Sentenza n. 126 del 2020

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SENTENZA N. 126

ANNO 2020

 

Commento alla decisione di

 

Gianluca Fasano

La legislazione regionale sull’accesso all’impiego pubblico tra ambizioni di

autonomia e convergenza su obiettivi condivisi dal legislatore statale

per g.c. dell’Osservatorio costituzionale

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente: Marta CARTABIA;

 

Giudici: Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 3, e 2 della legge della Regione Toscana 28 giugno 2019, n. 38 (Disposizioni urgenti per il rafforzamento dei servizi e delle misure di politica attiva del lavoro per la sostituzione di personale collocato in quiescenza, del direttore generale e dei direttori. Modifiche alla l. r. 1/2009), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 22-27 agosto 2019, depositato in cancelleria il 26 agosto 2019, iscritto al n. 93 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2019.

 

Visto l’atto di costituzione della Regione Toscana;

 

udito il Giudice relatore Silvana Sciarra ai sensi del decreto della Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettere a) e c), in collegamento da remoto, senza discussione orale, in data 20 maggio 2020;

 

deliberato nella camera di consiglio 20 maggio 2020.

 

Ritenuto in fatto

 

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso notificato il 22-27 agosto 2019 e depositato il 26 agosto 2019 (reg. ric. n. 93 del 2019), ha promosso, per violazione degli artt. 3, 51, primo comma, 97, 117, commi secondo, lettere l) e m), e terzo, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 3, e 2 della legge della Regione Toscana 28 giugno 2019, n. 38 (Disposizioni urgenti per il rafforzamento dei servizi e delle misure di politica attiva del lavoro per la sostituzione di personale collocato in quiescenza, del direttore generale e dei direttori. Modifiche alla l. r. 1/2009), pubblicata in pari data sul Bollettino Ufficiale della Regione, n. 31, parte prima.

 

L’art. 1, comma 3, della legge reg. Toscana n. 38 del 2019 autorizza l’Agenzia regionale toscana per l’impiego (ARTI) a reclutare il personale da destinare ai centri per l’impiego mediante lo scorrimento delle graduatorie approvate a far data dal 1° gennaio 2019, in deroga a quanto previsto dall’art. 1, comma 361, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021) sia per le assunzioni a tempo determinato sia per le assunzioni a tempo indeterminato.

 

La richiamata legge n. 145 del 2018, che riguarda le graduatorie delle procedure concorsuali bandite successivamente alla sua data di entrata in vigore e opera a decorrere dal 1° gennaio 2020 per le «procedure concorsuali per l’assunzione di personale medico, tecnico-professionale e infermieristico, bandite dalle aziende e dagli enti del Servizio sanitario nazionale» (art. 1, comma 365), limita ai soli vincitori l’efficacia delle graduatorie selettive e consente di impiegare la graduatoria, entro i limiti triennali della sua vigenza, solo al fine di coprire i posti che si rendono disponibili «in conseguenza della mancata costituzione e dell’avvenuta estinzione del rapporto di lavoro con i candidati dichiarati vincitori».

 

L’art. 1, comma 3, della legge reg. Toscana n. 38 del 2019 è impugnato in quanto prevede lo «scorrimento delle graduatorie approvate “a far data” dal 1° gennaio 2019» e deroga «alle nuove regole stabilite a livello statale anche in epoca successiva al 10 [recte 1°] luglio 2019», in contrasto con quanto stabilito dall’art. 12, comma 8-ter, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26, che prevede l’applicazione dell’art. 1, comma 361, della legge n. 145 del 2018 «alle procedure concorsuali per le assunzioni di personale da destinare ai centri per l’impiego bandite a decorrere dal 1° luglio 2019».

 

L’art. 2 della legge reg. Toscana n. 38 del 2019 consente alla Regione, agli enti dipendenti, alle aziende e agli enti del Servizio sanitario nazionale di reclutare il personale mediante lo scorrimento delle graduatorie approvate a far data dal 1° gennaio 2019, in deroga alle citate previsioni dell’art. 1, comma 361, della legge n. 145 del 2018.

 

La disposizione impugnata non sarebbe compatibile né con quanto disposto dall’art. 1, comma 361, della legge n. 145 del 2018, «per quanto concerne il personale delle Regioni, degli enti dipendenti, delle aziende e per il personale tecnico-amministrativo del servizio sanitario», né con il successivo comma 365, «per quanto riguarda il personale medico, tecnico-professionale e Infermieristico delle aziende e degli enti del servizio sanitario».

 

1.1.– Entrambe le disposizioni impugnate violerebbero, anzitutto, «la competenza legislativa esclusiva dello Stato» nella materia dell’ordinamento civile (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.), che comprende «la disciplina dei rapporti di diritto privato regolati dal codice civile e dai contratti collettivi e, quindi, anche la disciplina generale degli atti funzionali alla loro instaurazione, come le graduatorie concorsuali».

 

1.2.– Sarebbe violata anche la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.), competenza «di carattere trasversale», che riguarda anche le regole in tema di reclutamento del personale e la limitazione dell’efficacia delle graduatorie ai soli vincitori. Le regole dettate a tale riguardo sarebbero «espressione di un principio generale di organizzazione enucleato dal legislatore statale nell’esercizio della sua funzione di garanzia dell’unitarietà e uniformità dell’ordinamento», suscettibile di imporsi anche alle Regioni, titolari di competenza legislativa residuale nella materia dell’organizzazione amministrativa (art. 117, quarto comma, Cost.) e perciò legittimate, in tale àmbito, a disciplinare soltanto le «dettagliate e specifiche modalità di accesso al lavoro pubblico regionale».

