Sentenza n. 170 del 2021

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SENTENZA N. 170

ANNO 2021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Sardegna 24 giugno 2020, n. 17 (Modifiche alla legge regionale n. 22 del 2019 in materia di proroga di termini), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 19-21 agosto 2020, depositato in cancelleria il 21 agosto 2020, iscritto al n. 70 del registro ricorsi 2020 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma Sardegna;

udito nell’udienza pubblica del 23 giugno 2021 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

uditi gli avvocati dello Stato Giuseppe Albenzio e Maria Vittoria Lumetti per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Roberto Murroni per la Regione autonoma Sardegna, in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 18 maggio 2021;

deliberato nella camera di consiglio del 20 luglio 2021.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 19-21 agosto 2020, depositato il 21 agosto 2020 e iscritto al n. 70 del registro ricorsi per l’anno 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento all’art. 3 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) e agli artt. 9, 117, secondo comma, lettera s), e 120 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Sardegna 24 giugno 2020, n. 17 (Modifiche alla legge regionale n. 22 del 2019 in materia di proroga di termini).

1.1.– Il ricorrente evidenzia che la disposizione impugnata proroga fino al 31 dicembre 2020 le previsioni della legge della Regione Sardegna 23 aprile 2015, n. 8 (Norme per la semplificazione e il riordino di disposizioni in materia urbanistica ed edilizia e per il miglioramento del patrimonio edilizio), che, nella formulazione originaria, consentirebbero la realizzazione di «nuove volumetrie in deroga alla pianificazione urbanistica» fino all’entrata in vigore della nuova legge regionale in materia di governo del territorio e comunque non oltre il 31 dicembre 2016.

Tale termine è stato prorogato dapprima fino al 31 dicembre 2017 dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge della Regione Sardegna 7 dicembre 2016, n. 33 (Proroga di termini di cui alla legge regionale n. 8 del 2015); poi fino al 30 giugno 2019 dall’art. 1, comma 1, della legge della Regione Sardegna 14 dicembre 2017, n. 26, recante «Modifiche alla legge regionale 7 dicembre 2016, n. 33 (Proroga di termini di cui alla legge regionale n. 8 del 2015)»; quindi fino al 31 dicembre 2019 dall’art. 1, comma 1, della legge della Regione Sardegna 21 giugno 2019, n. 8, recante «Modifiche all’articolo 1 della legge regionale n. 26 del 2017 (Proroga di termini)»; da ultimo, prima delle modifiche impugnate, fino al 30 giugno 2020 dall’art. 1, comma 1, della legge della Regione Sardegna 20 dicembre 2019, n. 22, recante «Modifiche alla legge regionale n. 8 del 2019 (Proroga di termini)».

1.2.– Ad avviso del ricorrente, tale proroga contrasterebbe con lo statuto speciale e con molteplici parametri costituzionali.

1.2.1.– Il ricorrente censura, anzitutto, il contrasto con l’art. 3 dello statuto speciale, come attuato dal decreto del Presidente della Repubblica 22 maggio 1975, n. 480 (Nuove norme di attuazione dello statuto speciale della regione autonoma della Sardegna), e con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che sancisce la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia della tutela dell’ambiente, «rispetto alla quale costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio».

Nell’incidere anche sui beni soggetti a tutela paesaggistica, la disposizione impugnata si collocherebbe «al di fuori del necessario quadro di riferimento» costituito dal piano paesaggistico (artt. 135, 143, 145 e 156 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante «Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137»), «elaborato d’intesa tra Stato e Regione» e deputato a stabilire i criteri di gestione del vincolo, le trasformazioni compatibili, quelle vietate e le condizioni delle eventuali trasformazioni consentite.

