Sentenza n. 295 del 1995

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SENTENZA N. 295

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 186-ter, primo comma, del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 13 maggio 1994 dal Pretore di Torino nel procedimento civile vertente tra la I.T.W. FASTEX ITALIA s.p.a. e l'INPS, iscritta al n. 555 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 1994. Visti l'atto di costituzione dell'INPS nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 30 maggio 1995 il Giudice relatore Cesare Ruperto.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un procedimento civile, promosso dall'I.T.W. FASTEX ITALIA s.p.a. al fine di ottenere la declaratoria della natura autonoma del rapporto di lavoro svolto in suo favore da tale TOGNATO Walter e della conseguente illegittimità del verbale di illecito amministrativo elevato dall'INPS, che aveva ritenuto che le suddette prestazioni dovessero essere iscritte nell'area del rapporto di lavoro subordinato, il Pretore di Torino in funzione di giudice del lavoro - in ragione della domanda riconvenzionale, proposta dall'Istituto resistente, di condanna della società ricorrente al pagamento in suo favore degli omessi contributi, interessi e sanzioni inerenti al rapporto de quo e della relativa istanza di pronuncia nei confronti della stessa di ordinanza ingiunzione, provvisoriamente esecutiva, di pagamento delle suddette somme -, ha sollevato con ordinanza emessa il 13 maggio 1994 questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, primo e secondo comma, della Costituzione, dell'art. 186-ter, primo comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevede che lo Stato e gli enti o istituti soggetti a tutela o vigilanza dello Stato possano chiedere al giudice di pronunciare, con ordinanza, ingiunzione di pagamento in ogni stato del processo, anche quando ricorrono i presupposti di cui all'art. 635 del codice di procedura civile. Il giudice remittente - affermata la rilevanza della questione, in quanto, per inequivoca interpretazione della norma impugnata, il legislatore ha inteso escluderne l'applicabilità nelle ipotesi previste dall'art. 635 del codice di procedura civile relativamente alle pretese creditorie fondate (come quella oggetto dell'istanza dell'INPS) su verbali ispettivi di accertamento delle omissioni contributive e sull'attestazione del dirigente della sede competente circa l'esistenza e l'ammontare del credito accertato - rileva che la preclusione agli enti previdenziali di avvalersi del provvedimento anticipatorio di condanna, la cui ratio è ravvisabile nella tutela concessa al creditore contro le manovre dilatorie del debitore, poste in essere mediante l'instaurazione preventiva di un giudizio di accertamento negativo del credito, risulta per ciò stesso lesiva dell'art. 24 della Costituzione in relazione all'art. 3 dello stesso testo. Osserva, in particolare, il Pretore a quo che l'impossibilità di avvalersi dell'istituto da parte degli enti che intendano ottenere il provvedimento di ingiunzione mediante le prove scritte di cui all'art. 635 del codice di procedura civile appare irragionevole, considerando che con tale ultima disposizione si è voluto accordare allo Stato e agli enti pubblici, che utilizzano atti di accertamento provenienti da pubblici ufficiali, particolari e pregnanti strumenti di tutela del credito in rapporto alle finalità pubbliche ed istituzionali dei compiti loro attribuiti. Nè la prospettata lesione del dettato costituzionale risulta esclusa dalla possibilità per lo Stato e gli enti pubblici di utilizzare lo strumento processuale de quo nelle ipotesi citate dalla norma e pacificamente applicabili a tutti i creditori, ovvero dalla facoltà di richiedere con autonomo giudizio un provvedimento di ingiunzione, poichè ciò darebbe luogo, in caso di opposizione, a situazioni di litispendenza o continenza o, quantomeno, nell'àmbito dello stesso ufficio, a problemi di riunione di cause.

2. - È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile poichè irrilevante, stante la natura meramente integrativa, rispetto al generale requisito della prova scritta di cui all'art. 633, primo comma, n. 1, del codice di procedura civile, delle particolari ipotesi contemplate dal successivo art. 635, primo e secondo comma, e comunque infondata, non essendo censurabile la scelta operata dal legislatore di trasferire nel giudizio di cognizione ordinario solo alcune fattispecie del procedimento ingiuntivo.

