enti pubblici territoriali’.”» – in quanto, in relazione a determinate risorse nazionali di idrocarburi, consentirebbe al Ministero dello sviluppo economico di autorizzare progetti sperimentali di coltivazione senza prevedere un’intesa forte con le regioni, pur vertendosi in materia di legislazione concorrente.

2.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’infondatezza del ricorso.

Anzitutto il Presidente del Consiglio dei ministri nega che nella fattispecie il decreto-legge che contiene le norme impugnate sia stato adottato in violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost., vertendosi in un caso straordinario di necessità ed d’urgenza.

Quanto alle singole censure, in merito all’art. 38, comma 1, del d.l. n. 133 del 2014 evidenzia come la motivazione della qualificazione ivi operata delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi nonché di quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale sia contenuta nell’incipit della disposizione – «Al fine di valorizzare le risorse energetiche nazionali e garantire la sicurezza degli approvvigionamenti del Paese» – e corroborata dalla relazione al disegno di legge di conversione del decreto. Sarebbe inoltre la natura strategica delle attività in considerazione ad integrare il requisito di proporzionalità necessario per la chiamata in sussidiarietà realizzata dalla disposizione, senza in tal modo determinare alcuna semplificazione del procedimento di VIA, come lamentato dalla ricorrente.

In ordine al successivo comma 1-bis, l’Avvocatura generale dello Stato sottolinea l’intervenuta sostituzione della disposizione ad opera dell’art. 1, comma 554, della legge n. 190 del 2014, con l’introduzione della previsione che, per le attività sulla terraferma, il piano delle aree venga adottato previa intesa con la Conferenza unificata. Di qui la cessazione della materia del contendere.

Con riguardo al censurato comma 4, la difesa erariale evidenzia come la norma miri esclusivamente a dettare una disciplina transitoria destinata a disciplinare gli effetti del trasferimento di competenze in materia di VIA, mantenendo l’adozione del titolo concessorio unico subordinata all’intesa con la Regione interessata.

In merito all’impugnazione del comma 5, il Presidente del Consiglio dei ministri eccepisce l’inammissibilità della censura relativa alla violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., per difetto di ridondanza, e ne contesta nel merito la fondatezza in quanto l’art. 1 della direttiva 94/22/CE non prevederebbe la necessaria duplicità dei titoli abilitativi, ma anzi consentirebbe anche l’adozione di un unico atto autorizzativo per più attività.

Con riguardo al comma 6, il resistente nega la dedotta estromissione degli enti locali – attesa la previsione della conferenza di servizi nel procedimento di adozione del titolo concessorio unico in cui detti enti potrebbero rappresentare gli interessi ad essi facenti capo – nonché la lamentata marginalizzazione della regione, prevedendosi l’intesa con la stessa.

Le considerazioni svolte confuterebbero anche le censure mosse ai commi 8 e 10 del medesimo art. 38.

3.– È intervenuta in giudizio l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) Onlus Ong, deducendo in via preliminare la propria legittimazione all’intervento e, nel merito, sostenendo l’illegittimità costituzionale, tra l’altro, dell’art. 38, commi 1, 1-bis, 4 e 10, del d.l. n. 133 del 2014, per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonché del principio di leale collaborazione con argomenti sostanzialmente coincidenti con quelli svolti dalla Regione Abruzzo.

4.– Con memoria depositata il 10 marzo 2016 la Regione Abruzzo ha evidenziato che l’art. 1, comma 240, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», ha modificato e abrogato alcune delle disposizioni censurate. In ragione di ciò la Regione ha chiesto che sia dichiarata cessata la materia del contendere con riferimento alle questioni di legittimità costituzionale relative all’art. 38, commi 1 e 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014, insistendo nelle censure relative alle altre norme impugnate, ulteriormente avvalorate nella loro fondatezza dalle sopravvenute modifiche apportate al comma 1, da cui è stato espunto il riferimento alla strategicità delle attività minerarie oggetto della disciplina in considerazione.

Con memoria depositata il 2 maggio 2017 la Regione Abruzzo, alla luce delle abrogazioni o delle modifiche apportate dalla legge n. 208 del 2015 alle disposizioni censurate, ha chiesto che sia dichiarata cessata la materia del contendere con riferimento alle questioni di legittimità costituzionale relative all’art. 38, commi 1, 1-bis e 5, del d.l. n. 133 del 2014, rinunciando all’impugnativa del comma 4 del medesimo articolo e, per il resto, insistendo nelle censure già proposte.

5.– Con memoria depositata il 15 marzo 2016 l’Avvocatura generale dello Stato ha dedotto l’inammissibilità del ricorso quanto alle censure rivolte all’art. 38, commi 1 e 1-bis, in ragione delle modifiche ad essi apportate dalla legge n. 208 del 2015. Quanto ai residui motivi di doglianza, la difesa erariale ha ribadito la riconducibilità della disciplina della VIA alla materia «tutela dell’ambiente» ed evidenziato come il comma 4 dell’art. 38 non rappresenti l’esercizio di un potere sostitutivo, bensì una disciplina transitoria dettata nel passaggio dell’allocazione a livello centrale delle procedure di VIA, prevista a regime dal precedente comma 3 funzionalmente alla realizzazione di interventi considerati strategici, in cui la posizione della Regione sarebbe salvaguardata dalla possibilità di rendere il parere previsto dall’art. 25, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), e, a valle, dalla previsione dell’intesa per il rilascio del titolo concessorio unico. Quest’ultima, peraltro, non sarebbe richiesta per le attività minerarie da realizzarsi nel mare continentale – oltre le dodici miglia marine – in quanto lo stesso esulerebbe dalla competenza regionale, ragione per cui non sarebbe configurabile alcuna irragionevole discriminazione.

Con memoria depositata il 2 maggio 2017 l’Avvocatura generale dello Stato ha sostenuto l’inammissibilità del ricorso quanto alle censure rivolte ai commi 1, 1-bis, e 5, in ragione delle modifiche e delle abrogazioni operate dalla legge n. 208 del 2015 e della conseguente sopravvenuta carenza di interesse. Inoltre, ha sostenuto l’infondatezza delle residue censure, ribadendo in sostanza gli argomenti già precedentemente dedotti.

6.– Con ricorso depositato il 15 gennaio 2015 (reg. ric. n. 4 del 2015) la Regione Marche ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 38, commi 1-bis, 4, 6, lettera b), e 10, del d.l. n. 133 del 2014 (come convertito) in riferimento agli artt. 3, primo comma, 117, terzo comma, 118, primo comma, e 120, secondo comma, Cost. ed in relazione all’art. 8, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3).

Anzitutto la ricorrente impugna l’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014 in quanto, intervenendo nelle materie «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e «governo del territorio» di competenza concorrente regionale, nell’attribuire al Ministro dello sviluppo economico la predisposizione del piano delle aree in cui sono consentite le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale senza al contempo prevedere l’intesa con la singola Regione interessata, realizzerebbe una chiamata in sussidiarietà in difetto dei requisiti in cui ciò è consentito. Di qui la violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nella parte in cui non è prevista l’intesa.

La Regione censura altresì il successivo comma 4 del medesimo articolo, in quanto, prevedendo l’avocazione al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare i procedimenti di VIA relativi alle attività di cui al comma 1 in corso alla data di entrata in vigore del decreto che non siano conclusi al 31 dicembre 2015, violerebbe l’art. 120, secondo comma, Cost., atteso che, da un lato, la sostituzione non avverrebbe ad opera del Governo nel suo complesso ma di una sua componente; dall’altro, la sostituzione non interverrebbe secondo le condizioni previste dall’art. 8, comma 1, della legge n. 131 del 2003 né secondo un modulo collaborativo ispirato ad analoghi criteri, che coinvolga adeguatamente la Regione interessata dall’attivazione del potere sostitutivo.

La ricorrente impugna inoltre l’art. 38, comma 6, lettera b), del d.l. n. 133 del 2014, in quanto prevede il rilascio del titolo concessorio unico per le attività di ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi previa intesa con la Regione interessata solo nel caso in cui dette attività debbano svolgersi sulla terraferma e non anche nel mare continentale. Tale disposizione, comunque incidente in materie di competenza legislativa concorrente, realizzerebbe una chiamata in sussidiarietà senza rispettare la condizione dell’intesa, con conseguente violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nella parte in cui non la prevede. La previsione sarebbe altresì in contrasto con l’art. 3, primo comma, Cost., in quanto realizzerebbe un’irragionevole disparità di trattamento tra situazioni del tutto assimilabili.

Infine, la Regione censura il successivo comma 10, in quanto consente l’autorizzazione di progetti sperimentali di coltivazione di giacimenti di idrocarburi previo mero parere delle Regioni interessate sebbene, incidendo in materie di competenza concorrente, la chiamata in sussidiarietà imponga l’intesa. Di qui la violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nella parte in cui si prevede il parere anziché l’intesa con la Regione interessata.

7.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’infondatezza del ricorso.

Anzitutto, il resistente deduce la cessazione della materia del contendere in ordine alla questione relativa all’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014, attesa la sostituzione della norma ad opera dell’art. 1, comma 554, della legge n. 190 del 2014 e l’introduzione della previsione che, per le attività sulla terraferma, il piano delle aree venga adottato previa intesa con la Conferenza unificata, quale organo adeguatamente rappresentativo di Regioni ed enti locali, anch’essi titolari di funzioni amministrative riguardate dalle politiche del settore energetico (si cita la sentenza n. 383 del 2005).

In ordine all’impugnazione del successivo comma 4, l’Avvocatura generale dello Stato evidenzia che la disciplina transitoria ivi prevista, volta a riportare la materia mineraria su un piano tecnico uniforme, superando i ritardi che caratterizzerebbero le procedure di VIA in varie Regioni, non rappresenterebbe l’esercizio di un potere sostitutivo da parte dello Stato ex art. 120 Cost. – che presupporrebbe trattarsi di competenze che sono e restano proprie dell’ente sostituito – ma la rimessione al Governo delle funzioni amministrative nella materia ambientale, di competenza esclusiva statale, ivi allocando il procedimento di esercizio delle stesse per ragioni unitarie ex art. 118 Cost.

In merito all’impugnazione del comma 6, lettera b), del citato art. 38, la difesa erariale evidenzia che le attività energetiche che interessino il mare continentale – oltre le dodici miglia marine – rientrerebbero nella competenza legislativa esclusiva statale, in quanto in detta zona troverebbe applicazione il principio di libertà dei mari che comporterebbe il riconoscimento a ciascuno Stato di un uguale diritto di sfruttamento a condizione che siano rispettati gli interessi degli altri Stati. Si tratterebbe, dunque, di un ambito disciplinare rientrante nell’art. 117, secondo comma, lettera a), Cost., da cui risulterebbe esclusa la Regione, anche difficilmente individuabile come portatrice dell’interesse potenzialmente inciso. Tale differenza si riverbererebbe sullo sfruttamento degli idrocarburi sulla terraferma rispetto a quello nello spazio marino, soggetto anche ad interessi internazionali, da cui l’insussistenza della disparità di trattamento denunciata dalla Regione per violazione dell’art. 3, primo comma, Cost.

Per le stesse ragioni sarebbe infondata la censura del successivo comma 10 del medesimo articolo, posto che nel mare continentale ed in ambiti posti in prossimità di altri Paesi rivieraschi non sussisterebbe alcuna competenza regionale, ma solo quella dello Stato.

8.– È intervenuto in giudizio il WWF Italia, deducendo in via preliminare la propria legittimazione all’intervento e, nel merito, sostenendo l’illegittimità costituzionale, tra l’altro, dell’art. 38, commi 1-bis, 4 e 10, del d.l. n. 133 del 2014, in riferimento a parametri e per profili in parte coincidenti con quelli indicati dalla Regione Marche ed in parte ulteriori.

9.– Con memoria depositata il 15 marzo 2016 la Regione Marche, nel riepilogare le proprie censure anche alla luce dello ius superveniens, ha anzitutto evidenziato l’intervenuta cessazione della materia del contendere relativamente alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014, attesa l’abrogazione della norma ad opera dell’art. 1, comma 240, lettera b), della legge n. 208 del 2015 senza che il piano delle aree originariamente previsto sia mai stato adottato.

Con riferimento al successivo comma 4, la ricorrente sostiene che nella fattispecie non sarebbe stata realizzata un’attrazione a livello centrale di funzioni amministrative, ma l’attivazione di un potere sostitutivo in ordine all’esercizio delle stesse, trattandosi dei procedimenti di VIA in corso «presso le regioni», che ne verrebbero private.

Quanto al comma 6, lettera b), del medesimo art. 38, la ricorrente insiste nel sostenere l’illegittimità della norma che non prevede l’intesa con riferimento alle attività minerarie da svolgere in mare. Ciò in quanto l’art. 6, comma 17, del d.lgs. n. 152 del 2006, nel testo in vigore al momento della proposizione del ricorso, contemplava una serie di eccezioni al divieto di attività entro le dodici miglia marine, onde la sussistenza della competenza regionale, viceversa non estesa al mare aperto. Peraltro, a seguito della legge n. 208 del 2015, tale divieto sarebbe stato reso assoluto e poiché nel frattempo non sarebbe stato adottato il piano delle aree subordinatamente al quale era previsto il rilascio del titolo concessorio unico, anche con riferimento alla censura in considerazione sarebbe sopravvenuta la cessazione della materia del contendere.

Infine, la Regione ribadisce le censure rivolte al successivo comma 10, analoghe a quelle relative al comma 6, sollecitando questa Corte a valutare la potenziale abrogazione della disposizione ad opera del divieto assoluto di attività mineraria entro le dodici miglia marine previsto a seguito delle modifiche apportate al citato art. 6, comma 17, del d.lgs. n. 152 del 2006 dalla legge n. 208 del 2015, con conseguente eventuale cessazione della materia del contendere in caso di mancata applicazione della norma.

Con memoria depositata il 2 maggio 2017 la Regione Marche ha riepilogato i motivi di censura già articolati e replicato alla difesa erariale, insistendo nella declaratoria di fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale proposte, salva l’eventuale sussistenza degli estremi per dichiarare la cessazione della materia del contendere quanto all’impugnativa dell’art. 38, commi 1-bis, 6, lettera b), e 10, del d.l. n. 133 del 2014.

10.– Con memoria depositata il 15 marzo 2016 l’Avvocatura generale dello Stato ha svolto argomenti coincidenti con quelli sviluppati nella propria memoria illustrativa relativa al ricorso della Regione Abruzzo, ribadendo in merito al comma 10 che non sussisterebbe competenza regionale sul mare continentale e che la norma terrebbe in debito conto gli aspetti ambientali.

11.– Con ricorso depositato il 15 gennaio 2015 (reg. ric. n. 5 del 2015) la Regione Puglia ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 38, commi 1-bis, 4, 6, lettera b), e 10, del d.l. n. 133 del 2014 (come convertito), in riferimento agli artt. 3, primo comma, 117, terzo comma, 118, primo comma, e 120, secondo comma, Cost., adducendo a sostegno delle censure motivazioni coincidenti con quelle sviluppate dalla Regione Marche nel ricorso con cui ha impugnato le medesime disposizioni.

12.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’infondatezza del ricorso con argomenti corrispondenti a quelli svolti in merito al ricorso con cui la Regione Marche ha impugnato le medesime disposizioni.

13.– Sono intervenuti in giudizio il WWF Italia – deducendo in via preliminare la propria legittimazione all’intervento e, nel merito, sostenendo l’illegittimità costituzionale, tra l’altro, dell’art. 38, commi 1-bis, 4 e 10, del d.l. n. 133 del 2014, in riferimento a parametri e per profili in parte coincidenti con quelli indicati dalla Regione Puglia ed in parte ulteriori – e, fuori termine, l’Associazione "Amici del Parco Archeologico di Pantelleria”, sostenendo la propria legittimazione all’intervento e la fondatezza delle censure mosse dalla Regione Puglia alle disposizioni impugnate, nonché sollecitando questa Corte a sollevare innanzi a sé questione di legittimità costituzionale, tra l’altro, dell’art. 38 anche con riferimento a parametri posti a presidio dell’autonomia speciale riconosciuta alla Regione siciliana.