Il ricorrente ricorda che il 5 settembre 2006 la Regione autonoma Sardegna ha approvato il «Primo ambito omogeneo del Piano paesaggistico regionale», relativo alle aree costiere, e che, il 19 febbraio 2007, ha sottoscritto con il Ministero per i beni e le attività culturali il Protocollo d’intesa per la verifica e l’adeguamento congiunto del «Piano paesaggistico regionale – Primo ambito omogeneo» e per la pianificazione congiunta con lo Stato del «Secondo ambito omogeneo», corrispondente alle aree interne dell’isola e all’intero territorio regionale, non limitato ai beni paesaggistici vincolati.

Il 1° marzo 2013, la Regione autonoma Sardegna e il Ministero per i beni e le attività culturali avrebbero sottoscritto il disciplinare attuativo del protocollo d’intesa, allo scopo di definire le modalità attuative dei lavori di pianificazione congiunta sia per il «Primo ambito» che per il «Secondo ambito». Il disciplinare sarebbe stato poi aggiornato e sottoscritto congiuntamente il 18 aprile 2018. L’intensa interlocuzione non sarebbe ancora approdata all’approvazione del piano paesaggistico.

Con la proroga della disciplina in materia di miglioramento del patrimonio edilizio esistente, la Regione autonoma Sardegna si sottrarrebbe «ingiustificatamente al proprio obbligo di redazione congiunta con il Ministero per i beni e le attività culturali del piano paesaggistico».

Inoltre, l’attribuzione della facoltà di realizzare volumetrie aggiuntive anche con riguardo ai beni paesaggistici sottoposti a tutela implicherebbe che gli interventi siano «valutati caso per caso, in occasione del rilascio dell’autorizzazione dovuta (ai sensi dell’articolo 146 del Codice di settore), senza la contestualizzazione nel dovuto quadro di regole voluto dal Legislatore statale», che per tali beni ha imposto un obbligo di pianificazione congiunta.

Il ricorrente lamenta che l’ulteriore «proroga di norme derogatorie e straordinarie», concernenti beni per i quali la pianificazione paesaggistica non è stata elaborata (aree interne dell’isola) o non è stata adeguata (aree costiere), non tenga conto «dei valori paesaggistici» e sia disposta «al di fuori della necessaria condivisione con lo Stato» con riguardo ai beni vincolati, condivisione che costituisce principio inderogabile della legislazione statale.

La Regione autonoma Sardegna, pertanto, avrebbe esercitato la potestà legislativa in materia di edilizia e di urbanistica in violazione «delle previsioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio, dettate dallo Stato nell’esercizio della potestà legislativa esclusiva di cui all’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione» e destinate a imporsi anche alle autonomie speciali in quanto norme di riforma economico-sociale (si citano le sentenze di questa Corte n. 51 del 2006 e n. 178 del 2018).

In contrasto con gli artt. 135, 143, 145 e 156 del d.lgs. n. 42 del 2004, sarebbero stati violati «l’obbligo di pianificazione congiunta con lo Stato rispetto ai beni paesaggistici sottoposti a tutela e la prevalenza del piano paesaggistico», sancita dall’art. 145 del medesimo decreto.

Peraltro, la compressione di diritti costituzionali, come «l’interesse alla tutela del paesaggio e il principio di copianificazione», potrebbe essere giustificata soltanto «per ragioni eccezionali, per un limitato arco temporale».

1.2.2.– Il ricorrente denuncia, inoltre, la violazione dell’art. 9 Cost., «anche in relazione all’articolo 117, secondo comma, lett. s)» Cost.

La disciplina impugnata sarebbe «potenzialmente pregiudizievole per la tutela del paesaggio, che ha valenza di interesse costituzionale primario e assoluto» (si richiama la sentenza di questa Corte n. 367 del 2007). Difatti, la proroga sine die della disciplina regionale derogatoria avrebbe «determinato l’abbassamento del livello della tutela del paesaggio, oltretutto in palese violazione del principio fondamentale di co-gestione e co-pianificazione del territorio e del paesaggio», che rappresenterebbe «l’architrave del sistema di tutela».

