SENTENZA N. 20
ANNO 2021
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giancarlo CORAGGIO;
Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 19, 21 e 28, comma 3, ultimo periodo, della legge della Regione Veneto 25 novembre 2019, n. 44 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2020), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 27-30 gennaio 2020, depositato in cancelleria il 30 gennaio 2020, iscritto al n. 8 del registro ricorsi 2020 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2020.
Visto l’atto di costituzione della Regione Veneto;
udito nell’udienza pubblica del 12 gennaio 2021 il Giudice relatore Silvana Sciarra;
uditi l’avvocato dello Stato Enrico De Giovanni per il Presidente del Consiglio dei ministri, gli avvocati Franco Botteon e Andrea Manzi per la Regione Veneto, in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 30 ottobre 2020;
deliberato nella camera di consiglio del 12 gennaio 2021.
1.– Con ricorso notificato il 27-30 gennaio 2020 e depositato il 30 gennaio 2020 (reg. ric. n. 8 del 2020), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato, per violazione degli artt. 2, 3, 41, 117, commi secondo, lettera l), e terzo, della Costituzione, gli artt. 19, 21 e 28, comma 3, ultimo periodo, della legge della Regione Veneto 25 novembre 2019, n. 44 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2020).
2.– Il ricorrente censura, in primo luogo, l’art. 19 della legge reg. Veneto n. 44 del 2019, che ha aggiunto all’art. 3 della legge della Regione Veneto 14 maggio 2013, n. 9 (Contratti di formazione specialistica aggiuntivi regionali) il comma 1-bis.
In virtù di tale disposizione, il medico in formazione specialistica, nei cinque anni successivi al conseguimento del diploma di specializzazione, è tenuto «a partecipare alle procedure indette dalle aziende ed enti del servizio sanitario regionale veneto per il reclutamento di medici che prevedano, tra i requisiti per la partecipazione, la specializzazione conseguita, ad accettare e a svolgere gli incarichi assegnatigli, anche come convenzionato, per un periodo complessivo di tre anni» (lettera a). Il triennio si calcola considerando «tutti gli incarichi, anche non continuativi, assegnati con contratti di lavoro di qualunque tipologia o di convenzionamento per l’accesso ai quali sia richiesta la specializzazione conseguita mediante il contratto aggiuntivo regionale» (lettera b).
In caso di prestazione di attività lavorativa per un periodo inferiore al triennio nei cinque anni successivi al conseguimento del diploma di specializzazione (lettera c), il medico assegnatario del contratto aggiuntivo regionale dovrà «restituire alla Regione un importo pari al 15 per cento dell’importo complessivo percepito per ogni anno, o frazione superiore a sei mesi, di servizio non prestato rispetto ai tre anni minimi previsti» (lettera d).
Nell’ipotesi di inosservanza totale dell’obbligo di prestare attività lavorativa presso le aziende e gli enti del servizio sanitario regionale, il medico dovrà restituire «un importo pari al 50 per cento dell’importo complessivo percepito» (lettera e).
L’art. 3, comma 1-bis, lettera f), della legge reg. Veneto n. 9 del 2013 obbliga il medico assegnatario del contratto aggiuntivo regionale, nel caso di risoluzione anticipata del contratto per rinuncia al corso di studi, «a restituire alla Regione il 50 per cento dell’importo complessivo percepito».
L’impugnato art. 19 ha aggiunto all’art. 3 della legge reg. Veneto n. 9 del 2013 anche il comma 1-ter, che prevede verifiche a campione sull’osservanza degli obblighi dei medici specializzandi assegnatari di contratti aggiuntivi regionali, «in una percentuale minima di almeno il 10 per cento», e il comma 1-quater, che destina le entrate derivanti dall’applicazione delle sanzioni «al finanziamento di contratti aggiuntivi regionali».
Le previsioni impugnate contrasterebbero con l’art. 117, terzo comma, Cost. e, in particolare, con i «principi fondamentali dettati dal legislatore statale in un ambito rientrante nella materia delle “professioni” ovvero in quella della “tutela della salute”». Ad avviso del ricorrente, le clausole aggiuntive, nel regolare aspetti che «esulano dal contenuto tipico del contratto di formazione» specialistica, finalizzato in via esclusiva «all’acquisizione delle capacità professionali inerenti al titolo di specialista», ne «snaturano di fatto la ratio e l’oggetto» (è citato l’art. 37, comma 1, del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, recante «Attuazione della direttiva 93/16/CE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli e delle direttive 97/50/CE, 98/21/CE, 98/63/CE e 99/46/CE che modificano la direttiva 93/16/CE»).
Inoltre, nell’imporre ai medici beneficiari del contratto aggiuntivo regionale «scelte di carattere strettamente personale (quali la partecipazione a procedure concorsuali)», le disposizioni impugnate si porrebbero in contrasto «con i principi costituzionali in materia di autodeterminazione negoziale (artt. 2 e 41 Cost.)».
La disciplina in esame confliggerebbe, da ultimo, con il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), in quanto si risolverebbe «in una ingiustificata discriminazione nei confronti dei soggetti non beneficiari del contratto statale».