14.– Con memoria depositata il 15 marzo 2016 la Regione Puglia ha svolto considerazioni coincidenti con quelle sviluppate dalla Regione Marche nella memoria da essa depositata in pari data.

Con memoria depositata il 2 maggio 2017 la Regione Puglia ha svolto considerazioni coincidenti con quelle sviluppate dalla Regione Marche nella memoria da essa depositata in pari data.

15.– Con memoria depositata il 15 marzo 2016 l’Avvocatura dello Stato ha svolto argomenti coincidenti con quelli sviluppati nella propria memoria illustrativa relativa al ricorso della Regione Marche.

16.– Con ricorso depositato il 15 gennaio 2015 (reg. ric. n. 6 del 2015) la Regione Lombardia ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’intero d.l. n. 133 del 2014 (come convertito) e dell’art. 38 dello stesso nonché, specificamente, dei commi 1, 1-bis, 4, 7 e 10 del medesimo articolo, in riferimento agli artt. 3, 11, 77, secondo comma, 117, primo, secondo e terzo comma, 118, 119 e 120 Cost., nonché in relazione agli artt. 3, paragrafo 2, lettera a), 4, e da 5 a 12, della direttiva 27 giugno 2001, n. 2001/42/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente), ed all’art. 8 della legge n. 131 del 2003.

Anzitutto, come risulterebbe dal titolo e dal preambolo, l’intero d.l. n. 133 del 2014 non avrebbe un contenuto omogeneo e coerente né dal punto di vista oggettivo né da quello finalistico, diversamente da quanto previsto dall’art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), esplicitativo della ratio implicita nell’art. 77, secondo comma, Cost., che dunque risulterebbe violato. Tale violazione ridonderebbe nella menomazione delle attribuzioni costituzionali della Regione nella materia «governo del territorio» di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. ed in un vulnus alla sua autonomia finanziaria, garantita dall’art. 119 Cost.

La ricorrente censura altresì l’art. 38 del d.l. n. 133 del 2014 nella sua interezza per difetto dei requisiti della decretazione d’urgenza, in violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost. La disposizione, infatti, prevederebbe lo svolgimento delle attività di ricerca e coltivazione degli idrocarburi sulla base di un programma articolato in fasi di una durata talmente lunga da non rappresentare una risposta a casi straordinari di necessità ed urgenza, trattandosi piuttosto di corrispondere alla necessità di interventi strutturali nel sistema della gestione delle risorse energetiche – ossia, di un riassetto ordinamentale – che difetterebbe del carattere accidentale, sopravvenuto ed emergenziale. Inoltre, l’art. 38, contemplando il piano delle aree e disciplinando le modalità di attribuzione dei titoli abilitativi ed i tempi di svolgimento delle attività di ricerca e coltivazione degli idrocarburi, comprensivi delle relative proroghe, non prevederebbe misure di immediata applicazione come richiesto dall’art. 15, comma 3, della legge n. 400 del 1988, che espliciterebbe profili connaturati alla decretazione d’urgenza. Infine, pure l’art. 38 sarebbe connotato da difetto di omogeneità e coerenza delle misure con esso introdotte. Anche in questo caso la violazione dell’art. 77 Cost. ridonderebbe nella menomazione delle attribuzioni costituzionali della Regione nella materia «governo del territorio» di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. ed in un vulnus alla sua autonomia finanziaria, garantita dall’art. 119 Cost.

Secondo la Regione, l’art. 38 del d.l. n. 133 del 2014 nella sua interezza contrasterebbe altresì con gli artt. 117, secondo e terzo comma, e 118 Cost., in quanto detterebbe misure di dettaglio nelle materie di competenza legislativa concorrente «governo del territorio», «pianificazione urbanistica ed edilizia», «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e «tutela della salute».

La ricorrente impugna altresì specificamente i commi 1 e 1-bis del citato art. 38, in quanto le attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale (contemplate dal comma 1) sono consentite nell’ambito di un piano delle aree che, in quanto atto di pianificazione in materia di risorse energetiche suscettibile di impatto ambientale, avrebbe dovuto essere sottoposto a valutazione ambientale strategica (VAS), ai sensi degli artt. 3, paragrafo 2, lettera a), 4 e da 5 a 12 della direttiva n. 2001/42/CE, recepita dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), durante la fase preparatoria del programma e prima della sua approvazione. Le norme violerebbero gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione alla citata direttiva, in quanto adottano il piano senza aver dato luogo alla necessaria procedura di VAS o, comunque, non la prevedono con riferimento all’adozione del decreto del Ministro dello sviluppo economico che predispone il piano. Le dedotte violazioni ridonderebbero in un vulnus delle competenze regionali in materia di «governo del territorio», «pianificazione urbanistica ed edilizia», «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e «tutela della salute». In via subordinata, la ricorrente sollecita questa Corte al rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) in ordine all’interpretazione degli artt. 1, 3, 4, 8 e 9 della direttiva 2001/42/CE come ostativa all’applicazione del combinato disposto dell’art. 38, commi 1 e 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014.

Inoltre, i commi 1-bis, 4, 7 e 10 violerebbero gli artt. 117, secondo e terzo comma, e 118 Cost. in quanto, pur costituendo ipotesi di chiamata in sussidiarietà, non ne rispetterebbero i requisiti di legittimità. In particolare, il comma 1-bis non prevederebbe un’intesa in senso forte tra Stato e Regione, né a livello bilaterale né in sede di conferenza. Anche il successivo comma 4 integrerebbe un’ipotesi di chiamata in sussidiarietà dei procedimenti di VIA correlata al mero trascorrere del tempo e senza alcuna forma di intesa con la Regione, vizi che si riverbererebbero sulla conseguente assegnazione allo Stato degli oneri di spesa istruttori prevista dalla medesima norma, altresì lesiva dell’autonomia finanziaria regionale in violazione degli artt. 3 e 119 Cost. Il comma 7 prevede che con disciplinare tipo, adottato con decreto del Ministero dello sviluppo economico, siano stabilite le modalità di esercizio delle attività rientranti nelle materie di competenza concorrente, senza prevedere l’intesa con la regione. Infine, pur vertendosi in materia di «governo del territorio» e «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», il comma 10 prevederebbe il parere della Regione e non l’intesa con la stessa.

Secondo la Regione, il citato comma 4 violerebbe altresì l’art. 120 Cost., in quanto prevederebbe l’attivazione di un potere sostitutivo al di fuori dei casi previsti dal secondo comma del parametro citato e senza rispettare i principi di sussidiarietà e di leale collaborazione quali garantiti dalla procedura dettata dall’art. 8 della legge n. 131 del 2003, in mancanza di alcuna forma di coinvolgimento regionale. Inoltre, poiché l’art. 118 attribuirebbe in via di principio ai comuni le funzioni amministrative e poiché l’art. 120 Cost. legittimerebbe anche il legislatore regionale, nelle materie di propria competenza, a disciplinare un potere sostitutivo in relazione all’esercizio delle funzioni di competenza dei comuni (si cita la sentenza n. 43 del 2004), il comma 4 violerebbe l’art. 120 Cost. anche per aver previsto la sostituzione dello Stato agli enti locali, estromettendo completamente la Regione.

17.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’infondatezza del ricorso.

Anzitutto, sostenendo che le ragioni di necessità ed urgenza non debbano essere oggetto di motivazione espressa e che la violazione dell’art. 77 Cost. debba ravvisarsi solo nei casi di evidente mancanza dei presupposti, il resistente evidenzia l’intrinseca coerenza delle norme contenute nel decreto, volte a rilanciare le opere pubbliche e l’edilizia privata, nonché a rafforzare la sicurezza e gli approvvigionamenti energetici del Paese. Pure l’impugnato art. 38 risponderebbe a dette finalità, come emergerebbe dalla relazione al disegno di legge di conversione del decreto, anche attraverso la semplificazione e l’accelerazione dell’iter procedimentale autorizzatorio con misure di immediata applicazione.

Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, la censura al combinato disposto dei commi 1 e 1-bis del citato art. 38 in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. sarebbe inammissibile, per la mancata dimostrazione della lesione di competenze regionali.

Viceversa, in merito alla censura rivolta al comma 1-bis per mancato rispetto delle condizioni della chiamata in sussidiarietà, la difesa statale deduce la cessazione della materia del contendere alla luce della modifica della norma censurata ad opera dell’art. 1, comma 554, della legge n. 190 del 2014, che ha introdotto la previsione dell’intesa con la Conferenza unificata.

Il resistente sostiene l’infondatezza della censura mossa al successivo comma 4 – che avoca allo Stato i procedimenti di VIA pendenti e non conclusi entro il 31 marzo 2015 – in riferimento agli artt. 117, secondo e terzo comma, e 118 Cost. Si tratterebbe di una normativa transitoria finalizzata a riportare, in via sussidiaria, la materia mineraria, sotto il profilo ambientale, su un piano tecnico uniforme, superando i ritardi che le procedure di VIA subiscono in varie Regioni, e da valutare alla stregua dell’intesa prevista per l’adozione del titolo concessorio unico a valle. La legittimità della norma si estenderebbe alla previsione del trasferimento allo Stato dei corrispondenti oneri di spesa istruttori. Altrettanto infondata sarebbe la censura mossa alla medesima norma in riferimento all’art. 120 Cost. Il comma 4 andrebbe letto unitamente al precedente comma 3, che riconduce a livello centrale, per ragioni di uniformità, il procedimento di VIA. La normativa transitoria, dunque, completerebbe la chiamata in sussidiarietà in materia ambientale, di competenza esclusiva statale, senza esercitare alcun potere sostitutivo di una funzione mantenuta in capo alla Regione.

Altrettanto infondata sarebbe la censura mossa al comma 7 del medesimo articolo, che detterebbe una disciplina uniforme dell’esercizio delle attività legittimate dal titolo concessorio unico nell’esercizio di una competenza statale.

Viceversa, sarebbe inammissibile la censura del successivo comma 10, attesa la carenza di interesse della ricorrente per ragioni correlate alla sua collocazione geografica, che la priva di sbocchi sul mare. Peraltro, il mare continentale esulerebbe dagli ambiti territoriali oggetto di competenze regionali, ricadendo esclusivamente in quella dello Stato.

18.– È intervenuto in giudizio il WWF Italia, deducendo in via preliminare la propria legittimazione all’intervento e, nel merito, sostenendo l’illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate dalla Regione Lombardia, argomentando in ordine ai parametri ed ai profili di censura dedotti dalla ricorrente.

19.– Con memoria depositata il 15 marzo 2016 l’Avvocatura generale dello Stato ha svolto argomenti coincidenti con quelli sviluppati nella propria memoria illustrativa relativa al ricorso della Regione Marche ed, in aggiunta, ha ribadito la sussistenza degli estremi di necessità ed urgenza legittimanti il ricorso al decreto-legge e l’immediata applicabilità delle misure contemplate dall’art. 38 del d.l. n. 133 del 2014. In ordine alle censure mosse al comma 7 del citato articolo, la difesa erariale evidenzia come, da un lato, la Regione sia adeguatamente coinvolta nel procedimento attraverso la previsione dell’intesa in merito all’adozione del titolo concessorio unico e, dall’altro, il decreto ministeriale di adozione del disciplinare contemplato dalla norma impugnata sia destinato ad integrare il decreto del Ministero dello sviluppo economico del 4 marzo 2011 (Disciplinare tipo per i permessi di prospezione e di ricerca e per le concessioni di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma, nel mare e nella piattaforma continentale), già esistente.

20.– Con memoria depositata il 2 maggio 2017 la Regione Lombardia, nel prendere atto dell’incidenza della legge n. 208 del 2015 sull’art. 38, commi 1 e 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014, insiste in particolare nelle censure rivolte al comma 7 del medesimo articolo.

21.– Con ricorso depositato il 16 gennaio 2015 (reg. ric. n. 10 del 2015) la Regione Veneto ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 38, commi 1, 1-bis, 2, 3, 4, 5, 6, 8 e 10, del d.l. n. 133 del 2014 (come convertito), in riferimento agli artt. 3, 9, 11, 32, 97, 117, primo, terzo e quarto comma, 118, 119 e 120 Cost. ed in relazione agli artt. 3 e seguenti della direttiva n. 2001/42/CE ed al principio di precauzione di cui all’art. 191 del TFUE.

Anzitutto, la Regione censura il comma 1 del citato art. 38, in quanto, qualificando le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e di stoccaggio sotterraneo di gas naturale di interesse strategico, di pubblica utilità, urgenti ed indifferibili e prevedendo che i relativi titoli abilitativi comprendano la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dell’opera e l’apposizione del vincolo espropriativo, realizzerebbe una chiamata in sussidiarietà in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» senza al contempo prevedere un’intesa in senso forte con le Regioni, con ciò violando gli artt. 117, terzo comma, 118 e 120 Cost.

In secondo luogo la ricorrente censura il comma 1-bis – nella versione modificata dall’art. 1, comma 554, della legge n. 190 del 2014 – in quanto, per l’adozione del piano delle aree in cui consentire le attività di cui al comma 1, la norma realizzerebbe una chiamata in sussidiarietà accompagnata solo da un’intesa debole con la Conferenza unificata, stabilendo in caso di mancato raggiungimento, l’attivazione della procedura semplificata di cui all’art. 1, comma 8-bis, della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), peraltro limitata alle attività sulla terraferma, in violazione degli artt. 117, terzo comma, 118 e 120 Cost. Inoltre, la norma non contempla l’assoggettamento del piano a VAS, come previsto dagli artt. 3 e seguenti della direttiva 2001/42/CE, con conseguente violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., che ridonderebbe nella lesione delle competenze regionali in materia di «tutela della salute», «governo del territorio» e «valorizzazione dei beni culturali e ambientali».

La Regione impugna anche il successivo comma 2, secondo cui «Qualora le opere di cui al comma 1 comportino variazione degli strumenti urbanistici, il rilascio dell’autorizzazione ha effetto di variante urbanistica». Prescrivendo la variante, la norma non si limiterebbe ad una disciplina di principio nella materia urbanistica rientrante nella competenza legislativa concorrente, ma recherebbe una disciplina dettagliata, in contrasto con gli artt. 117, terzo comma, 118 e 120 Cost., quest’ultimo espressivo del principio di leale collaborazione.

La ricorrente censura altresì il comma 3 del citato art. 38, che, diversamente da quanto precedentemente previsto dall’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006, sottrarrebbe interamente alla Regione la competenza sui procedimenti di VIA afferenti ai progetti relativi ad attività minerarie sulla terraferma. Ciò in una materia, quella della tutela dell’ambiente, intrinsecamente trasversale, in cui alle Regioni, nell’ambito delle loro competenze, è consentito di determinare un aumento dei livelli di tutela (si cita la sentenza n. 93 del 2013). In tal modo la norma violerebbe gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost. Per gli stessi motivi e per violazione dei medesimi parametri sarebbe illegittimo anche il successivo comma 4, che vede l’avocazione allo Stato dei procedimenti di VIA non conclusi dalle Regioni entro il 31 marzo 2015. La norma, inoltre, determinando un irragionevole e notevole aggravio del lavoro della Commissione VIA nazionale, violerebbe anche gli artt. 3 e 97 Cost., con una evidente ricaduta sulle competenze regionali poc’anzi indicate.

La Regione impugna anche il comma 5 del citato art. 38, in quanto, prevedendo un titolo concessorio unico in luogo dei precedenti due distinti titoli (il permesso di ricerca e la concessione di coltivazione) – uno funzionale all’individuazione di un giacimento coltivabile e l’altro abilitante alla produzione a seguito del ritrovamento – attribuirebbe i poteri concessori prima della scoperta del giacimento. Inoltre, il programma dei lavori da predisporre prima dell’attività di ricerca difficilmente potrebbe specificare le aree da essa interessate. Ciò dimostrerebbe l’irragionevolezza della disciplina, in violazione dell’art. 3 Cost., con ridondanza sulle materie di competenza concorrente «governo del territorio», «protezione civile», «valorizzazione dei beni culturali e ambientali» e «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia».

