Sentenza n. 32 del 2017

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SENTENZA N. 32

ANNO 2017

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo                          GROSSI                                 Presidente

-           Giorgio                       LATTANZI                           Giudice

-           Aldo                           CAROSI                                         ”

-           Marta                          CARTABIA                                  ”

-           Mario Rosario             MORELLI                                     ”

-           Giancarlo                    CORAGGIO                                 ”

-           Giuliano                      AMATO                                        ”

-           Silvana                        SCIARRA                                     ”

-           Daria                           de PRETIS                                     ”

-           Nicolò                         ZANON                                         ”

-           Franco             MODUGNO                                              ”

-           Augusto Antonio        BARBERA                                    ”

-           Giulio                         PROSPERETTI                             ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5, commi da 1 a 6, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, promosso dalla Regione Veneto con ricorso notificato il 12 ottobre 2015, depositato in cancelleria il 19 ottobre 2015 ed iscritto al n. 95 del registro ricorsi 2015.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 23 novembre 2016 il Giudice relatore Franco Modugno;

uditi l’avvocato Luca Antonini per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Paolo Grasso per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 12 ottobre 2015 e depositato nella cancelleria di questa Corte il successivo 19 ottobre (registro ricorsi n. 95 del 2015), la Regione Veneto ha promosso, in via principale, questioni di legittimità costituzionale, fra gli altri, dell’art. 5, commi da 1 a 6, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, per violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 della Carta costituzionale.

1.1.– La ricorrente osserva che il citato art. 5 determina una «profonda alterazione della posizione costituzionalmente garantita alle regioni», comprimendone l’autonomia legislativa anche in violazione dell’accordo sancito tra Stato e Regioni in sede di Conferenza unificata l’11 settembre 2014. Ciò perché l’articolo censurato include tra le funzioni da riallocare con legge regionale, ai sensi del comma 89 dell’art. 1 della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unione e fusioni di comuni), anche quelle inerenti la polizia provinciale, mentre detto accordo, al punto 11, espressamente escludeva la possibilità di adottare provvedimenti di riordino nell’ambito delle «funzioni provinciali nelle materie oggetto di future riforme, indicate nell’allegato» (in specie, in materia di forze di polizia).

La Regione rileva che, non essendo intervenuta alcuna riforma, le disposizioni impugnate si pongono in contrasto con l’impegno di cui al citato accordo dell’11 settembre 2014.

1.2.– La ricorrente afferma, inoltre, che le disposizioni censurate violano l’«autonomia costituzionalmente garantita alla regione» perché, pur rientrando la materia «polizia amministrativa locale» nella competenza residuale regionale, prevedono in via generale che il personale di polizia provinciale transiti nel ruolo degli enti locali per lo svolgimento delle funzioni di polizia municipale; perché in via prioritaria attribuiscono agli enti di area vasta e alle città metropolitane il compito di individuare il personale di polizia provinciale necessario per l’esercizio delle loro funzioni fondamentali; perché solo in via residuale prevedono che «le regioni riallochino le funzioni di polizia amministrativa locale e il relativo personale nell’ambito dei processi di riordino delle funzioni provinciali in attuazione di quanto previsto dall’articolo 1, comma 89, della legge 7 aprile 2014, n. 56»; perché, infine, stabiliscono che il personale, il quale non sia stato individuato o riallocato entro il 31 ottobre 2015, sia trasferito ai comuni, singoli o associati, per lo svolgimento delle funzioni di polizia municipale.

Secondo la Regione Veneto, in tal modo il legislatore statale avrebbe ridotto «ad un ruolo ancillare il cui spazio di manovra è praticamente inesistente» la funzione di allocazione costituzionalmente garantita alle Regioni – ai sensi degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost. – nelle materie non rientranti nelle funzioni fondamentali degli enti locali: ciò perché, da un lato, è indicato, al comma 1, l’ambito funzionale cui il personale è destinato, e, dall’altro, la facoltà regionale di allocazione è subordinata alle opzioni effettuate da province e città metropolitane.