Il ricorrente ricorda l’inderogabile principio della codecisione e della compartecipazione tra Stato e Regioni «in tutte e tre le fasi in cui si articola la tutela paesaggistica, ossia individuazione, pianificazione e gestione, quest’ultima esercitata mediante il rilascio delle autorizzazioni degli interventi relativi ai beni tutelati». Il piano territoriale regionale rappresenterebbe la “Costituzione del territorio”, in quanto esprimerebbe «le scelte di fondo della pianificazione futura del territorio», in una prospettiva «di stabilità e di lungo periodo, incompatibile con le unilaterali scelte dei soli Organi regionali».

I beni paesaggistici di ciascuna Regione italiana trascenderebbero la dimensione puramente locale per assurgere a «beni comuni riferibili all’intera collettività nazionale».

Inoltre, il principio di «necessaria condivisione tra lo Stato e la Regione» non svilirebbe in alcun modo «il ruolo centrale, strategico e propositivo dell’autonomia regionale».

1.2.3.– Il ricorrente prospetta, infine, la violazione dell’art. 120 Cost., sul presupposto che la disciplina impugnata rappresenti «il frutto di una scelta assunta unilateralmente dalla Regione, al di fuori del lungo percorso condiviso con lo Stato all’indomani dell’approvazione del piano paesaggistico regionale».

La Regione autonoma Sardegna si sottrarrebbe «ingiustificatamente al proprio obbligo di redazione congiunta con il Ministero per i beni e le attività culturali del Piano paesaggistico», in contrasto con «il principio di leale collaborazione», che imporrebbe di rispettare gli impegni assunti.

2.– Con atto depositato il 28 settembre 2020, si è costituita in giudizio la Regione autonoma Sardegna e ha chiesto di dichiarare inammissibili o comunque non fondate le questioni promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri.

La difesa regionale evidenzia, in premessa, che la disciplina impugnata riguarda il solo ambito urbanistico-edilizio ed è rispettosa dei vincoli paesaggistici.

2.1.– Il primo motivo di ricorso sarebbe inammissibile e comunque non fondato.

2.1.1.– In linea preliminare, la Regione autonoma Sardegna replica che la censura si fonda sull’erroneo presupposto interpretativo che la legge regionale non preveda l’obbligo di rispettare le prescrizioni del piano paesaggistico.

Sarebbe lo stesso ricorrente a riconoscere che la legge impugnata non deroga all’obbligo di pianificazione congiunta e ai vincoli dettati dal piano paesaggistico. Peraltro, il ricorrente non avrebbe tenuto conto della particolare tutela che la disciplina appresta per le «aree maggiormente sensibili» e avrebbe privilegiato una interpretazione non conforme a Costituzione al solo scopo di «censurare scelte lato sensu politiche del legislatore regionale», concernenti il diverso profilo urbanistico-edilizio.

2.1.1.– Nel merito, la questione non sarebbe comunque fondata.

La disciplina impugnata non escluderebbe in alcun modo la pianificazione congiunta, obbligatoria con esclusivo riguardo a beni vincolati, e non derogherebbe né al regime della pianificazione paesaggistica né a quello dell’autorizzazione paesaggistica. Essa si limiterebbe a consentire incrementi volumetrici minimi e inciderebbe su aree già completamente edificate, al fine di ridurre il consumo di suolo, di riqualificare il patrimonio edilizio esistente e di migliorarne le prestazioni energetiche. La tutela dei beni vincolati sarebbe pur sempre assicurata dalla valutazione di compatibilità con i valori ambientali.

2.2.– Quanto alla dedotta lesione dell’art. 9 Cost., le censure sarebbero inammissibili e comunque non fondate.

2.2.1.– Il ricorrente non avrebbe illustrato le ragioni del contrasto con il parametro costituzionale evocato. Il motivo di ricorso, formulato in termini generici, sarebbe pertanto inammissibile.