 

1.3.– Le disposizioni impugnate contrasterebbero, inoltre, con i princìpi di eguaglianza, di imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione «di cui agli articoli 3, 51, primo comma, e 97, della Costituzione». Esse si discosterebbero dalla normativa statale che limita l’efficacia della graduatoria ai soli vincitori e così mira a garantire «per tutti i candidati ai pubblici uffici un trattamento eguale, rispettoso dei principi di imparzialità e buon andamento di cui agli articoli 3, 51 e 97 della Costituzione, nell’ottica della valorizzazione delle professionalità al servizio della Nazione unitariamente intesa», prevedendo, sempre in una prospettiva di «efficienza e buon andamento dell’amministrazione», che la graduatoria possa servire a coprire anche i posti «che si rendono disponibili, in conseguenza della mancata costituzione e dell’avvenuta estinzione del rapporto di lavoro con i candidati dichiarati vincitori».

 

1.4.– Sarebbe violato anche l’art. 117, terzo comma, Cost. La fissazione di «modalità uniformi di utilizzo delle graduatorie concorsuali per l’accesso al pubblico impiego» si atteggerebbe come «un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica», giacché non si potrebbero «ammettere usi di risorse pubbliche diverse da quelle dettate a livello uniforme sul piano nazionale per consentire l’assunzione (con correlativa spesa) alle dipendenze della pubblica amministrazione».

 

2.– Con atto depositato il 25 settembre 2019, si è costituita in giudizio la Regione Toscana, chiedendo di respingere, perché inammissibili e comunque infondate, le questioni di legittimità costituzionale promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri.

 

L’art. 1, comma 361, della legge n. 145 del 2018, come modificato dall’art. 12, comma 8-ter del d.l. n. 4 del 2019, come convertito, nel limitare l’uso delle graduatorie alla sola copertura dei posti messi a concorso, si applicherebbe – per quel che attiene ai centri per l’impiego – alle graduatorie dei concorsi banditi a decorrere dal 1° luglio 2019. Pertanto, fino al termine del 30 giugno 2019, la deroga consentita dall’art. 1, comma 3, della legge reg. Toscana n. 38 del 2019 sarebbe compatibile con la previsione statale. Nel caso di specie, peraltro, i concorsi per l’assunzione a tempo indeterminato di personale destinato ai centri per l’impiego sarebbero stati banditi prima del 30 giugno 2019.

 

La Regione Toscana evidenzia che il legislatore nazionale, «con lo sblocco del c.d. “turn over”» (art. 14-bis del d.l. n. 4 del 2019), pur consentendo alle Regioni di «avviare una nuova stagione di assunzioni di personale», necessarie per fronteggiare i pensionamenti anticipati conseguenti all’introduzione della pensione “quota 100”, ha tuttavia vanificato tale facoltà, impedendo lo scorrimento delle graduatorie concorsuali. L’organizzazione dei concorsi rappresenterebbe per ciascuna amministrazione un onere notevole, ora aggravato anche dall’incremento del compenso per i componenti delle commissioni di concorso, e lo sforzo «sia di carattere organizzativo che finanziario» potrebbe essere compensato soltanto «dalla possibilità di attingere alle graduatorie formatesi per assicurare il turn-over con le cessazioni di personale nel frattempo intervenute».

 

Lo stesso legislatore nazionale, in altre occasioni, avrebbe fatto ricorso allo scorrimento delle graduatorie (art. 3, comma 4, della legge 19 giugno 2019, n. 56, recante «Interventi per la concretezza delle azioni delle pubbliche amministrazioni e la prevenzione dell’assenteismo»).

 

La parte resistente replica di avere adottato una deroga, «nell’esercizio della propria autonomia organizzativa» e nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica. Non sarebbero pertinenti, dunque, le censure di violazione degli artt. 3, 51, primo comma, e 97 Cost.: l’amministrazione avrebbe indetto un pubblico concorso che garantisce l’eguaglianza di tutti i partecipanti e prevede una validità triennale delle graduatorie, secondo quanto tuttora è disposto dall’art. 35, comma 5-ter, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche). La previsione regionale non soltanto salvaguarderebbe la competenza del personale da reclutare, ma implicherebbe anche «risparmio di tempo e di denaro».

 

La stessa giurisprudenza amministrativa, in un’ottica di riduzione della spesa pubblica, confermata anche dal giudice contabile, attribuirebbe priorità allo scorrimento delle graduatorie «rispetto all’indizione di un nuovo concorso», a condizione che non si tratti «di posti di nuova istituzione o trasformazione» e che alla graduatoria si attinga per profili e categorie professionali in tutto e per tutto corrispondenti.

 

Non sarebbe fondata la censura di violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile», che includerebbe soltanto la fase successiva alla costituzione del rapporto lavorativo. La disciplina delle procedure concorsuali e delle graduatorie, in quanto relativa a una fase antecedente alla costituzione di tale rapporto, sarebbe riconducibile alla competenza regionale residuale nella materia dell’organizzazione amministrativa e dell’ordinamento del personale (si citano le sentenze n. 251 del 2016 e n. 380 del 2004). Secondo la Regione resistente, tale competenza si dovrebbe esercitare nel «rispetto dei limiti costituzionali e dei principi fondamentali di organizzazione e funzionamento previsti dai relativi Statuti (art. 123 Cost.), con esclusione di qualsiasi tipo di regolamentazione statale».

 

La scelta del legislatore statale di costituire graduatorie «di soli vincitori» comprimerebbe la competenza della Regione, impedendole di predisporre le procedure concorsuali, «in un’ottica di programmazione del fabbisogno del personale e capacità assunzionale dell’Ente», e di impiegare graduatorie ancora valide per ovviare a esigenze imprevedibili.