L’impugnato art. 5, rileva ancora la Regione, non rispetta dunque il dettato costituzionale né formalmente – perché «degrada la potestà residuale regionale in materia di polizia amministrativa locale» – né sostanzialmente, perché la disciplina introdotta indebitamente svuota i margini di manovra regionale e li subordina alla discrezionalità degli enti locali.

Infine, la ricorrente segnala che in data 30 luglio 2015 è stata sancita la mancata intesa sul decreto ministeriale diretto a fissare le modalità e le procedure per il transito del personale di cui al censurato art. 5, comma 4, del d.l. n. 78 del 2015.

2.– Si è costituito in giudizio, con atto depositato nella cancelleria di questa Corte il 17 novembre 2015, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato infondato.

2.1.– Il resistente osserva, innanzitutto, che l’art. 8, comma 1, lettera a) della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche) detta quale principio e criterio direttivo il «riordino dei corpi di polizia provinciale, in linea con la definizione dell’assetto delle funzioni di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56, escludendo in ogni caso la confluenza nelle Forze di polizia», di modo che l’articolo impugnato rispetta «perfettamente» quanto stabilito nell’accordo in sede di Conferenza unificata dell’11 settembre 2014, rappresentando «una piena concretizzazione per quanto riguarda la delega al Governo». Si precisa, poi, che il contenuto dell’impugnato art. 5 «è perfettamente coerente e strettamente aderente alla l. n. 56 del 2014», così come è conforme alla normativa relativa al personale contenuta nella legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge di stabilità 2015).

2.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri esclude, inoltre, che la normativa oggetto d’impugnativa possa considerarsi lesiva delle competenze regionali perché, ai commi 1 e 2, prevede che siano gli enti di area vasta e le città metropolitane a dover prioritariamente determinare il numero di addetti alla polizia amministrativa locale necessario per l’esercizio delle loro funzioni fondamentali. Trattandosi, appunto, di funzioni fondamentali, le risorse di personale devono prioritariamente essere assegnate dallo Stato a questi enti, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., «nella misura in cui esse sono necessarie all’esercizio di tali funzioni».

Infine, l’Avvocatura generale dello Stato ritiene che neppure il comma 4 del censurato art. 5 – laddove prevede che il personale della polizia amministrativa locale, in esubero all’esito della riallocazione delle funzioni non fondamentali operata dalle Regioni, sia assegnato ai comuni – sia lesivo del ruolo delle Regioni stesse, perché è «norma che si limita a dare attuazione, con riferimento a detto personale, a quanto previsto dalla l. n. 190 del 2014».

3.– In prossimità dell’udienza pubblica, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria con la quale ha proposto ulteriori argomenti a sostegno dell’infondatezza del ricorso.

3.1.– L’Avvocatura dello Stato rileva, in primo luogo, che le disposizioni impugnate intendono ricollocare il personale della polizia provinciale, in un quadro in cui, pur riordinate dai legislatori regionali le funzioni di polizia amministrativa locale, sono confermati in capo alle Province, nell’ambito del riassetto delle loro funzioni ai sensi della legge n. 56 del 2014, i servizi di polizia provinciale connessi allo svolgimento delle funzioni fondamentali in materia di ambiente e circolazione stradale. Il transito nei ruoli degli enti locali di detto personale per lo svolgimento delle funzioni di polizia municipale è previsione che, pertanto, dovrebbe ricondursi alla materia «funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane» di cui all’art. 117, comma 2, lettera p), Cost.

Il resistente osserva, poi, che la normativa censurata deve essere collocata «nell’ambito del più generale sistema di interventi del legislatore statale finalizzati al coordinamento della finanza pubblica», attraverso i quali lo Stato con una disciplina di principio può imporre, secondo quanto stabilito dalla giurisprudenza costituzionale, vincoli alle Regioni e agli enti locali, anche se inevitabilmente si traducono in limitazioni indirette all’autonomia di spesa.