3.– Il ricorrente censura, poi, l’art. 21 della legge reg. Veneto n. 44 del 2019, che autorizza l’Azienda Ospedale-Università di Padova a rideterminare, previa deliberazione della Giunta regionale, i fondi del personale del comparto e delle aree dirigenziali fino a concorrenza del livello medio pro capite riferito all’anno 2018 dei fondi delle aziende e degli enti del servizio sanitario regionale.
La disposizione impugnata contrasterebbe, anzitutto, con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto interverrebbe «in materia di trattamento economico del personale contrattualizzato» e invaderebbe la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile», che include «la disciplina del lavoro pubblico» e, in particolar modo, la disciplina del «trattamento economico accessorio», demandata alla contrattazione collettiva, «nel rispetto dei vincoli di bilancio e limiti derivanti dalla legge statale».
Il ricorrente ravvisa il contrasto anche con l’art. 117, terzo comma, Cost. In particolare, «l’incremento del fondo della sola azienda ospedaliera università di Padova, parametrato sulla base del livello medio pro capite riferito all’anno 2018 dei fondi delle aziende ed enti del servizio sanitario regionale» violerebbe i princìpi di coordinamento della finanza pubblica stabiliti dall’art. 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche». Tale previsione, nella prospettiva del contenimento della spesa per salario accessorio del personale delle pubbliche amministrazioni, dispone che l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente a tale componente del trattamento economico non possa «superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2016».
Il ricorrente denuncia, infine, la violazione dell’art. 3 Cost. La previsione impugnata, nell’introdurre, «ai fini dell’incremento del Fondo, il solo limite della spesa complessiva del personale del servizio sanitario regionale» e nel lasciare di fatto «impregiudicata la possibilità che l’amministrazione in questione possa superare il limite di cui all’articolo 23 del d.lgs. n. 75 del 2017», determinerebbe un’arbitraria disparità di trattamento del personale interessato «rispetto al restante personale pubblico su cui la legge statale è intervenuta».
4.– È infine impugnato l’art. 28, comma 3, ultimo periodo, della legge reg. Veneto n. 44 del 2019, nella parte in cui contempla la possibilità di «esonerare da eventuali preselezioni i candidati già dipendenti, anche per effetto di contratti di lavoro flessibile».
Tale disciplina non troverebbe alcuna rispondenza nella normativa statale.
Invero, l’art. 35, comma 3-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), si limiterebbe a prevedere, per i titolari di contratto di lavoro a tempo determinato o flessibile, «procedure di reclutamento con riserva dei posti o per titoli ed esami».
Neppure l’art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017, concernente il «superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni», accorderebbe alcun esonero dalle prove preselettive a favore dei candidati interni.
Nel delineare tale disciplina, il legislatore regionale avrebbe travalicato i limiti delle proprie attribuzioni e avrebbe invaso, pertanto, la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile» (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.).
Il ricorrente prospetta anche il contrasto con «i principi di ragionevolezza e parità di trattamento» (art. 3 Cost.) e argomenta, a tale riguardo, che la condizione di dipendente della pubblica amministrazione non garantisce di per sé il possesso dei requisiti attitudinali richiesti per la posizione menzionata nel bando di concorso. Le esigenze di parità di trattamento imporrebbero, anche per i candidati interni, lo svolgimento della prova attitudinale.
5.– La Regione Veneto si è costituita nel giudizio di legittimità costituzionale, con atto depositato il 4 marzo 2020, e ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili o infondate.
5.1.– Le censure che si appuntano sull’art. 19 della legge reg. Veneto n. 44 del 2019 sarebbero inammissibili e comunque infondate.
5.1.1.– In punto di ammissibilità, la Regione resistente osserva che il ricorrente non avrebbe illustrato le ragioni della discrepanza tra la disciplina statale riguardante i contratti di formazione specialistica e il vincolo negoziale introdotto dalla previsione impugnata.
Anche sull’asserita discriminazione ai danni di chi beneficia del contratto aggiuntivo regionale, il ricorrente non avrebbe offerto argomenti decisivi.
5.1.2.– Nel merito, le censure sarebbero infondate.
Il vincolo sancito dal legislatore regionale veneto si prefiggerebbe di «perseguire un interesse pubblico accessorio al contratto, perfettamente compatibile con la causa e l’oggetto dello stesso e meritevole di tutela». Si tratterebbe, in particolare, «dell’interesse pubblico all’efficiente impiego delle risorse regionali nell’ambito dell’organizzazione del Servizio sanitario regionale». La Regione avrebbe investito risorse nella formazione del personale medico, allo scopo di porre rimedio alle risalenti carenze di organico.
La disposizione impugnata, peraltro, limiterebbe la discrezionalità della Giunta regionale nell’integrazione dello schema tipo del contratto nazionale e si conformerebbe a quanto prevede il decreto del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca dell’8 luglio 2019, n. 1323. Non sarebbe violato, pertanto, alcun principio fondamentale nella materia delle professioni e della tutela della salute.
Non sarebbe fondata neppure la censura di violazione dell’autonomia contrattuale. La legge regionale, lungi dal coartare la volontà della controparte negoziale, porrebbe un’obbligazione accessoria, allo scopo di perseguire finalità meritevoli di tutela.
