SENTENZA N. 142
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 552, lettere a) e b), della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), promossi dalle Regioni Campania, Abruzzo, Marche e Puglia, con ricorsi notificati il 27 febbraio-4 marzo 2015, 25 febbraio 2015, 27 febbraio-5 marzo 2015, 27 febbraio-4 marzo 2015, depositati in cancelleria il 4, 5 e 6 marzo 2015, e rispettivamente iscritti ai nn. 32, 35, 39 e 40 del registro ricorsi 2015.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 4 maggio 2016 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi;
uditi gli avvocati Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Campania, Manuela de Marzo per la Regione Abruzzo, Alfonso Papa Malatesta per la Regione Marche e per la Regione Puglia, nonché l’avvocato dello Stato Beatrice Gaia Fiduccia per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1.– Con ricorso notificato il 25 febbraio 2015 e depositato il successivo 5 marzo (reg. ric. n. 35 del 2015), la Regione Abruzzo ha promosso questioni di legittimità costituzionale, tra le altre, dell’art. 1, comma 552, lettere a) e b), della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, della Costituzione, nonché ai principi di leale collaborazione, ragionevolezza e proporzionalità.
La disposizione impugnata modifica l’art. 57 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 4 aprile 2012, n. 35. Quest’ultima disposizione individua le infrastrutture e gli insediamenti strategici, ai fini dell’approvvigionamento petrolifero, la cui realizzazione è sottoposta ad autorizzazione del Ministero della sviluppo economico, d’intesa con la Regione interessata.
L’art. 1, comma 552, lettera a), allarga l’oggetto dell’art. 57 del d.l. n. 5 del 2012, includendovi le opere necessarie al trasporto, allo stoccaggio, al trasferimento degli idrocarburi in raffineria, le opere accessorie, i terminali costieri e le infrastrutture portuali strumentali allo sfruttamento di titoli concessori, comprese quelle localizzate al di fuori del perimetro delle concessioni di coltivazione.
L’art. 1, comma 552, lettera b), aggiunge un comma 3-bis all’art. 57 del d.l. n. 5 del 2012, con la previsione che, in caso di mancato raggiungimento dell’intesa sull’autorizzazione, si applicano l’art. 1, comma 8-bis, della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), e l’art. 14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), che prevedono procedure per il superamento del dissenso.
La ricorrente ritiene che l’art. 1, comma 552, lettera a), estendendo l’oggetto della chiamata in sussidiarietà della funzione amministrativa nella materia concorrente dell’energia fino ad includervi opere poste al di fuori del perimetro delle concessioni di coltivazione, si ponga in contrasto con gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., perché l’avocazione allo Stato della funzione non risponde a parametri di ragionevolezza e proporzionalità.
L’art. 1, comma 552, lettera b), sarebbe invece lesivo degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonché del principio di leale collaborazione, in quanto, richiamando l’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004, permette che, in caso di mancata espressione degli atti di assenso o di intesa da parte della Regione, provveda la Presidenza del Consiglio dei ministri, con la partecipazione della Regione interessata. Analoga disposizione sarebbe già stata dichiarata costituzionalmente illegittima dalla sentenza n. 179 del 2012, perché finiva per rimettere allo Stato l’espressione della volontà definitiva sull’adozione dell’atto, senza coinvolgere in forme adeguate la Regione.
La ricorrente si limita, infine, ad osservare che la norma impugnata rinvia anche all’art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990, senza chiarire «quale delle due procedure sia quella cui materialmente ricorrere».
2.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato infondato.
L’Avvocatura generale osserva che la norma impugnata si giustifica con il fine di «sbloccare l’effettiva realizzazione dei progetti per la coltivazione di giacimenti di idrocarburi estendendo il regime di autorizzazione unica a quelle opere e infrastrutture necessarie ed indispensabili per assicurare il loro sfruttamento».
Questa deduzione iniziale è poi sviluppata con esclusivo riferimento all’art. 1, comma 554, della legge n. 190 del 2014, anch’esso impugnato in separato giudizio. In ordine all’art. 1, comma 552, della legge n. 190 del 2014, la difesa dello Stato si limita a rilevare che il rinvio all’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004 concerne i casi di inerzia della Regione, mentre il rinvio all’art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990 regola i casi di espresso dissenso regionale. Il meccanismo descritto dall’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004 sarebbe già stato ritenuto rispettoso delle competenze regionali dalla sentenza di questa Corte n. 278 del 2010.