 

Né si potrebbe ravvisare la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., poiché non sarebbe possibile individuare, nel caso di specie, specifiche prestazioni delle quali la normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione (si menziona la sentenza n. 232 del 2011).

 

Quanto alla dedotta violazione dei princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, le censure del ricorrente sarebbero inammissibili, per carenza di motivazione in ordine ai «principi finanziari non rispettati», e comunque, nel merito, infondate. La scelta regionale di usare le graduatorie, nel termine triennale della loro validità, per gli stessi profili professionali perseguirebbe l’obiettivo di contenere le spese dell’organizzazione dei concorsi.

 

3.– In base al decreto della Presidente della Corte costituzionale del 20 aprile 2020 (punto 1, lettera c), il giudizio, originariamente destinato alla trattazione in udienza pubblica, è stato trattato in camera di consiglio, sulla base degli atti depositati dalle parti, come richiesto dalle medesime.

 

3.1.– In vista della camera di consiglio, la Regione Toscana ha depositato una memoria illustrativa, chiedendo, con le seguenti specificazioni, l’accoglimento delle conclusioni già rassegnate.

 

L’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso sarebbero confermate dall’evoluzione della normativa statale.

 

L’art. 1, commi 361 e 365, della legge n. 145 del 2018, invocato come normativa interposta, sarebbe stato abrogato dall’art. 1, comma 148, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022). L’art. 1, comma 147, lettera c), della legge n. 160 del 2019 oggi consentirebbe l’uso delle graduatorie approvate nel 2019, come quelle disciplinate dalla legge regionale impugnata, entro tre anni dalla loro approvazione.

 

Le disposizioni impugnate, pertanto, sarebbero pienamente conformi alla normativa statale, che ammetterebbe la possibilità di impiegare le graduatorie anche per l’assunzione degli idonei non vincitori, entro i termini di vigenza delle graduatorie e per i medesimi profili professionali, per fronteggiare le esigenze di copertura dei posti vacanti e nel contesto della programmazione del fabbisogno del personale. Da tali considerazioni discende, ad avviso della Regione, l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse e per cessazione della materia del contendere.

 

Il ricorso sarebbe comunque infondato nel merito, poiché la disciplina delle graduatorie sarebbe riconducibile «alla materia dell’ordinamento ed organizzazione amministrativa regionale», spettante alla competenza legislativa residuale della Regione in base all’art. 117, quarto comma, Cost.

 

Considerato in diritto

 

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna gli artt. 1, comma 3, e 2 della legge della Regione Toscana 28 giugno 2019, n. 38 (Disposizioni urgenti per il rafforzamento dei servizi e delle misure di politica attiva del lavoro per la sostituzione di personale collocato in quiescenza, del direttore generale e dei direttori. Modifiche alla l. r. 1/2009), per contrasto con gli artt. 3, 51, primo comma, 97, 117, commi secondo, lettere l) e m), e terzo, della Costituzione.

 

1.1.– L’art. 1, comma 3, della legge reg. Toscana n. 38 del 2019 affida all’Agenzia regionale toscana per l’impiego (ARTI) la gestione di un piano triennale di reclutamento, finalizzato al rafforzamento dei centri per l’impiego. Si prevede, a tal fine, «lo scorrimento delle graduatorie per il reclutamento di personale approvate a far data dal 1° gennaio 2019», in deroga alle previsioni dell’art. 1, comma 361, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), che consentiva di utilizzare le graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), al solo scopo di coprire i posti messi a concorso e «quelli che si rendono disponibili, entro i limiti di efficacia temporale delle graduatorie medesime, fermo restando il numero dei posti banditi e nel rispetto dell’ordine di merito, in conseguenza della mancata costituzione o dell’avvenuta estinzione del rapporto di lavoro con i candidati dichiarati vincitori».

 

1.2.– L’art. 2 della citata legge regionale autorizza la Regione, gli enti dipendenti, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale a procedere, in deroga a quanto previsto dall’art. 1, comma 361, della legge n. 145 del 2018, allo scorrimento delle graduatorie approvate a far data dal 1° gennaio 2019.

 

1.3.– Le censure si indirizzano verso la scelta di ricorrere allo scorrimento delle graduatorie in deroga all’art. 1, comma 361, della legge n. 145 del 2018, disposizione, quest’ultima, che si prefiggerebbe di fornire all’amministrazione il personale più qualificato.

 

1.3.1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri assume che entrambe le disposizioni impugnate invadano la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile» (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.), che includerebbe anche la disciplina delle graduatorie concorsuali, in quanto preordinate all’instaurazione dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

 

1.3.2.– Le disposizioni impugnate sarebbero lesive, inoltre, della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.). A tale àmbito, difatti, apparterrebbe «anche la determinazione dei limiti soggettivi di efficacia delle graduatorie», che il legislatore statale provvederebbe a fissare «nell’esercizio della sua funzione di garanzia dell’unitarietà e uniformità dell’ordinamento».

 

1.3.3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri prospetta la violazione dei princìpi di eguaglianza, di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione «di cui agli articoli 3, 51, primo comma, e 97 della Costituzione». Il legislatore regionale avrebbe disatteso le regole sull’uso delle graduatorie, che si riprometterebbero di «assicurare per tutti i candidati ai pubblici uffici un trattamento eguale, rispettoso dei principi di imparzialità e buon andamento di cui agli articoli 3, 51 e 97 della Costituzione, nell’ottica della valorizzazione delle professionalità al servizio della Nazione unitariamente intesa».