Non sussisterebbe, infine, alcuna lesione del principio di eguaglianza. La Regione nega che sia previsto un trattamento deteriore dei medici in formazione specialistica, che beneficino delle borse regionali. Sarebbe proprio il finanziamento aggiuntivo regionale a consentire l’accesso al corso di specializzazione e non vi sarebbe alcuna disparità di trattamento dal punto di vista formativo.
5.2.– Inammissibili e comunque infondate sarebbero anche le questioni di legittimità costituzionale promosse con riguardo all’art. 21 della legge reg. Veneto n. 44 del 2019.
5.2.1.– Quanto alla violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., il ricorrente non avrebbe dimostrato «che il legislatore regionale si sia sostituito al contratto collettivo e abbia regolato direttamente un aspetto della retribuzione». Le questioni promosse sarebbero, pertanto, inammissibili (si richiama la sentenza di questa Corte n. 232 del 2019).
Solo in termini generici e meramente eventuali, il ricorrente ipotizzerebbe il superamento dei «limiti quantitativi fissati dal legislatore statale in ordine all’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale». Da tali rilievi discenderebbe l’inammissibilità anche delle censure riferite all’art. 117, terzo comma, Cost.
5.2.2.– Nel merito, le questioni non sarebbero fondate.
La disposizione si limiterebbe ad autorizzare l’Azienda Ospedale-Università di Padova a rideterminare i fondi del personale del comparto e delle aree dirigenziali, ma sarebbe pur sempre la contrattazione collettiva a definire l’ammontare del fondo in parola.
La Regione esclude, inoltre, la violazione del principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, stabilito dall’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017. La disposizione impugnata, difatti, prescriverebbe il «rispetto del limite della spesa complessiva del personale del servizio sanitario regionale», che risulta determinata «sulla base dei limiti posti dalla legislazione statale». Tali limiti non sarebbero, pertanto, travalicati.
L’art. 21 della legge reg. Veneto n. 44 del 2019 sarebbe ispirato a «una logica perequativa». Con particolare riguardo alle aree dirigenziali dell’Azienda Ospedale-Università di Padova, polo di indiscussa eccellenza, il trattamento economico accessorio sarebbe «ai livelli più bassi (se non al livello più basso) tra tutte le aziende sanitarie venete». La disposizione impugnata si prefiggerebbe, pertanto, di ricondurre ai valori medi tale trattamento, allo scopo di scongiurare il rischio di un esodo «verso strutture, pubbliche e private, che offrono ai propri dipendenti trattamenti economici notevolmente più elevati».
Peraltro, l’effettivo incremento dei fondi sarebbe assoggettato alla previa autorizzazione della Giunta regionale, chiamata a verificare il rispetto dei vincoli sanciti in materia di spesa dall’art. 11 del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 35 (Misure emergenziali per il servizio sanitario della Regione Calabria e altre misure urgenti in materia sanitaria), convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 2019, n. 60.
5.3.– Anche le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 28 della legge reg. Veneto n. 44 del 2019 sarebbero inammissibili e comunque manifestamente infondate.
5.3.1.– In linea preliminare, la Regione osserva che il ricorrente non ha addotto alcun argomento per dimostrare l’illegittimità costituzionale della normativa impugnata, sia sotto il profilo della lesione della competenza legislativa esclusiva dello Stato, sia con riguardo alla dedotta violazione dell’art. 3 Cost.
Quanto al primo aspetto, non sarebbe conferente il parametro costituzionale invocato (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.).
Per quel che attiene al contrasto con l’art. 3 Cost., la disposizione impugnata, che sancisce una mera facoltà di esonerare i candidati interni dalle prove preselettive, non determinerebbe alcuna «lesione concreta o forma di irragionevolezza».
5.3.2.– Nel merito, le questioni non sarebbero fondate.
Le modalità di svolgimento di un concorso per l’accesso all’impiego regionale sarebbero riconducibili alla «competenza esclusiva delle Regioni in materia di organizzazione e ordinamento degli uffici regionali» e non toccherebbero la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile».
Non sussisterebbe, inoltre, alcun contrasto con i princìpi di ragionevolezza e di parità di trattamento.
La previsione censurata, difatti, non introdurrebbe un esonero generalizzato dalle prove preselettive, ma soltanto una facoltà dell’amministrazione di disporre caso per caso tale esonero. L’esercizio di tale facoltà, ove si riveli in concreto illegittimo, potrebbe essere sindacato in sede giurisdizionale.
L’esonero, inoltre, sarebbe circoscritto alle prove preselettive, che perseguirebbero il solo scopo di sfoltire la platea dei partecipanti. I candidati interni dovrebbero poi affrontare le prove concorsuali e sottoporsi a una verifica di merito, in condizioni di parità con gli altri concorrenti.
6.– In prossimità dell’udienza, la Regione Veneto ha depositato una memoria illustrativa per ribadire le conclusioni già rassegnate nell’atto di costituzione.
6.1.– L’art. 19 della legge reg. Veneto n. 44 del 2019 non solo non si porrebbe in contrasto con alcun principio fondamentale dettato dalla legislazione dello Stato, ma sarebbe coerente con le previsioni del decreto del Ministero dell’università e della ricerca del 15 settembre 2020, n. 1419, concernenti i contratti aggiuntivi finanziati dalle Regioni e dalle Province autonome, e con le disposizioni statali che mirano a incrementare i contratti di formazione specialistica (art. 5 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, recante «Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19», convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77).