3.– Con ricorso spedito per la notificazione il 27 febbraio 2015, ricevuto il successivo 4 marzo e depositato in pari data (reg. ric. n. 32 del 2015), anche la Regione Campania ha promosso questioni di legittimità costituzionale, tra le altre, dell’art. 1, comma 552, lettera b), della legge n. 190 del 2014, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonché al principio di leale collaborazione «di cui agli articoli 5 e 120 Cost.».
La ricorrente evidenzia che il rinvio alla procedura prevista dall’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004 implica che l’intesa tra Stato e Regione sull’autorizzazione prevista dall’art. 57, comma 2, del d.l. n. 5 del 2012 sia “debole” e possa venire superata in forza della sola volontà statale. Ciò comporterebbe la lesione delle prerogative regionali, come questa Corte avrebbe già deciso a proposito dell’art. 49, comma 3, lettera b), del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, con la sentenza n. 179 del 2012.
4.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato infondato.
L’Avvocatura ribadisce che la norma impugnata risponde all’esigenza di superare lo stallo nella realizzazione di opere strategiche nel settore dell’energia determinato dall’inerzia delle amministrazioni regionali. La sentenza di questa Corte n. 239 del 2013 avrebbe già escluso l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004.
5.– Con ricorso spedito per la notificazione il 27 febbraio 2015, ricevuto il successivo 5 marzo e depositato il 6 marzo 2015 (reg. ric. n. 39 del 2015), anche la Regione Marche ha promosso questioni di legittimità costituzionale, tra le altre, dell’art. 1, comma 552, lettera b), della legge n. 190 del 2014, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost.
La ricorrente rileva che il rinvio all’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004 riguarda tutti i casi in cui il dissenso della Regione non è motivato con riguardo ai profili di tutela dell’ambiente, del paesaggio e del territorio, del patrimonio storico-artistico, della salute e della pubblica incolumità, presi in considerazione dall’art. 14-quater della legge n. 241 del 1990.
La sentenza n. 239 del 2013 di questa Corte avrebbe già chiarito che il meccanismo indicato dall’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004 è costituzionalmente legittimo solo nel caso in cui la Regione resta inerte nella trattativa finalizzata all’intesa e non quando sorge un dissenso sul suo contenuto. In questo caso il superamento dell’opposizione regionale mediante atto unilaterale dello Stato violerebbe, nella materia dell’energia, gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost.
La norma impugnata sarebbe perciò illegittima, nella parte in cui prevede l’applicazione della procedura di cui all’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004 «anche ad ipotesi in cui lo stallo decisionale dipenda da divergenze sostanziali tra le parti e non esclusivamente [d]a “condotte meramente passive delle amministrazioni regionali”».
Qualora invece dovesse trovare applicazione l’art. 14-quater della legge n. 241 del 1990 la norma sarebbe illegittima per la previsione del superamento unilaterale del dissenso espresso dalla Regione per esigenze di tutela dell’ambiente, del paesaggio e del territorio, del patrimonio storico-artistico, della salute e della pubblica incolumità.
6.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato infondato.
L’Avvocatura ribadisce quanto già osservato a proposito dei precedenti ricorsi, e pone in luce che l’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004 è relativo ai casi di inerzia della Regione. Per tale evenienza la sentenza di questa Corte n. 239 del 2013 ne avrebbe già affermato la compatibilità con le competenze regionali.
In caso di dissenso espresso, invece, l’art. 14-quater della legge n. 241 del 1990, garantendo «un congruo lasso di tempo per la definizione dell’intesa (centottanta giorni complessivi) e, soltanto in ultima istanza,» l’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, sarebbe pienamente conforme a Costituzione.
7.– Con ricorso spedito per la notificazione il 27 febbraio 2015, ricevuto il successivo 4 marzo e depositato il 6 marzo 2015 (reg. ric. n. 40 del 2015), anche la Regione Puglia ha promosso questioni di legittimità costituzionale, tra le altre, dell’art. 1, comma 552, lettera b), della legge n. 190 del 2014, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost.
Il ricorso contiene censure analoghe a quelle proposte dalla Regione Marche.
8.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato infondato.
L’Avvocatura svolge considerazioni analoghe a quelle proposte in relazione al ricorso della Regione Marche.
