SENTENZA N. 166
ANNO 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giorgio LATTANZI;
Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario
Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio
PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale
degli artt. 34, 37, 39 e 45 della legge
della Regione Sardegna 13 marzo 2018, n. 8 (Nuove norme in materia di contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture), promosso dal Presidente del
Consiglio dei ministri con ricorso
notificato l’11-15 maggio 2018, depositato il 15 maggio 2018, iscritto al n. 36
del registro ricorsi 2018 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 2018.
Visto l’atto di costituzione della Regione
Sardegna;
udito nella udienza pubblica del 21 maggio 2019
il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;
uditi l’avvocato dello Stato Marco Corsini per
il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Mattia Pani per la
Regione Sardegna.
Ritenuto in fatto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli
artt. 34, 37, 39 e 45 della legge della Regione Sardegna 13 marzo 2018, n. 8
(Nuove norme in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture),
per violazione dell’art.
117, secondo comma, lettere e) ed l), della Costituzione.
1.1.– Premette il ricorrente che la Regione
Sardegna, ai sensi dell’art. 3, lettera e), della legge costituzionale 26
febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), gode di competenza
legislativa primaria in materia di lavori pubblici di esclusivo interesse della
Regione.
Secondo la giurisprudenza costituzionale,
tuttavia, le norme relative alle procedure di gara e alla stipulazione ed
esecuzione dei contratti pubblici non andrebbero ricondotte alla menzionata
competenza legislativa primaria della Regione Sardegna ma a quella esclusiva
dello Stato nelle materie della tutela della concorrenza e dell’ordinamento
civile.
1.2.– Ciò premesso, il ricorrente impugna, in
primo luogo, l’art. 34 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2018, ricordando che,
ai sensi del comma 1, «Per ogni singolo intervento da realizzarsi mediante un
contratto pubblico, le amministrazioni aggiudicatrici […] nominano un
responsabile unico del procedimento per le fasi della programmazione, della
progettazione, dell’affidamento e dell’esecuzione del contratto pubblico. Tali
fasi costituiscono, unitariamente considerate, il progetto del contratto
pubblico e il responsabile unico del procedimento è il "responsabile di
progetto”».
Il principio di unicità del responsabile del
procedimento sancito dal comma 1 sarebbe in linea con quanto previsto dall’art.
31, comma 1, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei
contratti pubblici), secondo cui per ogni singola procedura per l’affidamento
di un appalto o di una concessione le stazioni appaltanti individuano,
nell’atto di adozione o di aggiornamento dei programmi, ovvero nell’atto di
avvio relativo ad ogni singolo intervento per le esigenze non incluse in
programmazione, un responsabile unico del procedimento (RUP) per le fasi della
programmazione, della progettazione, dell’affidamento, dell’esecuzione.
Tale principio, tuttavia, verrebbe tradito dal
successivo comma 2 dell’art. 34 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2018, ove si
conferisce la facoltà alle amministrazioni aggiudicatrici di nominare un
responsabile del procedimento per le fasi di programmazione, progettazione ed
esecuzione e un responsabile per la fase di affidamento, così dando luogo a una
«stratificazione delle responsabilità», che farebbe venir meno il «concetto
stesso di responsabile unico del procedimento».
1.3.– Il ricorrente impugna, poi, l’art. 37
della legge reg. Sardegna n. 8 del 2018, rubricato «Commissione giudicatrice»,
il quale prevede che, «ai fini della nomina dei componenti della commissione di
gara, la Regione istituisce e gestisce l’Albo telematico dei commissari di
gara, suddiviso per categorie di specializzazione, a cui le stazioni appaltanti
hanno accesso libero e diretto» (comma 1).
Tale previsione si discosterebbe dall’art. 78
del d. lgs. n. 50 del 2016 (d’ora in avanti: nuovo codice dei contratti
pubblici), che, in attuazione dell’art. 1, comma 1, lettera hh),
della legge 28 gennaio 2016, n. 11 (Deleghe al Governo per l’attuazione delle
direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di
concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti
erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi
postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di
contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture), istituisce presso
l’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), «l’Albo nazionale obbligatorio dei
componenti delle commissioni aggiudicatrici nelle procedure di affidamento dei
contratti pubblici», conferendo, altresì, all’Autorità medesima la competenza a
definire, con apposite linee guida, i criteri e le modalità di iscrizione
all’albo, nonché le modalità di funzionamento delle commissioni giudicatrici.
1.4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri
impugna, ancora, l’art. 39 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2018, rubricato
«Linee guida e codice regionale di buone pratiche», che, nell’attribuire alla
Giunta regionale l’adozione di linee guida, documentazione standard, capitolati
speciali e schemi di contratto, nonché del codice regionale di buone pratiche,
si sovrapporrebbe alle competenze che l’art. 213, comma 2, del nuovo codice dei
contratti pubblici, in attuazione dell’art. 1, comma 1, lettera t), della legge
delega n. 11 del 2016, attribuisce all’ANAC, chiamata ad adottare atti di
indirizzo, quali «linee guida, bandi tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo ed
altri strumenti di regolazione flessibile», anche dotati di efficacia
vincolante.
È vero – prosegue il ricorrente – che la norma
regionale dispone che gli atti della Giunta debbano essere approvati «in
coerenza» con le linee guida e con i bandi tipo dell’ANAC, ma non sarebbe
previsto alcun meccanismo di verifica di tale coerenza.
Come evidenziato dalla Corte costituzionale con
la sentenza n.
183 (recte, 187) del 2013, il rapporto tra le
funzioni dell’Autorità di vigilanza nell’approvazione dei bandi-tipo e
l’obbligo di adeguamento delle stazioni appaltanti risponderebbe ad esigenze
unitarie, «che non tollerano alcun margine di discrezionalità "intermedio”
riservato alla Giunta».
A ciò si dovrebbe aggiungere che le funzioni
svolte dall’Autorità mirano a garantire la tutela e la promozione della
concorrenza e la realizzazione di mercati concorrenziali (si cita la sentenza n. 41 del
2013).