La normativa impugnata sarebbe compatibile anche con il diritto dell’Unione europea, che considera legittimi gli obiettivi perseguiti con l’imposizione ai medici specialisti dell’obbligo di lavorare per un determinato periodo nella Regione che ha finanziato la formazione specialistica (Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 20 dicembre 2017, in causa C-419/16, Sabine Simma Federspiel contro Provincia autonoma di Bolzano e Equitalia Nord spa).
Né l’imposizione dell’obbligo di prestare l’attività professionale nella Regione determinerebbe alcuna coercizione della libertà negoziale del medico. Si tratterebbe di una obbligazione accessoria, volta a «perseguire finalità di interesse pubblico meritevoli di tutela nonché riconosciute e fatte proprie dagli stessi organi dello Stato».
6.2.– Quanto alla disciplina sul trattamento economico del personale dell’Azienda Ospedale-Università di Padova, la Regione ne ribadisce la finalità perequativa, rispettosa dei vincoli di spesa.
La disposizione impugnata autorizzerebbe la Giunta regionale a fornire «mere linee di indirizzo», senza sconfinare nello spazio riservato alla contrattazione collettiva.
6.3.– Con riguardo all’esonero dalle prove preselettive, la Regione ha ribadito l’estraneità della disciplina impugnata alla materia «ordinamento civile», in quanto relativa a una fase anteriore alla sottoscrizione del contratto.
Inoltre, la normativa statale invocata nel ricorso e, in particolare, l’art. 35 del d.lgs. n. 165 del 2001 non conterrebbero prescrizioni di sorta in merito alle modalità di svolgimento delle prove preselettive.
La disciplina regionale, che prevede una mera facoltà di esonero, limitata alle prove preselettive, sarebbe esente dalle censure di irragionevolezza formulate nel ricorso.
7.– All’udienza pubblica le parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni formulate nelle difese scritte.
1.– Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 8 del 2020), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 19, 21 e 28, comma 3, ultimo periodo, della legge della Regione Veneto 25 novembre 2019, n. 44 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2020), in riferimento agli artt. 2, 3, 41, 117, commi secondo, lettera l), e terzo, della Costituzione.
2.– È impugnato, in primo luogo, l’art. 19 della legge reg. Veneto n. 44 del 2019, che, inserendo i commi 1-bis, 1-ter e 1-quater nell’art. 3 della legge della Regione Veneto 14 maggio 2013, n. 9 (Contratti di formazione specialistica aggiuntivi regionali), ha imposto diversi obblighi ai medici in formazione specialistica.
Nei cinque anni successivi al conseguimento del diploma di specializzazione, i professionisti citati devono partecipare ai concorsi banditi dalle aziende e dagli enti del servizio sanitario regionale veneto, quando la specializzazione conseguita sia prevista come requisito per la partecipazione, e devono accettare e svolgere per un periodo complessivo di tre anni tutti gli incarichi, anche non continuativi, assegnati con contratti di lavoro di qualunque tipologia o in regime di convenzione (art. 3, comma 1-bis, lettere a e b, della legge reg. Veneto n. 9 del 2013, come modificata dall’impugnato art. 19 della legge reg. Veneto n. 44 del 2019).
L’inosservanza, parziale o totale, di tali obblighi è sanzionata con la restituzione alla Regione di una somma che ammonta rispettivamente al «15 per cento dell’importo complessivo percepito per ogni anno, o frazione superiore a sei mesi, di servizio non prestato rispetto ai tre anni minimi previsti» (art. 3, comma 1-bis, lettera d, della legge reg. Veneto n. 9 del 2013) e al «50 per cento dell’importo complessivo percepito» (art. 3, comma 1-bis, lettera e, della medesima legge regionale).
Il medico assegnatario del contratto aggiuntivo regionale che rinunci al corso di studi e così risolva in via anticipata il contratto è obbligato «a restituire alla Regione il 50 per cento dell’importo complessivo percepito» (art. 3, comma 1-bis, lettera f, della legge reg. Veneto n. 9 del 2013).
Nel quadro di obblighi e sanzioni, delineato dalle disposizioni impugnate, si collocano le previsioni che impegnano la Giunta regionale a effettuare annualmente verifiche a campione «in una percentuale minima di almeno il 10 per cento dei medici specializzati assegnatari di contratti aggiuntivi regionali» (art. 3, comma 1-ter, della legge reg. Veneto n. 9 del 2013) e destinano le entrate derivanti dall’applicazione della normativa al finanziamento di contratti aggiuntivi regionali (art. 3, comma 1-quater, della citata legge regionale).
Il ricorrente assume che «le clausole aggiuntive introdotte dalla legge regionale» vìolino l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto si discosterebbero «dai principi fondamentali dettati dal legislatore statale in un ambito rientrante nella materia delle “professioni” ovvero in quella della “tutela della salute”». Le clausole in esame, difatti, disciplinerebbero aspetti che «esulano dal contenuto tipico del contratto di formazione», finalizzato esclusivamente all’acquisizione delle capacità professionali inerenti al titolo di specialista, e condurrebbero a snaturarne «la ratio e l’oggetto».