2.2.2.– La censura sarebbe comunque, nel merito, non fondata.

La difesa regionale ribadisce che la legge impugnata non contrasta con l’obbligo di elaborazione congiunta del piano paesaggistico né «influisce negativamente sui percorsi di collaborazione con lo Stato». La pianificazione paesaggistica sarebbe, difatti, salvaguardata.

2.3.– Inammissibile e comunque non fondato sarebbe anche il terzo motivo di ricorso.

2.3.1.– Il ricorrente non avrebbe chiarito per quali ragioni il principio di leale collaborazione sia stato violato.

2.3.2.– Le doglianze del ricorrente non sarebbero comunque fondate.

La proroga impugnata non violerebbe gli accordi già conclusi tra la Regione autonoma Sardegna e lo Stato né interferirebbe con la fruttuosa attività di collaborazione per la verifica del piano paesaggistico vigente, relativo agli ambiti costieri, e per l’approvazione congiunta del piano riferito agli ambiti interni.

3.– In prossimità dell’udienza, la Regione autonoma Sardegna ha depositato una memoria illustrativa, per ribadire le conclusioni già rassegnate nell’atto di costituzione.

La difesa regionale osserva che gli interventi consentiti dalla disposizione impugnata attengono al solo ambito urbanistico-edilizio e insistono in zone «completamente urbanizzate e anche del tutto edificate». Tali interventi sarebbero finalizzati a migliorare il patrimonio edilizio esistente, mediante la realizzazione di «modeste cubature aggiuntive», nel rispetto della pianificazione paesaggistica e dell’obbligo di pianificazione congiunta.

Le previsioni prorogate dalla disciplina impugnata si riconnetterebbero all’intesa sul “Piano casa”, che prevede la validità temporalmente definita, non superiore a diciotto mesi, delle leggi regionali attuative, «salvo diverse determinazioni delle singole regioni» e impone il rispetto delle prescrizioni in tema di paesaggio. La legge reg. Sardegna n. 17 del 2020 sarebbe coerente con la normativa statale.

Il ricorso statale sovrapporrebbe «il piano delle deroghe alle competenze urbanistiche degli enti locali» con quello diverso «della tutela dei valori paesaggistici». Spetterebbe peraltro alla Regione autonoma Sardegna, in quanto titolare di potestà legislativa primaria in materia di edilizia e urbanistica, «stabilire i modelli urbanistici e modificarli, in modo temporaneo o anche permanente», così da bilanciare l’esigenza di apprestare adeguate opere di urbanizzazione con quella di riqualificare il patrimonio edilizio esistente e di limitare il consumo di suolo.

La difesa regionale osserva, infine, che il mancato espresso richiamo della normativa di tutela del paesaggio non può essere considerato come una deroga alle relative previsioni, anche con riguardo alla pianificazione paesaggistica congiunta, imposta solo per «specifici e ben individuati beni paesaggistici».

4.– All’udienza, le parti hanno confermato le conclusioni rassegnate nelle difese scritte.

Considerato in diritto

1.– Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 70 del 2020), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato, in riferimento all’art. 3 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) e agli artt. 9, 117, secondo comma, lettera s), e 120 della Costituzione, l’art. 1 della legge della Regione Sardegna 24 giugno 2020, n. 17 (Modifiche alla legge regionale n. 22 del 2019 in materia di proroga di termini).

1.1.– La disposizione impugnata proroga fino al 31 dicembre 2020 le previsioni della legge della Regione Sardegna 23 aprile 2015, n. 8 (Norme per la semplificazione e il riordino di disposizioni in materia urbanistica ed edilizia e per il miglioramento del patrimonio edilizio), che, ad avviso del ricorrente, consentirebbero «la realizzazione di volumi edilizi in deroga agli strumenti urbanistici» anche nelle aree sottoposte a tutela paesaggistica in virtù del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137).

