SENTENZA N. 126
ANNO 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da:
Presidente: Giovanni AMOROSO;
Giudici: Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2, della legge della Regione siciliana 2 aprile 2024, n. 6 (Riordino normativo dei materiali da cave e materiali lapidei), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 4 giugno 2024, depositato in cancelleria il successivo 5 giugno, iscritto al n. 21 del registro ricorsi 2024 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell’anno 2024.
Visto l’atto di costituzione della Regione siciliana;
udito nell’udienza pubblica dell’11 giugno 2025 il Giudice relatore Massimo Luciani;
uditi l’avvocato dello Stato Maria Luisa Spina per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Nicola Dumas per la Regione siciliana;
deliberato nella camera di consiglio dell’11 giugno 2025.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso depositato il 5 giugno 2024 e iscritto al n. 21 del registro ricorsi 2024, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento agli artt. 9, 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione e in relazione all’art. 14, primo comma, lettere f) e n), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, nonché all’art. 5, comma 1, lettera l-bis), e punto 8, lettera t), dell’Allegato IV alla Parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2, della legge della Regione siciliana 2 aprile 2024, n. 6 (Riordino normativo dei materiali da cave e materiali lapidei), che introduce modifiche all’art. 2 della legge della Regione siciliana 5 luglio 2004, n. 10 (Interventi urgenti per il settore lapideo e disposizioni per il riequilibrio del prezzo della benzina nelle isole minori), sostituendone integralmente il comma 3.
1.1.– Il ricorso afferma che «l’art. 14 della suddetta legge prevede, al comma 2, modifiche all’art. 2 della legge regionale Sicilia 5 luglio 2004, n. 10, in materia di procedure di rinnovo delle autorizzazioni alla coltivazione dei giacimenti da cava, sostituendone integralmente il comma 3, che prevede ora una nuova disciplina in forza della quale le istanze di variante alle autorizzazioni di cava (relative alle attività che ricadono nelle aree di cui al Piano Regionale dei materiali di cava e dei materiali lapidei di pregio e non, rientranti nelle procedure di rinnovo delle predette autorizzazioni, purché insistenti su aree prive di vincoli paesaggistici e ambientali) sono considerate modifiche o estensioni non sostanziali e, quindi, non necessitano della verifica di assoggettabilità a VIA [valutazione di impatto ambientale] di cui al punto 8, lettera t), dell’allegato IV della parte seconda del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, a condizione che ricorrano una serie di presupposti elencati dalla norma novellata» e che detta norma eccederebbe le competenze attribuite alla Regione siciliana dallo statuto speciale di autonomia, ledendo la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., anche in violazione dell’art. 9 Cost., determinando una «"lesione diretta” dei beni dell’ambiente, culturali e paesaggistici».
1.2.– Il ricorrente osserva che il carattere trasversale della materia della tutela dell’ambiente, se da un lato non esclude che le regioni possano legiferare su problematiche che hanno riflessi in materia ambientale, dall’altro non mette in discussione la competenza legislativa esclusiva dello Stato a stabilire regole omogenee sul territorio nazionale per procedimenti e competenze attinenti alla tutela dell’ambiente e alla salvaguardia del territorio.
La difesa erariale precisa che la funzione di salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio costituisce elemento fondamentale e prevalente della gestione del territorio, così come sarebbe chiaramente delineato anche dalla giurisprudenza costituzionale (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 189 del 2016, n. 182 e n. 183 del 2006, n. 478 del 2002, n. 345 del 1997, n. 46 del 1995 e n. 133 del 1993, e le ordinanze n. 71 del 1999, n. 316 e n. 158 del 1998) e da quella amministrativa (sono richiamate Consiglio di Stato, sezione seconda, sentenza 14 novembre 2019, n. 7839 e, sezione quarta, sentenza 29 aprile 2014, n. 2222).
1.3.– Tanto premesso, nel ricorso si sostiene che la potestà legislativa primaria riconosciuta dall’art. 14, primo comma, lettere f) e n), dello statuto speciale alla Regione siciliana nelle materie «urbanistica» e «tutela del paesaggio» non potrebbe essere esercitata senza limiti.
1.4.– Secondo il ricorrente, la Regione dovrebbe rispettare sia i precetti costituzionali sia le «norme di grande riforma economico-sociale» poste dallo Stato nell’esercizio delle competenze legislative spettantegli. Fra le suddette norme, appunto, rileverebbero quelle di cui al d.lgs. n. 152 del 2006.
Si evidenzia, poi, che l’art. 14 della legge reg. siciliana n. 6 del 2024 reca modifiche all’art. 2 della legge reg. siciliana n. 10 del 2004, in materia di procedure di rinnovo delle autorizzazioni alla coltivazione dei giacimenti di cava, sostituendone integralmente il comma 3, che (si afferma nel ricorso) ora prevede «una nuova disciplina in forza della quale le istanze di variante alle autorizzazioni di cava (relative alle attività che ricadono nelle aree di cui al Piano Regionale dei materiali di cava e dei materiali lapidei di pregio e non rientranti nelle procedure di rinnovo delle predette autorizzazioni, purché insistenti su aree prive di vincoli paesaggistici e ambientali) sono considerate modifiche o estensioni non sostanziali e, quindi, sottratte alla verifica di assoggettabilità a VIA di cui al punto 8, lettera t), dell’allegato 4 della parte seconda del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, a condizione che ricorrano una serie di presupposti elencati dalla norma novellata».
1.5.– Il ricorrente soggiunge infine che, giusta la previsione normativa impugnata, le istanze di variante sono «autorizzate dall’ingegnere capo del distretto minerario entro novanta giorni con le modalità previste dall’art 1, commi 1 e 2, della legge regionale 1° marzo 1995, n. 19, mentre quelle per la riduzione dell’area di cava sono autorizzate entro il più breve termine di sessanta giorni, indipendentemente dal regime vincolistico insistente sulle stesse aree», evidenziando che il legislatore regionale rimetterebbe «una valutazione di carattere tecnico discrezionale ad organi di natura tecnica in merito all’esistenza delle condizioni previste dal DLGS 152/2006 per procedere alla verifica di assoggettabilità a VIA».