Il ricorrente prospetta, altresì, la violazione degli artt. 2 e 41 Cost., sul presupposto che le clausole negoziali in esame impongano ai medici in formazione specialistica beneficiari del contratto aggiuntivo regionale «scelte di carattere strettamente personale (quali la partecipazione a procedure concorsuali)» e ledano, pertanto, «i principi costituzionali in materia di autodeterminazione negoziale».
Sarebbe violato anche il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), in quanto le disposizioni impugnate comporterebbero «una ingiustificata discriminazione nei confronti dei soggetti non beneficiari del contratto statale», i quali partecipano alla medesima selezione nazionale per l’accesso alle scuole di specializzazione medica.
2.1.– La Regione, in linea preliminare, imputa al ricorrente di non avere spiegato in quale modo gli obblighi negoziali sanciti dall’art. 19 della legge reg. Veneto n. 44 del 2019 vanifichino la finalità formativa o contraddicano i contenuti del contratto tipo, con conseguente violazione della normativa statale.
Il ricorrente non avrebbe neppure chiarito i termini della discriminazione ai danni dei beneficiari dei contratti aggiuntivi regionali.
Da tali carenze argomentative discenderebbe l’inammissibilità delle questioni promosse.
2.2.– Le eccezioni sono fondate.
Per costante giurisprudenza di questa Corte, l’esigenza di un’adeguata motivazione a fondamento dell’impugnazione si pone in termini ancora più rigorosi nei giudizi proposti in via principale rispetto a quelli instaurati in via incidentale (fra le molte, sentenza n. 2 del 2021, punto 3.3.1. del Considerato in diritto). Il ricorrente ha l’onere di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali di cui lamenta la violazione e di svolgere una argomentazione non meramente assertiva in merito alle ragioni del contrasto con i parametri evocati (sentenza n. 174 del 2020, punto 5.3. del Considerato in diritto).
Nel caso di specie, il ricorrente non ha ottemperato a tale onere, poiché ha omesso di enucleare in maniera univoca i princìpi fondamentali che assume siano stati violati e che toccano àmbiti materiali diversi, inerenti, per un verso, alle «professioni» e, per altro verso, alla «tutela della salute». Tale diversità avrebbe imposto una puntuale individuazione, per ciascuna delle materie richiamate, dei princìpi fondamentali che la legge impugnata avrebbe disatteso.
L’identificazione dei princìpi fondamentali chiamati a regolare la materia sarebbe stata ancor più necessaria alla luce dello spazio di intervento che compete al legislatore regionale nel modulare la disciplina della formazione specialistica. Come questa Corte ha ricordato, le Regioni possono attivare contratti aggiuntivi, al fine di colmare il divario tra fabbisogno effettivo e numero dei contratti statali, e delineare la disciplina dei contratti che intervengono a finanziare, «in attuazione della normativa statale e dell’Accordo fra Governo, Regioni e Province autonome» deliberato nella Conferenza Stato-Regioni del 15 marzo 2012 (sentenza n. 126 del 2014, punto 3.1. del Considerato in diritto).
Gli argomenti addotti nel ricorso si esauriscono nel rilievo, incentrato sulle affermazioni di questa Corte (sentenza n. 126 del 2014, punto 5 del Considerato in diritto), che le clausole apposte ai contratti aggiuntivi regionali debbano essere compatibili con lo schema tipo del contratto nazionale, elaborato con d.P.C.m. 6 luglio 2007 (Definizione schema tipo del contratto di formazione specialistica dei medici).
Tale richiamo, tuttavia, non vale a identificare i princìpi fondamentali che si reputano violati, né a far luce sulle ragioni del contrasto di una normativa riguardante il periodo successivo al conseguimento del diploma di specializzazione con la disciplina statale, incentrata sugli obblighi caratteristici del contratto di formazione specialistica, così come si esplicano nel periodo in cui tale formazione si attua.
A questo riguardo, non si spiega perché l’obbligo – dopo la conclusione del percorso formativo – di partecipare ai concorsi e di lavorare presso le aziende e gli enti del servizio sanitario della Regione che ha finanziato la formazione specialistica pregiudichi la tutela della salute e la formazione dei medici specializzandi, inerente alla materia delle «professioni».
Quanto al vulnus che la normativa impugnata recherebbe al principio di autodeterminazione negoziale, il ricorrente si limita a evocare i parametri costituzionali (artt. 2 e 41 Cost.), senza dar conto delle ragioni che inducono a ravvisare una lesione dell’autonomia contrattuale nell’accordo liberamente concluso dal medico in formazione specialistica, anche in vista di una possibile opportunità di lavoro. Il ricorrente mostra di qualificare tale autonomia come diritto inviolabile per poi collocarla nell’alveo dell’art. 41 Cost., senza enunciare alcun argomento che serva a qualificare l’attività dei medici specializzandi in termini di iniziativa economica privata e a illustrare le implicazioni del limite dell’utilità sociale, immanente al precetto costituzionale invocato.
Inammissibile è anche la censura di violazione del principio di eguaglianza.
Nel rilevare la disparità di trattamento ai danni dei beneficiari del contratto aggiuntivo regionale, il ricorrente trascura di ricostruire il quadro normativo in cui tale previsione si colloca e di ponderare, nel contesto di una valutazione complessiva, i tratti caratteristici di tali contratti finanziati dalla Regione, anche solo per escludere il rilievo delle loro peculiarità come plausibile elemento distintivo tra le fattispecie poste a raffronto.