Per effetto delle numerose proroghe disposte in precedenza dal legislatore regionale, si riscontrerebbe una «sostanziale stabilizzazione» delle deroghe consentite dall’originaria disciplina, caratterizzata da una durata temporale circoscritta e riguardante i soli «interventi “straordinari”», e sarebbe pertanto notevolmente più elevato «il numero degli interventi assentibili in contrasto con la disciplina urbanistica».

1.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri assume che l’ultima proroga prevista dalla normativa regionale renda stabile «una disciplina eccezionale, in quanto volta a consentire realizzazione di volumi edilizi in deroga agli strumenti urbanistici» e si ponga in contrasto, sotto molteplici profili, con lo statuto speciale e con la Costituzione.

1.2.1.– Il ricorrente, in primo luogo, impugna l’art. 1 della legge reg. Sardegna n. 17 del 2020 in riferimento all’art. 3 dello statuto speciale, «come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975», e all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., «rispetto alla quale costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio».

La potestà legislativa in materia di edilizia e urbanistica, attribuita alla Regione autonoma Sardegna dall’art. 3, lettera f), dello statuto speciale, sarebbe vincolata al rispetto delle previsioni del d.lgs. n. 42 del 2004, che impongono l’obbligo di pianificazione congiunta «rispetto ai beni paesaggistici sottoposti a tutela» e sanciscono la prevalenza del piano paesaggistico su tutti gli altri atti di pianificazione territoriale e urbanistica, in coerenza con il valore imprescindibile dell’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica.

Gli interventi consentiti dalla disposizione impugnata non si armonizzerebbero con il «necessario quadro di riferimento» del piano paesaggistico. Elaborato d’intesa tra Stato e Regione, tale piano individuerebbe le prescrizioni d’uso applicabili a ciascuna area tutelata, «la tipologia delle trasformazioni compatibili, di quelle vietate e le condizioni delle eventuali trasformazioni», al fine di evitare che, in occasione del rilascio delle singole autorizzazioni paesaggistiche, le trasformazioni siano valutate «in modo parcellizzato e non nell’ambito della considerazione complessiva del contesto tutelato».

In Sardegna – precisa il ricorrente – sarebbe stato approvato il 5 settembre 2006 soltanto il piano paesaggistico per le aree costiere, che nel frattempo non sarebbe stato adeguato. Per le aree interne, il piano paesaggistico non sarebbe stato ancora definito.

In base alla previsione impugnata, la disciplina derogatoria si applicherebbe anche alle aree interne dell’isola, in difetto di una pianificazione paesaggistica, e alle aree costiere, sottoposte a una pianificazione paesaggistica «non adeguata al Codice».

Inoltre, il legislatore regionale, con l’ulteriore proroga della disciplina riguardante il miglioramento del patrimonio edilizio esistente, si sottrarrebbe arbitrariamente «al proprio obbligo di redazione congiunta con il Ministero per i beni e le attività culturali del piano paesaggistico».

Il ricorrente argomenta che i diritti costituzionali come «l’interesse alla tutela del paesaggio e il principio di copianificazione» possono essere sacrificati soltanto «per ragioni eccezionali, per un limitato arco temporale» (si richiama la sentenza di questa Corte n. 186 del 2013). Nel caso di specie, per contro, il sacrificio degli interessi costituzionalmente rilevanti si protrarrebbe per un tempo indefinito.

1.2.2.– In secondo luogo, sarebbe violato l’art. 9 Cost., «anche in relazione all’articolo 117, secondo comma, lett. s)» Cost.

La normativa impugnata, nel disporre «la proroga sine die» di una disciplina lesiva «del principio fondamentale di co-gestione e co-pianificazione del territorio e del paesaggio», sarebbe «potenzialmente pregiudizievole per la tutela del paesaggio, che ha valenza di interesse costituzionale primario e assoluto».