1.5.– Il ricorrente impugna, infine, l’art. 45
della legge reg. Sardegna n. 8 del 2018, rubricato «Qualificazione delle
stazioni appaltanti», il quale articolo dispone che, «Con deliberazione della
Giunta regionale, da adottarsi su proposta del Presidente della Regione entro
sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, ai fini
della qualificazione delle stazioni appaltanti, sono definiti i requisiti
necessari sulla base dei criteri di qualità, efficienza e
professionalizzazione, tra cui, per le centrali di committenza, il carattere di
stabilità delle attività e il relativo ambito territoriale, tenendo conto dei
princìpi previsti dalla normativa statale vigente».
Secondo il Presidente del Consiglio dei
ministri, la norma censurata non è coordinata con quanto disposto dalle lettere
bb) e dd) dell’art. 1,
comma 1, della legge delega n. 11 del 2016, che demandano al legislatore
delegato la «razionalizzazione delle procedure di spesa attraverso
l’applicazione di criteri di qualità, efficienza, professionalizzazione delle stazioni
appaltanti, prevedendo […] l’introduzione di un apposito sistema, gestito
dall’ANAC, di qualificazione delle medesime stazioni appaltanti, teso a
valutarne l’effettiva capacità tecnica e organizzativa, sulla base di parametri
obiettivi», nonché attraverso adeguate forme di centralizzazione delle
committenze e di riduzione del numero delle amministrazioni aggiudicatrici,
basate proprio sul sistema di qualificazione, che consente di gestire contratti
di diversa complessità a seconda del grado abilitazione conseguito.
La norma impugnata, conseguentemente, sarebbe
in contrasto anche con l’art. 38 del nuovo codice dei contratti pubblici, che,
in esecuzione dei cennati criteri di delega, istituisce presso l’ANAC, che ne
assicura la pubblicità, un apposito elenco delle stazioni appaltanti
qualificate di cui fanno parte anche le centrali di committenza.
2.– Si è costituita in giudizio la Regione
Sardegna, chiedendo di dichiarare l’inammissibilità, ovvero, in via
subordinata, l’infondatezza delle questioni sollevate.
2.1.− La resistente ritiene, in primo luogo, di dovere «dare
conto del quadro normativo, costituzionale e giurisprudenziale nell’ambito del
quale si è mosso il legislatore regionale».
Osserva la Regione Sardegna che, ai sensi
dell’art. 3, lettere a), ed e), dello statuto e dell’art. 117, quarto comma,
Cost., essa dispone di competenza legislativa di tipo primario in materia di
organizzazione amministrativa e di lavori pubblici di esclusivo interesse
regionale, mentre, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettere e) ed l),
Cost., lo Stato dispone di potestà legislativa esclusiva in materia di tutela
della concorrenza e ordinamento civile.
Questa Corte avrebbe già avuto modo di
affermare, con la sentenza
n. 43 del 2011, la riconducibilità della disciplina dell’attività del
responsabile unico del procedimento alla materia dell’organizzazione
amministrativa.
Più in generale, sarebbero ascrivibili alla
competenza legislativa regionale i profili di carattere organizzativo e di
semplificazione procedimentale relativi ai lavori pubblici di interesse
regionale (si cita la sentenza n. 401 del
2007 sulla composizione e sulle modalità di nomina delle commissioni
giudicatrici).
2.2.– Fatte queste premesse, la Regione
Sardegna solleva una serie di eccezioni di inammissibilità del ricorso,
principiando dal rilievo che il ricorrente, nell’articolare le censure, non
avrebbe tenuto in debita considerazione le norme statutarie che le conferiscono
una competenza legislativa primaria negli ambiti regolati dagli articoli
contestati.
Il ricorrente cioè, assumerebbe che la Regione
Sardegna goda di competenza legislativa di tipo primario nella materia dei
lavori pubblici di esclusivo interesse regionale, ma, contraddittoriamente,
postulerebbe un’applicazione automatica e illimitata del codice dei contratti
pubblici, «senza nessuna graduazione doverosa in ragione degli ambiti di
autonomia esclusiva e speciale» della resistente.
2.3.– Il ricorso sarebbe poi inammissibile per
difetto di interesse «attuale, immediato e concreto» all’impugnazione, non
essendovi dimostrazione alcuna che l’applicazione delle norme censurate «possa
comportare un disvalore e/o una compromissione» dei princìpi statali posti a
tutela della concorrenza.
2.4.– Ancora, l’inammissibilità del ricorso
deriverebbe dalla asserita genericità della motivazione posta
a fondamento delle censure avanzate.
Segnatamente, la difesa statale non avrebbe in
alcun modo spiegato le ragioni per cui i parametri costituzionali invocati
sarebbero violati dalle disposizioni impugnate, e ciò nonostante la costante
giurisprudenza costituzionale richieda che il ricorso in via principale si
fondi su un’argomentazione adeguata e non assertiva, e quindi contenga una sia
pur sintetica argomentazione di merito a sostegno della richiesta declaratoria
d’incostituzionalità.
2.5.– Il ricorso sarebbe inoltre inammissibile,
perché il Presidente del Consiglio dei ministri non avrebbe spiegato il motivo
per cui, pur impugnando una legge della Regione Sardegna, abbia preso in
considerazione l’art. 117, secondo comma, lettere e) e l), Cost., in luogo
delle norme statutarie.
2.6.– Sul rilievo, poi, che il ricorrente ha
impugnato formalmente gli interi artt. 34, 37 e 39 della legge regionale n. 8
del 2018, sviluppando specifiche censure solo con riferimento ad alcuni commi
di tali disposizioni, la Regione Sardegna eccepisce l’inammissibilità del
ricorso, per un verso, con riferimento ai restanti commi, e, per altro verso,
con riferimento a quelli effettivamente censurati, poiché «l’eventuale
accoglimento sarebbe nella sostanza inutile posto che residuerebbe, comunque,
il disegno organizzativo ipotizzato dalla Regione».
2.7.– L’ultima ragione di inammissibilità
riguarderebbe i motivi di ricorso «nn. 2, 3 e 4»,
nella misura in cui assumono la pretesa violazione delle «competenze/potestà
regolamentari» dell’ANAC.
Afferma la Regione resistente che la sua
potestà legislativa primaria in materia di lavori pubblici e di organizzazione
amministrativa non potrebbe essere ridimensionata dall’adozione da parte
dell’ANAC di atti di indirizzo, quali linee guida, bandi tipo, contratti-tipo
ed altri strumenti di regolazione flessibile, ovvero di delibere rese
nell’esercizio del suo potere regolamentare.