Le questioni, nei termini in cui sono state prospettate, sono, pertanto, inammissibili per tutte le ragioni indicate, che convergono nel rendere lacunoso il percorso argomentativo seguìto.
3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri censura, inoltre, l’art. 21 della legge reg. Veneto n. 44 del 2019, che autorizza l’Azienda Ospedale-Università di Padova a rideterminare, previa deliberazione della Giunta regionale, i fondi del personale del comparto e delle aree dirigenziali fino a concorrenza del livello medio pro capite riferito all’anno 2018 dei fondi delle aziende e degli enti del servizio sanitario regionale.
Il ricorrente assume che tale previsione leda la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile» (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.), in quanto inciderebbe sul trattamento economico del personale contrattualizzato. Tale trattamento, soprattutto per quel che concerne la parte accessoria, rientrerebbe nella «competenza esclusiva del legislatore nazionale», che affida alla contrattazione collettiva il compito di determinarlo, «nel rispetto dei vincoli di bilancio e limiti derivanti dalla legge statale».
La disposizione impugnata contrasterebbe, inoltre, con l’art. 117, terzo comma, Cost. Nel parametrare «l’incremento del fondo della sola azienda ospedaliera università di Padova» al «livello medio pro capite riferito all’anno 2018 dei fondi delle aziende ed enti del servizio sanitario regionale», la disciplina in esame confliggerebbe con il principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, sancito dall’art. 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche». Al fine di contenere le spese per il salario accessorio, la disposizione citata vieta che l’ammontare complessivo delle risorse che annualmente sono destinate per tale voce superi il corrispondente importo dell’anno 2016.
Nel consentire il superamento del limite posto dal legislatore statale con riguardo al salario accessorio, la disposizione lederebbe, infine, il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), in quanto determinerebbe una «disparità di trattamento economico […] rispetto al restante personale pubblico su cui la legge statale è intervenuta».
3.1.– La Regione ha eccepito l’inammissibilità delle questioni riguardanti la lesione della competenza legislativa esclusiva dello Stato e la violazione dei princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica.
Per quel che concerne il primo profilo, il ricorrente non avrebbe illustrato «come la legge regionale incida sull’ordinamento civile», sostituendosi alla contrattazione collettiva e regolando «direttamente un aspetto della retribuzione».
Inammissibili, in quanto formulate in termini generici, sarebbero anche le censure di violazione dei princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica. Il superamento dei limiti posti in tema di trattamento accessorio dall’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017 rappresenterebbe «una mera eventualità», che neppure si potrebbe verificare alla luce della necessità di rispettare il «limite della spesa complessiva del personale del servizio sanitario regionale».
3.1.1.– Le eccezioni non sono fondate.
Il ricorrente non si è limitato a far discendere l’invasione della sfera di competenza esclusiva dello Stato dal mancato richiamo dei princìpi enunciati dall’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017, come è avvenuto nel giudizio in via principale menzionato dalla difesa della Regione e definito da questa Corte con una pronuncia di inammissibilità (sentenza n. 232 del 2019, punto 6 del Considerato in diritto).
Con un’argomentazione adeguata, idonea a superare il vaglio di ammissibilità, il Presidente del Consiglio dei ministri ha prospettato l’incidenza della disciplina impugnata sul trattamento economico del personale contrattualizzato e la conseguente lesione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
Se tale incidenza effettivamente sussista, è profilo che attiene al merito.
3.1.2.– Neppure per la violazione dei princìpi di coordinamento della finanza pubblica si riscontrano i profili di inammissibilità eccepiti dalla parte resistente.
Il vulnus all’art. 117, terzo comma, Cost. non è stato delineato in termini assertivi e generici, ma è stato avvalorato dal puntuale richiamo alle misure di contenimento della spesa pubblica racchiuse nella legislazione statale.
Se poi il diverso e autonomo criterio enunciato dalla previsione regionale implichi la violazione dei richiamati princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, è aspetto che, anche in questo caso, esula dall’ammissibilità e investe il merito delle questioni promosse.
3.2.– Nel merito, esse non sono fondate.
3.2.1.– Non è fondata la questione promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
La costante giurisprudenza di questa Corte ascrive la disciplina del trattamento giuridico ed economico dei dipendenti pubblici, e anche dei dipendenti delle Regioni, alla materia «ordinamento civile», di competenza esclusiva del legislatore statale (fra le molte, sentenza n. 146 del 2019, punto 5 del Considerato in diritto).
In séguito alla privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, la disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, anche regionali, è retta dalle disposizioni del codice civile e dalla contrattazione collettiva, «strumento di garanzia della parità di trattamento dei lavoratori» (sentenza n. 178 del 2015, punto 17 del Considerato in diritto), cui la stessa legge dello Stato rinvia (sentenza n. 196 del 2018, punto 3.1. del Considerato in diritto).
L’esigenza di garantire l’uniformità, nel territorio nazionale, delle regole che presiedono alla determinazione del trattamento economico dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni giustifica l’inerenza della relativa disciplina alla materia «ordinamento civile».
A tale materia non è, tuttavia, riconducibile la disciplina oggi sottoposta al sindacato di questa Corte.