Il ricorrente ribadisce che l’obbligo della «co-pianificazione tra Stato e Regione per i beni paesaggistici» è «l’architrave del sistema di tutela» e non sminuisce «il ruolo centrale, strategico e propositivo dell’autonomia regionale», chiamata a confrontarsi «su un piano paritario» con il ruolo non meno cruciale degli uffici periferici dello Stato.

I beni paesaggistici di ogni Regione, peraltro, trascenderebbero l’ambito locale, in quanto «beni comuni riferibili all’intera collettività nazionale». In quest’orizzonte si inquadrerebbe la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia della tutela dell’ambiente.

1.2.3.– Il ricorrente denuncia, infine, la violazione del principio di leale collaborazione (art. 120 Cost.), che presiederebbe a tutti i rapporti tra Stato e Regioni e imporrebbe di tenere fede agli impegni assunti.

La Regione autonoma Sardegna avrebbe adottato «iniziative unilaterali e reiterate», in contrasto con il «percorso di collaborazione già proficuamente avviato con lo Stato», e si sarebbe così arbitrariamente sottratta all’impegno di redazione congiunta del piano paesaggistico con il Ministero dei beni e delle attività culturali.

2.– Occorre delimitare, preliminarmente, il tema del decidere sottoposto allo scrutinio di questa Corte.

Con l’art. 17, comma 2, della legge della Regione Sardegna 18 gennaio 2021, n. 1 (Disposizioni per il riuso, la riqualificazione ed il recupero del patrimonio edilizio esistente ed in materia di governo del territorio. Misure straordinarie urgenti e modifiche alle leggi regionali n. 8 del 2015, n. 23 del 1985, n. 24 del 2016 e n. 16 del 2017), la vigenza delle disposizioni derogatorie è stata differita fino al 31 dicembre 2023.

Tale ulteriore proroga, menzionata dalla parte resistente nella memoria illustrativa, è stata impugnata in via autonoma dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso iscritto al n. 22 del reg. ric. del 2021. Lo scrutinio di questa Corte è circoscritto, pertanto, alla sola proroga fino al 31 dicembre 2020 e non si estende all’ultimo differimento sancito dal legislatore regionale.

3.– Le questioni di legittimità costituzionale, in quanto strettamente connesse, possono essere esaminate in una prospettiva unitaria.

Esse si incentrano sulla deroga alla pianificazione paesaggistica e all’obbligo di pianificazione congiunta, censurata in riferimento all’art. 3 dello statuto speciale e agli artt. 9, 117, secondo comma, lettera s), e 120 Cost.

4.– Occorre prendere le mosse dalle eccezioni di inammissibilità che, in linea preliminare, ha formulato la parte resistente.

4.1.– Il ricorrente avrebbe omesso di sperimentare una interpretazione adeguatrice della disciplina impugnata, che non pregiudicherebbe la tutela del paesaggio e riguarderebbe i soli aspetti urbanistico-edilizi.

4.2.– La difesa dello Stato non avrebbe neppure dato conto delle specifiche previsioni che il legislatore regionale ha dettato, allo scopo di circoscrivere la portata della deroga e di escludere dal suo ambito applicativo i beni vincolati.

4.3.– Ad avviso della Regione autonoma Sardegna, tali carenze nella ricostruzione del quadro normativo impedirebbero di comprendere per quale ragione siano violati i parametri costituzionali evocati, con particolare riguardo agli artt. 9 e 120 Cost.

Il mero richiamo all’obbligatorietà della pianificazione congiunta non consentirebbe di superare il vaglio di ammissibilità della questione.

5.– Le eccezioni sono fondate, nei limiti e per i motivi che saranno di seguito precisati.

5.1.– Questa Corte è costante nell’affermare che «l’esigenza di un’adeguata motivazione a fondamento dell’impugnazione si pone in termini ancora più rigorosi nei giudizi proposti in via principale rispetto a quelli instaurati in via incidentale» (sentenza n. 20 del 2021, punto 2.2. del Considerato in diritto).