In ossequio ad un «doveroso rispetto della
gerarchia delle fonti che riconosce rilievo costituzionale allo Statuto della
Sardegna», si eccepisce, quindi, che «l’ipotizzato contrasto della normativa
regionale con l’eventuale spazio regolamentare riconosciuto ad ANAC è
inammissibile», in particolare ove esso si situi in ambiti di competenza
legislativa regionale, dal momento che, ai sensi dell’art. 117, sesto comma,
Cost., lo Stato ha potestà regolamentare solo nelle materie di legislazione
esclusiva.
2.8.– Nel merito, secondo la Regione
resistente, il ricorso è infondato, poiché si basa sull’erroneo presupposto che
le norme impugnate abbiano travalicato le competenze statutarie, invadendo quelle
esclusive dello Stato in materia di tutela della concorrenza e ordinamento
civile.
2.9.– Quanto all’art. 34 della legge reg.
Sardegna n. 8 del 2018, la resistente ritiene che l’unicità del responsabile
del procedimento non sia stata messa in discussione, poiché il comma 1
espressamente afferma il principio dell’unitarietà delle funzioni nella
gestione di tutte le fasi della «filiera del contratto» e i commi 2 e 3 lo
richiamano e rafforzano.
Le disposizioni regionali impugnate, regolando
le modalità di svolgimento delle funzioni, che afferiscono «all’ambito
dell’organizzazione amministrativa, nel quale si esplica la potestà legislativa
esclusiva della Regione», da un lato, introducono la figura del responsabile di
progetto, che garantisce l’unitarietà nella gestione di tutte le fasi
realizzative di un contratto pubblico, e, dall’altro, riconducono «ad unità le
diverse fasi del procedimento contrattuale, nel quale sono oggettivamente
individuabili sub-procedimenti, connotati ciascuno da una innegabile necessità
di specifica specializzazione».
Sarebbe lo stesso legislatore statale, del
resto, ad individuare espressamente i sub-procedimenti nel comma 3 dell’art. 31
del codice dei contratti pubblici.
2.10.– Quanto al censurato art. 37 della legge
reg. Sardegna n. 8 del 2018, la resistente osserva che la Corte costituzionale,
con la sentenza
n. 401 del 2007, ha evidenziato come la disciplina della composizione e
delle modalità di scelta dei componenti delle commissioni giudicatrici non sia
riconducibile alla competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della
concorrenza ma a quella regionale in materia di organizzazione amministrativa.
La questione sarebbe poi non fondata perché,
«facendosi riferimento quale parametro di giudizio alla potestà regolamentare
dell’ANAC […], si imporrebbe al legislatore regionale una disciplina
regolamentare in una materia, quale quella della "organizzazione
amministrativa” relativa alle Commissioni di gara», non riconducibile alla
competenza legislativa esclusiva dello Stato, in violazione dell’art. 117,
sesto comma, Cost.
2.11.– Quanto all’art. 39 della legge reg.
Sardegna n. 8 del 2018, la resistente osserva che la disposizione impugnata prevede
che la Giunta regionale approva, con propria determinazione, standard e linee
guida «in coerenza con le linee guida e con i bandi tipo dell’ANAC».
Tale formulazione non potrebbe considerarsi
lesiva dei princìpi posti a tutela della concorrenza e delle prerogative
statali in materia. Anche ove si convenisse con il ricorrente che non è
previsto alcun «meccanismo di verifica di tale coerenza», sarebbe comunque vero
che, in assenza della indispensabile armonizzazione con le regole dell’ANAC, la
Regione non potrebbe adottare alcun provvedimento o che comunque i
provvedimenti adottati sarebbero illegittimi per contrasto con la stessa legge
regionale.
2.12.– Quanto infine all’ultima questione
avente ad oggetto l’art. 45 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2018, la
resistente ritiene che la norma regionale non invada le materie della tutela
della concorrenza e dell’ordinamento civile.
La definizione dei requisiti di qualificazione
delle stazioni appaltanti, affidata alla Giunta regionale, tenendo conto dei
princìpi previsti dalla normativa statale vigente, non afferirebbe ad alcun
ambito dei contratti pubblici e, in particolare, non interferirebbe con la
disciplina delle procedure di gara e neppure con le fasi negoziale ed
esecutiva.
Viceversa, la disciplina della qualificazione
atterrebbe più propriamente alla materia dell’organizzazione amministrativa,
come emergerebbe dalla stessa legge delega n. 11 del 2016, che all’art. 1
annovera tra i princìpi e i criteri direttivi la razionalizzazione delle
procedure di spesa attraverso l’applicazione di criteri di qualità, efficienza
e professionalizzazione delle stazioni appaltanti.
Nonostante il comma 1 di tale disposizione,
alla lettera bb), preveda l’introduzione «di un
apposito sistema, gestito dall’ANAC, di qualificazione delle medesime stazioni
appaltanti, teso a valutarne l’effettiva capacità tecnica e organizzativa,
sulla base di parametri obiettivi», esso andrebbe interpretato e applicato
tenendo conto delle regole di riparto delle competenze di cui all’art. 117
Cost., anche alla luce dell’art. 2, comma 3, del codice dei contratti pubblici.
Si tratterebbe, quindi, di una «materia
intimamente connessa con la potestà di auto-organizzazione della Regione […],
in quanto nella valutazione delle capacità amministrative e gestionali delle
stazioni appaltanti non sono estranee problematiche di contesto, così come le
ragioni dell’insularità e la necessità di tener conto della legislazione di
settore (come quella sulle autonomie locali)».
La questione sarebbe poi infondata perché,
«facendosi riferimento quale parametro di giudizio alla potestà regolamentare
dell’ANAC […], si imporrebbe al legislatore regionale una disciplina
regolamentare» in una materia, quale quella dell’organizzazione amministrativa,
non di competenza esclusiva dello Stato, in violazione dell’art. 117, sesto
comma, Cost.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha
impugnato gli artt. 34, 37, 39 e 45 della legge della Regione Sardegna 13 marzo
2018, n. 8 (Nuove norme in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture), per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere e) ed l),
della Costituzione.