L’art. 21 della legge reg. Veneto n. 44 del 2019 si limita ad autorizzare l’Azienda Ospedale-Università di Padova a rideterminare, previa deliberazione della Giunta regionale, i fondi del personale del comparto e delle aree dirigenziali.
La previsione impugnata non interviene, dunque, sullo strumento di regolamentazione del trattamento economico dei dipendenti, affidata alla contrattazione collettiva (sentenza n. 199 del 2020, punto 9.2. del Considerato in diritto), e non si sostituisce alla negoziazione fra le parti, che rappresenta l’imprescindibile fonte di disciplina del rapporto di lavoro. Solo una tale incidenza sul trattamento economico determinerebbe l’invasione della sfera di attribuzione del legislatore statale (sentenze n. 232 del 2019, punto 5 del Considerato in diritto, e n. 28 del 2013, punto 7 del Considerato in diritto).
Nel caso di specie, sarà pur sempre la contrattazione collettiva, nella sua evoluzione dinamica, a definire il trattamento retributivo dei dipendenti pubblici, anche nella componente accessoria, nel rispetto delle prescrizioni imperative della legge e dei vincoli di spesa.
3.2.2.– Possono essere esaminate congiuntamente, in quanto intimamente connesse, le censure di violazione dei princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del precetto costituzionale di eguaglianza. Nella prospettiva del ricorrente, l’inosservanza della disciplina restrittiva in tema di trattamento accessorio genera una discriminazione ai danni del «restante personale pubblico su cui la legge statale è intervenuta», penalizzato rispetto ai dipendenti dell’Azienda Ospedale-Università di Padova.
Neppure tali questioni sono fondate.
L’art. 23, comma 2, primo periodo, del d.lgs. n. 75 del 2017 prevede che, nelle more dell’armonizzazione dei trattamenti economici accessori del personale delle amministrazioni pubbliche, l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente a tale trattamento del personale, anche di livello dirigenziale, non possa superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2016.
Il ricorrente muove dalla condivisibile premessa che la previsione in esame sia qualificabile come principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica. Essa concerne, difatti, un rilevante aggregato della spesa corrente e, in particolare, una delle due componenti della retribuzione dei pubblici dipendenti (sentenza n. 191 del 2017, punto 8.3.1. del Considerato in diritto) ed è ispirata a obiettivi di razionalizzazione e di contenimento di una voce ragguardevole di spesa.
La disposizione impugnata non si discosta dal principio enunciato dalla legislazione statale e non risulta violato, pertanto, neppure il canone di eguaglianza, che richiede un’applicazione uniforme, presso tutte le amministrazioni, del principio di coordinamento della finanza pubblica.
La rideterminazione dei fondi del personale del comparto e delle aree dirigenziali è vincolata al «rispetto del limite della spesa complessiva del personale del servizio sanitario regionale». Tale richiamo, inequivocabile nel suo carattere onnicomprensivo, non può non estendersi anche all’osservanza dell’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017, che definisce, proprio con riguardo all’aspetto qualificante del trattamento accessorio, il limite della spesa complessiva del personale del servizio sanitario regionale.
La norma regionale, pertanto, si deve interpretare nel senso di imporre il rispetto delle prescrizioni richiamate dal ricorrente in tema di spesa del personale.
4.– Il ricorrente impugna, infine, l’art. 28, comma 3, ultimo periodo, della legge reg. Veneto n. 44 del 2019, nella parte in cui consente che i bandi di concorso pubblicati dalla Regione e dagli enti regionali, inclusi quelli del servizio sanitario regionale, prevedano «l’esonero dalle eventuali preselezioni dei candidati che al momento della scadenza del termine per la presentazione della domanda sono dipendenti dell’amministrazione che ha bandito il concorso da almeno cinque anni, anche in forza di contratti di lavoro flessibile».
Tale previsione non troverebbe alcun riscontro nella normativa statale volta a superare il precariato nelle pubbliche amministrazioni (art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017) e neppure nella disciplina riguardante i titolari di contratto di lavoro a tempo determinato o flessibile, che contempla unicamente forme di reclutamento con riserva di posti o per titoli ed esami (art. 35, comma 3-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante «Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche»).
Ad avviso del ricorrente, l’esonero dalle prove preselettive sarebbe lesivo della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile» (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.).
Sarebbero violati anche «i principi di ragionevolezza e parità di trattamento» (art. 3 Cost.), che imporrebbero di assoggettare anche i candidati interni alla prova attitudinale, poiché non si può presumere che siano in possesso dei requisiti attitudinali richiesti per la posizione per la quale il concorso è bandito.
4.1.– La Regione ha eccepito, in linea preliminare, l’inammissibilità delle questioni, in quanto il ricorrente non avrebbe offerto «neppure un principio di motivazione atto a giustificare l’asserita incostituzionalità» per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
Quanto al contrasto con l’art. 3 Cost., il ricorrente non avrebbe considerato che l’esonero dalle prove preselettive non avrebbe portata generale e sarebbe meramente facoltativo. Pertanto, la disposizione impugnata non arrecherebbe alcuna «lesione concreta».
4.1.1.– Le eccezioni di inammissibilità devono essere disattese.