Sotto altro profilo, il Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea come, in ragione della natura del rapporto di lavoro pubblico del personale interessato, la disciplina impugnata possa anche ascriversi alla potestà legislativa esclusiva statale in materia di «ordinamento civile», ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

Viene altresì messo in evidenza come il censurato art. 5 ponga in essere, per il personale della polizia provinciale, una disciplina speciale in tema di mobilità rispetto a quella generale prevista dall’art. 1, commi 423 e seguenti, della legge n. 190 del 2014: infatti, da un lato, amplia le capacità di assunzione di personale dell’ente, in deroga ai vigenti divieti; dall’altro, «comprime ogni possibilità di reperire aliunde nuovo personale, con una previsione di ampiezza tale da comprendere qualunque fattispecie negoziale di acquisizione di prestazioni lavorative». A tale riguardo, la difesa statale richiama plurime decisioni della Corte dei conti le quali, dopo aver rilevato che il divieto di assunzione «con qualsivoglia tipologia contrattuale» è espressione più volte adoperata dal legislatore, si sono pronunciate sull’estensione di tale divieto, ricomprendendovi ogni fattispecie che sia sostanzialmente configurabile come rapporto di lavoro a vantaggio dell’ente soggetto alle limitazioni.

4.– Ha depositato una memoria illustrativa anche la Regione Veneto la quale, ritenendo che le ragioni dell’incostituzionalità delle disposizioni impugnate siano già state «ampiamente illustrate» nel ricorso, ha replicato alle osservazioni svolte negli atti difensivi dall’Avvocatura dello Stato.

4.1.– Innanzitutto, la Regione ricorrente afferma che la circostanza per cui l’impugnato art. 5 – secondo la prospettazione del Presidente del Consiglio dei ministri – sia coerente con la riforma delle forze di polizia, avviata con la legge n. 124 del 2015, a nulla rileva con riferimento alla censura relativa al mancato rispetto dell’accordo dell’11 settembre 2014. La violazione di detto accordo si sarebbe verificata «per il fatto stesso che l’adozione del d.l. n. 78 del 2015 è avvenuta prima dell’approvazione definitiva della legge n. 124 del 2015», dal momento che lo Stato si era impegnato a non adottare provvedimenti di riordino se non dopo la conclusione della riforma de qua e, dunque, soltanto successivamente all’attuazione della delega, poi avvenuta con il decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177 (Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche).

A tal proposito, osserva la Regione Veneto che, se è vero che questa Corte ha più volte affermato che, ai fini dello scrutinio di legittimità degli atti legislativi, le procedure in sede di Conferenza unificata rilevano soltanto se la loro osservanza è imposta dalla Costituzione (si richiama la sentenza n. 437 del 2001), ciò è quanto accade nel caso di specie, incidendo le censurate disposizioni su ambiti competenziali delle Regioni, presupposto la cui sussistenza sarebbe necessaria, secondo la richiamata giurisprudenza costituzionale, perché sia riscontrabile la violazione del principio di leale collaborazione.

La ricorrente ritiene, poi, del tutto generica l’affermazione dell’Avvocatura dello Stato secondo cui la disciplina legislativa impugnata sarebbe coerente sia con le disposizioni riguardanti il riordino della polizia provinciale di cui alle leggi n. 124 del 2015 e n. 56 del 2014, sia con quelle relative al personale delle province di cui alla legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015). Ciò, in particolare, perché l’art. 1, comma 89, della legge n. 56 del 2014 prevede che Stato e Regioni riallochino le funzioni provinciali non fondamentali «secondo le rispettive competenze».

4.2.– La Regione Veneto contesta, altresì, le argomentazioni dell’Avvocatura dello Stato secondo cui la disposizione censurata si giustificherebbe sulla base delle competenze esclusive statali in materia di «funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane», «coordinamento della finanza pubblica», «ordinamento civile».

Sarebbe del tutto improprio il richiamo alla sentenza n. 220 del 2013 di questa Corte per ricondurre l’impugnato art. 5 alla materia «funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane». Al contrario, la successiva sentenza n. 22 del 2014 ha stabilito che, una volta individuate le funzioni fondamentali con legge statale, la loro organizzazione spetta alla Regione, quando invece la normativa impugnata avrebbe disciplinato nel merito la materia «polizia amministrativa locale», di spettanza regionale. Questa conclusione – a dire della ricorrente – non sarebbe peraltro contraddetta dalle recenti sentenze n. 202 e n. 159 del 2016 di questa Corte: queste hanno sì riconosciuto la legittimità dell’intervento statale relativo al personale di province e città metropolitane, ma perché condotto nel più ampio quadro del progetto di riordino, mentre la censurata disposizione, prevedendo che il personale di polizia provinciale transiti nei ruoli degli enti locali per lo svolgimento delle funzioni di polizia municipale, disciplina un ambito riservato alla competenza regionale.