Secondo il ricorrente, le disposizioni
censurate – regolanti, rispettivamente, il responsabile unico del procedimento,
l’albo telematico dei commissari di gara, le linee guida e il codice regionale
di buone pratiche, e la qualificazione delle stazioni appaltanti – non
sarebbero riconducibili alla materia dei lavori pubblici di esclusivo interesse
regionale, di competenza primaria della Regione Sardegna ai sensi dell’art. 3,
lettera e), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale
per la Sardegna), ma alla tutela della concorrenza e all’ordinamento civile, di
competenza esclusiva dello Stato.
2.– La Regione Sardegna ha sollevato plurime
eccezioni di inammissibilità del ricorso, che vanno esaminate secondo un ordine
di priorità logica.
3.– Secondo la resistente, in primo luogo, il
ricorso sarebbe inammissibile con riferimento a tutti i commi degli artt. 34,
37 e 39 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2018 non oggetto di specifica
censura.
3.1.− L’eccezione è infondata.
3.2.− Dall’esame del ricorso emerge che
il Presidente del Consiglio dei ministri, pur avendo impugnato l’intero art.
34, ha in effetti rivolto la sua censura esclusivamente avverso il comma 2, che
determinerebbe una stratificazione delle responsabilità procedimentali; pur
avendo impugnato l’intero art. 37, ha effettivamente censurato solo il comma 1,
che prevede l’istituzione dell’albo telematico regionale dei commissari di
gara; pur avendo impugnato l’intero art. 39, ha effettivamente censurato solo i
commi 1 e 3 che attribuiscono alla Giunta regionale la competenza ad adottare
linee guida, documentazione standard, capitolati speciali e schemi di
contratto, nonché il codice regionale di buone pratiche.
Ne consegue che i restanti commi 1 e da 3 a 20
dell’art. 34, i commi da 2 a 10 dell’art. 37 e il comma 2 dell’art. 39 sono
estranei al thema decidedum
delle odierne questioni di legittimità costituzionale, fatta salva la
valutazione sulla sussistenza dei presupposti per la dichiarazione
d’illegittimità in via consequenziale.
4.– La Regione Sardegna ha poi eccepito
l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse «attuale, immediato e
concreto» all’impugnazione, stante la mancanza di prova che l’applicazione
delle norme censurate «possa comportare un disvalore e/o una compromissione»
dei principi statali posti a tutela della concorrenza, e, con esclusivo
riferimento ai commi effettivamente censurati degli artt. 34, 37 e 39, poiché
«l’eventuale accoglimento sarebbe nella sostanza inutile posto che
residuerebbe, comunque, il disegno organizzativo ipotizzato dalla Regione».
4.1.− Entrambe le eccezioni sono
infondate, dal momento che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte,
«il giudizio promosso in via principale è giustificato dalla mera pubblicazione
di una legge che si ritenga lesiva della ripartizione di competenze, a
prescindere dagli effetti che essa abbia prodotto (ex multis,
sentenze n. 195
del 2017, n.
262 del 2016 e n. 118 del 2015)»
(sentenza n. 178
del 2018).
In altri termini, poiché le norme censurate non
hanno una funzione meramente ricognitiva, né sono comunque prive di portata
precettiva (sentenza
n. 83 del 2018, che richiama le sentenze n. 63 del
2016, n. 254
e n. 77 del 2015,
n. 230 del 2013,
n. 346 e n. 52 del 2010,
n. 401 del 2007),
«l’asserita lesione dei criteri di ripartizione delle competenze legislative
statali giustifica l’impugnativa in esame» (sentenza n. 178 del
2018).
5.– Con un’altra serie di eccezioni, che, in
quanto strettamente connesse, possono essere trattate congiuntamente, la
resistente lamenta il difetto di motivazione delle censure, anche sotto lo
specifico profilo dell’esame delle competenze statutarie della Regione
Sardegna.
5.1.− Anche queste eccezioni sono infondate.
5.2.− Il ricorso, oltre a indicare i parametri costituzionali
asseritamente violati, contiene l’illustrazione delle disposizioni impugnate e
della normativa statale interposta presa a riferimento, e individua nel
discostamento delle prime dalla seconda la ragione della dedotta
incostituzionalità: una argomentazione, sia pure succinta, a sostegno delle
censure proposte, è dunque presente.
Quanto poi allo specifico profilo dell’esame
delle competenze statutarie della Regione Sardegna, il ricorrente ha preso in
espressa considerazione l’art. 3, lettera e), dello statuto, che, nel prevedere
la competenza regionale primaria in materia di lavori pubblici di interesse
regionale, l’assoggetta ai limiti derivanti dalla Costituzione, dai principi
dell’ordinamento giuridico della Repubblica, dagli obblighi internazionali,
dagli interessi nazionali e dalle norme fondamentali delle riforme
economico-sociali della Repubblica.
Lo stesso sviluppo argomentativo del ricorso
rende dunque evidente come il richiamo alla tutela della concorrenza e
all’ordinamento civile serva a lumeggiare la natura di parametro interposto
delle richiamate norme del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice
dei contratti pubblici), parametro che, anche alla luce della consolidata
giurisprudenza di questa Corte, riempie di contenuto i limiti statutari alla
potestà legislativa regionale in materia di lavori pubblici (sentenze n. 263 del
2016 e n. 187
del 2013).
Il fatto poi che il ricorrente non abbia preso
in considerazione anche le materie dell’ordinamento degli uffici e degli enti
amministrativi della Regione di cui all’art. 3, lettera a), dello statuto e
dell’organizzazione amministrativa di cui all’art. 117, quarto comma, Cost. –
invocate dalla resistente e già prima facie rilevanti
per l’inquadramento degli ambiti materiali di alcune delle disposizioni
impugnate – non attiene all’ammissibilità ma al merito delle questioni,
risolvendosi nell’individuazione del titolo di competenza cui ascrivere la
disciplina impugnata (sentenze n. 252 del
2016, n. 199
del 2014 e n.
36 del 2013).
6.– L’ultima eccezione di inammissibilità
parziale è riferita ai motivi di ricorso spiegati avverso gli artt. 37, 39 e
45, che attribuiscono, rispettivamente, al Presidente della Regione e alla
Giunta un potere di regolazione in materia di albo telematico dei commissari di
gara, linee guida e codice regionale di buone pratiche, e qualificazione delle
stazioni appaltanti.