 

1.3.4.– Il ricorrente, infine, denuncia il contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., sul presupposto che la disciplina di «modalità uniformi di utilizzo delle graduatorie concorsuali per l’accesso al pubblico impiego» rappresenti «un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica», che tenderebbe «a regolare la spesa per l’accesso ai pubblici uffici (evitando il reclutamento secondo modalità differenziate […])».

 

2.– Anche ai fini della disamina delle eccezioni preliminari formulate dalla Regione Toscana, occorre ricostruire l’evoluzione della normativa statale sulle graduatorie concorsuali, nella parte in cui si interseca con le previsioni adottate dal legislatore regionale.

 

L’art. 1, comma 361, della legge n. 145 del 2018, nella sua formulazione originaria, prevedeva che le graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 fossero «utilizzate esclusivamente per la copertura dei posti messi a concorso», fermo restando il termine di vigenza (allora triennale) delle graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche (art. 35, comma 5-ter, del d.lgs. n. 165 del 2001).

 

Tale previsione era stata poi temperata dall’art. 14-ter, comma 1, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), inserito dalla legge di conversione 28 marzo 2019, n. 26, che aveva consentito di avvalersi delle graduatorie anche per la copertura dei posti «che si rendono disponibili, entro i limiti di efficacia temporale delle graduatorie medesime, fermo restando il numero dei posti banditi e nel rispetto dell’ordine di merito, in conseguenza della mancata costituzione o dell’avvenuta estinzione del rapporto di lavoro con i candidati dichiarati vincitori» e per effettuare le assunzioni obbligatorie contemplate dagli artt. 3 e 18 della legge 12 marzo 1999, n. 68 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili) e le assunzioni dei titolari del diritto al collocamento obbligatorio sancito dall’art. 1, comma 2, della legge 23 novembre 1998, n. 407 (Nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata), «sebbene collocati oltre il limite dei posti ad essi riservati nel concorso».

 

L’art. 1, comma 365, della legge n. 145 del 2018, aveva inizialmente disposto che le previsioni citate si applicassero «alle graduatorie delle procedure concorsuali bandite successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge». Al rispetto di tali regole non erano assoggettate le «assunzioni del personale scolastico, inclusi i dirigenti, e del personale delle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica», oltre che «del personale educativo degli enti locali» (art. 1, comma 366, della legge n. 145 del 2018, modificato dapprima dall’art. 14-ter, comma 2, del d.l. n. 4 del 2019, come convertito, e, successivamente, dall’art. 33, comma 2-bis, lettere a e b, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, recante «Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi», inserito dalla legge di conversione 28 giugno 2019, n. 58).

 

Quanto alle «procedure concorsuali per l’assunzione di personale medico, tecnico-professionale e infermieristico, bandite dalle aziende e dagli enti del Servizio sanitario nazionale», le limitazioni all’uso delle graduatorie riguardavano le sole procedure bandite a decorrere dal 1° gennaio 2020 (art. 1, comma 365, secondo periodo, della legge n. 145 del 2018, aggiunto dall’art. 9-bis, comma 1, lettera a, del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, recante «Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione», inserito dalla legge di conversione 11 febbraio 2019, n. 12).

 

Anche per le procedure concorsuali finalizzate ad assunzioni di personale da destinare ai centri per l’impiego, il legislatore aveva differito l’operatività dell’art. 1, comma 361, della legge n. 145 del 2018, applicabile soltanto alle procedure concorsuali bandite a decorrere dal 1° luglio 2019 (art. 12, comma 8-ter, del d.l. n. 4 del 2019, inserito dalla legge di conversione n. 26 del 2019).

 

L’art. 1, comma 148, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022) ha abrogato, a far data dal 1° gennaio 2020, l’art. 1, commi 361 e 365, della legge n. 145 del 2018. Tale abrogazione si colloca in un intervento più ampio, volto a ridefinire in maniera rigorosa i limiti temporali per l’utilizzo delle graduatorie dei concorsi pubblici (art. 1, comma 147, della legge n. 160 del 2019) e a fissare, a regime, una validità biennale delle graduatorie concorsuali, con decorrenza dalla loro approvazione (art. 1, comma 149, della legge n. 160 del 2019).

 

I limiti più stringenti all’uso delle graduatorie, in passato reiteratamente prorogate, e la loro più circoscritta validità temporale si inquadrano in un contesto normativo mutato. Nel settore pubblico hanno contribuito a dare nuovo impulso alle assunzioni le vacanze di organico determinate dall’introduzione della pensione “Quota 100” (art. 14-bis del d.l. n. 4 del 2019, con particolare riguardo a Regioni, enti locali, aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale), la necessità di promuovere «investimenti pubblici, con particolare riferimento a quelli in materia di mitigazione del rischio idrogeologico, ambientale, manutenzione di scuole e strade, opere infrastrutturali, edilizia sanitaria e agli altri programmi previsti dalla legge 30 dicembre 2018, n. 145» (art. 33 del d.l. n. 34 del 2019, per quel che attiene alle assunzioni da parte delle Regioni a statuto ordinario e dei Comuni), e un più ampio programma finalizzato ad assicurare «l’effettivo ricambio generazionale e la migliore organizzazione del lavoro» e a reclutare personale qualificato nei settori strategici della digitalizzazione, della razionalizzazione e della semplificazione dei procedimenti e dei processi amministrativi, della qualità dei servizi pubblici, della gestione dei fondi strutturali e della capacità di investimento, della contrattualistica pubblica, del controllo di gestione e dell’attività ispettiva, della contabilità pubblica e della gestione finanziaria (art. 3 della legge 19 giugno 2019, n. 56, recante «Interventi per la concretezza delle azioni delle pubbliche amministrazioni e la prevenzione dell’assenteismo»).