Secondo la ricorrente, anche il successivo comma 6, lettera b), sarebbe illegittimo, in quanto il titolo concessorio unico sarebbe accordato previa intesa con la Regione senza che il suo mancato raggiungimento costituisca ostacolo insuperabile alla conclusione del procedimento e comunque limitata alle sole attività sulla terraferma. Di qui la violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost. nonché del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., vertendosi in materie di competenza regionale. Inoltre, la lettera a) del medesimo comma confermerebbe l’espropriazione delle competenze regionali in tema di VIA, esponendosi alle medesime censure mosse al comma 4.

La Regione impugna altresì il comma 8 del medesimo art. 38, che estende l’applicazione delle norme sul titolo concessorio unico anche ai titoli rilasciati successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 2006 ed ai procedimenti in corso. La norma sarebbe affetta dagli stessi vizi di legittimità costituzionale dedotti con riguardo ai commi 4, 5 e 6 ed inoltre violerebbe il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., stante l’effetto retroattivo, ridondante sulle competenze regionali già in precedenza indicate.

Infine, la ricorrente censura il successivo comma 10. La norma legittimerebbe attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi nella forma di progetti sperimentali di coltivazione di giacimenti anche in aree, come quella del golfo di Venezia, in cui, a fronte del rischio di subsidenza sulle coste, l’art. 26, comma 2, della legge 31 luglio 2002, n. 179 (Disposizioni in materia ambientale), le aveva vietate e l’art. 8, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria) – convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 – aveva previsto il divieto fino a quando non fosse stata accertata l’insussistenza di rischi di subsidenza. Prescindendo da tale accertamento, la norma, come emergerebbe dalla relazione tecnica relativa al d.l. n. 133 del 2014, da un lato avrebbe l’obiettivo di realizzare studi volti ad escludere rischi apprezzabili di subsidenza per superare il divieto e dall’altro permetterebbe di garantire produzioni significative di gas e di effettuare importanti investimenti privati, assicurando «il relativo gettito fiscale allo Stato». L’impossibilità di conciliare simili finalità dimostrerebbe l’intenzione del legislatore di sacrificare la tutela dell’ambiente, della salute e dell’integrità del territorio agli altri scopi, come emergerebbe dal coinvolgimento del Ministero dello sviluppo economico a fronte di un precedente affidamento al Ministero dell’ambiente degli studi sui rischi di subsidenza, al contempo esautorando la Regione e svilendo le sue competenze. Di qui l’irragionevolezza e l’assenza di bilanciamento degli interessi in gioco nonostante le evidenze del fenomeno della subsidenza, con conseguente violazione dell’art. 3 Cost. Un’ulteriore violazione di tali principi deriverebbe dalla possibilità di prorogare il periodo di sperimentazione ove, al termine del periodo di validità dell’autorizzazione (fino a cinque anni) del progetto sperimentale, si accerti che non vi siano stati effetti di subsidenza sulla costa. Non solo il periodo originario sarebbe eccessivo, ma il fatto che sia prevista una verifica ex post dimostrerebbe l’insufficienza dei controlli previsti ex ante al fine di escludere danni ambientali. La norma, inoltre, contrasterebbe con l’art. 191 del TFUE, espressivo del principio di precauzione, come declinato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, per cui in presenza di incertezze scientifiche in un caso dubbio dovrebbero prevalere le esigenze di protezione dell’ambiente sugli interessi economici. Di qui il contrasto con gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. Risulterebbero altresì violati gli artt. 9, 32 e 97 Cost. con ridondanza sulle competenze regionali in materia di «tutela della salute», «governo del territorio», «protezione civile», «valorizzazione dei beni culturali e ambientali» e «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», pregiudicate anche direttamente in quanto la norma prevede che la Regione venga soltanto sentita e non contempla l’intesa, in contrasto con gli artt. 117, terzo e quarto comma, Cost. e con il principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost. Infine, sarebbe violato anche l’art. 119, sesto comma, Cost. per la lesione dell’integrità del demanio regionale.

22.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’infondatezza del ricorso.

Anzitutto, con riferimento all’impugnazione dell’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014, la difesa erariale nega che il piano delle aree ivi previsto sia soggetto a VAS, dovendo contenere un mero elenco di aree in cui possono essere svolte le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e le attività di stoccaggio sotterraneo di gas naturale, senza nessuna ulteriore indicazione da cui possano desumersi potenziali effetti sull’ambiente, secondo la finalità a cui risponderebbe la VAS ai sensi dell’art. 4, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 152 del 2006. Ne discenderebbe l’infondatezza della questione sollevata in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost.

Quanto alla censura rivolta al successivo comma 3, il resistente evidenzia che, con riguardo alla VIA, l’ambito competenziale in rilievo sarebbe quello della «tutela dell’ambiente», attribuito in via esclusiva al legislatore statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Di conseguenza, l’attribuzione in via generale dei nuovi procedimenti di VIA allo Stato così come la disciplina transitoria prevista dall’art. 38, comma 4, del d.l. n. 133 del 2014 costituirebbe esercizio di prerogative costituzionalmente riconosciute al legislatore statale. Tale attribuzione, peraltro, corrisponderebbe agli obbiettivi dichiarati nell’incipit dell’art. 38, legittimando il ricorso a procedure unitarie ed a misure di accelerazione. Peraltro, il comma 6-bis del medesimo articolo prevede che la VIA debba essere effettuata secondo le modalità di cui alla parte seconda del d.lgs. n. 152 del 2006, il cui art. 25, comma 2, assicura il coinvolgimento della Regione interessata attraverso il parere.

23.– È intervenuto in giudizio il WWF Italia, deducendo in via preliminare la propria legittimazione all’intervento e, nel merito, sostenendo l’illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate dalla Regione Veneto, argomentando in ordine ai parametri ed ai profili di censura dedotti dalla ricorrente.

24.– Con memoria depositata il 15 marzo 2016 la Regione Veneto, con riguardo alle censure mosse all’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014, ha sostenuto essere sopravvenuta cessazione della materia del contendere a seguito dell’abrogazione della norma da parte dell’art. 1, comma 240, lettera b), della legge n. 208 del 2015. Diversamente, in ordine alle altre disposizioni parimenti impugnate la ricorrente ribadisce le censure ad esse rivolte, producendo altresì documentazione a suffragio della riscontrabilità dell’effetto di subsidenza sulle coste a distanza di molto tempo dal verificarsi della causa determinante, oltre i cinque anni di durata massima dei progetti sperimentali previsti dal comma 10 del citato art. 38.

Con memoria depositata il 2 maggio 2017 la Regione Veneto ha ribadito la sopravvenuta cessazione della materia del contendere relativamente alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014, insistendo nelle censure rivolte alle altre disposizioni impugnate, negando rilievo alla previsione dell’intesa da parte dell’art. 1, comma 7, lettera n), della legge n. 239 del 2004 e dell’art. 38, comma 6, del d.l. n. 133 del 2014, peraltro non estesa alle attività in mare, nonostante l’attrazione in sussidiarietà, comunque sprovvista di proporzionalità quanto al censurato comma 10.

25.– Con memoria depositata il 15 marzo 2016 l’Avvocatura generale dello Stato ha anzitutto dedotto l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse quanto alle censure rivolte all’art. 38, commi 1, 1-bis, e 5, del d.l. n. 133 del 2014, alla luce delle modifiche apportate dalla legge n. 208 del 2015. In secondo luogo l’Avvocatura ha ribadito la legittimità dei commi 3, 4 e 6, lettera b), del medesimo art. 38 alla stregua della loro riconducibilità alla materia ambientale di competenza esclusiva statale e dell’adeguato coinvolgimento regionale attraverso parere, salva la necessità dell’intesa per il rilascio del titolo concessorio unico, correttamente circoscritta al caso di attività mineraria sulla terraferma, attesa l’assenza di competenza regionale sul mare. In ragione di quest’ultimo rilievo e della adeguata considerazione degli aspetti ambientali sarebbero altresì infondate le censure rivolte all’art. 38, comma 10, del d.l. n. 133 del 2014 in riferimento ai parametri competenziali evocati dalla ricorrente, mentre, in riferimento a quelli non competenziali, il ricorso sarebbe inammissibile per difetto di ridondanza.

26.– Con ricorso depositato il 21 gennaio 2015 (reg. ric. n. 13 del 2015) la Regione Campania ha proposto, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 7, del d.l. n. 133 del 2014 in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost.

Dopo aver dato atto della modifica dell’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014 ad opera dell’art. 1, comma 554, della legge n. 190 del 2014 – ragione per la quale la ricorrente non censura la norma nella versione originaria – la Regione lamenta che il successivo comma 7, nel definire le modalità di conferimento del titolo concessorio unico, nonché quelle di esercizio delle relative attività, non abbia previsto la partecipazione regionale attraverso l’intesa, nonostante si tratti di un caso di chiamata in sussidiarietà, vertendosi in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», «governo del territorio», «tutela della salute» e «valorizzazione dei beni culturali e ambientali». Di qui la violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost.

27.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’infondatezza del ricorso.

Dopo aver evidenziato le modifiche apportate dal legislatore all’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014, la difesa erariale sottolinea come sia legittima la disposizione di cui al successivo comma 7, in quanto tesa a definire, in maniera uniforme sull’intero territorio nazionale, le modalità di conferimento del titolo unico e di esercizio delle relative attività.

28.– È intervenuto in giudizio il WWF Italia, deducendo in via preliminare la propria legittimazione all’intervento e, nel merito, sostenendo l’illegittimità costituzionale sia dell’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014 – avverso il quale la Regione Campania non muove censure, alla luce delle modifiche apportatevi dallo ius superveniens – che del successivo comma 7 del medesimo articolo, argomentando in ordine ai parametri ed ai profili d’impugnazione dedotti dalla ricorrente.

29.– Con memoria depositata il 15 marzo 2016 l’Avvocatura generale dello Stato ha svolto argomenti coincidenti con quelli sviluppati a proposito dell’art. 38, comma 7, del d.l. n. 133 del 2014 nella memoria depositata in relazione all’impugnativa della Regione Lombardia.

Con successiva memoria depositata il 3 marzo 2017, la medesima Avvocatura ha evidenziato la cessazione della materia del contendere quanto all’asserita impugnativa dell’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014 – stante l’abrogazione della disposizione ad opera dell’art. 1, comma 240, lettera b), della legge n. 208 del 2015 e ribadito gli argomenti già esposti nella precedente memoria illustrativa a proposito del comma 7 dello stesso art. 38.

30.– Con ricorso depositato il 21 gennaio 2015 (reg. ric. n. 14 del 2015) la Regione Calabria ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 38, commi 1, 4, 5 e 6, del d.l. n. 133 del 2014 (come convertito), in riferimento agli artt. 114, 117, terzo, quarto e quinto comma, 118 e 120 Cost. ed ai principi di leale collaborazione e sussidiarietà, nonché in relazione agli artt. 1 della legge n. 239 del 2004, 31 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), 6, comma 17, del d.lgs. n. 152 del 2006, 4, paragrafo 6, della direttiva 12 giugno 2013, n. 2013/30/UE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e che modifica la direttiva 2004/35/CE), 1, paragrafo 1, lettera b), e 6, paragrafo 1, della direttiva 16 aprile 2014, n. 2014/52/UE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati).

La Regione, dopo aver evidenziato che l’art. 38 del d.l. n. 133 del 2014 inciderebbe su materie di competenza concorrente quali «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», «governo del territorio», «valorizzazione dei beni culturali e ambientali» e «tutela della salute», censura il comma 1 in quanto, in ragione dell’ampiezza e dell’indeterminatezza dell’intervento normativo operato e della semplificazione ed accelerazione delle procedure che ne seguirebbero, si porrebbe in contrasto con gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost. e con i principi di leale collaborazione e sussidiarietà, escludendo ogni coinvolgimento regionale.

Il successivo comma 4, riguardando l’intera materia ambientale, non farebbe corretta applicazione dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza nell’allocazione delle funzioni amministrative, violando gli artt. 117, terzo, quarto e quinto comma, 118 e 120 Cost.

Anche i successivi commi 5 e 6 relativi al rilascio del titolo concessorio unico a seguito di un procedimento unico svolto nel termine di centottanta giorni tramite apposita conferenza di servizi sarebbero illegittimi – in quanto contrari agli artt. 114, 117, terzo, quarto e quinto comma, e 118 Cost. nonché ai principi di leale collaborazione e sussidiarietà – atteso che non riconoscerebbero alla Regione, attraverso un’idonea intesa in senso forte, una posizione specifica differenziata rispetto a qualsiasi altra amministrazione.

Inoltre, i citati commi 4, 5 e 6 non garantirebbero il coinvolgimento degli enti locali, violando le norme di principio di cui agli artt. 1 della legge n. 239 del 2004, 31 del d.lgs. n. 112 del 1998 e 6, comma 17, del d.lgs. n. 152 del 2006, e contrasterebbero con l’art. 4, paragrafo 6, della direttiva 2013/30/UE nonché con gli artt. 1, paragrafo 1, lettera b), e 6, paragrafo 1, della direttiva 2014/52/UE.

31.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’infondatezza del ricorso.

La difesa erariale anzitutto evidenzia come la chiamata in sussidiarietà operata dall’art. 38, comma 1, del d.l. n. 133 del 2014 sia rispettosa del principio di proporzionalità, attesa la natura strategica degli interventi. Evidenzia inoltre come le Regioni siano idoneamente salvaguardate attraverso il coinvolgimento sia nell’adozione del piano delle aree in cui consentire le attività di cui al comma 1, subordinato all’intesa con la Conferenza unificata (ex comma 1-bis, come modificato dall’art. 1, comma 554, della legge n. 190 del 2014) – a presidio di tutto il sistema delle autonomie territoriali – sia con riguardo agli interventi specifici, mediante l’intesa con le singole regioni (si cita la sentenza n. 163 del 2012). Di qui l’infondatezza delle censure mosse ai commi 4, 5 e 6 del medesimo art. 38.

Circa la dedotta violazione della normativa europea, il Presidente del Consiglio eccepisce l’inammissibilità della questione per mancata dimostrazione della lesione di competenze regionali, e, nel merito, deduce l’infondatezza delle censure.

32.– È intervenuto in giudizio il WWF Italia, assumendo in via preliminare la propria legittimazione all’intervento e, nel merito, sostenendo l’illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate dalla Regione Calabria, argomentando in ordine ai parametri ed ai profili di censura dedotti dalla ricorrente.

33.– Con memoria depositata il 15 marzo 2016 l’Avvocatura generale dello Stato ha anzitutto dedotto l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse quanto alle censure rivolte all’art. 38, commi 1, 1-bis, e 5, del d.l. n. 133 del 2014, alla luce delle modifiche apportate dalla legge n. 208 del 2015. In secondo luogo l’Avvocatura generale ha ribadito la legittimità delle disposizioni contenute nell’art. 38 del d.l. n. 133 del 2014 che incidono sulla disciplina della VIA, anche in ragione della previsione del coinvolgimento delle Regioni attraverso l’intesa per il rilascio del titolo concessorio unico.

Con memoria depositata il 2 maggio 2017 l’Avvocatura generale dello Stato ha svolto argomenti coincidenti con quelli contenuti nella propria memoria – salvo quanto ivi dedotto in ordine all’art. 38, commi 7 e 10, del d.l. n. 133 del 2014 – depositata in pari data in relazione al ricorso proposto dalla Regione Abruzzo.

34.– Con ricorso depositato il 4 marzo 2015 (reg. ric. n. 32 del 2015) la Regione Campania ha promosso, tra le altre, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 554, della legge n. 190 del 2014, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost. ed al principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.

La ricorrente evidenzia che la norma censurata ha sostituito l’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014 con una disposizione del seguente tenore: «Il Ministro dello sviluppo economico, con proprio decreto, sentito il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, predispone un piano delle aree in cui sono consentite le attività di cui al comma 1. Il piano, per le attività sulla terraferma, è adottato previa intesa con la Conferenza unificata. In caso di mancato raggiungimento dell’intesa, si provvede con le modalità di cui all’articolo 1, comma 8-bis, della legge 23 agosto 2004, n. 239. Nelle more dell’adozione del piano i titoli abilitativi di cui al comma 1 sono rilasciati sulla base delle norme vigenti prima della data di entrata in vigore della presente disposizione».