Secondo la Regione, la sua potestà legislativa
primaria in materia di lavori pubblici e ordinamento degli uffici non potrebbe
essere ridimensionata dall’adozione da parte dell’Autorità nazionale
anticorruzione (ANAC) di atti di indirizzo, quali linee guida, bandi tipo,
contratti-tipo ed altri strumenti di regolazione flessibile, ovvero di delibere
rese nell’esercizio del suo potere regolamentare, pena la violazione dell’art.
117, sesto comma, Cost., che attribuisce allo Stato potestà regolamentare solo
nelle materie di legislazione esclusiva.
6.1.− Anche questa eccezione, risolvendosi nella negazione della
competenza esclusiva statale − che sola, secondo la resistente, potrebbe
legittimare l’affidamento all’ANAC della regolazione dei citati aspetti dei
contratti pubblici − e nella correlativa invocazione della competenza
regionale, attiene evidentemente non all’ammissibilità ma al merito.
7.– Prima di esaminare il merito delle
questioni proposte, è opportuno rammentare brevemente gli approdi della
giurisprudenza di questa Corte sul riparto delle competenze legislative tra lo
Stato e le Regioni a statuto speciale e le Province autonome in ordine alle
discipline, dettate dal codice dei contratti pubblici, della scelta del
contraente nelle procedure ad evidenza pubblica e del perfezionamento del
vincolo negoziale e della sua esecuzione.
È pacifico infatti che le disposizioni del
codice dei contratti pubblici regolanti le procedure di gara sono riconducibili
alla materia della tutela della concorrenza; esse inoltre vanno ascritte
all’area delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali, nonché delle
norme con le quali lo Stato ha dato attuazione agli obblighi internazionali
nascenti dalla partecipazione dell’Italia all’Unione europea (sentenze n. 263 del
2016, n. 187
e n. 36 del 2013,
n. 74 del 2012,
n. 328, n. 184 e n. 114 del 2011,
n. 221 e n. 45 del 2010).
Le disposizioni dello stesso codice che regolano gli aspetti privatistici della
conclusione ed esecuzione del contratto sono riconducibili all’ordinamento
civile (sentenze
n. 176 del 2018 e n. 269 del 2014);
esse, poi, recano princìpi dell’ordinamento giuridico della Repubblica (sentenze n. 269 del
2014 e n.
187 del 2013) e norme fondamentali di riforma economico-sociale (sentenze n. 74 del
2012, n. 114
del 2011 e n.
221 del 2010).
Le considerazioni che precedono, espresse nella
vigenza del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti
pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive
2004/17/CE e 2004/18/CE), devono essere confermate anche in relazione al d.
lgs. n. 50 del 2016 (d’ora in avanti: nuovo codice dei contratti pubblici), che
ne ha preso il posto, in attuazione della legge delega 28 gennaio 2016, n. 11
(Deleghe al Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e
2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014,
sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e
sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua,
dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della
disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi
e forniture).
7.1.− La Regione resistente ha invocato
alternativamente la propria competenza statutaria dell’ordinamento degli uffici
e degli enti amministrativi e quella residuale dell’organizzazione
amministrativa ex art. 117, quarto comma, Cost.
Quanto alla seconda, è palese che una Regione,
nell’esercizio della propria competenza residuale, non può derogare a tassative
e ineludibili disposizioni riconducibili a competenze esclusive statali.
Quanto alla prima, invece, non è da escludere
in linea di principio che gli statuti possano incidere su quest’ultime
riservandole, in parte, alle autonomie speciali, ma ciò evidentemente richiede
una puntuale allegazione dell’esistenza e della portata delle norme statutarie,
in difetto della quale anche per esse non potrà non trovare applicazione la
disciplina statale (sentenza n. 119 del
2019).
Al contrario, in presenza di tali competenze
statutarie occorrerà verificare se esse incontrino o meno i limiti propri della
legislazione in questione: i principi dell’ordinamento giuridico, gli obblighi
internazionali, gli interessi nazionali e le norme fondamentali delle riforme
economico-sociali della Repubblica.
8.– Venendo all’esame della prima delle
questioni proposte dal ricorrente, essa ha ad oggetto l’art. 34, comma 2, della
legge reg. Sardegna n. 8 del 2018.
Il Presidente del Consiglio dei ministri
osserva che, ai sensi del comma 1 di tale articolo, «Per ogni singolo
intervento da realizzarsi mediante un contratto pubblico, le amministrazioni
aggiudicatrici […] nominano un responsabile unico del procedimento per le fasi
della programmazione, della progettazione, dell’affidamento e dell’esecuzione
del contratto pubblico. Tali fasi costituiscono, unitariamente considerate, il
progetto del contratto pubblico e il responsabile unico del procedimento è il
"responsabile di progetto”».
L’unicità del responsabile del procedimento
verrebbe tuttavia meno allorché, al comma 2, si conferisce facoltà alle
amministrazioni aggiudicatrici di nominare un responsabile per le fasi di
programmazione, progettazione ed esecuzione e un altro responsabile per la fase
di affidamento.
8.1.– La questione non è fondata.
8.2.− Questa Corte, con la sentenza n. 43 del
2011, richiamata dalla Regione resistente, in relazione a una simile
disposizione di una legge della Regione Umbria, censurata dallo Stato per gli
stessi profili, ha osservato: «la legge regionale […] ha previsto, al comma 2,
la regola del responsabile unico del procedimento, limitandosi a stabilire che
le amministrazioni aggiudicatrici, "nell’ambito dell’unitario procedimento di
attuazione dell’intervento”, possono individuare sub-procedimenti senza che ciò
incida sulla unicità del centro di responsabilità. Avendo riguardo allo
specifico contenuto precettivo delle disposizioni impugnate, deve, pertanto,
rilevarsi come la disciplina delle modalità organizzative dell’attività del
responsabile unico del procedimento rientri nella materia della organizzazione
amministrativa, riservata alle Regioni ai sensi del quarto comma dell’art. 117
Cost.».
Le medesime considerazioni valgono per la
disposizione oggi impugnata, poiché, ai sensi del comma 3 del medesimo art. 34,
l’unicità del centro di responsabilità procedimentale è garantita dal
«responsabile di progetto», il quale «coordina l’azione dei responsabili per
fasi, se nominati ai sensi del comma 2, anche con funzione di supervisione e
controllo».