1.6.– Secondo il ricorrente non potrebbero essere aprioristicamente elencate, in un numero definito, «le varianti sostanziali ai progetti autorizzati», in quanto tale scelta normativa si porrebbe in contrasto con l’art. 5 del d.lgs. n. 152 del 2006, che, al comma 1, lettera l-bis), detta la definizione di modifica sostanziale, definizione fondata sull’idoneità della variazione progettuale a produrre effetti negativi e significativi sull’ambiente o sulla salute umana.
1.7.– Dal sopra delineato quadro normativo emergerebbe, in maniera palese, il contrasto delle norme regionali oggetto di contestazione con la disciplina statale in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali e del paesaggio, di competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto esse determinerebbero una «"lesione diretta” dei beni dell’ambiente, culturali e paesaggistici tutelati, con la conseguente grave diminuzione del livello di tutela garantito nell’intero territorio nazionale».
Il ricorrente rammenta che il bene ambiente ha una morfologia complessa, capace di ricomprendere non solo gli oggetti fisico-naturalistici, ma anche i beni culturali e paesaggistici, idonei a contraddistinguere in modo originale, peculiare e irripetibile un certo ambito geografico e territoriale (si richiama la sentenza di questa Corte n. 66 del 2018, punto 2.2. del Considerato in diritto).
La disciplina statale volta a proteggere l’ambiente e il paesaggio costituirebbe un limite a quella dettata dalle regioni e dalle province autonome nelle materie di rispettiva competenza, salva la loro facoltà di adottare, nell’esercizio di competenze previste dalla Costituzione che concorrano con quella dell’ambiente, norme di tutela ambientale di livello più elevato (si richiamano le sentenze di questa Corte n. 199 del 2014, n. 246 e n. 145 del 2013, n. 67 del 2010, n. 104 del 2008 e n. 378 del 2007).
Il ricorrente precisa che detta disciplina richiederebbe una strategia istituzionale ad ampio raggio, che si esplicherebbe in un’attività pianificatoria estesa all’intero territorio nazionale. In tal senso, l’attribuzione allo Stato della competenza legislativa esclusiva in tale "materia-obiettivo” non implicherebbe una preclusione assoluta all’intervento regionale, purché questo sia volto alla realizzazione del valore ambientale e all’innalzamento dei suoi livelli di tutela (si richiamano le sentenze di questa Corte n. 178 e n. 172 del 2018).
1.8.– Alla luce di tali premesse ricostruttive il ricorrente sostiene che l’impugnata normativa regionale contrasterebbe con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., intervenendo in una materia, qual è quella della «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», che è attribuita in via esclusiva alla competenza legislativa dello Stato (si richiamano le sentenze di questa Corte n. 54 del 2012, n. 244 e n. 33 del 2011, n. 331 e n. 278 del 2010, n. 61 e n. 10 del 2009), ferma restando la competenza delle regioni nelle materie funzionalmente collegate a quelle propriamente ambientali (si richiamano le sentenze di questa Corte n. 67 del 2014, n. 285 del 2013, n. 54 del 2012, n. 244 del 2011, n. 225 e n. 164 del 2009 e n. 437 del 2008).
1.9.– A sostegno delle censure, nel ricorso si richiama, fra l’altro, la recente sentenza n. 82 del 2024, con la quale questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Regione Puglia 4 luglio 2023, n. 19, recante «XI legislatura - 16° provvedimento di riconoscimento di debiti fuori bilancio ai sensi dell’articolo 73, comma 1, lettere a) ed e), del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2014, n. 126 e disposizioni diverse», che, sino al 31 dicembre 2023, prevedeva l’esclusione dalle procedure di valutazione ambientale e paesaggistica delle «aree a parcheggio a uso pubblico e temporaneo non superiore a centoventi giorni», a condizione che entro e non oltre trenta giorni dal termine del relativo utilizzo fosse garantito il ripristino dello stato dei luoghi.
Il ricorrente evidenzia che, secondo questa Corte, anche l’esclusione dalle procedure di valutazione ambientale configura la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto, non indicando alcun limite alla capienza dei parcheggi, si sarebbe consentita la realizzazione di più di cinquecento posti auto in contrasto con il punto 7, lettera b), dell’Allegato IV alla Parte seconda del d.lgs. n. 152 del 2006, che, a prescindere dalla loro natura temporanea o stabile, assoggetta i parcheggi di tali dimensioni alla verifica di assoggettabilità alla VIA.
Nel ricorso si precisa che nella pronuncia sopra indicata questa Corte ha confermato il costante orientamento che non spetta alle regioni stabilire i presupposti e le condizioni che determinano l’esonero dalle verifiche di impatto ambientale, evidenziando che simili interventi normativi altererebbero il punto di equilibrio fissato dallo Stato tra l’esigenza di semplificazione e di accelerazione del procedimento amministrativo e la speciale tutela che deve essere riservata al bene ambiente, chiarendo che detto punto di equilibrio non sarebbe derogabile neppure dalle regioni dotate di particolare autonomia.
1.10.– Sulla scorta di tali premesse il ricorrente chiede a questa Corte di dichiarare costituzionalmente illegittimo l’art. 14, comma 2, della legge reg. siciliana n. 6 del 2024, con riferimento agli artt. 9, 117, secondo comma, lettera s), Cost., e in relazione all’art. 14, primo comma, lettere f) e n), del r. d.lgs. n. 455 del 1946, nonché all’art. 5, comma 1, lettera l-bis), e punto 8, lettera t), dell’Allegato IV alla Parte seconda del d.lgs. n. 152 del 2006.
2.– Con atto depositato in data 11 luglio 2024 si è costituita in giudizio la Regione siciliana, eccependo l’inammissibilità e la non fondatezza di tutte le censure di legittimità costituzionale proposte nel ricorso.
2.1.– Vi sarebbe anzitutto un difetto di motivazione del gravame, in quanto il Presidente del Consiglio dei ministri non avrebbe esposto, se non in modo assertivo, le ragioni poste a fondamento delle varie censure, omettendo di chiarire come si determini in concreto l’invasione della competenza legislativa esclusiva statale in materia ambientale e in che termini la normativa impugnata contrasti con la disciplina di competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema». Apodittica, altresì, sarebbe l’affermazione della violazione dei limiti all’esercizio della potestà legislativa regionale in materia di procedure di variante delle autorizzazioni alla coltivazione dei giacimenti da cava.