Le censure della Regione riguardano il terzo periodo della disposizione, in quanto la procedura semplificata prevista dall’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004 – secondo cui «[…] nel caso di mancata espressione da parte delle amministrazioni regionali degli atti di assenso o di intesa, comunque denominati, inerenti alle funzioni di cui al comma 8 del presente articolo, entro il termine di centocinquanta giorni dalla richiesta nonché nel caso di mancata definizione dell’intesa di cui al comma 5 dell’articolo 52-quinquies del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, e nei casi di cui all’articolo 3, comma 4, del decreto legislativo 1° giugno 2011, n. 93, il Ministero dello sviluppo economico invita le medesime a provvedere entro un termine non superiore a trenta giorni. In caso di ulteriore inerzia da parte delle amministrazioni regionali interessate, lo stesso Ministero rimette gli atti alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, la quale, entro sessanta giorni dalla rimessione, provvede in merito con la partecipazione della regione interessata […]» – conterrebbe la «drastica previsione» della decisività della volontà di una sola parte in caso di dissenso, come conseguenza automatica del mancato raggiungimento dell’intesa e senza preventivo ulteriore svolgimento di idonee procedure a ciò finalizzate, comunque ostacolate dalla previsione di un termine esiguo. Di qui la violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., non essendo stati rispettati i presupposti della chiamata in sussidiarietà realizzata dalla norma in materie di competenza concorrente.

35.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’infondatezza del ricorso.

La difesa statale, premesso che il sistema delle Conferenze rappresenterebbe il principale strumento per consentire alle Regioni di avere un ruolo determinante nelle decisioni statali che incidono su materia di loro competenza, evidenzia coma la procedura di cui all’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004 sia già stata scrutinata favorevolmente da questa Corte con la sentenza n. 239 del 2013.

Inoltre, tanto le norme statali ispirate alla semplificazione amministrativa ed alla celerità, al fine di garantire sull’intero territorio nazionale la conclusione del procedimento autorizzatorio entro termini definiti, quanto quelle che definiscono le modalità di esercizio dell’intesa e, soprattutto, le procedure per ricercarla in caso di diniego e comunque di supplire alla sua carenza rappresenterebbero principi fondamentali che il legislatore sarebbe legittimato a dettare in materie a competenza concorrente. Ne conseguirebbe la legittimità della normativa nella parte attinta dalla censura.

36.– Con ricorso depositato il 5 marzo 2015 (reg. ric. n. 35 del 2015) la Regione Abruzzo ha promosso, tra le altre, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 554, della legge n. 190 del 2014 in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost.

Ad avviso della ricorrente, l’intesa prevista dalla norma garantirebbe soltanto una forma "debole” di partecipazione regionale alla predisposizione del piano delle aree ove consentire le attività di cui al comma 1 dell’art. 38 del d.l. n. 133 del 2014, peraltro limitatamente alle sole attività sulla terraferma e non esteso anche al mare continentale, ambito compreso nella competenza regionale. La mancata previsione dell’intesa forte, estesa alle attività da svolgere in mare, renderebbe illegittima la chiamata in sussidiarietà operata dalla norma, con conseguente violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost.

37.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo la reiezione del ricorso.

La difesa erariale anzitutto evidenzia come, in generale, il sistema delle conferenze rappresenti il principale strumento per consentire alle Regioni di avere un ruolo determinante nelle decisioni statali che incidono su materia di loro competenza. In particolare, l’acquisizione dell’intesa con la Conferenza unificata garantirebbe la partecipazione sia delle Regioni che degli enti locali e sarebbe lo strumento adeguato di coinvolgimento, atteso che non verrebbe in gioco l’interesse esclusivo della singola Regione, come nel rilascio dello specifico titolo abilitativo, per il quale è prevista l’intesa con la stessa. Peraltro, la determinazione delle modalità della collaborazione nonché le procedure per superare l’eventuale stallo rappresenterebbero principi fondamentali che il legislatore statale sarebbe legittimato a dettare in materie a competenza concorrente.

In secondo luogo il Presidente del Consiglio dei ministri evidenzia come il mare continentale, in cui potrebbero intervenire le attività previste dall’art. 38, comma 1, del d.l. n. 133 del 2014, costituisca un ambito territoriale sottratto alla competenza della singola Regione – che sarebbe anche difficile individuare quale portatrice di un interesse – e ricadente in quella dello Stato, considerati anche gli evidenti riflessi nei rapporti esteri.

38.– Con memoria depositata il 10 marzo 2016 la Regione Abruzzo ha evidenziato l’avvenuta abrogazione dell’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014, come sostituito dall’art. 1, comma 554, della legge n. 190 del 2014, chiedendo, in ragione di ciò, che sia dichiarata cessata la materia del contendere.

Con memoria depositata il 2 maggio 2017 la ricorrente ha reiterato tale richiesta.

39.– Con memoria depositata il 2 maggio 2017 l’Avvocatura generale dello Stato ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, attesa l’abrogazione dell’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014 – come modificato dall’art. 1, comma 554, della legge n. 190 del 2014 – ad opera dell’art. 1, comma 240, lettera b), della legge n. 208 del 2015.

40.– Con ricorso depositato il 6 marzo 2015 (reg. ric. n. 39 del 2015) la Regione Marche ha promosso, tra le altre, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 554, della legge n. 190 del 2014 in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost.

Anzitutto, la ricorrente lamenta che, nelle materie di competenza concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e «governo del territorio», la norma impugnata, realizzando una chiamata in sussidiarietà, abbia previsto l’intesa con la Conferenza unificata anziché con la Regione interessata. Ciò sebbene le competenze coinvolte siano di pertinenza della singola Regione. Viceversa, l’intesa normativamente prevista da un lato coinvolgerebbe gli enti locali, estranei all’attribuzione costituzionale delle competenze in rilievo, e dall’altro consentirebbe la pretermissione della Regione interessata, in virtù dell’applicazione del principio della maggioranza.

Inoltre, l’intesa riguarderebbe solo le aree collocate sulla terraferma e non anche quelle ubicate nel mare continentale, in mancanza di qualunque rilevante elemento di differenziazione.

Infine, la disposizione consentirebbe l’applicazione della procedura di superamento della mancata intesa prevista dall’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004 anche al caso in cui lo stallo decisionale non dipenda dall’inerzia delle amministrazioni regionali, ma da divergenze sostanziali tra le parti, attribuendo il potere decisionale al Presidente del Consiglio dei ministri senza prevedere lo svolgimento di reiterate trattative tra le parti ed, al limite, devolvere la decisione ad un organo terzo.

La norma, pertanto, contrasterebbe con gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nella parte in cui prevede una previa intesa con la Conferenza unificata anziché con ciascuna Regione interessata e limitatamente alle aree ubicate sulla terraferma e nella parte in cui prevede il procedimento di cui all’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004 anche quando la mancata intesa dipenda da divergenze sostanziali.

41.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo la reiezione del ricorso.

La difesa erariale sostiene che nella materia energetica si renderebbe costituzionalmente obbligata la previsione di un’intesa forte tra Stato e sistema delle autonomie territoriali rappresentato in sede di Conferenza unificata. Infatti, a differenza del caso del singolo intervento, nell’adozione del piano delle aree non verrebbe in gioco l’interesse esclusivo della singola Regione, ma l’esigenza di una visione unitaria per l’intero territorio nazionale.

Quanto alla mancata estensione dell’intesa alle aree marittime, esse sarebbero ubicate nel mare continentale, ambito territoriale esulante dalla competenza regionale e ricadente in quella esclusiva statale, anche per i risvolti transfrontalieri.

Infine, la determinazione delle modalità della collaborazione nonché le procedure per superare l’eventuale stallo rappresenterebbero principi fondamentali che il legislatore statale sarebbe legittimato a dettare in materie a competenza concorrente.

42.– Con memoria depositata il 15 marzo 2016 la Regione Marche ha ribadito gli argomenti svolti in ricorso a supporto dell’impugnativa e replicato alle difese dell’Avvocatura generale dello Stato, insistendo per la declaratoria d’illegittimità costituzionale della norma censurata o, in subordine, di cessazione della materia del contendere, alla luce dell’abrogazione dell’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014 ad opera dell’art. 1, comma 240, lettera b), della legge n. 208 del 2015.

Con memoria depositata il 2 maggio 2017 la Regione ha riepilogato gli argomenti a sostegno dell’impugnativa e replicato alle difese del Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per l’accoglimento del ricorso ove non fossero ravvisati gli estremi per la declaratoria di cessazione della materia del contendere in ragione dello ius superveniens.

43.– Con ricorso depositato il 6 marzo 2015 (reg. ric. n. 40 del 2015) la Regione Puglia ha promosso, tra le altre, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 554, della legge n. 190 del 2014, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., adducendo motivazioni coincidenti con quelle svolte dalla Regione Marche a sostegno dell’impugnazione della medesima disposizione.

44.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo la reiezione del ricorso per le ragioni già esposte a proposito del ricorso della Regione Marche relativo alla stessa norma.

45.– Con memoria depositata il 15 marzo 2016 la Regione Puglia ha svolto considerazioni coincidenti con quelle contenute nella memoria illustrativa della Regione Marche, depositata in pari data, relativa all’impugnativa della medesima disposizione.

Con memoria depositata il 2 maggio 2017 la Regione Puglia ha svolto argomenti coincidenti con quelli di cui alla memoria illustrativa della Regione Marche, depositata in pari data, relativa all’impugnativa della medesima disposizione.

Considerato in diritto

1.– Con un primo gruppo di ricorsi (rispettivamente iscritti al reg. ric. n. 2, n. 4, n. 5, n. 6, n. 10, n. 13 e n. 14 del 2015) le Regioni Abruzzo, Marche, Puglia, Lombardia, Veneto, Campania e Calabria hanno promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’intero decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive) – convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164 – in riferimento all’art. 77 della Costituzione; dell’intero art. 38 del citato decreto, in riferimento agli artt. 77, 117, secondo e terzo comma, e 118 Cost.; nonché, specificamente, dei commi 1, 1-bis, 2, 3, 4, 5, 6, 6-bis, 6-ter, 7, 8 e 10, del medesimo art. 38, in riferimento agli artt. 3, 5, 9, 11, 32, 97, 114, 117, primo, secondo, terzo, quarto e quinto comma, 118, 119 e 120 Cost. ed ai principi di ragionevolezza, leale collaborazione e sussidiarietà, nonché in relazione agli artt. 31 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), 8, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), 1 della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), e 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale); all’art. 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), alla direttiva 30 maggio 1994, n. 94/22/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle condizioni di rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi), ed agli artt. 3, paragrafo 2, lettera a), 4, e da 5 a 12, della direttiva 27 giugno 2001, n. 2001/42/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente), 4, paragrafo 6, della direttiva 12 giugno 2013, n. 2013/30/UE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e che modifica la direttiva 2004/35/CE), 1, paragrafo 1, lettera b), e 6, paragrafo 1, della direttiva 16 aprile 2014, n. 2014/52/UE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati).

Con un secondo gruppo di ricorsi (rispettivamente iscritti al reg. ric. n. 32, n. 35, n. 39 e n. 40 del 2015) le Regioni Campania, Abruzzo, Marche e Puglia hanno promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 554, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – (legge di stabilità 2015)», in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., nonché al principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.

Le censure del primo gruppo di ricorsi – in disparte quelle relative all’intero decreto-legge – riguardano la nuova disciplina delle attività minerarie nel settore degli idrocarburi recata dall’art. 38 del d.l. n. 133 del 2014, mentre le censure contenute nel secondo gruppo si concentrano sulla disposizione che ha sostituito il comma 1-bis del citato articolo, afferente al piano delle aree in cui consentire le attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi, nonché di stoccaggio sotterraneo di gas naturale.

2.– I ricorsi vertono sulle medesime disposizioni o su norme strettamente collegate ed avanzano censure in larga misura coincidenti, onde l’opportunità di riunire i giudizi ai fini di una decisione congiunta, riservando a separate pronunce lo scrutinio delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse con gli stessi atti introduttivi.

3.– In via preliminare deve essere dichiarata l’inammissibilità degli interventi spiegati dall’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) Onlus Ong nei giudizi introdotti con il primo gruppo di ricorsi e dall’Associazione "Amici del Parco Archeologico di Pantelleria” nel giudizio promosso dalla Regione Puglia (reg. ric. n. 5 del 2015).

Quest’ultimo intervento è inammissibile in ragione del preliminare ed assorbente profilo relativo alla tardività del deposito, effettuato oltre il termine previsto dagli artt. 4, comma 4, e 23 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale (sentenza n. 226 del 2003).

Quanto all’intervento del WWF Italia, si deve richiamare la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui «il giudizio di costituzionalità delle leggi, promosso in via d’azione ai sensi dell’art. 127 Cost. e degli artt. 31 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), si svolge esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa e non ammette l’intervento di soggetti che ne siano privi, fermi restando, per costoro, ove ne ricorrano i presupposti, gli altri mezzi di tutela giurisdizionale eventualmente esperibili» (ex plurimis, sentenza n. 110 del 2016).

4.– Ancora in via preliminare, va ribadita in questa sede l’inammissibilità del ricorso presentato dalla Regione Calabria (reg. ric. n. 14 del 2015), già dichiarata in occasione dello scrutinio di altra questione di legittimità costituzionale promossa con il medesimo ricorso in ragione della tardività del deposito della deliberazione della Giunta di ratifica del decreto presidenziale con cui è stata assunta la determinazione all’impugnativa (sentenza n. 110 del 2016).

Nel corso della discussione in udienza la difesa regionale ha sostenuto che il deposito non è potuto intervenire tempestivamente in quanto la Giunta che doveva ratificare il decreto non era stata ancora costituita.

L’argomento, tuttavia, non inficia l’inammissibilità del ricorso.

L’art. 33, comma 8, della legge della Regione Calabria 19 ottobre 2004, n. 25 (Statuto della Regione Calabria), attribuisce al Presidente della Giunta regionale il potere di compiere, nei dieci giorni successivi alla proclamazione, gli atti improrogabili ed urgenti di competenza della Giunta. Tra di essi rientra, a norma dell’art. 32, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), la deliberazione alle impugnative davanti alla Corte costituzionale, stante anche quanto previsto dall’art. 36, comma 1, lettera l), dello statuto regionale.

Nella fattispecie il decreto presidenziale è intervenuto il 12 gennaio 2015, ben oltre i dieci giorni dalla proclamazione del Presidente della Regione, risalente – secondo quanto si legge nel decreto stesso, prodotto dalla ricorrente – al 9 dicembre 2014.

Dunque, anche a prescindere dai motivi che hanno determinato il tardivo deposito della deliberazione della Giunta a ratifica dell’originario decreto, il ricorso è comunque inammissibile per difetto di legittimazione processuale attiva in capo al Presidente della Regione.

5.– Sempre in via preliminare, deve essere dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale del decreto-legge n. 133 del 2014 nella sua interezza, promossa dalla Regione Lombardia in riferimento all’art. 77 Cost.

Non sussiste, infatti, la necessaria piena corrispondenza, quanto ad oggetto, tra la deliberazione con cui la Giunta regionale si è determinata all’impugnazione – che nella fattispecie non menziona il decreto-legge nella sua interezza – ed il ricorso (ex plurimis, sentenza n. 153 del 2015).

Parimenti inammissibile è la questione di legittimità costituzionale dell’intero art. 38 del d.l. n. 133 del 2014, promossa dalla Regione Abruzzo in riferimento all’art. 77 Cost.

Anche in questo caso difetta la piena corrispondenza tra la deliberazione ad impugnare – che non include l’art. 77 Cost. tra i parametri dei quali si lamenta la violazione ad opera della disposizione censurata – ed il contenuto del ricorso (ex plurimis, sentenza n. 110 del 2016).

6.– La Regione Lombardia impugna l’intero art. 38 del d.l. n. 133 del 2014 sia in riferimento all’art. 77, secondo comma, Cost. – in quanto difetterebbero i requisiti previsti per il ricorso alla decretazione d’urgenza – sia in riferimento agli artt. 117, secondo e terzo comma, e 118 Cost., in quanto l’articolo detterebbe misure di dettaglio in materie di competenza legislativa concorrente.