Il ricorrente ha l’onere non soltanto di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali di cui denuncia la violazione, ma anche di suffragare le ragioni del dedotto contrasto con una argomentazione non meramente assertiva, sufficientemente chiara e completa (fra le molte, sentenza n. 95 del 2021, punto 2.2. del Considerato in diritto).

5.2.– Il ricorrente non ha ottemperato a tale onere.

5.2.1.– L’impugnazione concerne una disposizione che proroga, facendo seguito ad altre proroghe, la vigenza di precedenti disposizioni.

La difesa statale si limita a passare in rassegna la successione delle proroghe delle previsioni a partire dalla legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, fino a quella sancita dalla normativa impugnata. I rilievi del ricorrente si esauriscono nel richiamo all’incidenza delle proroghe, nel loro concatenarsi, sulle «disposizioni temporanee di cui al Titolo II – Capo I “Norme per il miglioramento del patrimonio esistente” della legge regionale n. 8 del 2015».

Il prolungato succedersi delle proroghe di una disciplina derogatoria, in contrasto con le esigenze di una regolamentazione organica e razionale dell’assetto del territorio, presenta un innegabile rilievo.

Il ricorrente, tuttavia, avrebbe dovuto corroborare tale dato, meritevole di attenta considerazione, con la disamina del contenuto delle disposizioni prorogate, che sola avrebbe potuto dimostrare l’eventuale conflitto con la pianificazione paesaggistica.

Il mero richiamo all’elemento temporale non è sufficiente a illustrare il senso e il fondamento delle censure.

5.2.2.– La disposizione di proroga, difatti, rivela il suo contenuto precettivo nell’interazione con le previsioni cui si raccorda, nel differirne il termine di vigenza. Una considerazione dell’ultima modificazione, avulsa dalla complessa trama normativa in cui si colloca, non consente di far luce sui profili di illegittimità costituzionale di una disciplina che, nell’avvicendarsi delle proroghe, si presenta unitaria e inscindibile.

Tali profili si incentrano sulla lesione della sfera di competenza esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.), che il ricorrente riconnette al mero perdurare di una disciplina transitoria. La violazione del riparto delle competenze, tuttavia, deve essere valutata con riguardo alla normativa originaria, di volta in volta prorogata, e non può essere esclusa soltanto sulla base della sua temporaneità. Si può ravvisare un carattere lesivo della proroga, con riguardo alle attribuzioni legislative dello Stato, solo se tale carattere sia insito anche nella disposizione differita nel suo termine iniziale di efficacia.

Sul contenuto delle disposizioni oggetto di proroga, che si saldano a quelle impugnate, il ricorrente non offre, invece, ragguagli di sorta e si limita a evidenziare che si tratta di una disciplina derogatoria, dapprima applicabile per un arco temporale limitato. Tale normativa consentirebbe la realizzazione di volumi edilizi in deroga agli strumenti urbanistici e a sua volta si collocherebbe nell’alveo della disciplina derogatoria del “Piano casa” regionale, dettata dalla legge della Regione Sardegna 23 ottobre 2009, n. 4 (Disposizioni straordinarie per il sostegno dell’economia mediante il rilancio del settore edilizio e per la promozione di interventi e programmi di valenza strategica per lo sviluppo).

È lo stesso ricorrente a ricordare che la disciplina oggetto dell’impugnato differimento è «articolata», senza fornire, tuttavia, ulteriori indicazioni in merito all’adombrata complessità.

Un’accurata ricostruzione del quadro normativo sarebbe stata ancor più necessaria alla luce tanto del carattere eterogeneo delle previsioni prorogate, contraddistinte da molteplici e dettagliati presupposti applicativi, quanto del susseguirsi di interventi legislativi che ne hanno via via mutato il contenuto.