La Regione ricorrente esclude, poi, che la normativa impugnata possa ricondursi al «coordinamento della finanza pubblica», attenendo essa piuttosto «alla disciplina e alla articolazione delle funzioni degli enti locali»; ad ogni modo, lo Stato nell’esercizio della funzione di coordinamento della finanza pubblica potrebbe soltanto stabilire un limite complessivo, lasciando agli enti locali «ampia libertà di allocazione delle risorse tra i diversi ambiti e obiettivi di spesa» (sentenza n. 297 del 2009).

La Regione Veneto, inoltre, parimente esclude che la disposizione censurata possa ricondursi allo «ordinamento civile», dal momento che la giurisprudenza costituzionale ha affermato che vi rientrano soltanto gli aspetti privatizzati del pubblico impiego, non anche quelli pubblicistico-organizzativi disciplinati invece dall’impugnato art. 5.

4.3.– Infine, la ricorrente ribadisce che, essendo di competenza regionale la disciplina delle funzioni in materia di «polizia amministrativa locale», la circostanza per cui gli enti di area vasta e le città metropolitane determinino prioritariamente le risorse di personale per l’esercizio delle loro funzioni fondamentali affida alle Regioni, contrariamente a quanto obiettato dall’Avvocatura dello Stato, un ruolo residuale, violandone le competenze costituzionalmente garantite.

Del tutto inconferenti sarebbero, poi, le delibere di varie sezioni della Corte dei conti richiamate dal Presidente del Consiglio dei ministri, riguardando esse i divieti di assunzione del personale connessi al rispetto del patto di stabilità interno.

Considerato in diritto

1.– La Regione Veneto ha promosso, in via principale, questioni di legittimità costituzionale di diverse disposizioni del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125.

L’esame di questa Corte è qui limitato alle questioni relative all’art. 5, commi da 1 a 6, del richiamato decreto-legge, censurato per violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 della Carta costituzionale.

Resta riservata a separate pronunce la decisione sulle altre questioni promosse dalla ricorrente.

2.– La Regione Veneto lamenta, innanzitutto, la violazione del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., poiché la normativa censurata sarebbe stata adottata in contrasto con quanto previsto nell’accordo tra Stato e Regioni sancito in sede di Conferenza unificata l’11 settembre 2014. Tale accordo stabiliva, al punto 11, la sospensione dell’adozione di provvedimenti di riordino in materia di forze di polizia fino al momento dell’entrata in vigore delle riforme allora in discussione in sede parlamentare; l’impugnato art. 5, invece, pur non essendo intervenuta alcuna riforma, include tra le funzioni da riallocare con legge regionale anche la polizia provinciale.

La Regione Veneto ritiene, poi, che le disposizioni censurate, variamente regolando il transito del personale di polizia provinciale nel ruolo degli enti locali, violino la competenza residuale regionale, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., in materia di «polizia amministrativa locale». In tal modo, esse lederebbero, altresì, gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., comprimendo indebitamente «la funzione di allocazione costituzionalmente garantita alle regioni»: ciò perché, da un lato, è indicato, al comma 1, l’ambito funzionale cui il personale è destinato, e, dall’altro, la facoltà regionale di allocazione è subordinata alle opzioni effettuate da province e città metropolitane.

3.– Le censure formulate dalla ricorrente con riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost. sono inammissibili.

3.1.– La Regione Veneto, dopo aver rilevato che le disposizioni di cui all’impugnato art. 5, commi da 1 a 6, debbono ricondursi alla materia «polizia amministrativa locale», si limita ad affermare, in modo apodittico, che esse riducono la funzione di allocazione costituzionalmente garantita alle Regioni «ad un ruolo ancillare il cui spazio di manovra è praticamente inesistente». In tal modo, tuttavia, non sono adeguatamente chiarite le ragioni del contrasto con i due diversi parametri costituzionali, peraltro congiuntamente evocati, non essendo sufficiente a tal fine la sintetica, e parziale, illustrazione della disciplina statale cui la ricorrente procede.