Poiché la normativa contestata restringerebbe la discrezionalità degli organismi di valutazione circa l’apprezzamento della sostanzialità di possibili varianti, ponendosi in piena armonia con il diritto statale ed eurounitario e rappresentando un corretto e legittimo esercizio delle competenze legislative e amministrative regionali riconosciute dall’art. 14, primo comma, lettera h), dello statuto speciale, le censure proposte nel ricorso sarebbero del tutto immotivate.
Non sarebbe infatti sufficiente affermare che l’art 14, comma 2, della legge reg. siciliana n. 6 del 2024 determini «una lesione diretta dei beni dell’ambiente, culturali e paesaggistici tutelati, con la conseguente grave diminuzione del livello di tutela garantito nell’intero territorio nazionale», in quanto sarebbe imprescindibile, affinché possa valutarsi il fondamento di un’impugnativa, che la norma contestata sia, in primis, parametrata al quadro normativo di riferimento e non soltanto ai princìpi costituzionali astrattamente enucleati.
Non risulterebbe adempiuto l’onere di esatta definizione della questione, non verrebbe chiarito l’effettivo vulnus normativo prodottosi e il ricorso risulterebbe pertanto carente della puntuale motivazione che sarebbe richiesta con particolare rigore per gli atti introduttivi dei giudizi in via principale (si richiama la sentenza di questa Corte n. 58 del 2023).
2.2.− Nel merito, la difesa regionale chiede una declaratoria di non fondatezza, sostenendo che non sussisterebbe alcun contrasto con le norme relative alla tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali e che non si avrebbe un reale e concreto vulnus alla competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., dovendosi interpretare la disposizione impugnata in senso costituzionalmente orientato, nei limiti delle competenze statutarie e in armonia con il diritto statale ed europeo.
2.2.1.− Secondo la difesa regionale, le disposizioni oggetto di contestazione sarebbero coerenti con quanto previsto dall’art. 6, commi 9 e 9-bis, del d.lgs. n. 152 del 2006 e, in particolare, con l’introdotto istituto della valutazione preliminare.
2.2.2.− La legge reg. siciliana n. 6 del 2024, poi, riorganizzerebbe il settore delle cave in Sicilia, coniugando la doverosa e rafforzata tutela dell’ambiente con una revisione organica del sistema.
In particolare, si afferma che, in base alla nuova legge regionale, dovrà essere l’esercente e non più il comune in cui ricade la cava a procedere al recupero ambientale in corso d’opera, con spese a suo carico; laddove non è possibile effettuare il risanamento del territorio nel corso dell’attività estrattiva, come nel caso delle cave "a fossa”, l’impresa potrà provvedere alla fine del ciclo di sfruttamento, ma dovrà attivare un’idonea garanzia per l’intero importo dei lavori; le amministrazioni potranno utilizzare le relative somme per completare il ripristino dei luoghi in caso di inadempienza dei privati. La difesa regionale evidenzia che con tali misure s’intenderebbe porre fine al fenomeno dell’abbandono delle cave in Sicilia, rafforzando ulteriormente la tutela ambientale.
Secondo la difesa regionale la normativa sospettata di illegittimità costituzionale non disciplinerebbe direttamente tematiche ambientali, ma vi inciderebbe solo con effetti indiretti e comunque migliorativi dei livelli di tutela.
L’attribuzione della competenza legislativa esclusiva in materia di cave legittimerebbe pertanto la Regione, nell’esercizio del potere di governo del territorio, a adottare ogni norma idonea a disciplinare in maniera più efficace la materia.
La natura intrinseca di un progetto di cava, il suo prevedibile sviluppo contestuale al recupero ambientale, l’ordinaria sequenza logico-temporale delle operazioni (descritta nelle difese regionali), poi, sarebbero tali da consentire di stabilire a priori le possibili ipotesi di varianti sostanziali.
Infine, per la difesa regionale sarebbe inconferente il richiamo alla ricordata sentenza di questa Corte n. 82 del 2024, in quanto la norma allora scrutinata avrebbe previsto una vera e propria sottrazione degli interventi ivi contemplati alla procedura di valutazione ambientale e paesaggistica, mentre nella fattispecie in esame il legislatore regionale avrebbe solo ristretto la discrezionalità dell’organismo tecnico, individuando un numero definito di varianti sostanziali.
La Regione resistente conclude sostenendo che, nel contesto di un peculiare tipo di progetto come quello relativo a una cava, la preordinata codificazione delle tipologie di variante sostanziale non sembrerebbe porre le censurate disposizioni regionali in contrasto con la disciplina statale in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali e del paesaggio, di competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto tale disciplina, riferita alla peculiarità del progetto di cava e del compendio produttivo associatole, avrebbe come effetto immediato una maggiore difesa dei beni ambientali, culturali e paesaggistici tutelati, salvaguardando il livello di tutela garantito sull’intero territorio nazionale.
3.− In data 21 maggio 2025 il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria d’udienza, sostenendo che il contenuto del ricorso sarebbe chiaramente identificabile, ivi mirandosi alla salvaguardia della competenza legislativa statale in materia di tutela dell’ambiente e del paesaggio.
La lesione della competenza legislativa esclusiva dello Stato si verificherebbe in quanto il legislatore regionale, sostituendo la valutazione "caso per caso”, prevista dalla normativa statale ed eurounitaria, introdurrebbe un automatismo in riferimento alle varianti elencate nel comma 3 dell’art. 2, ponendosi in diretto contrasto con il punto 8, lettera t), dell’Allegato IV alla Parte seconda del d.lgs. n. 152 del 2006, nonché con l’obbligo generale di valutazione ambientale previsto dalla direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, come interpretata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (si richiama Corte di giustizia dell’Unione europea, terza sezione, sentenza 25 luglio 2008, causa C-142/07, Ecologistas en Acción-CODA), a ciò conseguendo una sensibile deroga, preventiva e generalizzata, all’obbligo di screening, deroga che la giurisprudenza di questa Corte avrebbe più volte ritenuto costituzionalmente illegittima. A tal proposito, si richiamano le sentenze n. 67 del 2020 (recte: ordinanza, vertente in materia di esecuzione penale), n. 259 del 2019 (vertente in materia di organizzazione sanitaria) e n. 93 del 2017 (vertente in materia di servizio idrico integrato).
Nella memoria si evidenzia che nel ricorso è richiamato espressamente il d.lgs. n. 152 del 2006, con riferimento specifico all’art. 5, lettera l-bis), e al punto 8, lettera t), dell’Allegato IV alla Parte seconda, con la precisazione che dette previsioni sarebbero state qualificate come norme interposte e di rilievo costituzionale da questa Corte fin dalla sentenza n. 104 del 2008.