3. - Si è costituito in giudizio l'INPS, aderendo alle argomentazioni contenute nell'ordinanza di remissione, con specifico riferimento alla irragionevole discriminazione rispetto ai creditori comuni operata, nell'àmbito del giudizio di cognizione, nei confronti degli enti di previdenza relativamente allo stesso materiale probatorio ad efficacia privilegiata che consentirebbe la concessione in loro favore del decreto ingiuntivo ante causam, e concludendo per l'accoglimento della sollevata questione di illegittimità costituzionale della norma de qua.

Considerato in diritto

1. - Il Pretore di Torino ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 186-ter, primo comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevede che lo Stato e gli enti e istituti soggetti a tutela o vigilanza dello Stato possano chiedere al giudice di pronunciare, con ordinanza, ingiunzione di pagamento in ogni stato del processo, anche quando ricorrono i presupposti di cui all'art. 635 dello stesso codice. Secondo il giudice remittente, la norma impugnata (la cui ratio è ravvisabile nella tutela concessa al creditore contro le manovre dilatorie poste in essere dal debitore mediante l'instaurazione preventiva di un giudizio di accertamento negativo del credito) contrasterebbe con l'art. 3, primo comma, della Costituzione, per la irragionevole discriminazione operata nei confronti degli enti di previdenza rispetto ai comuni creditori, nonchè con l'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione. E ciò per la mancata previsione, in favore dell'ente medesimo, della possibilità di ottenere la relativa tutela interinale, pur in presenza di un'istanza fondata sull'identico materiale probatorio che invece consentirebbe la concessione di decreto ingiuntivo ante causam, in ragione della diversa previsione normativa di cui all'art. 635 del codice di procedura civile, con la quale si è voluto accordare allo Stato e agli enti pubblici, che utilizzano atti di accertamento da pubblici ufficiali, un particolare e pregnante strumento di tutela del credito in rapporto alle finalità pubbliche ed istituzionali perseguite.

2. - La questione non è fondata. Con l'art. 21 della legge 26 novembre 1990, n. 353, recante provvedimenti urgenti per il processo civile, il legislatore ha introdotto nel codice di rito l'art. 186-ter, che prevede la concessione da parte del giudice istruttore - in ogni stato del processo, fino al momento della precisazione delle conclusioni, ed allorquando ricorrano i presupposti di cui all'art. 633, primo comma, n. 1, e secondo comma, e di cui all'art. 634 - di un provvedimento anticipatorio di condanna, sotto forma di ordinanza ingiunzione di pagamento o di consegna, eventualmente dotata della provvisoria esecutività nei casi contemplati dal successivo art. 642. Dall'esame dei lavori preparatori (v. la Relazione all'aula della Commissione giustizia del Senato, comunicata alla Presidenza il 23 febbraio 1990, pag. 17) emerge chiaramente come, all'iniziale disegno di legge governativo, secondo il quale l'indicazione dei requisiti di ammissibilità dell'ordinanza ingiunzione veniva pedissequamente mutuata da quella prevista per l'adozione del decreto ingiuntivo dagli artt. 633 e seguenti del codice di procedura civile, sia stata preferita una soluzione, incentrata su una tendenziale distinzione tra il procedimento monitorio puro e quello documentale, in virtù della quale la possibilità di ottenere la tutela sommaria è stata subordinata alla produzione di una effettiva prova scritta, seppure nella più estesa latitudine di cui all'art. 634. Opzione, questa, che riposa altresì sulla considerazione che il provvedimento ex art. 186-ter viene pronunciato all'esito di un sub-procedimento incidentalmente proposto dalla parte nel contesto di un già instaurato processo a cognizione piena (a contraddittorio integrato sulla relativa domanda di merito), il quale è fisiologicamente destinato a sfociare nella pronuncia della sentenza afferente al diritto azionato e non già, o non solo, alla singola pretesa creditoria fatta valere interinalmente. A differenza, quindi, di quanto previsto nel caso di decreto ingiuntivo ante causam, rispetto al quale - nel momento della sua adozione - l'instaurazione del contraddittorio si presenta come meramente eventuale, il legislatore ha ritenuto di limitare le ipotesi di concedibilità del provvedimento anticipatorio di condanna a quei casi in cui il supporto documentale prodotto negli atti processuali assuma una più consistente valenza probatoria, in termini di presumibile resistenza alle contestazioni di controparte, nell'ottica della decisione definitiva. La quale è finalizzata alla verifica della effettiva sussistenza sostanziale dei presupposti dell'azione e del diritto vantato (v. in tal senso sentenza n. 220 del 1986). Ritiene pertanto la Corte che - seppure non si appalesi come l'unica scelta di politica legislativa costituzionalmente legittima - l'esclusione della concedibilità dell'ordinanza de qua con riguardo ai crediti dello Stato e degli enti pubblici, allorquando questi si avvalgano dello specifico materiale probatorio contemplato dall'art. 635 del codice di procedura civile, non può per ciò solo essere considerata irrazionale e lesiva del principio di uguaglianza. Risulta infatti evidente la sostanziale differenza tra i casi in cui il soggetto fornisce la prova scritta del credito proveniente dal debitore o da terzi e le fattispecie caratterizzate dalla particolare valenza attribuita alla documentazione formata e proveniente dallo stesso creditore, in ragione della sua peculiare qualificazione soggettiva, posta in rapporto alle finalità pubbliche ed istituzionali perseguite. Nè, in senso contrario, potrebbe essere richiamata l'avvenuta inclusione nell'àmbito di operatività della tutela interinale in oggetto, delle ipotesi previste al secondo comma dell'art. 634 del codice di procedura civile, nelle quali la prova appare strutturalmente analoga a quella contemplata nel primo comma del seguente art. 635. E ciò, anzitutto perchè si tratta di norma eccezionale, derogatoria rispetto ai princìpi generali in tema di prova nel processo civile, come tale non idonea a fungere da tertium comparationis. E poi, perchè comunque la deroga (in senso estensivo) da essa operata alla disposizione dell'art. 2710 del codice civile è volta ad agevolare, non il creditore in ragione della sua qualità, bensì la prova dei crediti dell'imprenditore in considerazione del particolare affidamento che è richiesto nei rapporti commerciali, anche ai fini della circolazione dei crediti stessi.