In relazione agli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., le motivazioni addotte dalla ricorrente non raggiungono, pertanto, quella «soglia minima di chiarezza e di completezza» (sentenza n. 64 del 2016) cui è subordinata l’ammissibilità delle impugnative in via principale. Questa Corte ha ripetutamente affermato, infatti, che «l’esigenza di un’adeguata motivazione a fondamento della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale si pone in termini perfino più pregnanti nei giudizi proposti in via principale rispetto a quelli instaurati in via incidentale» (tra le ultime, sentenza n. 141 del 2016). È onere del ricorrente, pertanto, non solo individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali dei quali si lamenta la violazione, ma altresì proporre una motivazione che non sia «meramente assertiva» (sentenza n. 251 del 2015) e che contenga una «specifica e congrua indicazione» (sentenza n. 37 del 2016) delle ragioni per le quali vi sarebbe il contrasto con i parametri evocati.

4.– Nel merito, la questione promossa in riferimento all’art. 117, quarto comma, Cost. non è fondata.

Lo scrutinio della stessa implica, alla luce del costante orientamento di questa Corte, l’individuazione dell’ambito materiale al quale vanno ascritte le disposizioni impugnate, tenendo conto della loro ratio, oltre che della finalità del contenuto e dell’oggetto della disciplina (ex multis, sentenze n. 175 e n. 158 del 2016; n. 245 del 2015).

4.1.– Le censurate disposizioni si inseriscono nel processo di riordino delle Province e delle Città metropolitane, avviato con la legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni), con la quale, nell’esercizio delle proprie competenze di cui agli artt. 114 e 117, secondo comma, lettera p), Cost., «il legislatore ha inteso realizzare una significativa riforma di sistema della geografia istituzionale della Repubblica» (sentenza n. 50 del 2015).

Parallelamente alla nuova disciplina concernente il riordino di detti enti, il legislatore statale ha previsto misure dirette all’individuazione del personale da riallocare (art. 1, commi 47, 48, 92 e 96, della legge n. 56 del 2014), disciplinandone altresì le modalità di trasferimento e ridefinendo le dotazioni organiche (art. 1, commi da 420 a 428, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015»).

In proposito, questa Corte ha già affermato che «non c’è dubbio che la disciplina del personale costituisca uno dei passaggi fondamentali della riforma» (sentenza n. 159 del 2016), da farsi rientrare, in termini generali, nella competenza esclusiva dello Stato in materia di «funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane» (art. 117, secondo comma, lettera p, Cost.). È del tutto evidente, infatti, che «la ridefinizione delle funzioni amministrative spettanti a Regioni ed enti locali non può prescindere, per divenire effettiva, dalla individuazione delle corrispondenti risorse di beni, di mezzi finanziari e di personale» (sentenza n. 202 del 2016).

4.2.– I commi da 1 a 6 dell’impugnato art. 5 regolano tutti, in vario modo, il trasferimento di una particolare categoria di dipendenti pubblici delle Province, quale il personale appartenente ai Corpi ed ai servizi di polizia provinciale di cui all’art. 12 della legge 7 marzo 1986, n. 65 (Legge-quadro sull’ordinamento della polizia municipale).

In particolare, la disciplina dettata dai primi quattro commi stabilisce il transito del personale nei ruoli degli enti locali, rimettendo peraltro agli enti di area vasta, alle città metropolitane e alle stesse Regioni l’individuazione di quel personale che, di volta in volta, è necessario allo svolgimento delle proprie funzioni.

I commi 5 e 6 prevedono, per un verso, che il transito del personale avvenga «nei limiti della relativa dotazione organica e della programmazione triennale», in deroga ai vigenti divieti in tema di assunzioni; per un altro, impediscono agli enti locali, fintanto che non sia completamente assorbito il personale di polizia provinciale, di reclutarne altro per lo svolgimento di funzioni di polizia locale.