L’Avvocatura generale dello Stato sostiene anche che sarebbe improprio il riferimento alla sentenza di questa Corte n. 58 del 2023 operato dalla difesa regionale, in quanto tale pronuncia confermerebbe, anzi, che l’onere di motivazione chiara e coerente risulterebbe nel ricorso ampiamente assolto.
Secondo il ricorrente non sarebbe inoltre riscontrabile la ritenuta pretesa coerenza, opposta dalla Regione, della norma regionale impugnata con l’art. 6, commi 9 e 9-bis, del d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto, mentre questo affida all’autorità competente una valutazione tecnica individualizzata, la disposizione regionale impugnata qualifica ex ante e in via generale alcune varianti come «non sostanziali», indebitamente sottraendole alla procedura di screening.
Una simile conseguenza automatica contrasterebbe con la logica stessa dell’istituto della VIA e violerebbe sia il diritto nazionale sia quello eurounitario, come sarebbe stato riconosciuto in più occasioni dalla Corte di giustizia UE (si richiamano le sentenze della Corte di giustizia UE, prima sezione, 9 settembre 2020, causa C-254/19, Friends of the Irish Environment Ltd; seconda sezione, 30 aprile 2009, causa C-75/08, Christopher Mellor; e prima sezione, 4 maggio 2006, causa C-290/03, Diane Barker).
Infine, secondo la difesa erariale, il carattere innovativo della disciplina regionale sarebbe privo di rilievo nel giudizio di legittimità costituzionale.
Nella memoria si sottolinea come questa Corte avrebbe ribadito che anche in materie di competenza legislativa concorrente o residuale (cave, energia, eccetera) le regioni non possono derogare ai livelli essenziali di tutela ambientale fissati dallo Stato (si richiamano le sentenze n. 178 del 2018 e, di nuovo, n. 67 del 2020 e n. 259 del 2019) e che neppure l’autonomia statutaria può giustificare deroghe alla disciplina nazionale in materia ambientale (si richiamano le sentenze n. 148 del 2019, vertente in materia di demanio idrico regionale e n. 83 del 2018, vertente in materia di concorrenza).
La difesa erariale ricorda che la VIA rientra nella materia della tutela dell’ambiente, che la Costituzione (art. 117, secondo comma, lettera s) riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, di talché le regioni possono disciplinare solo profili procedurali o organizzativi, ma non possono introdurre "presunzioni” che incidano nel merito della valutazione o che comportino una deroga sostanziale ai criteri statali di valutazione della significatività, sostanziale o meno, delle varianti.
Nella memoria si rammenta anche che la nozione di «variazioni essenziali» è definita dalla legislazione statale, e che pertanto la regione non può modificarla autonomamente.
Per quanto riguarda l’affermazione della Regione siciliana secondo la quale le varianti "sostanziali” sarebbero già prevedibili in fase autorizzativa, l’Avvocatura generale dello Stato obietta che un simile assunto contrasta con il principio – di matrice eurounitaria – dell’effettività della valutazione ambientale. Al riguardo, la Corte di giustizia UE avrebbe chiarito che l’impatto ambientale deve essere valutato in concreto e non può essere escluso in astratto sulla base di classificazioni normative generalizzate (si richiama nuovamente terza sezione, sentenza n. 142 del 2007, e grande sezione, sentenza 29 luglio 2019, causa C-411/17, Inter-Environnement Wallonie ASBL e Bond Beter Leefmilieu Vlaanderen ASBL). Detta impostazione sarebbe stata confermata anche da questa Corte, affermando che solo l’autorità competente può effettuare tale valutazione (si richiama la sentenza n. 232 del 2019 vertente in materia di impiego pubblico).
La difesa dello Stato sostiene poi che la distinzione fra attività estrattiva e impatti ambientali prospettata dalla Regione siciliana sarebbe del tutto irrilevante in quanto, pur rientrando l’attività estrattiva tra le competenze regionali, ne sarebbero innegabili gli effetti sull’ambiente, la cui tutela è riservata in via esclusiva allo Stato.
Il ricorrente ricorda che questa Corte avrebbe più volte affermato che l’esercizio della competenza legislativa regionale non può determinare un abbassamento dei livelli minimi di protezione (si richiamano le sentenze n. 116 del 2006 e, di nuovo, n. 148 del 2019).
Infine, la difesa statale ribadisce che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Regione siciliana, il richiamo alla sentenza n. 82 del 2024, fatto dal ricorso, sarebbe pertinente, in quanto sia nel caso allora scrutinato che in quello odierno le leggi regionali (rispettivamente, della Regione Puglia e della Regione siciliana) hanno introdotto automatismi elusivi dell’esercizio del potere valutativo discrezionale da parte dell’autorità tecnica competente.
L’Avvocatura generale dello Stato rammenta che questa Corte aveva censurato simili interventi legislativi proprio perché lesivi dell’equilibrio tra competenze costituzionali e obblighi ambientali, dichiarando costituzionalmente illegittime, con la sentenza n. 119 del 2024, le norme regionali che introducevano nuove disposizioni riguardanti le varianti al piano urbanistico.
In conclusione, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, anche la normativa oggi impugnata si porrebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e con i consolidati princìpi del diritto dell’Unione europea in materia di VIA, introducendo anch’essa automatismi normativi sostanzialmente elusivi della valutazione ambientale individualizzata, in tal modo compromettendo, in concreto, l’effettività della tutela ambientale, confidata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. Il Presidente del Consiglio dei ministri insiste, pertanto, per la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2, della legge reg. siciliana n. 6 del 2024, recante modifiche all’art. 2 della legge reg. siciliana n. 10 del 2004.
4.− Anche la Regione siciliana ha depositato memoria d’udienza, ove, in particolare, si ribadisce che il ricorso introduttivo non sarebbe sorretto da una motivazione sufficiente e adeguata, in quanto si fonderebbe su un sillogismo apodittico: posto che la materia ambientale rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato e considerato che la disciplina delle cave presenta riflessi ambientali, ne deriverebbe, per ciò solo, l’illegittimità costituzionale della norma regionale impugnata.