Invero, l’art. 37 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, nel definire l’ambito temporale di applicazione della disciplina finalizzata al «miglioramento del patrimonio esistente», si riferisce all’intero Capo I del Titolo II, che investe i profili più disparati. La disciplina dettata dal legislatore regionale spazia dagli interventi di incremento volumetrico del patrimonio edilizio esistente (art. 30) e di incremento volumetrico delle strutture destinate all’esercizio di attività turistico-ricettive (art. 31) agli interventi per il riuso e il recupero con incremento volumetrico dei sottotetti esistenti (art. 32) e per il riuso degli spazi di grande altezza (art. 33).

Tale disciplina è stata poi modificata dalla legge della Regione Sardegna 3 luglio 2017, n. 11 (Disposizioni urgenti in materia urbanistica ed edilizia. Modifiche alla legge regionale n. 23 del 1985, alla legge regionale n. 45 del 1989, alla legge regionale n. 8 del 2015, alla legge regionale n. 28 del 1998, alla legge regionale n. 9 del 2006, alla legge regionale n. 22 del 1984 e alla legge regionale n. 12 del 1994).

Il ricorrente trascura del tutto di confrontarsi con le molteplici articolazioni e con la rilevante evoluzione del dato normativo, elementi cruciali ai fini del corretto inquadramento delle censure.

5.2.3.– Il ricorrente, inoltre, pur censurando in via prioritaria la violazione della competenza esclusiva dello Stato nella materia della tutela dell’ambiente, non ha allegato in maniera puntuale, né dimostrato che una complessa disciplina preordinata, per sua stessa ammissione, a incrementare «il numero degli interventi assentibili in contrasto con la disciplina urbanistica» interferisca anche con il diverso profilo della tutela del paesaggio. Non si rinvengono argomenti risolutivi per affermare che la disciplina impugnata confligga con le previsioni del d.lgs. n. 42 del 2004, qualificate come «norme interposte» e dotate di forza cogente anche in mancanza di un espresso richiamo da parte della legislazione regionale (sentenza n. 124 del 2021, punto 5.4.3.2. del Considerato in diritto).

Non si può reputare sufficiente, a tale riguardo, la diffusa esposizione in merito al carattere sovraordinato della pianificazione paesaggistica e all’obbligo di elaborazione congiunta. Gli argomenti prospettati dal ricorrente prescindono dalla particolarità della normativa censurata e non avvalorano l’assunto che, nel caso di specie, sia stato compromesso quel valore unitario e prevalente della pianificazione paesaggistica. Tale valore mantiene intatta la sua forza imperativa anche con riguardo alle leggi regionali attuative del “piano casa”, piano che, pur nelle sue differenti versioni, deve essere sottoposto a stretta interpretazione per quel che attiene alla sua portata derogatoria (sentenza n. 217 del 2020, punto 4.2. del Considerato in diritto).

Né si offrono elementi decisivi per ritenere che la proroga impugnata, nella sua connessione con la disciplina originaria, contrasti con l’obbligo di pianificazione congiunta nelle ipotesi delineate dall’art. 135, comma 1, terzo periodo, del d.lgs. n. 42 del 2004.

Quanto alla diversa vicenda del mancato adeguamento del piano paesaggistico relativo alle aree costiere e della mancata approvazione del piano delle aree interne, il ricorrente non spiega quale nesso intercorra con la censurata disciplina di proroga né deduce in maniera univoca la violazione delle intese preliminari, che scandiscono il percorso di approvazione definitiva del piano paesaggistico.

6.– Le segnalate lacune nella ricostruzione del sistema normativo in cui la previsione impugnata si colloca convergono nel rendere inammissibili le questioni, nei termini in cui sono state prospettate.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Sardegna 24 giugno 2020, n. 17 (Modifiche alla legge regionale n. 22 del 2019 in materia di proroga di termini), promosse, in riferimento all’art. 3 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) e agli artt. 9, 117, secondo comma, lettera s), e 120 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 luglio 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Silvana SCIARRA, Redattore

Filomena PERRONE, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2021.