Le censurate disposizioni non sono dirette, pertanto, ad allocare le funzioni nell’ambito di una materia, quale la «polizia amministrativa locale», che è di competenza residuale regionale ai sensi di quanto espressamente previsto, per esclusione, dall’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. Allocazione in ordine alla quale, d’altra parte, la competenza regionale è espressamente fatta salva ai commi 1 e 3.

4.3.– La normativa impugnata deve essere ricondotta, per converso, non solo alla materia di competenza esclusiva statale «funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane» – trattandosi, come detto, di intervento che si colloca nel processo di riordino degli enti territoriali avviato con la legge n. 56 del 2014 – ma anche a ulteriori titoli di competenza statale.

Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 4 del censurato art. 5 mirano, infatti, a garantire i rapporti di lavoro in essere del personale di polizia provinciale, anche tenendo nella dovuta considerazione le «competenze professionali che i lavoratori hanno acquisito nel corso degli anni» (sentenza n. 202 del 2016), utili anche presso il nuovo livello di governo cui saranno allocate le relative funzioni. Si tratta, pertanto, di un intervento legislativo nell’ambito della competenza statale tesa a promuovere, «nel settore del pubblico impiego, condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro di cui all’art. 4 Cost.» (sentenze n. 202 del 2016 e n. 388 del 2004), sul quale si fonda la Repubblica italiana (art. 1 Cost.).

Le medesime disposizioni sono altresì riconducibili alla materia «ordinamento civile» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. La giurisprudenza di questa Corte, infatti, ha ascritto alla competenza residuale regionale in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa regionale i profili “pubblicistico-organizzativi” dell’impiego pubblico regionale (ex multis, sentenze n. 251 del 2016 e n. 149 del 2012), riconducendo invece alla richiamata competenza esclusiva statale gli interventi legislativi che, al pari di quelli censurati nel presente giudizio, dettano misure relative a rapporti lavorativi già in essere (ex multis, sentenze n. 251 e 186 del 2016 e n. 180 del 2015), quali sono quelle regolanti il trasferimento di personale (sentenze n. 50 del 2015 e n. 17 del 2014).

Le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 prevedono deroghe alle limitazioni vigenti in materia di spese per il personale, contestualmente stabilendo un divieto di ulteriori assunzioni fino al completo assorbimento del personale di polizia provinciale. Tali disposizioni, in tutta evidenza, sono congiuntamente dirette a un complessivo contenimento della spesa per il personale e, di conseguenza, devono essere ascritte alla materia «coordinamento della finanza pubblica» di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. Trattandosi di misure transitorie che incidono su un rilevante aggregato della spesa pubblica quale è quello per il personale, esse, come più volte ha ritenuto questa Corte, non hanno carattere di dettaglio e intervengono a titolo di principio fondamentale della materia (ex multis, sentenze n. 202 del 2016 e n. 218 del 2015), tanto più nel contesto del processo di riordino degli enti territoriali avviato con la legge n. 56 del 2014 (sentenza n. 143 del 2016).

5.– Non è fondata neppure la questione promossa in riferimento al principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost.

Questa Corte ancora di recente ha ribadito il principio, proprio in riferimento all’accordo raggiunto nella Conferenza unificata dell’11 settembre 2014, secondo cui «un accordo non può condizionare l’esercizio della funzione legislativa» (sentenza n. 205 del 2016). Ad ogni modo, poiché le disposizioni impugnate devono tutte essere ascritte, come si è detto, a plurimi titoli di competenza statale, nessuna violazione della leale collaborazione può essere imputata allo Stato, non essendovi alcuna competenza regionale incisa (da ultimo, sentenza n. 251 del 2016).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione sulle altre questioni promosse con il medesimo ricorso;

1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità dell’art. 5, commi da 1 a 6, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, promosse, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118 della Costituzione, dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità dell’art. 5, commi da 1 a 6, del medesimo decreto-legge n. 78 del 2015, promosse, in riferimento all’art. 117, quarto comma, Cost. e al principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 della Costituzione, dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 novembre 2016.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Franco MODUGNO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 9 febbraio 2017.