9.– Nell’imminenza dell’udienza pubblica, la Regione Campania ha depositato una memoria, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
10.– Anche la Regione Abruzzo ha depositato una memoria, con cui ha dato atto che l’art. 1, comma 241, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2016) ha modificato il comma 3-bis dell’art. 57 del d.l. n. 5 del 2012, introdotto dall’impugnato art. 1, comma 552, lettera b), della legge n. 190 del 2014. In particolare, è stato abrogato il rinvio all’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004, ovvero la sola parte della disposizione impugnata oggetto di censura da parte della ricorrente.
La Regione conclude per la cessazione della materia del contendere con riguardo all’art. 1, comma 552, lettera a) (recte: lettera b), ed insiste per l’accoglimento della questione relativa all’art. 1, comma 552, lettera b) (recte: lettera a).
11.– Con analoghe memorie, anche le Regioni Marche e Puglia hanno dato atto dello ius superveniens, ipotizzando che esso comporti la cessazione della materia del contendere, senza però escludere che la norma impugnata possa avere avuto applicazione medio tempore, ciò che esigerebbe una «attenta verifica».
Riguardo al rinvio all’art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990, le ricorrenti reputano che, nell’ambito della chiamata in sussidiarietà, tale disposizione non garantisca un adeguato coinvolgimento regionale. Se ne trarrebbe conferma dal fatto che l’art. 14-quater, comma 3, esclude dal suo campo applicativo le infrastrutture e gli insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale, nonchè la localizzazione di opere di interesse statale, ovvero ipotesi aventi un «alto grado di incidenza sul territorio regionale».
1.– La Regione Abruzzo (reg. ric. n. 35 del 2015) ha promosso questioni di legittimità costituzionale, tra le altre, dell’art. 1, comma 552, lettere a) e b), della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, della Costituzione, nonché ai principi di leale collaborazione, ragionevolezza e proporzionalità.
Le Regioni Campania (reg. ric. n. 32 del 2015), Marche (reg. ric. n. 39 del 2015) e Puglia (reg. ric. n. 40 del 2015) hanno a propria volta promosso questioni di legittimità costituzionale, tra le altre, dell’art. 1, comma 552, lettera b), della legge n. 190 del 2014, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., e, quanto alla sola Regione Campania, anche al principio di leale collaborazione «di cui agli articoli 5 e 120 Cost.».
2.– I ricorsi vertono sulle medesime disposizioni ed è quindi opportuna la riunione dei relativi giudizi ai fini di una decisione congiunta.
3.– La lettera a) dell’art. 1, comma 552, della legge n. 190 del 2014 integra l’art. 57, comma 2, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 4 aprile 2012, n. 35, ampliando i casi in cui compete allo Stato, d’intesa con la Regione interessata, rilasciare le autorizzazioni, incluse quelle previste dall’art. 1, comma 56, della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), per talune opere.
Nel testo originario, l’art. 57, comma 2, del d.l. n. 5 del 2012 limitava la competenza statale alle infrastrutture e agli insediamenti strategici nel settore petrolifero indicati dal precedente comma 1.
La norma impugnata estende questo regime alle «opere necessarie al trasporto, allo stoccaggio, al trasferimento degli idrocarburi in raffineria, alle opere accessorie, ai terminali costieri e alle infrastrutture portuali strumentali allo sfruttamento di titoli concessori, comprese quelle localizzate al di fuori del perimetro delle concessioni di coltivazione».
La sola Regione Abruzzo deduce l’illegittimità costituzionale di tale norma perché avrebbe disposto una chiamata in sussidiarietà a favore dello Stato, in difetto dei requisiti di proporzionalità e ragionevolezza, nell’ambito della materia dell’energia, affidata alla potestà legislativa concorrente. Sarebbero perciò violati gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost.
4.– La questione non è fondata.
È corretta la premessa da cui parte la ricorrente, ovvero che, nell’ambito della competenza legislativa concorrente in materia di energia (sentenze n. 383 del 2005 e n. 6 del 2004), la norma impugnata attrae in sussidiarietà la funzione amministrativa, al contempo regolandola.
Al fine di scrutinare la legittimità costituzionale di questa previsione, è perciò necessario stabilire se «la valutazione dell’interesse pubblico sottostante all’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata» e «non risulti affetta da irragionevolezza» (sentenza n. 303 del 2003), posto che l’ulteriore condizione, relativa all’intesa con la Regione interessata, è pacificamente osservata.