 

3.– Nella memoria illustrativa, depositata in vista della trattazione della causa in camera di consiglio, la parte resistente fa leva sull’abrogazione dell’art. 1, commi 361 e 365, della legge n. 145 del 2018, per eccepire l’inammissibilità del ricorso «per sopravvenuta carenza di interesse e cessazione della materia del contendere».

 

Tale assunto non può essere condiviso.

 

La parte ricorrente, pur evocando le previsioni dell’art. 1, commi 361 e 365, della legge n. 145 del 2018, ora abrogate a far data dal 1° gennaio 2020, lamenta, in primo luogo, la violazione della competenza esclusiva dello Stato nelle materie «ordinamento civile» e «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali».

 

Rispetto a tale doglianza, che contesta in radice il potere della Regione di legiferare in merito alle graduatorie concorsuali, non si può ritenere che sia venuto meno l’interesse del Presidente del Consiglio dei ministri a ottenere una pronuncia di questa Corte. Per le medesime ragioni, non si possono neppure ravvisare i presupposti della prospettata cessazione della materia del contendere.

 

L’evoluzione del quadro normativo non cancella la dedotta invasione della sfera di competenza esclusiva statale e, pertanto, di là da ogni altro rilievo sui presupposti della cessazione della materia del contendere, non può dispensare questa Corte dall’esaminare il merito delle censure proposte.

 

4.– Le questioni promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri non sono fondate.

 

5.– Ad avviso del ricorrente, le disposizioni impugnate sarebbero innanzitutto lesive della competenza legislativa esclusiva statale nella materia «ordinamento civile» (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.).

 

5.1 – La questione non è fondata.

 

Questa Corte ha precisato che «[l]a regolamentazione dell’accesso ai pubblici impieghi mediante concorso è riferibile all’ambito della competenza esclusiva statale, sancita dall’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., solo per quanto riguarda i concorsi indetti dalle amministrazioni statali e dagli enti pubblici nazionali» (sentenza n. 380 del 2004, punto 3.2. del Considerato in diritto).

 

Quanto all’impiego pubblico regionale, esso deve essere ricondotto all’ordinamento civile, di competenza esclusiva statale, solo «per i profili privatizzati del rapporto», attinenti al rapporto di lavoro già instaurato, laddove «i profili “pubblicistico-organizzativi” rientrano nell’ordinamento e organizzazione amministrativa regionale, e quindi appartengono alla competenza legislativa residuale della Regione (ex multis, sentenze n. 63 del 2012, nn. 339 e 77 del 2011, n. 233 del 2006, n. 2 del 2004)» (sentenza n. 149 del 2012, punto 4.2. del Considerato in diritto). Tali profili pubblicistico-organizzativi, proprio perché indissolubilmente connessi con l’attuazione dei princìpi enunciati dagli artt. 51 e 97 Cost., sono sottratti «all’incidenza della privatizzazione del lavoro presso le pubbliche amministrazioni, che si riferisce alla disciplina del rapporto già instaurato» (sentenza n. 380 del 2004, punto 3.1. del Considerato in diritto).

 

Questa Corte è costante nell’affermare che la regolamentazione delle modalità di accesso al lavoro pubblico regionale – in quanto riconducibile alla materia dell’organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali – è preclusa allo Stato (a maggior ragione attraverso disposizioni di dettaglio) e spetta alla competenza residuale delle Regioni (sentenza n. 2 del 2004), nel rispetto dei limiti costituzionali (sentenza n. 380 del 2004, punto 3.2. del Considerato in diritto).

 

Alla competenza legislativa residuale in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa delle Regioni sono riconducibili, in particolare, le procedure concorsuali pubblicistiche per l’accesso all’impiego regionale (sentenze n. 191 del 2017, punto 5.4. del Considerato in diritto, e n. 251 del 2016, punto 4.2.1. del Considerato in diritto) e la regolamentazione delle graduatorie, che rappresentano il provvedimento conclusivo delle procedure selettive (sentenza n. 241 del 2018, punto 4. del Considerato in diritto).

 

Pertanto, le disposizioni impugnate, proprio perché si correlano a una fase antecedente al sorgere del rapporto di lavoro, non invadono la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile», attenendo all’organizzazione del personale, àmbito in cui si esplica la competenza residuale delle Regioni.

 

Alla luce di tali rilievi, questa Corte, nel decidere sul ricorso della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste che lamentava la lesione delle prerogative regionali, ha escluso che le prescrizioni dell’art. 1, commi 361 e 365, della legge n. 145 del 2018 dispieghino effetti nei confronti delle Regioni (sentenza n. 77 del 2020, punto 4.3.1. del Considerato in diritto), titolari di un’ampia autonomia in forza dell’art. 117, quarto comma, Cost., e vincolate, in tale àmbito, solo al rispetto dei limiti costituzionali del buon andamento e dell’imparzialità e dei princìpi di coordinamento della finanza pubblica.

 

6.– Dall’esclusione della vincolatività dei parametri interposti citati per le Regioni, discende l’infondatezza dell’ulteriore censura del ricorrente, che denuncia la violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.).

 

La difesa statale richiama la giurisprudenza di questa Corte, che riconduce la disciplina della semplificazione amministrativa alla competenza legislativa esclusiva attribuita allo Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. Secondo il ricorrente, il legislatore statale, in virtù di un titolo di legittimazione suscettibile di investire tutte le materie, deve poter dettare le norme che assicurino sull’intero territorio nazionale il godimento di prestazioni garantite, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle (si menzionano le sentenze n. 62 del 2013 e n. 207 del 2012).