La disposizione impugnata non è, dunque, in
contrasto con il principio di responsabilità unica, posto dall’invocato art.
31, comma 1, del nuovo codice dei contratti a tutela di unitarie esigenze di
trasparenza e funzionalità della procedura di gara, preordinata alla corretta
formazione della volontà contrattuale dell’amministrazione, e di accentramento
del regime della responsabilità dei funzionari.
9.– La seconda questione di legittimità
costituzionale proposta dal Presidente del Consiglio dei ministri ha ad oggetto
l’art. 37, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2018, rubricato
«Commissione giudicatrice», nella parte in cui prevede che, «ai fini della
nomina dei componenti della commissione di gara, la Regione istituisce […]
l’Albo telematico dei commissari di gara, suddiviso per categorie di
specializzazione, a cui le stazioni appaltanti hanno accesso libero e diretto»,
e gestito «secondo criteri e modalità individuati con apposito decreto del
Presidente della Regione, da adottare entro sessanta giorni dall’entrata in
vigore della presente legge» (art. 37, comma 4).
Secondo il ricorrente, la norma impugnata si
discosterebbe dall’art. 78 del nuovo codice dei contratti pubblici, il quale –
in attuazione dell’art. 1, comma 1, lettera hh),
della legge delega n. 11 del 2016 – istituisce «presso l’ANAC, che lo gestisce
e lo aggiorna secondo criteri individuati con apposite determinazioni, l’Albo
nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni giudicatrici nelle
procedure di affidamento dei contratti pubblici», conferendo, altresì,
all’Autorità la competenza di definire, con apposite linee guida, i criteri e
le modalità di iscrizione, nonché le modalità di funzionamento delle
commissioni giudicatrici.
9.1.– La questione è fondata.
9.2.− Il nuovo codice dei contratti
pubblici, nell’operare la drastica scelta di sottrarre la nomina dei commissari
di gara alle stazioni appaltanti, ha previsto l’istituzione e la gestione, a
cura dell’ANAC, di un unico «Albo nazionale obbligatorio dei componenti delle
commissioni giudicatrici», dal quale, sulla base del principio di rotazione,
l’Autorità estrae «una lista di candidati costituita da un numero di nominativi
almeno doppio rispetto a quello dei componenti da nominare», che comunica alla
stazione appaltante, la quale, a sua volta, procede alla loro individuazione
«mediante pubblico sorteggio» (art. 77 del d.lgs. n. 50 del 2016).
Deve anzi rilevarsi che il legislatore statale,
in sede di redazione del decreto legislativo 19 aprile 2017, n. 56
(Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 18 aprile 2016,
n. 50), aveva previsto un’articolazione regionale dell’albo gestito dall’ANAC,
ma tale modifica è stata espunta a seguito del parere della Commissione
speciale del Consiglio di Stato 22 marzo 2017, n. 782, ove si è osservato che
essa avrebbe determinato «la pressoché sistematica nomina, quali commissari, di
soggetti radicati nella medesima area geografica interessata dall’appalto» e
che la pure condivisibile finalità di razionalizzazione delle spese dovute alle
trasferte dei commissari avrebbe potuto essere affrontata altrimenti
(utilizzando, ad esempio, la tecnica del lavoro a distanza con procedure
telematiche).
9.3.− È vero, come eccepito dalla
resistente, che questa Corte, con riferimento alle Regioni a statuto ordinario,
ha affermato che «gli aspetti connessi alla composizione della commissione
giudicatrice e alle modalità di scelta dei suoi componenti attengono, più
specificamente, alla organizzazione amministrativa» (sentenze n. 43 del
2011 e n.
401 del 2007) e, sulla base di tale inquadramento, ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’art. 84, commi 2, 3, 8 e 9, del decreto
legislativo n. 163 del 2006, nella sola «parte in cui, per i contratti inerenti
a settori di competenza regionale, non prevede che le norme in esso contenute
abbiano carattere suppletivo e cedevole» (sentenza n. 401 del
2007).
Tale inquadramento, tuttavia, non può più
ritenersi attuale, dal momento che la sottrazione della scelta dei commissari
di gara alle stazioni appaltanti rappresenta una radicale innovazione del nuovo
codice dei contratti chiaramente ispirata a finalità di trasparenza,
imparzialità, tutela della concorrenza e prevenzione di reati (in questo senso,
si veda anche il parere della Commissione speciale del Consiglio di Stato 21
marzo 2016, n. 855, avente ad oggetto lo schema di decreto legislativo recante
«Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione»).
Questa Corte, del resto, nell’esaminare le
censure mosse dalla Regione Veneto ad alcune disposizioni regolanti
l’istituzione e le funzioni dell’Autorità di regolazione dei trasporti, tra cui
figurava la competenza a stabilire i criteri per la nomina delle commissioni
giudicatrici, ha osservato che «le disposizioni impugnate, pur avendo attinenza
con la materia del trasporto pubblico locale, perseguono precipuamente una
finalità di promozione della concorrenza e quindi afferiscono alla competenza
esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
(ex plurimis, sentenza n. 325 del
2010)» (sentenza
n. 41 del 2013).
La disposizione impugnata, in definitiva, pur
incidendo sull’organizzazione amministrativa, deve essere ricondotta alle
competenze esclusive statali della tutela della concorrenza e dell’ordine
pubblico (esercitate con l’invocato art. 78 del nuovo codice dei contratti
pubblici).
9.4.− In questa prospettiva risulta chiara anche l’infondatezza
della deduzione della resistente circa l’illegittimità della compressione della
sua autonomia statutaria ad opera degli atti di regolazione dell’Autorità.
Prescindendo, peraltro, dal corretto inquadramento di tali atti, l’esistenza di
una competenza esclusiva dello Stato esclude la violazione dell’art. 117, sesto
comma, Cost., unico parametro rilevante, poiché non sono qui in discussione le
modalità di esercizio di tale competenza.
10.– Ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo
1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte
costituzionale), va dichiarata l’illegittimità costituzionale in via
consequenziale dei commi 2, 3, 4 e 8 dell’art. 37 della legge reg. Sardegna n.