Secondo la Regione siciliana difetterebbe un reale sviluppo argomentativo idoneo a dimostrare l’effettiva incidenza della legge regionale impugnata nella competenza statale e l’impatto negativo sui livelli minimi di tutela uniformemente assicurati a livello nazionale.
Nella memoria si richiama il costante orientamento della giurisprudenza costituzionale a tenor del quale «l’esigenza di un’adeguata motivazione a fondamento dell’impugnazione si pone in termini ancora più rigorosi nei giudizi proposti in via principale rispetto a quelli instaurati in via incidentale» (si richiamano le sentenze n. 167, n. 142, n. 141, n. 133 e n. 123 del 2024, n. 170 e n. 20 del 2021).
Nel merito, la Regione siciliana ribadisce che le norme impugnate si collocherebbero a pieno titolo nell’ambito delle materie di competenza legislativa esclusiva regionale quali l’industria e le miniere (lettera e), l’urbanistica e l’uso del suolo (lettera f), la tutela del paesaggio (lettera n). Di conseguenza, sostiene di avere il potere di disciplinare i presupposti e le modalità dell’autorizzazione di tali attività, sempre nel rispetto delle norme fondamentali statali, in particolare di quelle poste a tutela dell’ambiente.
La Regione siciliana rammenta che questa Corte ha più volte chiarito che la competenza legislativa statale in materia ambientale, sebbene di natura trasversale e connotata da una funzione di indirizzo e di principio, non preclude l’intervento legislativo delle regioni – tanto più di quelle a statuto speciale – nelle materie di loro competenza. Ciò a condizione che la normativa regionale non determini un arretramento dei livelli di tutela ambientale fissati quale standard minimo a livello nazionale.
Nella memoria si evidenzia che la normativa impugnata introdurrebbe una disciplina relativa alle «varianti non sostanziali» alle autorizzazioni già rilasciate per le attività estrattive, circoscrivendo il proprio ambito di applicazione esclusivamente agli interventi localizzati in aree prive di vincoli ambientali o paesaggistici e condizionando l’esclusione della verifica di assoggettabilità alla presenza di precisi presupposti tecnici, il cui accertamento spetterebbe ai distretti minerari. Secondo la Regione siciliana, dunque, detta esclusione non sarebbe né automatica né generalizzata.
La disposizione impugnata, pertanto, non introdurrebbe deroghe arbitrarie o aprioristiche alla disciplina statale in materia ambientale, ma si collocherebbe all’interno di un sistema regolatorio coerente con i princìpi del d.lgs. n. 152 del 2006, perseguendo finalità di semplificazione amministrativa per interventi a basso impatto e in contesti territoriali già autorizzati, nel pieno rispetto anche dei princìpi di legalità e proporzionalità.
Nella memoria si sostiene che la Regione siciliana non avrebbe disapplicato o derogato la normativa statale contenuta nel d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto la disciplina impugnata si inserirebbe nel sistema delineato dal codice dell’ambiente, «calibrando l’ambito applicativo della verifica di assoggettabilità alla procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) in coerenza con la nozione di "modifica sostanziale”, così come definita dall’art. 5, comma 1, lettera l-bis), dello stesso decreto legislativo».
Si afferma, dunque, che la disciplina regionale non si tradurrebbe in una compressione del livello di tutela ambientale stabilito a livello nazionale e, pertanto, non configurerebbe una violazione, né diretta né indiretta, dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
La difesa regionale osserva, ulteriormente, che l’art. 14 della legge reg. siciliana n. 6 del 2024 si collocherebbe pienamente nel solco dei princìpi stabiliti dalla normativa europea in materia ambientale, in particolare dalla direttiva 2011/92/UE, come modificata dalla direttiva 2014/52/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati. Tali direttive, recepite nell’ordinamento italiano con il d.lgs. n. 152 del 2006, stabilirebbero che i progetti che possono avere effetti significativi sull’ambiente sono sottoposti a una preventiva valutazione ambientale, ma conferirebbero agli Stati membri un ampio margine di discrezionalità nella definizione delle modalità attuative e dei criteri di selezione per l’assoggettamento alla procedura.
In questo contesto, l’ordinamento europeo prevedrebbe espressamente la possibilità di effettuare uno screening preliminare che consenta di escludere dalla VIA i progetti o le modifiche che, per le loro caratteristiche, non comportino impatti significativi sull’ambiente. Sarebbe proprio in questa cornice che, secondo la Regione siciliana, si inserirebbe la normativa regionale oggetto di impugnazione, la quale prevedrebbe che alcune «varianti non sostanziali» alle autorizzazioni di cava, localizzate in aree già assentite e prive di vincoli ambientali o paesaggistici, possano non essere sottoposte alla verifica di assoggettabilità a VIA, purché ricorrano specifici presupposti di natura tecnica.
La Regione siciliana sostiene che l’impostazione della legge regionale sarebbe pienamente coerente con i criteri della direttiva europea, a tenor della quale l’obbligo di valutazione deve essere riservato alle modifiche effettivamente idonee a produrre un impatto significativo sull’ambiente. In questo caso, l’accertamento sarebbe rimesso ad autorità pubbliche competenti quali i distretti minerari, che sono chiamati a compiere una valutazione tecnico-discrezionale fondata su criteri oggettivi.
Ne consegue che l’art. 14 della legge reg. siciliana n. 6 del 2024 non solo non contrasterebbe con il diritto dell’Unione europea, ma ne realizzerebbe correttamente i presupposti e le finalità.
La Regione siciliana ribadisce che la sentenza di questa Corte n. 82 del 2024, evocata dal Presidente del Consiglio dei ministri a sostegno dell’impugnativa, concernerebbe una fattispecie del tutto diversa e non comparabile con quella siciliana.
Inoltre, afferma che l’art. 14 della legge reg. siciliana n. 6 del 2024 dovrebbe leggersi nella prospettiva del principio di sussidiarietà, il quale impone che l’allocazione delle funzioni amministrative avvenga secondo criteri di efficienza e adeguatezza, favorendo l’intervento dell’ente territoriale più prossimo al cittadino ogniqualvolta ciò consenta una migliore realizzazione degli interessi pubblici.
La norma, mediante la semplificazione del rilascio di varianti alle autorizzazioni di cava nei casi in cui – a seguito di idonea valutazione tecnica – non ricorrano specifiche condizioni ostative, introdurrebbe al contempo un rigoroso meccanismo volto al ripristino e alla riqualificazione delle aree compromesse, contrastando fenomeni di abbandono che, in passato, si erano verificati anche a causa dell’applicazione meramente formale della disciplina statale, con gravi ricadute sul piano ambientale.