 

Questa Corte ha chiarito che la competenza attribuita dall’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., per il suo carattere trasversale, comprime in misura apprezzabile l’autonomia legislativa delle Regioni. Proprio per questo, essa non può essere invocata «se non in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione (sentenze n. 383 e n. 285 del 2005), mediante la determinazione dei relativi standard strutturali e qualitativi, da garantire agli aventi diritto su tutto il territorio nazionale in quanto concernenti il soddisfacimento di diritti civili e sociali tutelati dalla Costituzione stessa» (sentenza n. 232 del 2011, punto 5.2. del Considerato in diritto).

 

La disciplina della semplificazione amministrativa, addotta come termine di raffronto e contraddistinta dal ricorrere di una specifica prestazione a beneficio dei cittadini, non può essere assimilata alla regolamentazione delle graduatorie delle procedure selettive per l’accesso all’impiego regionale, in cui viene in rilievo quella potestà delle Regioni di organizzare il personale, che l’individuazione di una competenza esclusiva statale vanificherebbe fino a negare del tutto.

 

A tale riguardo, questa Corte ha ribadito, anche di recente (sentenza n. 77 del 2020, punto 4.3.1. del Considerato in diritto), che spetta alle Regioni, nell’esercizio della citata competenza residuale, definire le regole di accesso all’impiego regionale e di utilizzo delle relative graduatorie concorsuali, compiendo le scelte discrezionali più appropriate. Per costante orientamento di questa Corte, le Regioni devono esercitare tale competenza nel rispetto dei limiti costituzionali (sentenza n. 380 del 2004, punto 3.2. del Considerato in diritto) e, in particolare, dei princìpi di buon andamento e di imparzialità (sentenza n. 77 del 2020, punto 4.3.1. del Considerato in diritto), che la stessa normativa statale può contribuire a enucleare e a definire.

 

Si deve notare che le stesse censure, pur formulate nei termini dell’invasione di una competenza esclusiva statale, si incentrano, in una prospettiva eminentemente sostanziale, sulla violazione dei princìpi sanciti dagli artt. 3, 51, primo comma, e 97 Cost. È alla stregua di tali parametri, che rappresentano il fulcro dell’argomentazione del ricorso, che la disciplina regionale deve essere ora scrutinata.

 

7.– Il ricorrente censura gli artt. 1, comma 3, e 2, della legge reg. Toscana n. 38 del 2019, in quanto si porrebbero in contrasto con il dettato costituzionale, che impone l’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni mediante concorso, in condizioni di eguaglianza, così da salvaguardare il buon andamento e l’imparzialità.

 

7.1. – Tali censure non sono fondate.

 

7.2.– L’art. 1, comma 361, della legge n. 145 del 2018, istituiva una stretta correlazione tra la graduatoria e i posti messi a concorso e, in virtù delle modifiche apportate dall’art. 14-ter del d.l. n. 4 del 2019, come convertito, consentiva all’amministrazione di reclutare gli idonei al solo scopo di sopperire alla mancata costituzione o all’estinzione anticipata del rapporto di lavoro con i candidati dichiarati vincitori.

 

Tale disposizione, non applicabile nel settore scolastico ai sensi dell’art. 1, comma 366, della legge n. 145 del 2018 e operativa soltanto a far data dal 1° luglio 2019 per le assunzioni del personale dei centri per l’impiego (art. 12, comma 8-ter, del d.l. n. 4 del 2019, come convertito) e a decorrere dal 1° gennaio 2020 per le procedure di assunzione di personale medico, tecnico-professionale e infermieristico, bandite dalle aziende e dagli enti del Servizio sanitario nazionale, è stata poi abrogata, con effetto dal 1° gennaio 2020, dall’art. 1, comma 148, della legge n. 160 del 2019.

 

Nell’esercizio della competenza riconosciuta dall’art. 117, quarto comma, Cost., il legislatore regionale non può ritenersi vincolato all’osservanza dei criteri indicati dal legislatore statale – peraltro rimasti in vigore per un tempo limitato – a meno che essi non riflettano i princìpi inderogabili di buon andamento e imparzialità sanciti dall’art. 97 Cost.

 

I limiti posti alle assunzioni nel settore pubblico sono stati gradualmente superati, per costruire un diverso assetto, caratterizzato da periodi più contenuti di validità delle graduatorie (due anni), con prescrizioni rigorose circa il ricorso alle graduatorie più datate, in vista della ripresa di procedure selettive e di assunzioni.

 

Con riguardo alle procedure selettive per l’accesso all’impiego regionale, riconducibili alla competenza legislativa residuale delle Regioni, si deve ribadire che non ogni difformità della disciplina regionale rispetto alle regole dettate dallo Stato denota la violazione dei canoni di imparzialità e di buon andamento (sentenza n. 241 del 2018, punto 6. del Considerato in diritto). L’evoluzione della normativa statale conferma che tale difformità, in un breve arco di tempo, è stata superata.

 

La disciplina dell’accesso all’impiego regionale deve dunque essere scrutinata alla luce delle peculiarità che la contraddistinguono, delle finalità che essa persegue e del complessivo contesto in cui si colloca.

 

7.3.– In linea generale, si deve osservare che lo scorrimento delle graduatorie, consentito dalle disposizioni impugnate e ora anche dalla sopravvenuta normativa statale, presuppone lo svolgimento delle ordinarie procedure selettive, finalizzate a individuare i soggetti più qualificati per l’occupazione dei posti vacanti, e non costituisce dunque una deroga al principio del pubblico concorso invocato dal ricorrente.