Il ricorrente ha svolto un’argomentazione adeguata a fondamento dell’impugnazione. L’oggetto e le ragioni delle censure sono stati esposti in maniera intelligibile, così da consentire a questa Corte lo scrutinio del merito.
L’inconferenza del parametro evocato, eccepita con riguardo all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., e la mancata considerazione del carattere meramente facoltativo dell’esonero dalle prove preselettive non si riverberano sull’ammissibilità delle questioni, ma attengono alla disamina del merito e, in tale contesto, devono essere valutate.
4.2.– Le questioni non sono fondate.
4.2.1.– Non è fondata la questione promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la disciplina delle modalità di accesso al lavoro pubblico regionale è riconducibile alla competenza residuale delle Regioni nell’àmbito dell’ordinamento e dell’organizzazione amministrativa (fra le molte, sentenza n. 126 del 2020, punto 5.1. del Considerato in diritto). Spettano, per contro, alla competenza legislativa esclusiva dello Stato gli interventi sui rapporti di lavoro già sorti con le pubbliche amministrazioni, anche regionali (sentenza n. 32 del 2017, punto 4.3. del Considerato in diritto).
La disciplina in esame si correla a una fase antecedente all’instaurazione del rapporto di lavoro e non sconfina nell’àmbito dell’ordinamento civile, riservato alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Lo svolgimento delle prove preselettive investe i profili pubblicistico-organizzativi dell’impiego pubblico regionale, attribuiti alla competenza residuale delle Regioni, proprio perché indissolubilmente connessi con l’attuazione dei princìpi sanciti dagli artt. 51 e 97 Cost. (sentenze n. 241 del 2018, punto 4 del Considerato in diritto, e n. 380 del 2004, punto 3.1. del Considerato in diritto).
L’attinenza della disciplina dettata dall’art. 28 della legge reg. Veneto n. 44 del 2019 alla competenza residuale della Regione priva di ogni rilievo la verifica, che il ricorso sollecita, circa la corrispondenza tra la normativa regionale e quella statale.
4.2.2.– Non è fondata neppure la censura di violazione dei princìpi di ragionevolezza e di parità di trattamento (art. 3 Cost.).
Questa Corte ha scrutinato di recente l’art. 1, comma 93, lettera e), della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), che autorizza le Agenzie fiscali, nel disciplinare l’accesso alla qualifica dirigenziale mediante un concorso pubblico per titoli ed esami, a esonerare dalla prova preselettiva i dipendenti che abbiano svolto, per almeno due anni alla data di pubblicazione del bando, funzioni dirigenziali o siano stati titolari di posizioni organizzative di elevata responsabilità (POER) o di posizioni organizzative temporanee (POT) o siano stati assunti mediante pubblico concorso e abbiano almeno dieci anni di anzianità nella terza area, senza demerito (sentenza n. 164 del 2020).
Nel dichiarare non fondate le questioni sollevate dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, questa Corte ha affermato che «non può dirsi irragionevole l’esonero previsto dalla disposizione censurata per coloro che, attraverso il servizio già prestato nelle Agenzie fiscali, abbiano sufficientemente dimostrato “sul campo” effettive capacità». Invero, «il riconoscimento dell’esperienza all’interno dell’amministrazione che bandisce il concorso “sottende un profilo meritevole di apprezzamento da parte del legislatore” (sentenza n. 234 del 1994) e non collide con il principio di buon andamento, anche perché i beneficiari dell’esonero dovranno comunque, al pari degli altri concorrenti, cimentarsi con le prove concorsuali» (sentenza n. 164 del 2020, punto 19 del Considerato in diritto).
Tali considerazioni rilevano anche con riferimento alla disciplina sottoposta all’odierno vaglio di costituzionalità e conducono a respingere le censure del ricorrente.
La possibile deroga a beneficio dei candidati interni non solo ha una giustificazione plausibile nell’esigenza di valorizzare l’esperienza che essi hanno acquisito presso l’amministrazione per il periodo apprezzabile di un quinquennio, ma non li dispensa dall’obbligo di sostenere le prove concorsuali successive, volte specificamente a valutare il merito, in condizioni di parità con gli altri partecipanti.
L’esonero previsto dal legislatore regionale, pertanto, ha una portata limitata. Esso si riferisce alle sole prove preselettive, che non perseguono la finalità precipua, assegnata al concorso, di verificare il merito dei concorrenti, vige per un arco temporale definito (il triennio 2019-2021) e risulta demandato all’apprezzamento dell’amministrazione, che potrà disporlo al fine esclusivo «di ridurre i tempi di accesso al pubblico impiego», dopo aver vagliato le peculiarità dei concorsi di volta in volta banditi.
La disciplina impugnata, esaminata nella sua interezza e alla luce delle finalità che la ispirano, non presta dunque il fianco alle censure di irragionevolezza e di violazione della parità di trattamento.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 19 della legge della Regione Veneto 25 novembre 2019, n. 44 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2020), promosse, in riferimento agli artt. 2, 3, 41 e 117, terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 21 della legge reg. Veneto n. 44 del 2019, promosse, in riferimento agli artt. 3 e 117, commi secondo, lettera l), e terzo, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 3, ultimo periodo, della legge reg. Veneto n. 44 del 2019, promosse, in riferimento agli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 12 febbraio 2021.