6.1.– La questione di legittimità costituzionale dell’intero art. 38 del d.l. n. 133 del 2014 in riferimento agli artt. 117, secondo e terzo comma, e 118 Cost. è inammissibile.

Da un lato, l’evocazione degli artt. 117, secondo comma – peraltro contraddetta dall’assunto che l’art. 38 del d.l. n. 133 del 2014 inciderebbe su materie di competenza legislativa concorrente – e 118 Cost. risulta immotivata; dall’altro, la censura proposta in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. è generica, non essendo argomentata in relazione alle singole disposizioni – connotate da varietà contenutistica, seppur astretta da un’omogeneità di fondo, come meglio si dirà nell’immediato prosieguo – di cui l’articolo si compone, e finisce per risultare priva di un’adeguata motivazione, esigenza che si pone in termini particolarmente pregnanti nei giudizi in via principale (ex plurimis, sentenza n. 244 del 2016).

6.2.– La questione di legittimità costituzionale dell’intero art. 38 del d.l. n. 133 del 2014 in riferimento all’art. 77, secondo comma, Cost. non è fondata.

La censura è proposta sotto tre distinti profili: a) la mancanza dei presupposti della necessità ed urgenza; b) la non immediata applicabilità della disciplina recata dall’impugnato art. 38, in contrasto con quanto richiesto dall’art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri); c) il difetto di omogeneità e coerenza delle misure introdotte.

Quanto al primo profilo, vale a dire la mancanza dei presupposti della straordinaria necessità ed urgenza, occorre ricordare come questa Corte, con orientamento costante, abbia affermato che il proprio sindacato è circoscritto «ai casi di "evidente mancanza” dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza richiesti dall’art. 77, secondo comma, Cost. o di "manifesta irragionevolezza o arbitrarietà della relativa valutazione” (ex plurimis, sentenze n. 22 del 2012, n. 93 del 2011, n. 355 e n. 83 del 2010; n. 128 del 2008; n. 171 del 2007)» (sentenza n. 10 del 2015; nello stesso senso, sentenza n. 287 del 2016).

Considerati la notoria situazione di crisi economica sistemica, il tenore delle disposizioni censurate e la ratio che le ispira – consistente nella finalità di valorizzare le risorse energetiche nazionali, consentire il raggiungimento degli obiettivi della strategia energetica, garantire la sicurezza degli approvvigionamenti del Paese e sbloccare gli investimenti privati nel settore – non sono riscontrabili né la mancanza dei presupposti della straordinaria necessità ed urgenza né l’irragionevolezza o l’arbitrarietà della loro valutazione. Ne consegue l’infondatezza della censura sotto il profilo in considerazione.

Quanto alla mancanza del requisito di immediata applicabilità delle disposizioni censurate, occorre ricordare che l’art. 15, comma 3, della legge n. 400 del 1988 prescrive – con disposizione che rileva anche per l’ulteriore censura relativa al difetto di omogeneità e coerenza dell’impugnato art. 38 – che «I decreti devono contenere misure di immediata applicazione e il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo» e che «[l’]art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri) […] pur non avendo, in sé e per sé, rango costituzionale, e non potendo quindi assurgere a parametro di legittimità in un giudizio davanti a questa Corte, costituisce esplicitazione della ratio implicita nel secondo comma dell’art. 77 Cost.» (sentenze n. 220 del 2013 e n. 22 del 2012).

Tanto premesso, dalla mera lettura delle disposizioni impugnate emergono la loro portata precettiva e la immediata e diretta applicabilità. Esse, infatti, lungi dal perseguire finalità programmatiche, hanno un contenuto qualificatorio (strategicità, indifferibilità ed urgenza, pubblica utilità attribuita alle attività ed ai relativi titoli abilitativi), regolano il procedimento di adozione di uno strumento di pianificazione delle attività minerarie, allocano quello di valutazione di impatto ambientale (VIA), prevedono le condizioni e le modalità per il rilascio del titolo concessorio unico ed il suo subentro ai titoli minerari precedenti, disciplinano il procedimento di autorizzazione di progetti sperimentali di coltivazione di giacimenti. Si tratta di disposizioni che, nell’assoluta maggioranza dei casi, non richiedono l’adozione di ulteriore normativa, considerato, peraltro, che «la straordinaria necessità ed urgenza non postula inderogabilmente un’immediata applicazione delle disposizioni normative contenute nel decreto-legge, ma ben può fondarsi sulla necessità di provvedere con urgenza, anche laddove il risultato sia per qualche aspetto necessariamente differito» (sentenza n. 16 del 2017). Ne consegue che la censura proposta dalla Regione Lombardia non è fondata neanche sotto questo profilo.

Infine, quanto al dedotto difetto di omogeneità e coerenza della normativa impugnata, secondo la giurisprudenza costituzionale «il riconoscimento dell’esistenza dei presupposti fattuali, di cui all’art. 77, secondo comma, Cost., [si ricollega] ad una intrinseca coerenza delle norme contenute in un decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico. La urgente necessità del provvedere può riguardare una pluralità di norme accomunate dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate, ovvero anche dall’intento di fronteggiare situazioni straordinarie complesse e variegate, che richiedono interventi oggettivamente eterogenei, afferenti quindi a materie diverse, ma indirizzati all’unico scopo di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare» (sentenza n. 22 del 2012).

Le disposizioni contenute nel censurato art. 38 risultano omogenee per ratio al contenuto dell’intero decreto-legge n. 133 del 2014. Quest’ultimo, nonostante la diversità dei settori in cui interviene, reca una normativa unitaria sotto il profilo della finalità perseguita, come questa Corte ha già avuto modo di affermare: «è bensì vero che il decreto-legge n. 133 del 2014 è riconducibile alla categoria dei "provvedimenti governativi ab origine a contenuto plurimo”, annoverati dalla Corte tra gli "atti [...] che di per sé non sono esenti da problemi rispetto al requisito dell’omogeneità” (sent. n. 32 del 2014); nondimeno, le molteplici disposizioni che lo compongono, ancorché eterogenee dal punto di vista materiale, presentano una sostanziale omogeneità di scopo, essendo tutte preordinate all’unitario obiettivo di accelerare e semplificare la realizzazione e la conclusione di opere infrastrutturali strategiche, nel più ampio quadro della promozione dello sviluppo economico e del rilancio delle attività produttive. Il decreto-legge in esame, dunque, ancorché articolato e differenziato al proprio interno, appare fornito di una sua intrinseca coerenza» (sentenza n. 244 del 2016).

D’altra parte, l’art. 38 del d.l. n. 133 del 2014 è effettivamente orientato al perseguimento dell’indicato obiettivo, regolando – con intento semplificativo ed acceleratorio – l’attività amministrativa concessoria nel settore degli idrocarburi (anche) con la finalità di sbloccare gli investimenti privati in tale ambito.

L’articolo, infine, presenta altresì un contenuto omogeneo al suo interno, dal momento che si compone di disposizioni che disciplinano organicamente misure volte alla valorizzazione delle risorse energetiche nazionali.

Dunque, alla luce delle ragioni che precedono, la questione promossa non è fondata nemmeno sotto il profilo da ultimo considerato.

7.– Le Regioni Abruzzo e Veneto impugnano l’art. 38, comma 1, del d.l. n. 133 del 2014 che – nella versione originaria – prevedeva che «Al fine di valorizzare le risorse energetiche nazionali e garantire la sicurezza degli approvvigionamenti del Paese, le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale rivestono carattere di interesse strategico e sono di pubblica utilità, urgenti e indifferibili. I relativi titoli abilitativi comprendono pertanto la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dell’opera e l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio dei beni in essa compresi, conformemente al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, recante il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità».

In particolare, secondo la Regione Abruzzo, la qualificazione delle citate attività come di interesse strategico e di pubblica utilità, urgenti ed indifferibili sarebbe generica e priva di motivazione idonea ad attribuire tale status a priori ed in via generale ed astratta. Inoltre, la strategicità non corrisponderebbe al requisito di proporzionalità richiesto per la cosiddetta chiamata in sussidiarietà e determinerebbe l’applicazione alle attività in considerazione di una procedura semplificata ed accelerata di VIA che inibirebbe l’intervento della Regione nell’iter autorizzativo, in contrasto con gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost.

La Regione Veneto sostiene che la norma realizzerebbe una chiamata in sussidiarietà nella materia di competenza concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», senza al contempo prevedere un’intesa in senso forte con le Regioni, così violando gli artt. 117, terzo comma, 118 e 120 Cost.

La disposizione censurata è stata sostituita dall’art. 1, comma 240, lettera a), della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2016), statuendo che «Le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale sono di pubblica utilità. I relativi titoli abilitativi comprendono pertanto la dichiarazione di pubblica utilità».

Lo ius superveniens, tuttavia, non determina la cessazione della materia del contendere, la quale, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, richiede che la modifica della norma censurata sia satisfattiva delle pretese avanzate con il ricorso e che essa non abbia medio tempore ricevuto applicazione (di recente, sentenza n. 50 del 2017).

Quanto alla prima condizione, la disposizione sopravvenuta, mantenendo l’unilaterale qualificazione di pubblica utilità delle attività ed il relativo effetto declaratorio ad opera dei titoli abilitativi, non soddisfa le ragioni dedotte dalle ricorrenti. Quanto alla seconda, si deve rilevare che la norma originaria ha natura autoapplicativa, in considerazione del contenuto qualificatorio, e si riferisce a tutti i «titoli abilitativi», dunque anche a quelli precedenti al titolo concessorio unico – come, peraltro, si evince indirettamente anche dall’art. 14 del decreto del Ministero dello sviluppo economico del 25 marzo 2015 (Aggiornamento del disciplinare tipo in attuazione dell’articolo 38 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164), che, nel ribadire il contenuto della norma censurata, richiama anche la normativa afferente ai titoli minerari di cui alla legge del 9 gennaio 1991, n. 9 (Norme per l’attuazione del nuovo Piano energetico nazionale: aspetti istituzionali, centrali idroelettriche ed elettrodotti, idrocarburi e geotermia, autoproduzione e disposizioni fiscali) – frattanto eventualmente rilasciati, difettando così certezze in ordine al requisito della mancata applicazione.

7.1.– Tanto premesso, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 1, del d.l. n. 133 del 2014, promossa dalla Regione Abruzzo in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., non è fondata.

La norma censurata prevede una fattispecie di chiamata in sussidiarietà, cui, secondo il costante orientamento di questa Corte, «[l]o Stato può ricorrere […] "al fine di allocare e disciplinare una funzione amministrativa (sentenza n. 303 del 2003) pur quando la materia, secondo un criterio di prevalenza, appartenga alla competenza regionale concorrente, ovvero residuale” (sentenza n. 278 del 2010)» (sentenza n. 7 del 2016), ossia, nel caso in esame, alla materia concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» (sentenze n. 114 del 2017 e n. 383 del 2005).

Secondo la ricorrente, la norma non corrisponderebbe a quanto da questa Corte affermato in più occasioni: «perché nelle materie di cui all’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., una legge statale possa legittimamente attribuire funzioni amministrative a livello centrale ed al tempo stesso regolarne l’esercizio, è necessario che essa innanzi tutto rispetti i princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza nella allocazione delle funzioni amministrative, rispondendo ad esigenze di esercizio unitario di tali funzioni. È necessario, inoltre, che tale legge detti una disciplina logicamente pertinente, dunque idonea alla regolazione delle suddette funzioni, e che risulti limitata a quanto strettamente indispensabile a tale fine […]» (ex plurimis, sentenza n. 7 del 2016, punto 2). Insomma, occorre che «"la valutazione dell’interesse pubblico sottostante all’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata” e "non risulti affetta da irragionevolezza”» (sentenza n. 142 del 2016). In forza di tali principi sono state ritenute illegittime norme che pretendevano di realizzare una chiamata in sussidiarietà «prevedendo una attribuzione generalizzata ed astratta ad un organo statale di un insieme indifferenziato di funzioni, individuate in modo generico e caratterizzate anche da una notevole eterogeneità quanto alla possibile incidenza sulle specifiche attribuzioni di competenza» (sentenze n. 144 del 2014 e n. 232 del 2011) in «assoluta carenza nel contesto dispositivo di una qualsiasi esplicitazione sia dell’esigenza di assicurare l’esercizio unitario perseguito attraverso tali funzioni, sia della congruità, in termini di proporzionalità e ragionevolezza, di detta avocazione rispetto al fine voluto ed ai mezzi predisposti per raggiungerlo, sia della impossibilità che le funzioni amministrative de quibus possano essere adeguatamente svolte agli ordinari livelli inferiori» (sentenze n. 144 del 2014 e n. 232 del 2011).

L’intervento normativo in esame, tuttavia, non è assimilabile a quelli da ultimo descritti. Esso, infatti, riguarda le sole attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale e i relativi titoli abilitativi; dunque, un ambito circoscritto, con riferimento al quale l’art. 38, comma 1, esplicita, seppur sinteticamente – «Al fine di […] garantire la sicurezza degli approvvigionamenti del Paese» – le ragioni di unitarietà e proporzionalità fondanti la chiamata in sussidiarietà. La menzionata finalità, peraltro, costituisce uno degli «obiettivi generali di politica energetica del Paese, il cui conseguimento è assicurato sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione dallo Stato, dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas, dalle regioni e dagli enti locali» (art. 1, comma 3, lettera a, della legge n. 239 del 2004). A tal fine sono state attribuite allo Stato «le determinazioni inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, ivi comprese le funzioni di polizia mineraria, adottate, per la terraferma, di intesa con le regioni interessate» (art. 1, comma 7, lettera n, della legge n. 239 del 2004), tanto da non essere stati trasferiti alle Regioni «[…] i giacimenti petroliferi e di gas e le relative pertinenze nonché i siti di stoccaggio di gas naturale e le relative pertinenze» (art. 3, comma 1, lettera a, del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, recante «Attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, in attuazione dell’articolo 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42»).

In tale contesto l’accentramento realizzato dalla norma impugnata non risulta sproporzionato bensì coerente (in tal senso, sentenza n. 142 del 2016) col carattere strategico degli interventi cui si rivolge (sentenza n. 165 del 2011) e si giustifica alla luce del ruolo centrale nella politica energetica nazionale (in tal senso, sentenza n. 313 del 2010) già riconosciuto alle attività minerarie nel settore degli idrocarburi.

Quanto al preteso effetto acceleratorio e semplificatorio sulla procedura di VIA asseritamente ascrivibile alla declaratoria normativa di strategicità, il presupposto interpretativo da cui muove la Regione è erroneo, risultando smentito dall’art. 38, comma 6-bis – aggiunto in sede di conversione – del d.l. n. 133 del 2014, il quale rimanda alle normali «modalità» e «competenze» di cui alla Parte II del d.lgs. n. 152 del 2006, nel cui ambito si collocano gli artt. da 19 a 29 che disciplinano in linea generale l’ordinaria procedura di VIA.

7.2.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 1, del d.l. n. 133 del 2014, promossa dalla Regione Veneto in riferimento agli artt. 117, terzo comma, 118 e 120 Cost., non è fondata.

Diversamente da quanto lamentato dalla ricorrente, e coerentemente con la costante giurisprudenza costituzionale (ex plurimis, sentenza n. 7 del 2016), la chiamata in sussidiarietà realizzata dalla norma censurata richiede l’intesa con la Regione per ogni tipologia di titolo abilitativo all’esercizio delle attività minerarie nel settore degli idrocarburi.

In particolare, quanto ai titoli disciplinati dalla legge n. 9 del 1991, l’intesa con le Regioni interessate è prevista dall’art. 1, comma 7, lettera n), della legge n. 239 del 2004, che la prescrive in generale per «le determinazioni inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi» sulla terraferma; quanto al titolo concessorio unico, l’intesa per lo svolgimento delle attività minerarie sulla terraferma è esplicitamente prevista dall’art. 38, comma 6, lettera b), del d.l. n. 133 del 2014; infine, per le attività di stoccaggio di gas naturale, l’intesa con la Regione interessata è richiesta dall’art. 3, comma 2, del decreto del Ministero dello sviluppo economico del 21 gennaio 2011 (Modalità di conferimento della concessione di stoccaggio di gas naturale in sotterraneo e relativo disciplinare tipo), adottato in attuazione dell’art. 11, comma 1, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164 (Attuazione della direttiva n. 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell’articolo 41 della legge 17 maggio 1999, n. 144).