8 del 2018, che, nel regolare alcuni aspetti della nomina delle commissioni
giudicatrici, si riferiscono all’albo telematico regionale e ne presuppongono
l’operatività, così palesando la stretta connessione e l’inscindibile legame
funzionale con la disposizione impugnata (tra le tante, sentenze n. 68 del
2014, n. 332
del 2010 e n.
138 del 2009).
11.– La terza questione di legittimità costituzionale
investe l’art. 39, commi 1 e 3, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2018,
rubricato «Linee guida e codice regionale di buone pratiche», che, secondo il
ricorrente, si sovrapporrebbe alle competenze che l’art. 213, comma 2, del
nuovo codice dei contratti pubblici, in attuazione dell’art. 1, comma 1,
lettera t), della citata legge delega, attribuisce all’ANAC, chiamata ad
adottare atti di indirizzo, quali «linee guida, bandi-tipo, capitolati-tipo,
contratti-tipo ed altri strumenti di regolazione flessibile».
Secondo il Presidente del Consiglio dei
ministri, il rapporto tra le funzioni dell’Autorità di vigilanza
nell’approvazione dei bandi-tipo e l’obbligo di adeguamento delle stazioni
appaltanti risponderebbe ad esigenze unitarie, che escludono margini di
intervento del legislatore regionale. A ciò si dovrebbe aggiungere che le
funzioni svolte dall’Autorità di regolazione mirano a garantire la tutela e la
promozione della concorrenza e la realizzazione di mercati concorrenziali.
11.1.− La questione è fondata.
11.2.− Le disposizioni censurate,
analogamente a quanto già visto con riferimento all’albo dei commissari,
istituiscono un sistema parallelo e alternativo a quello nazionale, ove «le
linee guida», «i bandi-tipo», i «capitolati-tipo», i «contratti-tipo» e gli
altri «strumenti di regolazione flessibile», rimessi dall’art. 213, comma 2,
del codice dei contratti pubblici all’ANAC, vengono sostituiti da «linee
guida», «documentazione standard», «capitolati speciali» e «schemi di
contratto», e dal «codice regionale di buone pratiche».
Ai primi (le linee guida, la documentazione
standard, i capitolati speciali e gli schemi di contratto), il legislatore
regionale affida, tra l’altro, l’individuazione di «parametri utili alla
valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa […] e alla valutazione
della congruità delle offerte anormalmente basse», ma, data la loro tipologia,
è anche chiaro che essi sono destinati a ulteriormente incidere, in vario modo,
sulla regolazione sia della procedura ad evidenza pubblica a monte sia del
negozio pubblico a valle (si pensi, in particolare, ai capitolati speciali e
agli schemi di contratto). Il codice regionale di buone pratiche, poi,
«costituisce parte integrante del contratto d’appalto» ed è «rivolto a
facilitare l’accesso delle micro e piccole e medie imprese agli appalti
pubblici».
11.3.− Le norme censurate − estranee all’ordinamento degli
uffici e degli enti amministrativi della Regione e riconducibili alla materia
statutaria dei lavori pubblici regionali − si pongono dunque in contrasto
con l’invocata disposizione del codice dei contratti pubblici che,
nell’attribuire all’ANAC la regolazione dei medesimi aspetti della procedura
pubblica e della fase negoziale ed esecutiva, è esplicazione della tutela della
concorrenza e dell’ordinamento civile.
11.4.− Né a diversa conclusione conduce l’osservazione della
Regione secondo cui il contrasto sarebbe escluso dalla previsione che tutti gli
atti regionali menzionati devono essere adottati «in coerenza» con le linee
guida e con i bandi tipo dell’ANAC.
Questa Corte, con riferimento ai bandi tipo
approvati dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici ricondotti
all’ambito materiale della tutela della concorrenza, ha già escluso la
competenza a legiferare delle autonomie speciali, poiché il «rapporto tra le
funzioni dell’Autorità di vigilanza nell’approvazione dei bandi-tipo e
l’obbligo di adeguamento delle stazioni appaltanti risponde ad esigenze
unitarie, che non tollerano alcun margine di discrezionalità "intermedio”
riservato alla Giunta provinciale: il legislatore provinciale risulta pertanto
– alla luce della sopra menzionata giurisprudenza di questa Corte – privo del
titolo competenziale ad intervenire in subiecta materia» (sentenza n. 187 del
2013).
Tali considerazioni valgono anche per le
disposizioni oggi impugnate, senza che rilevi la circostanza che in
quell’occasione la norma scrutinata prevedesse un potere della Giunta di
adottare bandi tipo «sulla base» di – e non «in coerenza» con – quelli
approvati dall’Autorità, perché in entrambi i casi resta l’osservazione di
fondo, estensibile anche agli altri atti previsti dal legislatore regionale,
che «l’obbligo di adeguamento delle stazioni appaltanti» agli atti
dell’Autorità «risponde ad esigenze unitarie, che non tollerano alcun margine
di discrezionalità "intermedio” riservato alla Giunta» regionale.
12.– Ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87
del 1953, va dichiarata l’illegittimità costituzionale in via consequenziale
del comma 2 dell’art. 39 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2018, dal momento
che esso assegna ulteriori contenuti alle linee guida di cui al comma 1,
travolto dalla presente pronuncia, sì che la disposizione in parola viene a
mancare di oggetto (tra le tante, sentenze n. 166 del
2014 e n.
187 del 2013).
13.– L’ultima questione di legittimità
costituzionale investe l’art. 45 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2018,
rubricato «Qualificazione delle stazioni appaltanti», il quale dispone che,
«Con deliberazione della Giunta regionale, da adottarsi su proposta del
Presidente della Regione entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore
della presene legge, ai fini della qualificazione delle stazioni appaltanti,
sono definiti i requisiti necessari sulla base dei criteri di qualità,
efficienza e professionalizzazione, tra cui, per le centrali di committenza, il
carattere di stabilità delle attività e di relativo ambito territoriale,
tenendo conto dei principi previsti dalla normativa statale vigente».
Secondo il Presidente del Consiglio dei
ministri, la disposizione censurata non è coordinata con quanto disposto dalle
lettere bb) e dd) dell’art.