Secondo la Regione siciliana le censure di legittimità costituzionale non terrebbero adeguatamente conto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni, che imporrebbe di privilegiare soluzioni idonee a salvaguardare la normativa regionale, sempre ch’essa non determini una lesione manifesta e insanabile dell’assetto costituzionale.
In questa prospettiva, la norma regionale potrebbe essere letta in modo costituzionalmente orientato, nel senso che la semplificazione procedurale ivi prevista non escluderebbe la possibilità di attivare la verifica di assoggettabilità a VIA in tutti i casi in cui sussistano elementi oggettivi che facciano presumere un impatto ambientale significativo. Tale lettura consentirebbe di ricondurre la norma entro l’alveo delle competenze regionali e, al contempo, di garantire la piena tenuta del sistema statale di tutela ambientale.
In via subordinata, la Regione siciliana prospetta l’adozione di una sentenza manipolativa o interpretativa che preservi la norma impugnata nelle sue parti compatibili, evitando così una pronuncia demolitoria.
Secondo la Regione siciliana la disposizione impugnata si collocherebbe all’interno delle competenze legislative primarie attribuitele dallo statuto speciale e non determinerebbe alcuna lesione dei princìpi fondamentali posti a tutela dell’ambiente dalla normativa statale. L’esclusione di talune varianti alle autorizzazioni di cava dalla verifica di assoggettabilità a VIA, derivante dalla disciplina impugnata, sarebbe indice della volontà del legislatore regionale di esercitare la propria potestà legislativa nella materia «cave», non sostituendo il legislatore nazionale nella disciplina della materia ambientale, ma integrando in melius i livelli di tutela.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 21 del 2024), ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2, della legge reg. siciliana n. 6 del 2024, che reca modifiche all’art. 2 della legge reg. siciliana n. 10 del 2004, sostituendone integralmente il comma 3, in riferimento agli artt. 9, 117, secondo comma, lettera s), Cost. e in relazione all’art. 14, comma 1, lettere f) e n), dello statuto speciale, nonché all’art. 5, comma 1, lettera l-bis), e punto 8, lettera t), dell’Allegato IV alla Parte seconda del codice dell’ambiente.
La disposizione impugnata stabilisce: «2. Il comma 3 dell’articolo 2 della legge regionale n. 10/2004 è sostituito dai seguenti: "3. Si intendono sostanziali le varianti ai progetti autorizzati che comportano: a) un ampliamento delle volumetrie di scavo eccedenti il limite massimo del 10 per cento; b) le modifiche riguardanti l’assetto plano-altimetrico della configurazione finale approvata; c) l’introduzione di tecniche di scavo che prevedono l’uso di esplosivo; d) le modifiche al progetto di coltivazione che comportano un incremento delle garanzie fideiussorie. 3-bis. Per l’approvazione delle varianti di cui al comma 3 trova applicazione il comma 1 dell’articolo 22 della legge regionale n. 127/1980 e successive modificazioni. 3-ter. Fuori dai casi di cui al comma 3, il titolare dell’autorizzazione comunica la proposta di variante al distretto minerario competente per territorio, il quale, entro sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione, si esprime sulla sostanzialità della medesima e ne approva l’esecuzione, ferma restando la durata dell’autorizzazione. 3-quater. I provvedimenti di carattere urgente finalizzati alla sicurezza, di cui agli articoli 674 e 675 del decreto del Presidente della Repubblica 9 aprile 1959, n. 128, prevalgono su ogni altra prescrizione organizzativa relativa alla coltivazione di cave e le eventuali modifiche introdotte nel piano di coltivazione non sono considerate varianti sostanziali. 3-quinquies. L’esercente può chiedere al distretto minerario competente per territorio la riduzione dell’area di coltivazione nei casi in cui essa sia stata oggetto di recupero ambientale e siano state esperite le procedure di cui all’articolo 19-ter della legge regionale n. 127/1980. Sull’istanza l’ingegnere capo del distretto minerario competente per territorio decide nel termine di sessanta giorni dalla presentazione. Copia del provvedimento di autorizzazione alla riduzione, corredata della relativa documentazione cartografica indicante la porzione di cava stralciata con descrizione dello stato dei luoghi esclusi dall’autorizzazione e con documentazione fotografica, è trasmessa all’Assessorato regionale del territorio e dell’ambiente».
Secondo l’Avvocatura generale dello Stato «l’art.14 della suddetta legge prevede, al comma 2, modifiche all’art. 2 della legge regionale Sicilia 5 luglio 2004, n. 10, in materia di procedure di rinnovo delle autorizzazioni alla coltivazione dei giacimenti da cava, sostituendone integralmente il comma 3, che prevede ora una nuova disciplina in forza della quale le istanze di variante alle autorizzazioni di cava (relative alle attività che ricadono nelle aree di cui al Piano Regionale dei materiali di cava e dei materiali lapidei di pregio e non, rientranti nelle procedure di rinnovo delle predette autorizzazioni, purché insistenti su aree prive di vincoli paesaggistici e ambientali) sono considerate modifiche o estensioni non sostanziali e, quindi, non necessitano della verifica di assoggettabilità a VIA di cui al punto 8, lettera t), dell’allegato IV della parte seconda del DLGS 3 aprile 2006, n. 152, a condizione che ricorrano una serie di presupposti elencati dalla norma novellata» e che detta norma eccederebbe le competenze attribuite alla Regione siciliana dallo statuto speciale di autonomia, ledendo la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., anche in violazione dell’art. 9 Cost., determinando una «"lesione diretta” dei beni dell’ambiente, culturali e paesaggistici».
Il Presidente del Consiglio dei ministri osserva che la potestà legislativa primaria riconosciuta dall’art. 14, primo comma, lettere f) e n), dello statuto speciale alla Regione siciliana nelle materie «urbanistica» e «tutela del paesaggio» non può essere esercitata senza limiti.
In particolare, la Regione deve rispettare sia i precetti costituzionali sia le «norme di grande riforma economico-sociale» poste dallo Stato nell’esercizio delle competenze legislative spettantigli. Fra le suddette norme rileverebbero in particolare quelle del d.lgs. n. 152 del 2006.