La ricorrente si limita a dedurre che difetta di proporzionalità la scelta di uniformare, nel senso indicato, il regime degli stabilimenti, dei depositi e degli impianti a quello di «qualunque opera» che «ricada “al di fuori del perimetro delle concessioni”», e la censura è priva di fondamento. Deve infatti riconoscersi che la norma impugnata, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, istituisce un rapporto di strumentalità tra le opere che individua e quelle già qualificate come strategiche, rispetto alle quali le prime si pongono in funzione servente, nè si può dire che la scelta del legislatore statale sia stata arbitraria, o che la sola circostanza che le opere in questione possono ricadere al di fuori delle aree oggetto di concessione sia determinante per escludere la priorità dell’interesse statale all’accentramento della funzione amministrativa.
Se quest’ultimo si giustifica per determinate attività che costituiscono il fulcro dell’indirizzo politico in tema di energia, non può considerarsi irragionevole o sproporzionata la decisione di adottare un analogo accentramento per quanto rispetto a tali attività costituisce un indispensabile presupposto.
Lo scopo unitario, enunciato dall’art. 57, comma 1, del d.l. n. 5 del 2012, di migliorare l’efficienza e la competitività nel settore petrolifero potrebbe infatti venire compromesso se il frazionamento delle competenze, in base a un interesse localizzato, ostacolasse l’efficacia dei procedimenti amministrativi relativi ad opere “necessarie” e “strumentali” rispetto ad altre di natura strategica nazionale.
5.– Tutte le ricorrenti impugnano anche la lettera b) dell’art. 1, comma 552, della legge n. 190 del 2014. Questa disposizione, inserendo un comma 3-bis nel corpo dell’art. 57 del d.l. n. 5 del 2012, regola l’ipotesi in cui l’intesa tra Stato e Regione, prevista dal comma 2, non sia raggiunta, e a tal fine rinvia alle modalità di superamento dello stallo indicate dall’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004, e dall’art. 14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi).
È palese il coordinamento tra le disposizioni oggetto del rinvio.
L’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004 disciplina gli effetti di «condotte meramente passive delle amministrazioni regionali, concretanti esse stesse ipotesi di mancata collaborazione» (sentenza n. 239 del 2013), mentre l’art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990 trova applicazione quando la Regione non si è sottratta alle trattative ma l’intesa ugualmente non è stata raggiunta, a causa di un motivato dissenso.
Le Regioni Abruzzo e Campania censurano la norma impugnata limitatamente al rinvio all’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004, mentre le Regioni Marche e Puglia contestano anche la legittimità costituzionale del rinvio all’art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990.
In entrambi i casi, secondo le ricorrenti, le modalità di superamento della mancata intesa la degraderebbero da “forte” a “debole”, ledendo l’autonomia regionale garantita dagli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., e, per le Regioni Abruzzo e Campania, il principio di leale collaborazione.
6.– L’art. 1, comma 241, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2016) ha abrogato il rinvio all’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004, disposto dalla norma impugnata, con un risultato evidentemente satisfattivo delle pretese regionali.
Le Regioni Marche e Puglia, al contrario della Regione Abruzzo, chiedono però a questa Corte di verificare se, medio tempore, la norma ha avuto applicazione, cosa che, se fosse avvenuta, impedirebbe di ritenere cessata la materia del contendere (ex plurimis, sentenza n. 8 del 2015).
La richiesta è priva di fondamento.
È infatti da considerare che la natura e il contenuto della norma impugnata non costituiscono in alcun modo indice certo o probabile di una sua applicazione durante il solo anno in cui la stessa è rimasta in vigore, anche perché tale norma disciplina un caso residuale, quello nel quale lo Stato e la Regione interessata non hanno raggiunto un’intesa. È da aggiungere che questa evenienza non esula dalla sfera cognitiva della Regione ma anzi vi ricade interamente.
Perciò le Regioni Marche e Puglia, al fine di ottenere una pronuncia sul merito della questione (che sembrano preferire), ben avrebbero potuto indicare a questa Corte, se fossero esistiti, i casi nei quali la norma aveva trovato applicazione. Il non averlo fatto, in presenza di una condizione negativa, quale è la mancata applicazione della norma impugnata (limitatamente al rinvio all’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004), e in difetto di elementi probatori in senso contrario, non può non implicare una pronuncia di cessazione della materia del contendere.
7.– Le Regioni Marche e Puglia impugnano la lettera b) dell’art. 1, comma 552, della legge n. 190 del 2014 anche nella parte in cui essa rinvia all’art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990.
La questione non è fondata.
L’art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990, nel testo allora vigente, è stato oggetto di dichiarazione di illegittimità costituzionale (sentenza n. 179 del 2012), perché permetteva allo Stato di superare il mancato raggiungimento di un’intesa con la Regione, nell’ambito della conferenza di servizi, alla sola condizione che fossero trascorsi trenta giorni e che alla delibera del Consiglio dei ministri partecipasse il Presidente della Regione interessata.