 

Lo scorrimento delle graduatorie consente all’amministrazione di attingere alla provvista degli idonei, per far fronte in maniera tempestiva ed efficace alle esigenze sopravvenute. Questa Corte ha, infatti, anche recentemente precisato che «[u]n reclutamento imparziale degli idonei inseriti nelle graduatorie non entra in contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., proprio perché costituisce una delle possibili espressioni del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione, nell’esercizio della competenza legislativa regionale» (sentenza n. 77 del 2020, punto 4.3.1. del Considerato in diritto).

 

7.4.– Inoltre, lo scorrimento delle graduatorie ancora valide è assoggettato a limitazioni, che valgono a renderlo compatibile con i princìpi di imparzialità e di buon andamento dell’amministrazione, evocati a più riprese dal ricorrente.

 

Il canone di imparzialità consente di ricorrere allo scorrimento delle graduatorie, nel rigoroso rispetto dell’ordine di merito, solo quando vi sia un’integrale corrispondenza tra il profilo e la qualifica professionale del posto che si intende coprire, da un lato, e, dall’altro, il profilo e la categoria professionale per i quali si è bandito il concorso poi concluso con l’approvazione delle graduatorie. Non vi è scorrimento per posti di nuova istituzione o frutto di trasformazione, per evitare rimodulazioni dell’organico in potenziale contrasto con i princìpi di imparzialità prescritti dalla Costituzione.

 

Il buon andamento, per altro verso, preclude di scorrere le graduatorie, quando sia mutato il contenuto professionale delle mansioni tipiche del profilo che si intende acquisire o quando, per il tempo trascorso o per le modifiche sostanziali nel frattempo introdotte nelle prove di esame e nei requisiti di partecipazione dei concorrenti, la graduatoria già approvata cessi di rispecchiare una valutazione attendibile dell’idoneità dei concorrenti e della qualificazione professionale necessaria per ricoprire l’incarico.

 

7.5.– L’esame delle specificità della disciplina regionale impugnata conferma la non fondatezza delle censure proposte.

 

La legge reg. Toscana n. 38 del 2019 non deroga agli ordinari limiti di validità delle graduatorie. Essa riguarda le graduatorie più recenti, approvate a far data dal 1° gennaio 2019, e non pregiudica l’esigenza di dotare l’amministrazione di personale qualificato, che sia stato sottoposto a una valutazione esaustiva e imparziale in un tempo prossimo all’assunzione.

 

Le disposizioni impugnate si riconnettono, peraltro, a obiettivi specifici e definiti nel tempo, che la stessa legislazione statale provvede a delineare.

 

L’art. 1 della legge reg. Toscana n. 38 del 2019 si ripromette di rafforzare le dotazioni organiche dei centri per l’impiego, in armonia con le previsioni dell’art. 1, comma 258, della legge n. 145 del 2018, cui si fa risalire un peculiare procedimento di concertazione con le Regioni, al fine di stabilire i criteri di ripartizione delle risorse stanziate.

 

L’art. 2 della citata legge regionale, nel disciplinare le assunzioni da parte della Regione Toscana, degli enti dipendenti dalla Regione e delle aziende e degli enti del servizio sanitario regionale, tiene conto della cessazione dal servizio del personale beneficiario della pensione “Quota 100”. È la stessa legge dello Stato che si preoccupa di fronteggiare tali conseguenze, con precipuo riguardo alle Regioni, agli enti locali, agli enti e alle aziende del Servizio sanitario nazionale (art. 14-bis del d.l. n. 4 del 2019, come convertito).

 

Lo scorrimento delle graduatorie non ha dunque una portata indiscriminata, ma si rivela direttamente funzionale a organizzare il reclutamento degli idonei nel modo più efficiente e sollecito, in un àmbito – quello delle politiche attive del lavoro, della tutela della salute e dell’organizzazione amministrativa regionale in senso ampio – riservato a vario titolo all’autonomia della Regione, in vista di specifiche finalità, che lo stesso legislatore statale riconosce meritevoli di particolare considerazione.

 

8.– Il ricorrente, da ultimo, ravvisa nelle disposizioni impugnate la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. e, in particolare, del principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, che individua nelle «modalità uniformi di utilizzo delle graduatorie concorsuali per l’accesso al pubblico impiego» dettate dalla legislazione dello Stato.

 

8.1.– La Regione Toscana ha eccepito l’inammissibilità della censura, perché generica e carente di argomenti idonei a dimostrare con quali princìpi finanziari, nella specie, la legge regionale entri in conflitto.

 

L’eccezione di inammissibilità deve essere disattesa.

 

Il ricorrente ha identificato nell’art. 1, commi 361 e 365, della legge n. 145 del 2018 il principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica che ritiene violato dal legislatore regionale. Le doglianze del ricorso sono dunque avvalorate da un’argomentazione adeguata, che supera il vaglio di ammissibilità. Se la disposizione indicata dal ricorrente rappresenti un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, è profilo che investe il merito delle censure.

 

8.2.– Nel merito, la questione non è fondata.

 

8.3.– Il ricorrente richiama la sentenza di questa Corte n. 3 del 2013, che ha riconosciuto un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica nell’art. 17, comma 10, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102, che consente alle amministrazioni pubbliche locali, nel triennio 2010-2012, di «bandire concorsi per le assunzioni a tempo indeterminato con una riserva di posti, non superiore al 40 per cento dei posti messi a concorso, per il personale non dirigenziale in possesso dei requisiti di cui all’articolo 1, commi 519 e 558, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e all’articolo 3, comma 90, della legge 24 dicembre 2007, n. 244».