Con riguardo alle attività minerarie in mare, non si configura alcuna fattispecie di attrazione in sussidiarietà, stante il difetto di competenza regionale in detto ambito, come meglio risulterà in prosieguo.

8.– Le Regioni Abruzzo, Marche, Puglia e Lombardia impugnano l’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014, introdotto in sede di conversione, che originariamente prevedeva che il Ministro dello sviluppo economico, con proprio decreto, sentito il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, predisponesse un piano delle aree in cui consentire le attività minerarie di cui al comma 1 del medesimo art. 38.

La disposizione in questione è stata sostituita dall’art. 1, comma 554, della legge n. 190 del 2014, in virtù del quale, diversamente da quanto precedentemente previsto, il piano delle aree disponibili per le attività minerarie doveva essere adottato, per quelle sulla terraferma, previa intesa con la Conferenza unificata. In caso di mancato raggiungimento della stessa, la norma disponeva che si provvedesse con le modalità di cui all’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004 e che, nelle more dell’adozione del piano, i titoli abilitativi di cui al comma 1 fossero rilasciati sulla base delle norme previgenti.

La nuova versione del menzionato comma 1-bis è stata impugnata dalla Regione Veneto; il citato comma 554 è stato impugnato dalle Regioni Campania, Abruzzo, Marche e Puglia.

L’art. 1, comma 240, lettera b), della legge n. 208 del 2015 ha abrogato l’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014, come modificato dall’art. 1, comma 554, della legge n. 190 del 2014.

Prima dell’abrogazione la norma sul piano delle aree non ha mai trovato applicazione, così come questa Corte ha già avuto modo di affermare (sentenza n. 114 del 2017), mentre il previsto regime transitorio non è stato censurato.

Pertanto, coerentemente a quanto costantemente ritenuto da questa Corte (ex plurimis, sentenza n. 50 del 2017), sussistono le condizioni per dichiarare cessata la materia del contendere limitatamente alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014 e dell’art. 1, comma 554, della legge n. 190 del 2014.

9.– La Regione Veneto impugna l’art. 38, comma 2, del d.l. n. 133 del 2014, secondo cui, «Qualora le opere di cui al comma 1 comportino variazione degli strumenti urbanistici, il rilascio dell’autorizzazione ha effetto di variante urbanistica». Prescrivendo l’effetto di variante, la norma non si limiterebbe ad una disciplina di principio nella materia urbanistica, rientrante nella competenza legislativa concorrente, ma recherebbe una normativa di dettaglio, in contrasto con gli artt. 117, terzo comma, 118 e 120 Cost., quest’ultimo espressivo del principio di leale collaborazione.

Dette censure sono inammissibili in riferimento agli artt. 118 e 120 Cost. e non fondate in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.

Anche la disposizione censurata realizza una fattispecie di attrazione in sussidiarietà, riconducendo ai titoli abilitativi di cui all’art. 38, comma 1, del d.l. n. 133 del 2014 l’eventuale effetto di variante urbanistica.

Poiché la chiamata in sussidiarietà consente di regolare la funzione amministrativa in rilievo pur quando la materia appartenga alla competenza regionale concorrente o addirittura residuale, in presenza di tale fattispecie la distinzione tra normativa di principio e normativa di dettaglio è destinata a dissolversi, dovendosi piuttosto valutare la rispondenza della norma, da un lato, ai criteri dell’art. 118 Cost. per allocazione e disciplina e, dall’altro, al principio di leale collaborazione (sentenza n. 6 del 2004). Da ciò discende che, nell’ambito della chiamata in sussidiarietà, il legislatore ha correttamente disciplinato la funzione anche nel dettaglio. Quanto all’evocazione degli artt. 118 e 120 Cost., come espressivi del principio di leale collaborazione, essa risulta inammissibile, atteso che la ricorrente non denuncia la mancanza degli estremi per l’attrazione in sussidiarietà, cui tali parametri si riferiscono.

10.– La Regione Veneto impugna altresì l’art. 38, comma 3, del d.l. n. 133 del 2014, che, modificando il punto 7) dell’allegato II della parte seconda del d.lgs. n. 152 del 2006, in virtù del richiamo operato dall’art. 7, comma 3, del medesimo decreto, sottrarrebbe interamente alla Regione la competenza sui procedimenti di VIA afferenti ai progetti relativi ad attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi sulla terraferma. Ciò in una materia, quella della tutela dell’ambiente, intrinsecamente trasversale, in cui alle Regioni, nell’ambito delle loro competenze, sarebbe consentito di determinare un aumento dei livelli di tutela. In tal modo la norma violerebbe gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost.

La questione non è fondata.

Per costante giurisprudenza di questa Corte la disciplina in tema di VIA e la relativa procedura vanno ascritte alla materia della «tutela dell’ambiente», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (sentenze n. 114 del 2017, n. 117 del 2015, n. 199 del 2014 e n. 221 del 2010). La VIA «è autonoma, ancorché connessa, rispetto al procedimento amministrativo nell’ambito del quale si colloca» (sentenza n. 221 del 2010). Dunque, ove pure siano presenti ambiti materiali di spettanza regionale, deve ritenersi prevalente il citato titolo di legittimazione statale (sentenze n. 93 del 2013 e n. 234 del 2009). All’identificazione della competenza esclusiva del legislatore statale conseguono, da un lato, l’impossibilità di configurare una fattispecie di chiamata in sussidiarietà (sentenza n. 114 del 2017) e, dall’altro, la spettanza allo stesso del potere di allocare le relative funzioni amministrative ai diversi livelli di governo ed anche ad organi centrali ove giustificato alla luce dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza (sentenze n. 20 del 2012, n. 234 del 2009 e n. 225 del 2009), senza che la Regione abbia titolo per concorrere al relativo esercizio (sentenza n. 278 del 2010).

Peraltro, la ricorrente, pur evocando l’art. 118 Cost., non contesta affatto che l’allocazione delle funzioni a livello centrale sia adeguata o risponda ad esigenze di esercizio unitario.

11.– Le Regioni Abruzzo, Marche, Puglia, Lombardia e Veneto impugnano anche l’art. 38, comma 4, del d.l. n. 133 del 2014, il quale prevede un regime transitorio per l’allocazione delle procedure di VIA, disponendo che «Per i procedimenti di valutazione di impatto ambientale in corso presso le regioni alla data di entrata in vigore del presente decreto, relativi alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, la regione presso la quale è stato avviato il procedimento conclude lo stesso entro il 31 marzo 2015. Decorso inutilmente tale termine, la regione trasmette la relativa documentazione al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare per i seguiti istruttori di competenza, dandone notizia al Ministero dello sviluppo economico. I conseguenti oneri di spesa istruttori rimangono a carico delle società proponenti e sono versati all’entrata del bilancio dello Stato per essere successivamente riassegnati al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare».

Le censure dalle ricorrenti possono essere sintetizzate come segue: a) la norma determinerebbe un’avocazione allo Stato di funzioni di attuale titolarità regionale, in riferimento a procedimenti già in corso, correlata al mero decorso del tempo ed in assenza di coinvolgimento della Regione, sebbene si tratti di ambiti materiali in cui essa potrebbe intervenire, eventualmente innalzando il livello di tutela, in violazione degli artt. 117, secondo, terzo e quarto comma, e 118, primo comma, Cost. (Regioni Abruzzo, Lombardia e Veneto); b) la disposizione violerebbe l’art. 120 Cost., in quanto, da un lato, la sostituzione non avverrebbe ad opera del Governo nel suo complesso ma da parte di una sua componente e non secondo le condizioni previste dall’art. 8, comma 1, della legge n. 131 del 2003 o un modulo collaborativo ispirato ad analoghi criteri, che coinvolga adeguatamente la Regione interessata dall’attivazione del potere sostitutivo (Regioni Marche, Puglia e Lombardia) e, dall’altro, la sostituzione dello Stato agli enti locali estrometterebbe completamente la Regione nonostante l’art. 120 Cost. legittimi anche il legislatore regionale, nelle materie di propria competenza, a disciplinare un potere sostitutivo in relazione all’esercizio delle funzioni di competenza dei Comuni ai sensi dell’art. 118 Cost. (Regione Lombardia); c) la norma, determinando un irragionevole e notevole aggravio del lavoro della Commissione VIA nazionale, violerebbe gli artt. 3 e 97 Cost., con un’evidente ricaduta sulle competenze regionali (Regione Veneto); d) l’attribuzione allo Stato dei procedimenti di VIA in corso, lesiva dell’art. 3 Cost., estenderebbe la propria illegittimità alla previsione della spettanza dei relativi oneri di spesa istruttori al bilancio statale, con conseguente violazione dell’art. 119 Cost. (Regione Lombardia).

11.1.– Preliminarmente si deve rilevare come, con memoria depositata in prossimità dell’udienza, la difesa della Regione Abruzzo abbia rinunciato all’impugnativa dell’art. 38, comma 4, del d.l. n. 133 del 2014. Ciò, tuttavia, non determina la cessazione della materia del contendere, atteso che la deliberazione in tal senso della Giunta regionale non è stata prodotta in tempo utile per poter essere presa in considerazione.

11.2.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 4, del d.l. n. 133 del 2014, promosse dalle Regioni Abruzzo, Lombardia e Veneto in riferimento agli artt. 117, secondo, terzo e quarto comma, e 118, primo comma, Cost., non sono fondate.

Al riguardo vale quanto detto a proposito delle analoghe censure rivolte al comma 3 del medesimo articolo: dall’identificazione della competenza esclusiva del legislatore statale in materia di tutela dell’ambiente – cui ricondurre anche la norma in esame, sempre in tema di VIA – discende, da un lato, l’impossibilità di configurare una fattispecie di chiamata in sussidiarietà, «con conseguente infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale proposte in riferimento ai parametri che la presidiano» (sentenza n. 114 del 2017), e, dall’altro, la spettanza al legislatore statale del potere di allocare le relative funzioni amministrative ai diversi livelli di governo ed anche presso organi centrali ove giustificato alla luce dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza – della cui violazione le ricorrenti nella fattispecie non si dolgono – senza che la Regione abbia titolo per concorrere al relativo esercizio.

Con specifico riguardo al regime transitorio di trasferimento in sede statale delle procedure di VIA non tempestivamente definite presso le Regioni, si deve altresì rilevare che «la previsione di un termine entro cui il procedimento deve concludersi [… è] espressione di una generale esigenza di speditezza volta a garantire uniformemente su tutto il territorio nazionale il celere svolgimento del procedimento autorizzatorio (cfr. sentenza n. 336 del 2005)» (sentenza n. 383 del 2005) e che «deve desumersi da quanto previsto dall’art. 118 Cost. […] anche la previsione di "eccezionali sostituzioni di un livello ad un altro di governo per il compimento di specifici atti o attività, considerati dalla legge necessari per il perseguimento degli interessi unitari coinvolti, e non compiuti tempestivamente dall’ente competente” (sentenza n. 43 del 2004)» (sentenza n. 249 del 2009).

11.3.– Non sono neppure fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 4, del d.l. n. 133 del 2014, promosse dalle Regioni Marche, Puglia e Lombardia in riferimento all’art. 120 Cost., anche in relazione all’art. 8, comma 1, della legge n. 131 del 2003.

Le funzioni e le procedure di VIA afferenti ai progetti relativi ad attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi sulla terraferma sono state allocate presso organi centrali – in applicazione dell’art. 118 Cost. – dall’art. 38, comma 3, del d.l. n. 133 del 2014, onde soddisfare le esigenze unitarie che permeano l’intera disciplina dettata da tale articolo nel settore energetico in considerazione. Alla luce di ciò, l’avocazione delle procedure che non siano state tempestivamente esaurite dalle Regioni dopo la già avvenuta assunzione in via ordinaria delle relative funzioni da parte dello Stato trova il proprio fondamento nell’art. 118 Cost. e non viola l’art. 120 Cost., il quale riguarda la diversa fattispecie di sostituzione statale nell’esercizio di una competenza di spettanza regionale.

Questa Corte ha infatti chiarito che, «quando si applichi il principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost., quelle stesse esigenze unitarie che giustificano l’attrazione della funzione amministrativa per sussidiarietà consentono di conservare in capo allo Stato poteri acceleratori da esercitare nei confronti degli organi della Regione che restino inerti. In breve, la già avvenuta assunzione di una funzione amministrativa in via sussidiaria legittima l’intervento sollecitatorio diretto a vincere l’inerzia regionale. Nella fattispecie di cui all’art. 120 Cost., invece, l’inerzia della Regione è il presupposto che legittima la sostituzione statale nell’esercizio di una competenza che è e resta propria dell’ente sostituito» (sentenza n. 303 del 2003).

Le considerazioni che precedono determinano l’infondatezza anche dell’altro profilo di censura formulato dalla Regione Lombardia in riferimento all’art. 120 Cost., che non trova applicazione nella fattispecie in considerazione. Né giova richiamare la giurisprudenza di questa Corte secondo cui «non può farsi discendere dall’art. 120, secondo comma, Cost. una riserva a favore della legge statale di ogni disciplina del potere sostitutivo, dovendosi viceversa riconoscere che "la legge regionale, intervenendo in materie di propria competenza e nel disciplinare, ai sensi dell’art. 117, terzo e quarto comma, e dell’art. 118, primo e secondo comma, Cost., l’esercizio di funzioni amministrative di competenza dei Comuni, preveda anche poteri sostitutivi in capo ad organi regionali, per il compimento di atti o attività obbligatorie, nel caso di inerzia o di inadempimento da parte dell’ente competente, al fine di salvaguardare interessi unitari che sarebbero compromessi dall’inerzia o dall’inadempimento medesimi” (sentenza n. 43 del 2004)» (sentenza n. 249 del 2009).

Fermo restando che la fattispecie in esame si colloca al di fuori della portata applicativa dell’art. 120 Cost., si deve comunque rilevare che, alla stregua di quanto già detto, nel caso in considerazione non si verte in un ambito di competenza regionale, ma esclusivo del legislatore statale, il quale, in materia di «tutela dell’ambiente», si riappropria della procedura di VIA, coerentemente con quanto previsto a regime dal precedente comma 3 del medesimo art. 38. Peraltro, l’attrazione delle funzioni non attinge al livello locale, ma a quello regionale, presso il quale erano allocate prima dell’accentramento; infine, come detto, l’avocazione avviene per esigenze unitarie nazionali di sfruttamento delle risorse energetiche. Infatti, «la valutazione della necessità del conferimento di una funzione amministrativa ad un livello territoriale superiore rispetto a quello comunale deve essere necessariamente effettuata dall’organo legislativo corrispondente almeno al livello territoriale interessato e non certo da un organo legislativo operante ad un livello territoriale inferiore (come sarebbe un Consiglio regionale in relazione ad una funzione da affidare – per l’esercizio unitario – al livello nazionale)» (sentenza n. 6 del 2004).

11.4.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 4, del d.l. n. 133 del 2014, promossa dalla Regione Veneto in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., non è fondata.

L’asserito aggravio del lavoro della Commissione VIA nazionale che la norma determinerebbe costituisce un mero inconveniente di fatto, «"che secondo la giurisprudenza di questa Corte non è idoneo ad introdurre il giudizio di legittimità di una norma (sentenza n. 117 del 2012 e ordinanza n. 362 del 2008)” (ordinanza n. 158 del 2014) in quanto non direttamente riferibile alla previsione normativa, ma ricollegabile, invece, "a circostanze contingenti attinenti alla sua concreta applicazione (sentenza n. 270 del 2012), non involgenti, per ciò, un problema di costituzionalità (sentenza n. 295 del 1995)” (sentenza n. 157 del 2014)» (sentenza n. 114 del 2017).

11.5.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 4, del d.l. n. 133 del 2014, promossa dalla Regione Lombardia in riferimento agli artt. 3 e 119 Cost., è in parte inammissibile ed in parte infondata.