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri non potrebbero essere aprioristicamente elencate, in numero definito, «le varianti sostanziali ai progetti autorizzati», in quanto detta modalità normativa si porrebbe in contrasto con l’art. 5 del d.lgs. n. 152 del 2006, che, al comma 1, lettera l-bis), detta la definizione – appunto – di modifica sostanziale, definizione fondata sull’idoneità della variazione progettuale a produrre effetti negativi e significativi sull’ambiente o sulla salute umana.โฏ
La disciplina statale volta a proteggere l’ambiente e il paesaggio costituirebbe un limite alla disciplina dettata dalle regioni e dalle province autonome nelle materie di loro competenza, salva la loro facoltà di adottare, nell’esercizio di competenze previste dalla Costituzione che concorrano con quella di tutela dell’ambiente, norme protettive di livello più elevato.
Alla luce di tali premesse ricostruttive, nel ricorso si sostiene che l’impugnata normativa regionale contrasterebbe con i parametri – costituzionali e interposti – sopra menzionati.
2.− Resiste al ricorso la Regione siciliana, la quale ritiene le censure formulate dal Presidente del Consiglio dei ministri inammissibili e, svolgendo le argomentazioni descritte in narrativa, comunque non fondate.
3.− Per le ragioni che emergeranno subito appresso occorre specificamente esaminare l’eccezione di inammissibilità delle questioni per difetto di motivazione che è stata opposta dalla Regione siciliana.
Le questioni di legittimità costituzionale sarebbero inammissibili «per genericità», in quanto il Presidente del Consiglio dei ministri non avrebbe esposto, se non in modo assertivo, le ragioni poste a fondamento delle censure, omettendo di chiarire come si determini in concreto l’invasione della competenza legislativa esclusiva statale in materia ambientale e in che termini la norma impugnata contrasti con la disciplina di competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.
Nell’atto di costituzione, in particolare, la Regione sostiene che la difesa statale avrebbe dedotto solo apoditticamente la violazione dei limiti all’esercizio della potestà legislativa regionale in materia di procedure di variante alle autorizzazioni alla coltivazione dei giacimenti da cava.
Più nello specifico, la normativa contestata restringerebbe la discrezionalità degli organismi di valutazione circa l’apprezzamento della sostanzialità di possibili varianti, ponendosi pertanto in piena armonia con il diritto statale ed europeo, nel corretto e legittimo esercizio delle competenze legislative e amministrative regionali riconosciute dall’art. 14, primo comma, lettera h), dello statuto speciale (miniere, cave, torbiere, saline).
Le censure proposte sarebbero pertanto del tutto immotivate.
Non sarebbe infatti sufficiente affermare che l’art. 14, comma 2, della legge reg. siciliana n. 6 del 2024 determini «una lesione diretta dei beni dell’ambiente, culturali e paesaggistici tutelati, con la conseguente grave diminuzione del livello di tutela garantito nell’intero territorio nazionale», in quanto, per fondare un’impugnativa innanzi questa Corte, sarebbe imprescindibile, in primis, parametrare la norma contestata all’intero quadro normativo di riferimento e non soltanto ai princìpi costituzionali astrattamente enucleati.
Ad avviso della resistente, nel ricorso non risulterebbe adempiuto l’onere di esatta definizione della questione, non verrebbe chiarito l’effettivo vulnus normativo prodottosi e di conseguenza non sarebbe sviluppata una puntuale motivazione, della quale i ricorrenti in via principale sarebbero invece onerati in modo particolarmente rigoroso.
4.− L’eccezione proposta dalla Regione siciliana coglie solo indirettamente e parzialmente nel segno, poiché il difetto di motivazione costituisce, in realtà, il mero riflesso di un più radicale vizio dell’atto introduttivo del presente giudizio.
4.1.− Questa Corte ha più volte evidenziato, anche di recente, che in materia di ricorsi in via principale l’onere del rispetto delle norme processuali è particolarmente pregnante.
Giusta la costante giurisprudenza costituzionale, «"l’esigenza di un’adeguata motivazione a fondamento dell’impugnazione si pone in termini rigorosi nei giudizi proposti in via principale, nei quali il ricorrente ha l’onere non soltanto di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali dei quali denuncia la violazione, ma anche di suffragare le ragioni del dedotto contrasto con argomentazioni chiare, complete e sufficientemente articolate (ex multis, sentenze n. 125 del 2023, n. 265, n. 259 e n. 135 del 2022, n. 170 del 2021 e n. 279 del 2020)” (sentenza n. 169 del 2024)» (sentenza n. 106 del 2025).
Più specificamente, questa Corte ha chiarito che «il ricorrente ha l’onere di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali dei quali denunzia la violazione, proponendo una motivazione che non sia meramente assertiva ma contenga una specifica e congrua indicazione delle ragioni per le quali vi sarebbe il contrasto con i parametri evocati, con il sostegno di una sintetica argomentazione di merito (ex plurimis, sentenza n. 201 del 2021)» (sentenza n. 28 del 2025).
Il ricorrente non ha individuato con la puntuale chiarezza richiesta per il giudizio in via principale il testo normativo sul quale la censura di legittimità costituzionale si appunta. Alle pagine 1 e 3 del ricorso, infatti, si fa per ben due volte riferimento alla previsione, da parte della legge regionale impugnata, di modifiche o estensioni «non sostanziali», che avrebbero determinato l’automatica sottrazione alla procedura di verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale. Anche nella memoria dell’Avvocatura dello Stato si lamenta l’automatismo e si afferma sia che «[i]l suddetto comma 2 dell’art. 14 della legge regionale impugnata [...] ha qualificato ex lege come "non sostanziali” alcune modifiche progettuali [...] in tal modo eludendo le prescrizioni di cui alla disciplina di verifica di assoggettabilità a VIA» (pag. 2) sia che «[…] mentre il Codice dell’ambiente affida all’autorità competente una valutazione tecnica individualizzata, la disposizione regionale censurata, invece, qualifica ex ante e in via generale alcune varianti come "non sostanziali”, sottraendole indebitamente alla procedura di screening» (pag. 5).
È significativo che, a fronte di tale errore prospettico nella lettura della norma censurata, abbia fatto riferimento alle «varianti non sostanziali» la stessa resistente (pagine 4 e 6 della sua memoria).