3. - Neppure sussiste la lamentata violazione dell'art. 24 della Costituzione. Come questa Corte ha più volte affermato, è da riconoscere al legislatore un'ampia potestà discrezionale nella conformazione degl'istituti processuali, col solo limite della non irrazionale predisposizione di strumenti di tutela, pur se tra loro differenziati (v. sentenze n. 253 del 1994 e n. 471 del 1992, nonchè ordinanze n. 550 del 1987 e n. 170 del 1986). La norma denunciata, nell'estendere tale tutela soltanto ad altri diversi casi, lascia peraltro intatta la facoltà degli enti previdenziali di avvalersi, per il soddisfacimento dei propri crediti, oltre che del giudizio contenzioso ordina rio, anche del procedimento monitorio ante causam (sia in presenza dei presupposti comuni alla generalità dei creditori, sia nelle forme privilegiate di cui all'art. 635 del codice di procedura civile) oppure della procedura ingiunzionale disciplinata dagli artt. 35 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689. Le dedotte difficoltà di ordine procedimentale - che potrebbero insorgere a causa della previa proposizione da parte del debitore, rispetto alla istanza monitoria, di un giudizio di accertamento negativo del credito, con conseguenti problemi di litispendenza, continenza, connessione, riunione di cause o sospensione di una di esse - attengono al dato meramente fattuale relativo alla concreta applicazione da parte del soggetto legittimato della norma. E dunque, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (v. da ultimo sentenza n. 188 del 1995), non involgono un problema di costituzionalità. Giova in proposito ribadire che l'esigenza del simultaneus processus si configura quale "mero espediente processuale mirato a fini di economia dei giudizi e di prevenzione del pericolo di giudicati contraddittori; sicchè la sua inattuabilità non riguarda nè il diritto di azione nè il diritto di difesa, una volta che la pretesa sostanziale del soggetto interessato possa essere fatta valere nella competente, pur se distinta, sede giudiziaria con pienezza di contraddittorio e di difesa" (ordinanza n. 308 del 1991).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 186-ter, primo comma, del codice di procedura civile, sollevata in relazione agli artt. 3, primo comma, e 24, primo e secondo comma, della Costituzione, dal Pretore di Torino con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26/06/95.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 05/07/95.