La questione proposta in riferimento all’art. 3 Cost. è inammissibile, atteso che il parametro risulta meramente evocato, senza indicazione dei motivi per cui la norma impugnata vi contrasterebbe.

Quanto alla dedotta violazione dell’art. 119 Cost., lo stesso principio – invocato dalla ricorrente – di corrispondenza tra la spettanza delle spese istruttorie ed il livello di governo a cui è attribuito il procedimento impone che, a seguito del legittimo trasferimento della procedura di VIA all’amministrazione centrale, gli oneri di spesa istruttori «conseguenti» siano devoluti al bilancio dello Stato, senza pregiudizio alcuno per l’autonomia finanziaria regionale. D’altra parte, la stessa Regione prospetta la violazione come consequenziale all’illegittima assegnazione allo Stato dei procedimenti pendenti: esclusa quest’ultima per quanto in precedenza esposto, difetta anche la prima. Ne consegue l’infondatezza della questione proposta.

12.– Le Regioni Abruzzo e Veneto impugnano l’art. 38, comma 5, del d.l. n. 133 del 2014, che – nella versione originaria – prevedeva che «Le attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi di cui alla legge 9 gennaio 1991, n. 9, sono svolte a seguito del rilascio di un titolo concessorio unico, sulla base di un programma generale di lavori articolato in una prima fase di ricerca, per la durata di sei anni, prorogabile due volte per un periodo di tre anni nel caso sia necessario completare le opere di ricerca, a cui seguono, in caso di rinvenimento di un giacimento tecnicamente ed economicamente coltivabile, riconosciuto dal Ministero dello sviluppo economico, la fase di coltivazione della durata di trenta anni, prorogabile per una o più volte per un periodo di dieci anni ove siano stati adempiuti gli obblighi derivanti dal decreto di concessione e il giacimento risulti ancora coltivabile, e quella di ripristino finale».

In particolare, secondo la Regione Abruzzo la norma violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost. in relazione alla direttiva n. 94/22/CE del 1994, in base alla quale i titoli abilitativi dovrebbero essere necessariamente due – il permesso di ricerca e la concessione di coltivazione – anche per ragioni di tutela del diritto di proprietà. Ad avviso della Regione Veneto, invece, la norma sarebbe in contrasto con il canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. Ciò dal momento che prevederebbe un titolo concessorio unico in luogo dei precedenti due distinti titoli. In tal modo i poteri concessori verrebbero attribuiti antecedentemente alla scoperta del giacimento ed al programma dei lavori, da predisporre prima dell’attività di ricerca, rendendo difficoltosa la specificazione delle aree interessate.

L’art. 1, comma 240, lettera c), della legge n. 208 del 2015 ha sostituito la disposizione censurata, prevedendo che «Le attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi sono svolte con le modalità di cui alla legge 9 gennaio 1991, n. 9, o a seguito del rilascio di un titolo concessorio unico, sulla base di un programma generale di lavori articolato in una prima fase di ricerca, per la durata di sei anni, a cui seguono, in caso di rinvenimento di un giacimento tecnicamente ed economicamente coltivabile, riconosciuto dal Ministero dello sviluppo economico, la fase di coltivazione della durata di trent’anni, salvo l’anticipato esaurimento del giacimento, nonché la fase di ripristino finale».

Anche in questo caso lo ius superveniens non determina la cessazione della materia del contendere, la quale, come detto, richiede che la modifica della norma impugnata sia satisfattiva delle pretese avanzate con il ricorso e che essa non sia stata applicata medio tempore.

Quanto alla prima condizione, la disposizione sopravvenuta non soddisfa le ragioni dedotte dalle ricorrenti, atteso che il titolo concessorio unico viene mantenuto con i suoi connotati originari (salvo che per quanto concerne la possibilità di proroga, non riguardata dalle censure regionali), seppur accanto ai precedenti titoli abilitativi. Quanto alla seconda, si deve rilevare che la norma impugnata può aver ricevuto frattanto applicazione in ragione del dettato del comma 8 del medesimo art. 38, il quale prevede che, su istanza del titolare o del richiedente, il comma 5 possa essere applicato anche ai titoli rilasciati successivamente alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 2006 ed ai procedimenti in corso.

12.1.– Tanto premesso, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 5, del d.l. n. 133 del 2014, promossa dalla Regione Abruzzo in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost. ed in relazione alla direttiva n. 94/22/CE del 1994, è inammissibile.

La censura, infatti, è del tutto generica, in quanto la ricorrente non indica i parametri interposti che assume violati, limitandosi ad un rinvio all’intero corpo della direttiva comunitaria (sentenza n. 156 del 2016).

12.2.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 5, del d.l. n. 133 del 2014, promossa dalla Regione Veneto in riferimento all’art. 3 Cost., non è fondata.

La medesima Regione ha rivolto censure, peraltro già scrutinate da questa Corte, di identico tenore all’art. 1, comma 240, lettera c), della legge n. 208 del 2015, che ha sostituito la disposizione oggetto dell’odierna impugnazione. Può dunque essere ribadito che «in un’ottica acceleratoria e semplificatoria, non è di per sé irragionevole […] attribuire i poteri ex ante solo per il caso in cui effettivamente sia scoperto un giacimento suscettibile di sviluppo, situazione in cui potranno essere concretamente esercitati» (sentenza n. 114 del 2017) e che l’eventuale difficoltà di specificazione delle aree interessate dal programma generale di lavori sulla base del quale rilasciare il titolo concessorio unico, «preteso indice di irragionevolezza, costituisce un mero inconveniente di fatto» (sentenza n. 114 del 2017, già citata).

13.– Le Regioni Abruzzo, Marche, Puglia e Veneto impugnano anche l’art. 38, comma 6, del d.l. n. 133 del 2014, il quale concorre a disciplinare il titolo concessorio unico, stabilendo che: «Il titolo concessorio unico di cui al comma 5 è accordato: a) a seguito di un procedimento unico svolto nel termine di centottanta giorni tramite apposita conferenza di servizi, nel cui ambito è svolta anche la valutazione ambientale preliminare del programma complessivo dei lavori espressa, entro sessanta giorni, con parere della Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale VIA/VAS del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare; b) con decreto del Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la regione o la provincia autonoma di Trento o di Bolzano territorialmente interessata, per le attività da svolgere in terraferma, sentite la Commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie e le Sezioni territoriali dell’Ufficio nazionale minerario idrocarburi e georisorse; c) a soggetti che dispongono di capacità tecnica, economica ed organizzativa ed offrono garanzie adeguate alla esecuzione e realizzazione dei programmi presentati e con sede sociale in Italia o in altri Stati membri dell’Unione europea e, a condizioni di reciprocità, a soggetti di altri Paesi. Il rilascio del titolo concessorio unico ai medesimi soggetti è subordinato alla presentazione di idonee fideiussioni bancarie o assicurative commisurate al valore delle opere di recupero ambientale previste».

Le censure delle ricorrenti possono essere sintetizzate come segue: a) l’intero comma 6 violerebbe gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., non prevedendo un’intesa in senso forte con la Regione, nemmeno in sede di conferenza di servizi, la cui mancanza non risulterebbe foriera di conseguenza giuridica alcuna, e determinando un impiego improprio delle valutazioni ambientali (Regione Abruzzo); b) la lettera a) del comma 6 confermerebbe l’espropriazione delle competenze regionali in tema di VIA, esponendosi alle medesime censure mosse al precedente comma 4 del medesimo art. 38 in riferimento agli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost. (Regione Veneto); c) la disposizione – in particolare la lettera b) del comma 6 – violerebbe gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118, primo comma, Cost., nonché il principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., in quanto non prevederebbe l’intesa con la Regione per il rilascio del titolo concessorio unico relativo alle attività in mare (Regioni Abruzzo, Marche, Puglia e Veneto); d) la norma comporterebbe altresì la violazione dell’art. 3 Cost., realizzando un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto alle attività minerarie sulla terraferma (Regioni Marche e Puglia).

13.1.– La questione di legittimità costituzionale della norma in esame promossa dalla Regione Abruzzo in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost. – indicata sub a) al punto precedente – è inammissibile.

La ricorrente non chiarisce la ragione per cui l’intesa prevista dal comma 6 non sarebbe "forte” e neppure in che modo l’asserita impropria previsione di VIA e valutazione ambientale strategica (VAS) determinerebbe la violazione dei parametri evocati.

Si deve pertanto concludere che «le argomentazioni svolte dalla ricorrente a sostegno dell’impugnazione "non raggiungono quella soglia minima di chiarezza e completezza cui è subordinata l’ammissibilità delle impugnative in via principale (ex plurimis, sentenza n. 312 del 2013)” (sentenza n. 88 del 2014)» (sentenza n. 125 del 2015), con conseguente inammissibilità della questione proposta.

13.2.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 6, lettera a), del d.l. n. 133 del 2014, promossa dalla Regione Veneto in riferimento agli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., non è fondata.

Valgono in proposito le stesse osservazioni rivolte alle censure della stessa Regione nei confronti del comma 4 del medesimo art. 38 (precedenti punti 11.2 e 11.4), estese al successivo comma 6, lettera a), in quanto la norma si rivolge alla procedura di VIA, implicitamente confermandone la sottrazione alla sede regionale.

13.3.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 6, lettera b), del d.l. n. 133 del 2014, promosse dalle Regioni Abruzzo, Marche, Puglia e Veneto in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118, primo comma, Cost., nonché al principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., non sono fondate.

Le censure muovono dal presupposto che la norma realizzi una fattispecie di attrazione in sussidiarietà, la quale, per essere legittima, imporrebbe il modulo collaborativo dell’intesa con la Regione.

Tale assunto contrasta con quanto recentemente affermato da questa Corte, ossia che, «[s]ebbene la disposizione sia astrattamente riconducibile alla materia concorrente "produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, occupandosi dei titoli che abilitano alle attività minerarie nel settore degli idrocarburi, non si ravvisano i presupposti per la chiamata in sussidiarietà, la quale implica, come detto, la sussistenza di una competenza regionale. Le regioni, infatti, non hanno alcuna competenza con riguardo alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi in mare (di recente, sentenza n. 39 del 2017). Ne consegue l’infondatezza della pretesa delle ricorrenti di coinvolgimento regionale, attraverso l’intesa, nel rilascio dei titoli abilitativi a dette attività che ivi dovrebbero svolgersi» (sentenza n. 114 del 2017).

13.4.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 6, lettera b), del d.l. n. 133 del 2014, promosse dalle Regioni Marche e Puglia in riferimento all’art. 3 Cost., non sono fondate.

La discriminazione che la norma realizza tra attività minerarie sulla terraferma ed omologhe attività in mare – subordinando solo per le prime il rilascio del titolo concessorio unico all’intesa con la Regione – si giustifica in ragione del rilievo che nel secondo caso, diversamente dall’altro, non sussiste alcuna competenza regionale con riguardo alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi, onde l’impossibilità di configurare una fattispecie di attrazione in sussidiarietà e la necessità dell’intesa che essa implica.

14.– La Regione Abruzzo impugna, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., i commi 6-bis – secondo cui «I progetti di opere e di interventi relativi alle attività di ricerca e di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi relativi a un titolo concessorio unico di cui al comma 5 sono sottoposti a valutazione di impatto ambientale nel rispetto della normativa dell’Unione europea. La valutazione di impatto ambientale è effettuata secondo le modalità e le competenze previste dalla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni» – e 6-ter – secondo cui «Il rilascio di nuove autorizzazioni per la ricerca e per la coltivazione di idrocarburi è vincolato a una verifica sull’esistenza di tutte le garanzie economiche da parte della società richiedente, per coprire i costi di un eventuale incidente durante le attività, commisurati a quelli derivanti dal più grave incidente nei diversi scenari ipotizzati in fase di studio ed analisi dei rischi» – dell’art. 38 del d.l. n. 133 del 2014.

Le norme estrometterebbero dal procedimento volto al rilascio del titolo concessorio unico relativamente alle attività minerarie in mare, oltre che gli enti locali, anche le Regioni, considerate alla stregua di tutte le altre amministrazioni che concorrono al processo decisionale.

La descritta questione di legittimità costituzionale è inammissibile.

Le censure sono rivolte cumulativamente ed indistintamente ai commi in questione, senza che emerga in maniera chiara in che modo si colleghino agli stessi, cosicché non risulta adeguatamente assolto l’onere motivazionale (sentenza n. 244 del 2016).

15.– Le Regioni Abruzzo, Lombardia e Campania impugnano l’art. 38, comma 7, del d.l. n. 133 del 2014, secondo il quale «Con disciplinare tipo, adottato con decreto del Ministero dello sviluppo economico, sono stabilite, entro centoottanta giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, le modalità di conferimento del titolo concessorio unico di cui al comma 5, nonché le modalità di esercizio delle relative attività ai sensi del presente articolo».

Le ricorrenti, muovendo dal presupposto che la norma integri una fattispecie di chiamata in sussidiarietà, lamentano il mancato coinvolgimento regionale attraverso l’intesa nell’adozione del disciplinare, con conseguente violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost.

Le questioni sono fondate.

Il disciplinare tipo – adottato con decreto del Ministro dello sviluppo economico del 25 marzo 2015 (Aggiornamento del disciplinare tipo in attuazione dell’articolo 38 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164) e successivamente abrogato e sostituito dal decreto del Ministero dello sviluppo economico 7 dicembre 2016 (Disciplinare tipo per il rilascio e l’esercizio dei titoli minerari per la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma, nel mare territoriale e nella piattaforma continentale) – prevede, coerentemente con quanto disposto dalla norma impugnata, le modalità di conferimento del titolo concessorio unico e le modalità di esercizio delle attività in tema di idrocarburi. Ciò anche con riferimento a quelle sulla terraferma, come chiaramente previsto dall’art. 1 di entrambi i decreti.

Il censurato comma incide dunque sulla materia di competenza concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», cui ricondurre le attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi sulla terraferma. Rimettendo esclusivamente al Ministro dello sviluppo economico l’adozione del disciplinare tipo, realizza una chiamata in sussidiarietà senza alcun coinvolgimento delle Regioni, sebbene questa Corte abbia reiteratamente affermato l’esigenza della previsione «di procedure che assicurino la partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque, [… di] adeguati meccanismi di cooperazione per l’esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi centrali» (sentenza n. 7 del 2016).

D’altra parte, scrutinando una fattispecie normativa analoga a quella in considerazione, sempre afferente al settore energetico degli idrocarburi, questa Corte ha ravvisato «la parziale illegittimità costituzionale della disposizione censurata, per la mancata previsione di strumenti di leale collaborazione per la parte che si riferisce a materie di competenza legislativa ed amministrativa delle Regioni interessate» (sentenza n. 339 del 2009).

Si deve pertanto concludere che l’art. 38, comma 7, del d.l. n. 133 del 2014 è costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui non prevede un adeguato coinvolgimento delle Regioni nel procedimento finalizzato all’adozione del decreto del Ministro dello sviluppo economico con cui sono stabilite le modalità di conferimento del titolo concessorio unico, nonché le modalità di esercizio delle relative attività.

16.– Le Regioni Abruzzo e Veneto impugnano l’art. 38, comma 8, del d.l. n. 133 del 2014, secondo cui «I commi 5, 6 e 6-bis si applicano, su istanza del titolare o del richiedente, da presentare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, anche ai titoli rilasciati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e ai procedimenti in corso. Il comma 4 si applica fatta salva l’opzione, da parte dell’istante, di proseguimento del procedimento di valutazione di impatto ambientale presso la regione, da esercitare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto».

In particolare, la Regione Abruzzo estende al comma in considerazione le censure rivolte al precedente comma 4 del medesimo art. 38 – espressamente richiamato dal secondo periodo della disposizione impugnata – deducendone pertanto il contrasto con gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost. La Regione Veneto rivolge alla norma le stesse censure formulate con riguardo ai precedenti commi 4, 5 e 6 dell’art. 38 – gli ultimi due richiamati dal primo periodo del comma 8 – in riferimento agli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto comma, 118 Cost., nonché al principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., lamentando la violazione dell’art. 3 Cost. sotto un ulteriore profilo, ossia in ragione dell’effetto retroattivo della norma.