1, comma 1, della legge delega n. 11 del 2016, che demandano al legislatore
delegato la «razionalizzazione delle procedure di spesa attraverso
l’applicazione di criteri di qualità, efficienza, professionalizzazione delle
stazioni appaltanti, prevedendo […] l’introduzione di un apposito sistema,
gestito dall’ANAC, di qualificazione delle medesime stazioni appaltanti, teso a
valutarne l’effettiva capacità tecnica e organizzativa, sulla base di parametri
obiettivi», nonché attraverso adeguate forme di centralizzazione delle
committenze e di riduzione del numero delle amministrazioni aggiudicatrici
basate proprio sul sistema di qualificazione, che consente di gestire contratti
di diversa complessità a seconda del grado di abilitazione conseguito.
La norma censurata, conseguentemente, sarebbe
in contrasto anche con l’art. 38, comma 1, del nuovo codice dei contratti
pubblici, che, in esecuzione dei cennati criteri di delega, istituisce presso
l’ANAC, che ne assicura la pubblicità, un apposito elenco delle stazioni
appaltanti qualificate di cui fanno parte anche le centrali di committenza.
13.1.– La questione è fondata.
13.2.− In attuazione dei criteri di cui
alle lettere bb), cc) e dd)
dell’art. 1 della legge delega n. 11 del 2016, l’art. 37 del nuovo codice dei
contratti pubblici, rubricato «Aggregazione e centralizzazione delle
committenze» e l’art. 38, rubricato «Qualificazione delle stazioni appaltanti e
centrali di committenza», hanno introdotto una delle innovazioni più
importanti, un vero e proprio "pilastro” del sistema degli acquisti pubblici.
Il legislatore ha infatti optato per una scelta
decisa a favore della riduzione del numero delle stazioni appaltanti nonché
della loro professionalizzazione, cosicché la qualificazione è oggi richiesta
non più soltanto agli operatori economici ma anche alle amministrazioni
aggiudicatrici, secondo standard predefiniti e sistemi premianti, che
consentono, man mano che aumenta il livello di qualificazione, di appaltare
opere, lavori e servizi di importo elevato e di maggiore complessità.
La riduzione, aggregazione, centralizzazione e
qualificazione delle stazioni appaltanti risponde a diverse finalità: 1)
beneficiare di economie di scala e attribuire alle amministrazioni
aggiudicatrici un maggior potere contrattuale; 2) innalzare, anche al fine di
favorire la concorrenza, la professionalizzazione e la specializzazione delle
stazioni appaltanti; 3) agevolare le missioni dell’ANAC di prevenire fenomeni
corruttivi e assicurare la corretta gestione delle commesse pubbliche, mediante
la riduzione del novero dei soggetti da controllare.
Il sistema della qualificazione, dunque, anche
se incide sull’organizzazione, va inquadrato in un ambito materiale
caratterizzato dal concorso delle competenze statali esclusive della tutela
della concorrenza, dell’ordine pubblico, e di quella concorrente del
coordinamento della finanza pubblica.
Quanto al profilo della concorrenza,
espressamente invocato dallo Stato, può essere utile ricordare come le
direttive comunitarie, sulla scorta anche di esperienze positive registratesi
in diversi paesi dell’Unione, pur senza imporre obblighi specifici, abbiano
sottolineato l’importanza di centralizzare e aggregare la committenza.
In particolare, il considerando 69 della
direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio
2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, e il
considerando n. 78 della direttiva 2014/25/UE, del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 26 febbraio 2014, sulle procedure d’appalto degli enti erogatori
nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali e che
abroga la direttiva 2004/17/CE – con riferimento alle centrali di committenza
ma con ragionamento estensibile anche alle aggregazioni delle stazioni
appaltanti e al correlato sistema della qualificazione – affermano che «Tali
tecniche possono contribuire, dato l’ampio volume degli acquisti, a un aumento
della concorrenza e dovrebbero aiutare a professionalizzare la commessa
pubblica».
Del resto, già l’Autorità per la vigilanza sui
lavori pubblici, con la segnalazione n. 99 del 2010, recante «proposte di
modifiche normative per incrementare la concorrenza nel settore dei lavori pubblici»,
aveva osservato che «Un mercato dei contratti pubblici pienamente competitivo
presuppone un generale accrescimento della qualità delle imprese e della
pubblica amministrazione che vi partecipano anche al fine della piena
assunzione delle responsabilità operative che ne discendono. Ciò significa che
contestualmente ad un intervento di rivisitazione del sistema di qualificazione
delle imprese, accompagnato, ove necessario, da un corredo di criteri
quantitativi e qualitativi, appare necessario intervenire anche per una
corrispondente qualificazione delle stazioni appaltanti. Esiste nel nostro
Paese un problema strutturale di efficienza della domanda e dell’offerta».
La disposizione censurata, dunque, introducendo
un non meglio precisato sistema di qualificazione affidato alla Giunta
regionale, parallelo e distinto rispetto a quello nazionale, pur incidendo
sull’organizzazione amministrativa, deve essere ricondotta alle competenze
esclusive statali della tutela della concorrenza e dell’ordine pubblico (esercitate
anche con l’invocato art. 38 del nuovo codice dei contratti pubblici).
13.3.− Anche in questo caso, dunque, si manifesta l’infondatezza
della deduzione della resistente circa l’illegittimità della compressione della
sua autonomia statutaria ad opera degli atti di regolazione dell’Autorità, alla
stregua di quanto già chiarito a proposito dell’affidamento all’ANAC della
gestione dell’albo nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni
giudicatrici.
14.– Va precisato, infine, che la dichiarazione di
illegittimità costituzionale delle norme regionali impugnate non comporta alcun
vuoto normativo, trovando applicazione la disciplina dettata in materia dal
nuovo codice dei contratti pubblici (sentenze n. 263 del
2016 e n.
114 del 2011).
Per Questi
Motivi
LA CORTE
COSTITUZIONALE
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale degli artt. 37, comma 1, 39, commi 1 e 3, e 45
della legge della Regione Sardegna 13 marzo 2018, n. 8 (Nuove norme in materia
di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture);
2) dichiara
l’illegittimità costituzionale, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della
legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della
Corte costituzionale), dell’art. 37, commi 2, 3, 4 e 8, e dell’art. 39, comma
2, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2018;
3) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma
2, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2018, promossa, in riferimento all’art.
117, secondo comma, lettere e) ed l), della Costituzione, dal Presidente del
Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 maggio 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Giancarlo CORAGGIO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 9 luglio 2019.