Non rileva il fatto che in altri loci delle rispettive difese tanto il ricorrente (pag. 4 del ricorso) quanto la resistente (pag. 13 dell’atto di costituzione) abbiano fatto riferimento – stavolta correttamente – alle modifiche o estensioni «sostanziali» come oggetto della impugnata previsione normativa, poiché l’equivoco segnalato ha comunque determinato un’inammissibile alterazione della prospettiva argomentativa assunta dal ricorrente (e – paradossalmente – anche di quella assunta dalla resistente). Il ricorrente, infatti, non si è compiutamente misurato con il (vero) contenuto della previsione normativa impugnata, del cui riferimento alle "modifiche sostanziali” avrebbe dovuto chiarire portata ed effetti procedimentali, nel contesto della considerazione delle esigenze ambientali alla cui protezione è funzionalizzato il riconoscimento allo Stato della potestà legislativa esclusiva riconosciuta dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
È del tutto evidente, infatti, che l’elencazione da parte della legge regionale di modifiche da considerare comunque "sostanziali” non equivale affatto all’indicazione di modifiche da considerare comunque "non sostanziali”, atteso che nel primo caso non si esclude in via di principio la qualificabilità come "sostanziali” delle altre modifiche non espressamente menzionate, mentre nel secondo è preclusa in radice la qualificazione come "sostanziali” di quelle che sono contenute nell’elenco. Il segnalato errore prospettico è dunque decisivo nell’economia argomentativa del ricorso, né occorre qui stabilire se la legge regionale impugnata, dettando un elenco di "modifiche sostanziali” effettivamente assicuri adeguate possibilità di assoggettamento a VIA di interventi potenzialmente incidenti nella protezione del bene-ambiente, poiché tale apprezzamento appartiene al merito del giudizio, al quale non è possibile accedere.
Il ricorso non è dunque sorretto da una motivazione sufficiente e adeguata, che prenda esattamente in considerazione tanto la disposizione impugnata quanto il parametro interposto e quelli costituzionali evocati, ponendoli nella corretta relazione e mostrando se e in che misura un elenco di "modifiche sostanziali” da parte della legge regionale costituisca pregiudizio per i beni tutelati dalla Costituzione e per le connesse attribuzioni dello Stato.
4.2.− Nemmeno la descrizione dell’articolazione del procedimento, rinvenibile nel ricorso, corrisponde esattamente all’attuale contenuto della norma impugnata. Questa, infatti, non menziona espressamente un termine di novanta giorni per la valutazione dell’istanza di variante, termine che invece il ricorrente indica. Si può anzi notare che il termine di novanta giorni era previsto dall’originario disegno di legge n. 239.
Nel ricorso, inoltre, non si prende in considerazione l’esatto contenuto (anch’esso rinvenibile all’art. 14, comma 2, della legge reg. siciliana n. 6 del 2024) del nuovo comma 3-ter dell’art. 2 della legge reg. siciliana n. 10 del 2004, a tenor del quale «[f]uori dai casi di cui al comma 3, il titolare dell’autorizzazione comunica la proposta di variante al distretto minerario competente per territorio, il quale, entro sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione, si esprime sulla sostanzialità della medesima e ne approva l’esecuzione, ferma restando la durata dell’autorizzazione».
In forza del combinato disposto del comma 3 e del comma 3-ter del novellato art. 2 della legge reg. siciliana n. 10 del 2004, le varianti non ricomprese nell’elenco di cui all’art. 2, comma 3, (quindi le varianti non qualificate ex lege come sostanziali) devono essere comunicate al distretto minerario, chiamato a pronunciarsi sulla loro sostanzialità o meno. Il ricorrente, pertanto, avrebbe dovuto dimostrare che pur in forza di simile costruzione procedimentale si determina il lamentato automatismo. Così come avrebbe dovuto dimostrare che l’aver previsto un elenco di modifiche da considerarsi ex lege "sostanziali” (in quanto tali da sottoporre comunque a verifica di assoggettabilità a VIA) sia pregiudizievole per il bene ambiente e risulti lesivo delle attribuzioni costituzionali dello Stato.
4.3.− Il ricorso è carente anche per un ulteriore profilo.
Tra le materie contemplate nello statuto da tenere in considerazione per la qualificazione dell’ambito normativo in cui rientrano le previsioni oggetto di censura, il Presidente del Consiglio dei ministri non ha menzionato quella delle «cave», ancorché dette previsioni siano ospitate in una legge che ha per oggetto il «Riordino normativo dei materiali da cave e materiali lapidei». Giusta la giurisprudenza di questa Corte, «nel caso in cui venga impugnata, in via principale, la legge di una Regione a statuto speciale o di una Provincia autonoma, la mancata indicazione delle competenze statutarie non inficia di per sé l’ammissibilità della questione, qualora "siano evocate disposizioni statali espressione di competenze trasversali e configurabili, quindi, quali norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica, che costituiscono un limite alla potestà legislativa primaria delle Regioni speciali (tra le tante, sentenze n. 16 del 2020, n. 166 e n. 153 del 2019, n. 201 del 2018 e n. 103 del 2017)” (sentenza n. 255 del 2020)» (sentenza n. 23 del 2022). Inoltre, «il mancato confronto con le competenze statutarie determina l’inammissibilità del ricorso solo laddove tale omissione sia radicale (ex multis, sentenze n. 58 del 2023 e n. 281 del 2020)» (sentenza n. 28 del 2025). Nondimeno, nei giudizi principali di legittimità costituzionale aventi a oggetto leggi di regioni a statuto speciale o di province autonome la precisa identificazione delle attribuzioni conferite dal relativo statuto di autonomia è necessaria qualora lo stesso ricorrente lamenti la violazione dello statuto medesimo in riferimento a una specifica materia ivi disciplinata, poiché in questo caso si tratta della corretta individuazione del contenuto del parametro pertinente.
4.4.− Alla luce delle considerazioni che precedono le questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe e descritto in narrativa devono essere dichiarate inammissibili.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2, della legge della Regione siciliana 2 aprile 2024, n. 6 (Riordino normativo dei materiali da cave e materiali lapidei), promosse, in riferimento agli artt. 9, 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione e in relazione all’art. 14, primo comma, lettere f) e n), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, nonché all’art. 5, comma 1, lettera l-bis), e punto 8, lettera t), dell’Allegato IV alla Parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 giugno 2025.
F.to:
Giovanni AMOROSO, Presidente
Massimo LUCIANI, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2025