 

La disposizione sopra indicata, nell’introdurre «nuove modalità di valorizzazione dell’esperienza professionale acquisita dal personale precario» e nel prevedere «l’espletamento di concorsi pubblici con parziale riserva dei posti in favore di tale personale», preclude «a tutte le pubbliche amministrazioni, a partire dal gennaio 2010, ogni diversa procedura di stabilizzazione del personale non di ruolo» e persegue l’obiettivo di contenere la «spesa nello specifico settore del personale» (sentenza n. 3 del 2013, punto 4.1. del Considerato in diritto).

 

Diverso è il caso ora sottoposto al vaglio di questa Corte.

 

Le disposizioni impugnate non superano i limiti posti alle facoltà di assunzione delle amministrazioni regionali, che si ripercuotono su un rilevante aggregato della spesa corrente e, proprio per questo, si configurano come princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica.

 

8.4.– A tale riguardo, non rilevano le enunciazioni di principio di questa Corte, che ha attribuito il rango di norme di coordinamento della finanza pubblica alle previsioni volte a delimitare la proroga dell’efficacia delle graduatorie, «in costanza di misure di contenimento delle assunzioni» (sentenza n. 5 del 2020, punto 4.3.1. del Considerato in diritto). Le disposizioni introdotte dalla legge reg. Toscana n. 38 del 2019 toccano il diverso profilo dell’uso di graduatorie ancora valide e non contrastano con misure statali finalizzate a circoscrivere la proroga delle stesse e, in pari tempo, a restringere le facoltà di assunzione delle amministrazioni.

 

8.5.– Le disposizioni impugnate non incorrono nella violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. anche alla luce dei seguenti rilievi.

 

Lo scorrimento delle graduatorie consente, infatti, di risparmiare i costi correlati all’espletamento di nuovi concorsi, come ha affermato la giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza 28 luglio 2011, n. 14, punto 40.) e come conferma anche il preambolo della legge impugnata (punto 7.), con particolare riguardo al reclutamento di personale da parte della Regione Toscana, degli enti dipendenti e degli enti e delle aziende del servizio sanitario regionale (art. 2 della legge reg. Toscana n. 38 del 2019). Non si ravvisa, pertanto, la violazione di alcun principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica.

 

L’art. 1, comma 1, della legge reg. Toscana n. 38 del 2019 prevede che l’ARTI – ente intermedio preposto alla gestione della rete regionale dei centri per l’impiego e all’erogazione dei servizi destinati a misure di politiche attive – proceda alle assunzioni del personale da destinare a tali centri, con contratto di lavoro a tempo indeterminato, entro i limiti delle risorse finanziarie previste dalla legge statale allo scopo di potenziarne le funzioni nell’orientamento al lavoro. Tali risorse sono ripartite dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali in base ai criteri definiti previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano (artt. 1, comma 258, della legge n. 145 del 2018 e 12, comma 8-bis, del d.l. n. 4 del 2019, come convertito nella legge 28 marzo 2019, n. 26). Come traspare dal preambolo della legge regionale impugnata (punto 4.), il personale è reclutato «solo a seguito della effettiva ripartizione delle suddette risorse tra tutte le regioni interessate ad opera del decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali».

 

Regole non dissimili valgono anche per le assunzioni a tempo determinato di personale incaricato di svolgere «funzioni di orientamento ai processi di inserimento lavorativo» (art. 1, comma 2, della legge reg. Toscana n. 38 del 2019). Parte integrante del «piano di rafforzamento dei servizi e delle misure di politica attiva del lavoro approvato nella Conferenza unificata il 21 dicembre 2017», le assunzioni in esame sono disposte «entro i limiti delle risorse finanziarie assegnate dal piano operativo nazionale (PON) “Inclusione” 2014-2020 e dal programma operativo complementare “Sistemi per le politiche attive per l’occupazione” (POC SPAO) 2014-2020» (art. 1, comma 2, della legge reg. Toscana n. 38 del 2019) e solo dopo la concreta ripartizione di tali risorse (punto 5. del preambolo della legge regionale).

 

Per potenziare le attività dei centri per l’impiego, lo scorrimento delle graduatorie si iscrive dunque in un quadro di risorse finanziarie puntualmente definite quanto agli importi e alle modalità di utilizzo. In particolare, è opportuno evidenziare che il Piano operativo nazionale (PON) Inclusione 2014-2020 si colloca nell’ambito di misure cofinanziate dal Fondo sociale europeo, con l’innovativo intervento dei fondi strutturali destinati a promuovere l’inclusione sociale e a superare le diseguaglianze tra diversi territori.

 

Le disposizioni impugnate si connettono dunque in modo diretto alle politiche europee di sostegno all’inclusione attiva e ne valorizzano le finalità a livello regionale, senza infrangere alcun principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica.

 

Anche sotto quest’ultimo profilo, pertanto, le censure proposte con il ricorso dello Stato si rivelano infondate.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 3, e 2 della legge della Regione Toscana 28 giugno 2019, n. 38 (Disposizioni urgenti per il rafforzamento dei servizi e delle misure di politica attiva del lavoro per la sostituzione di personale collocato in quiescenza, del direttore generale e dei direttori. Modifiche alla l. r. 1/2009), promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 3, 51, primo comma, 97, 117, commi secondo, lettere l) e m), e terzo, della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 maggio 2020.

 

F.to:

 

Marta CARTABIA, Presidente

 

Silvana SCIARRA, Redattore

 

Roberto MILANA, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 25 giugno 2020.