In seguito la disposizione è stata riformulata, da ultimo con l’art. 25 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164, e prevede che il motivato dissenso regionale comporti l’indizione di una riunione che può articolarsi lungo tre fasi. Nella prima, che si avvia entro 30 giorni dalla rimessione della questione al Consiglio dei ministri, le parti formulano specifiche indicazioni per raggiungere l’intesa e vengono motivate le ragioni del contrasto. Entro i successivi 30 giorni è indetta una seconda riunione «per concordare interventi di mediazione», ed è infine previsto un termine conclusivo di 30 giorni per svolgere ulteriori trattative «finalizzate a risolvere e comunque a individuare i punti di dissenso». Solo in seguito, ove l’intesa non sia raggiunta, il Consiglio dei ministri delibera con la partecipazione del Presidente della Regione interessata.
Il meccanismo così descritto individua «“idonee procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze”», come questa Corte ha in più occasioni richiesto (sentenze n. 179 del 2012, n. 33 del 2011, n. 121 del 2010, n. 24 del 2007 e n. 339 del 2005); esso, infatti, impegna le parti secondo il modulo della leale collaborazione nella conduzione delle trattative, esigendo un motivato confronto sulle ragioni del reciproco dissenso, e, alla luce di questo, una progressiva contrazione della distanza che le separa. L’obbligo di formulare specifiche proposte di mediazione corrisponde all’obbligo dell’altra parte di prenderle in considerazione e di indicare le ragioni che ostano a un loro accoglimento. Nella progressione delle trattative la leale collaborazione, precludendo un ostinato rifiuto di soluzioni di compromesso, è diretta a definire il contenuto della decisione in termini maggiormente condivisi. Risultato cui in qualche misura dovrebbe pervenirsi anche nell’ipotesi ultima che l’intesa non sia raggiunta e lo Stato debba perciò assumere la determinazione finale, che può però basarsi sugli eventuali punti di contatto emersi nel corso delle trattative e sui quali un parziale consenso può reputarsi conseguito.
Il «prevalere della volontà di uno dei soggetti coinvolti» (sentenza n. 1 del 2016) può infatti rendersi necessario per vincere un blocco procedimentale, ma, nella fattispecie descritta dall’art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990, tale evenienza non comporta una drastica “decisione unilaterale” di una delle parti (sentenza n. 383 del 2005), posto che la leale collaborazione, spiegatasi lungo un apprezzabile arco di tempo, contribuisce in linea di principio ad intestare all’altra almeno un segmento della fattispecie, pur quando persiste il dissenso sull’atto finale.
Non mancano poi alla Regione strumenti di reazione, anche innanzi a questa Corte, ove essa si reputi lesa nelle sue attribuzioni, in ragione, eventualmente, della mancata collaborazione prestata dallo Stato, secondo ipotesi «di fatto, frutto di una patologia costituzionale, sempre suscettibili di controllo e di rimedio» (sentenza n. 408 del 1998).
Le forme di gestione delle trattative finalizzate all’intesa, disciplinate dall’art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990 con riguardo alla conferenza di servizi, si rivelano perciò soddisfacenti anche per le ipotesi in cui la Costituzione impone il raggiungimento di un’intesa “forte” tra Stato e Regioni.
Ne consegue che la norma impugnata, richiamando modalità di superamento del dissenso non difformi dai parametri costituzionali indicati, si sottrae a propria volta a censura.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con i ricorsi indicati in epigrafe;
riuniti i giudizi,
1) dichiara cessata la materia del contendere in relazione alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 552, lettera b), della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), limitatamente al rinvio all’art. 1, comma 8-bis, della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), promossa dalle Regioni Abruzzo, Campania, Marche e Puglia, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, della Costituzione e, quanto alle Regioni Abruzzo e Campania, anche al principio di leale collaborazione, con i ricorsi indicati in epigrafe;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 552, lettera a), della legge n. 190 del 2014, promossa dalla Regione Abruzzo, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonché ai principi di leale collaborazione, ragionevolezza e proporzionalità, con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 552, lettera b), della legge n. 190 del 2014, limitatamente al rinvio all’art. 14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), promossa dalle Regioni Marche e Puglia, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., con i ricorsi indicati in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 maggio 2016.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Giorgio LATTANZI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 16 giugno 2016.