16.1.– La questione nei confronti di tale norma, promossa dalla Regione Abruzzo in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., non è fondata.

In merito possono richiamarsi gli argomenti esposti a proposito delle censure rivolte dalla stessa Regione al comma 4 del medesimo art. 38 (precedente punto 11.2), estese al successivo comma 8, secondo periodo, in ragione del richiamo normativo ivi contenuto.

16.2.– Le questioni proposte dalla Regione Veneto in riferimento agli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto comma, 118 Cost., nonché al principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., sono in parte inammissibili ed in parte infondate.

La questione proposta in riferimento all’art. 3 Cost. è inammissibile quanto al profilo afferente all’effetto retroattivo della norma, atteso che la dedotta censura non è assistita da adeguata motivazione (sentenza n. 131 del 2016).

Quanto agli ulteriori parametri, la questione non è fondata per le ragioni indicate a proposito delle censure rivolte dalla medesima Regione ai commi 4, 5 e 6 dell’art. 38 (precedenti punti 11.2, 11.4, 12.2 e 13.3), richiamati dalla disposizione censurata.

17.– Le Regioni Abruzzo, Marche, Puglia, Lombardia e Veneto impugnano l’art. 38, comma 10, del d.l. n. 133 del 2014, il quale dispone che «All’articolo 8 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti: "1-bis. Al fine di tutelare le risorse nazionali di idrocarburi in mare localizzate nel mare continentale e in ambiti posti in prossimità delle aree di altri Paesi rivieraschi oggetto di attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi, per assicurare il relativo gettito fiscale allo Stato e al fine di valorizzare e provare in campo l’utilizzo delle migliori tecnologie nello svolgimento dell’attività mineraria, il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentite le Regioni interessate, può autorizzare, previo espletamento della procedura di valutazione di impatto ambientale che dimostri l’assenza di effetti di subsidenza dell’attività sulla costa, sull’equilibrio dell’ecosistema e sugli insediamenti antropici, per un periodo non superiore a cinque anni, progetti sperimentali di coltivazione di giacimenti. I progetti sono corredati sia da un’analisi tecnico-scientifica che dimostri l’assenza di effetti di subsidenza dell’attività sulla costa, sull’equilibrio dell’ecosistema e sugli insediamenti antropici e sia dai relativi progetti e programmi dettagliati di monitoraggio e verifica, da condurre sotto il controllo del Ministero dello sviluppo economico e del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. Ove nel corso delle attività di verifica vengano accertati fenomeni di subsidenza sulla costa determinati dall’attività, il programma dei lavori è interrotto e l’autorizzazione alla sperimentazione decade. Qualora al termine del periodo di validità dell’autorizzazione venga accertato che l’attività è stata condotta senza effetti di subsidenza dell’attività sulla costa, nonché sull’equilibrio dell’ecosistema e sugli insediamenti antropici, il periodo di sperimentazione può essere prorogato per ulteriori cinque anni, applicando le medesime procedure di controllo. 1-ter. Nel caso di attività di cui al comma 1-bis, ai territori costieri si applica quanto previsto dall’articolo 1, comma 5, della legge n. 239 del 2004 e successive modificazioni. 1-quater. All’articolo 1, comma 5, della legge 23 agosto 2004, n. 239, e successive modificazioni, dopo le parole: ‘Le regioni’ sono inserite le seguenti: ‘, gli enti pubblici territoriali’.”».

La disposizione introduce una deroga al divieto di attività minerarie in mare – altrimenti assentibili alla stregua del generale regime giuridico dei titoli abilitativi – «in ambiti posti in prossimità delle aree di altri Paesi rivieraschi» oggetto di attività analoghe. Il riferimento alla vicinanza alle sedi di insistenza delle attività minerarie dei Paesi rivieraschi, se esclude che i progetti sperimentali possano riguardare il mare territoriale (in cui il divieto è sancito dall’art. 6, comma 17, del d.lgs. n. 152 del 2006) e, per ragioni geografiche, la maggior parte – se non tutte – le altre aree in cui dette attività sono altrimenti precluse (le acque del Golfo di Napoli, del Golfo di Salerno e delle Isole Egadi, ai sensi dell’art. 4 della legge n. 9 del 1991), induce a ritenere che la norma censurata sia applicabile al Golfo di Venezia, in cui il divieto, anch’esso previsto dal menzionato art. 4 della legge n. 9 del 1991, è stato successivamente ribadito dall’art. 8, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.

D’altra parte, la stessa collocazione sistematica del comma 1-bis – introdotto dalla norma censurata nell’ambito del citato art. 8 del d.l. n. 112 del 2008 subito di seguito al comma 1 – corrobora la conclusione che la deroga operi in detta area.

Tanto premesso, le censure rivolte dalle ricorrenti all’art. 38, comma 10, del d.l. n. 133 del 2014 si possono sintetizzare come segue: a) la norma violerebbe gli artt. 117, secondo, terzo e quarto comma, e 118 Cost., nonché il principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., in quanto la fattispecie di chiamata in sussidiarietà da essa integrata esigerebbe l’intesa con le Regioni interessate anziché il mero parere delle stesse (Regioni Abruzzo, Marche, Puglia, Lombardia e Veneto); b) la norma sarebbe irragionevole, con conseguente violazione dell’art. 3 Cost., in quanto legittimerebbe attività minerarie in un’area in cui, a fronte del rischio di subsidenza sulle coste, l’art. 26, comma 2, della legge 31 luglio 2002, n. 179 (Disposizioni in materia ambientale) – integrando l’art. 4, comma 1, della legge n. 9 del 1991 – le aveva vietate e l’art. 8, comma 1, del d.l. n. 112 del 2008 aveva previsto il divieto fino a quando non fosse stata accertata l’insussistenza di rischi di subsidenza: nonostante l’evidenza del fenomeno della subsidenza, mancherebbe un adeguato bilanciamento degli interessi in gioco, sacrificandosi la tutela dell’ambiente, della salute e dell’integrità del territorio agli altri scopi di natura economica (Regione Veneto); c) la norma contrasterebbe altresì con gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 191 del TFUE, espressivo del principio di precauzione, in quanto, in presenza di incertezze scientifiche, nel dubbio circa i rischi correlati alle attività minerarie dovrebbero prevalere le esigenze di protezione dell’ambiente sugli interessi economici (Regione Veneto); d) infine, la norma violerebbe l’art. 119, sesto comma, Cost. – ledendo l’integrità del demanio regionale – e gli artt. 9, 32 e 97 Cost. (Regione Veneto).

17.1.– In via preliminare deve essere dichiarata l’inammissibilità delle censure rivolte all’art. 38, comma 10, del d.l. n. 133 del 2014 dalla Regione Lombardia.

Occorre rammentare che le Regioni «hanno titolo a denunciare soltanto le violazioni che siano in grado di ripercuotere i loro effetti, in via diretta ed immediata, sulle prerogative costituzionali loro riconosciute dalla Costituzione. Da ciò consegue che è in tale quadro – caratterizzato dalla necessità che l’iniziativa assunta dalle Regioni ricorrenti sia oggettivamente diretta a conseguire l’utilità propria, ovviamente, del tipo di giudizio che, di volta in volta, venga in rilievo – che deve essere valutata la sussistenza dell’interesse ad agire, da postulare soltanto quando esso presenti le caratteristiche della concretezza e dell’attualità, consistendo in quella utilità diretta ed immediata che il soggetto che agisce può ottenere con il provvedimento richiesto al giudice» (sentenze n. 107 del 2009 e n. 216 del 2008).

Poiché (anche) la Regione Lombardia, attraverso l’impugnativa, mira alla sostituzione del parere con l’intesa con la Regione interessata e poiché, trattandosi di progetti sperimentali «nel mare continentale e in ambiti posti in prossimità delle aree di altri Paesi rivieraschi oggetto di attività» minerarie, per la sua collocazione geografica (priva di sbocchi sul mare) la ricorrente non potrebbe mai trovarsi in tale situazione, si deve concludere che essa non può trarre nessuna utilità diretta ed immediata, sul piano sostanziale, da una eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della contestata disciplina legislativa statale. Difettano, dunque, le caratteristiche di concretezza ed attualità che devono necessariamente connotare l’interesse ad agire, onde l’inammissibilità della questione promossa dalla Regione Lombardia.

17.2.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 10, del d.l. n. 133 del 2014, promosse dalle Regioni Abruzzo, Marche, Puglia e Veneto in riferimento agli artt. 117, secondo, terzo e quarto comma, e 118 Cost., nonché al principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., non sono fondate.

Anche in questo caso le censure muovono dal presupposto che la norma realizzi una fattispecie di attrazione in sussidiarietà, la quale, per essere costituzionalmente legittima, imporrebbe il modulo collaborativo dell’intesa con la Regione.

Tuttavia, anche nella fattispecie «non si ravvisano i presupposti per la chiamata in sussidiarietà, la quale implica, come detto, la sussistenza di una competenza regionale. Le regioni, infatti, non hanno alcuna competenza con riguardo alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi in mare (di recente, sentenza n. 39 del 2017). Ne consegue l’infondatezza della pretesa delle ricorrenti di coinvolgimento regionale, attraverso l’intesa» (sentenza n. 114 del 2017). Di qui l’infondatezza delle questioni proposte.

17.3.– Le censure rivolte dalla Regione Veneto all’art. 38, comma 10, del d.l. n. 133 del 2014 in riferimento agli artt. 9, 32, 97 e 119, sesto comma, Cost. sono inammissibili.

La ricorrente deduce la violazione dei citati parametri senza offrire adeguata motivazione a supporto dell’asserita illegittimità, sostanzialmente limitandosi ad evocarli.

17.4.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 10, del d.l. n. 133 del 2014, promossa dalla Regione Veneto in riferimento all’art. 3 Cost., è fondata.

La norma, infatti, a fronte del precedente reiterato divieto di attività minerarie nel Golfo di Venezia fino a quando non sia definitivamente accertata «la non sussistenza di rischi apprezzabili di subsidenza sulle coste» (art. 8, comma 1, del d.l. n. 112 del 2008), prevede la sperimentazione «delle migliori tecnologie nello svolgimento delle attività minerarie» proprio nell’area in questione – quantomeno connotata da un alto grado di rischio ambientale, alla luce della precedente norma, peraltro ad oggi non abrogata – e la consente fino a quando l’effetto di subsidenza non si sia verificato, prevedendone pertanto l’interruzione quando l’eventuale danno si sia ormai prodotto.

In tal modo essa non bilancia affatto i valori che vengono in rilievo, bensì sacrifica agli interessi energetici e fiscali – desumibili dalle finalità esplicitamente perseguite – quello alla salvaguardia dell’ambiente, ossia proprio il bene che l’impianto normativo intenderebbe maggiormente proteggere. Di qui la palese irragionevolezza della disposizione e la fondatezza della questione proposta.

17.5.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 10, del d.l. n. 133 del 2014, promossa dalla Regione Veneto in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. ed in relazione all’art. 191 del TFUE, resta assorbita.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse con i ricorsi indicati in epigrafe;

riuniti i giudizi,

1) dichiara inammissibili gli interventi dell’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus Ong (WWF Italia) nei giudizi promossi dalle Regioni Abruzzo, Marche, Puglia, Lombardia, Veneto, Campania e Calabria rispettivamente con i ricorsi n. 2, n. 4, n. 5, n. 6, n. 10, n. 13 e n. 14 del 2015 e dell’Associazione "Amici del Parco Archeologico di Pantelleria” nel giudizio promosso dalla Regione Puglia con il ricorso n. 5 del 2015;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 38, comma 7, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, nella parte in cui non prevede un adeguato coinvolgimento delle Regioni nel procedimento finalizzato all’adozione del decreto del Ministero dello sviluppo economico con cui sono stabilite le modalità di conferimento del titolo concessorio unico, nonché le modalità di esercizio delle relative attività;

3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 38, comma 10, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito;

4) dichiara inammissibile il ricorso n. 14 del 2015, proposto dalla Regione Calabria avverso l’art. 38, commi 1, 4, 5 e 6, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, in riferimento agli artt. 114, 117, terzo, quarto e quinto comma, 118 e 120 della Costituzione, nonché ai principi di leale collaborazione e di sussidiarietà;

5) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, promossa, in riferimento all’art. 77 Cost., dalla Regione Lombardia con il ricorso n. 6 del 2015;

6) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38 del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, promossa, in riferimento all’art. 77 Cost., dalla Regione Abruzzo con il ricorso n. 2 del 2015;

7) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38 del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, promossa, in riferimento agli artt. 117, secondo e terzo comma, e 118 Cost., dalla Regione Lombardia con il ricorso n. 6 del 2015;

8) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38 del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, promossa, in riferimento all’art. 77, secondo comma, Cost., dalla Regione Lombardia con il ricorso n. 6 del 2015;

9) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 1, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, promossa, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., dalla Regione Abruzzo con il ricorso n. 2 del 2015;

10) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 1, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, promossa, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, 118 e 120 Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso n. 10 del 2015;

11) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito – promosse in riferimento agli artt. 11, 117, primo, secondo e terzo comma, 118 e 120 Cost. ed in relazione agli artt. 3, paragrafo 2, lettera a), 4 e da 5 a 12 della direttiva 27 giugno 2001, n. 2001/42/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente), dalle Regioni Abruzzo, Marche, Puglia, Lombardia e Veneto, rispettivamente con i ricorsi n. 2, n. 4, n. 5, n. 6 e n. 10 del 2015 – nonché dell’art. 1, comma 554, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), promosse, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost. ed al principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., delle Regioni Campania, Abruzzo, Marche e Puglia rispettivamente con i ricorsi n. 32, n. 35, n. 39 e n. 40 del 2015;

12) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 2, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso n. 10 del 2015;

13) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 2, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, promossa, in riferimento agli artt. 118 e 120 Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso n. 10 del 2015;

14) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 3, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, promossa, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso n. 10 del 2015;

15) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 4, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, promosse, in riferimento agli artt. 117, secondo, terzo e quarto comma, e 118, primo comma, Cost., dalle Regioni Abruzzo, Lombardia e Veneto rispettivamente con i ricorsi n. 2, n. 6 e n. 10 del 2015;

16) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 4, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, promosse, in riferimento all’art. 120 Cost., anche in relazione all’art. 8, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), dalle Regioni Marche, Puglia e Lombardia rispettivamente con i ricorsi n. 4, n. 5 e n. 6 del 2015;

17) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 4, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, promossa, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso n. 10 del 2015;

18) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 4, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, promossa, in riferimento all’art. 3 Cost., dalla Regione Lombardia con il ricorso n. 6 del 2015;

19) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 4, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, promossa, in riferimento all’art. 119 Cost., dalla Regione Lombardia con il ricorso n. 6 del 2015;

20) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 5, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, promossa, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost. ed in relazione alla direttiva 30 maggio 1994, n. 94/22/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle condizioni di rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi), dalla Regione Abruzzo con il ricorso n. 2 del 2015;

21) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 5, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, promossa, in riferimento all’art. 3 Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso n. 10 del 2015;

22) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 6, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, promossa, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., dalla Regione Abruzzo con il ricorso n. 2 del 2015;

23) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 6, lettera a), del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, promossa, in riferimento agli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso n. 10 del 2015;

24) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6, lettera b), del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, promosse, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118, primo comma, Cost. ed al principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., dalle Regioni Abruzzo, Marche, Puglia e Veneto rispettivamente con i ricorsi n. 2, n. 4, n. 5 e n. 10 del 2015;

25) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 6, lettera b), del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, promosse, in riferimento all’art. 3 Cost., dalle Regioni Marche e Puglia rispettivamente con i ricorsi n. 4 e n. 5 del 2015;

26) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art 38, commi 6-bis e 6-ter, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, promossa, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., dalla Regione Abruzzo con il ricorso n. 2 del 2015;

27) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 8, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, promossa, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., dalla Regione Abruzzo con il ricorso n. 2 del 2015;

28) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 8, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, promossa, in riferimento all’art. 3 Cost. sotto il profilo della retroattività, dalla Regione Veneto con il ricorso n. 10 del 2015;

29) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 8, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, promosse, in riferimento agli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost. ed al principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso n. 10 del 2015.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2017.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Aldo CAROSI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 12 luglio 2017.