SENTENZA N. 119
ANNO 2019
Commento alla decisione di
Paolo Giangaspero
per g.c.
del Forum di Quaderni Costituzionali
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
composta dai signori:
Presidente: Giorgio LATTANZI;
Giudici: Aldo
CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano
AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto
Antonio BARBERA, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di
legittimità costituzionale degli artt.
4, comma 1, lettere p) e w); 14; 15 e 16, comma 1, della legge della Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia 6 febbraio 2018, n. 3 (Norme urgenti in materia
di ambiente, di energia, di infrastrutture e di contabilità), promosso dal
Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso
notificato il 13-17 aprile 2018, depositato in cancelleria il 23 aprile 2018,
iscritto al n. 33 del registro ricorsi 2018 e pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2018.
Visto l’atto di
costituzione della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia;
udito
nella udienza pubblica del 3 aprile 2019 il Giudice relatore Daria de Pretis;
uditi
l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei
ministri e l’avvocato Giandomenico Falcon per
Ritenuto in fatto
1.– Il
Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato cinque disposizioni della
legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 6 febbraio 2018, n. 3 (Norme
urgenti in materia di ambiente, di energia, di infrastrutture e di
contabilità).
La prima
disposizione censurata è l’art. 4, comma 1, lettera p), che modifica l’art. 36
della legge reg. Friuli-Venezia Giulia 29 aprile 2015, n. 11 (Disciplina
organica in materia di difesa del suolo e di utilizzazione delle acque),
inserendo in esso i seguenti commi 7-bis e 7-ter: «7-bis. Qualora sul
territorio regionale si configuri una situazione di deficit idrico, il
Presidente della Regione, sulla base dei dati rilevati e di quelli forniti
dalla Direzione centrale competente in materia di risorse agricole, con decreto
di cui è data pubblicazione sul sito istituzionale della Regione, in via
d’urgenza: a) dichiara lo stato di sofferenza idrica; b) individua le riduzioni
temporanee del deflusso minimo vitale, commisurate all’entità del deficit
idrico. 7-ter. Le riduzioni temporanee di cui al comma 7-bis, lettera b), si
applicano alle derivazioni d’acqua per utilizzo irriguo in esercizio lungo i
corsi d’acqua dei fiumi Tagliamento e Isonzo e dei torrenti Torre, Meduna,
Cellina e Judrio».
L’Avvocatura
rileva che la legislazione statale primaria e secondaria «ha individuato i
soggetti cui è demandata la gestione delle acque e […] l’esercizio delle
funzioni tecniche relative alla determinazione dei livelli di deflusso minimo
vitale». In particolare, è richiamato l’art. 95, comma 4, del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), in base al
quale, «[s]alvo quanto previsto al comma 5, tutte le derivazioni di acqua comunque
in atto alla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto
sono regolate dall’Autorità concedente mediante la previsione di rilasci volti
a garantire il minimo deflusso vitale nei corpi idrici, come definito secondo i
criteri adottati dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del
mare con apposito decreto, previa intesa con
L’Avvocatura
ricorda che lo Statuto speciale riconosce alla Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia competenza concorrente nella materia delle derivazioni d’acqua, ma,
poiché la loro disciplina rientra nella potestà residuale delle regioni
ordinarie ai sensi dell’art. 117, quarto comma,
della Costituzione, opererebbe la clausola di maggior favore di cui
all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al
Titolo V della parte seconda della Costituzione), e, dunque, ne discenderebbe
«quale ulteriore conseguenza l’applicazione del regime ordinario anche in
riferimento ai limiti che trova la potestà legislativa regionale in materia».
Pertanto, l’art. 95, comma 4, del codice dell’ambiente sarebbe «cogente anche
per le Regioni a statuto speciale» e la norma regionale censurata invaderebbe
la competenza in materia di ambiente riconosciuta allo Stato dall’art. 117,
secondo comma, lettera s), e dall’art. 118, primo comma, Cost.
Nel proprio atto
di costituzione, depositato il 28 maggio 2018,
Il ricorso sarebbe
così infondato per «inesistenza del parametro asseritamente violato».
2.– La
seconda disposizione impugnata è l’art. 4, comma 1, lettera w), della legge
reg. Friuli-Venezia Giulia n. 3 del 2018, che introduce nell’art. 50 della
legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 11 del 2015 il comma 3-bis. Tale norma
stabilisce che «[i]l canone demaniale previsto dal decreto di cui al comma 1 è
aumentato nella misura di 40 euro per kW nei casi in cui l’esercizio delle
concessioni di derivazione d’acqua, ferme restando le condizioni stabilite
dalle vigenti normative e dal disciplinare di concessione, sia prorogato ai
sensi dell’articolo 12, comma 8-bis, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n.
79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato
interno dell’energia elettrica)».
Secondo
l’Avvocatura, la maggiorazione del canone sarebbe contraria «ai principi di
ragionevolezza e di parità di trattamento, nonché di tutela della concorrenza»,
in quanto inciderebbe «negativamente sui gestori operanti nel territorio della
Regione Friuli-Venezia Giulia rispetto a quelli di altre regioni». La norma
impugnata eccederebbe «dalle competenze riconosciute alla Regione
Friuli-Venezia Giulia dallo Statuto speciale di autonomia e dalle relative
norme di attuazione», in quanto violerebbe «gli articoli 3, 97 e 117, secondo comma
lettera e) della Costituzione».
In particolare, la
previsione della maggiorazione del canone contrasterebbe con l’art. 12, comma
8-bis, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva
96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica),
in base al quale (secondo la formulazione vigente al momento del ricorso), «[q]ualora alla data di scadenza di una concessione non sia
ancora concluso il procedimento per l’individuazione del nuovo concessionario,
il concessionario uscente proseguirà la gestione della derivazione, fino al
subentro dell’aggiudicatario della gara, alle stesse condizioni stabilite dalle
normative e dal disciplinare di concessione vigenti».
Il ricorrente osserva
che, «[t]rattandosi di materia di tutela della concorrenza non assume rilievo
la competenza della Regione in materia di demanio idrico trasferito alla
regione medesima ai sensi dell’art. 1 del decreto legislativo n. 265/2001».
Inoltre, la norma
impugnata violerebbe l’art. 37, comma 7, del decreto-legge 22 giugno 2012, n.
83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni,
nella legge 7 agosto 2012, n. 134, che – al momento del ricorso – prevedeva
che, «[a]l fine di assicurare un’omogenea disciplina sul territorio nazionale
delle attività di generazione idroelettrica e parità di trattamento tra gli
operatori economici, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, previa
intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni
e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono stabiliti i criteri
generali per la determinazione, secondo principi di economicità e
ragionevolezza, da parte delle regioni, di valori massimi dei canoni delle
concessioni ad uso idroelettrico».
Tale disposizione
sarebbe riconducibile alla competenza esclusiva statale in materia di tutela
della concorrenza, perché mirerebbe ad agevolare l’accesso degli operatori
economici al mercato dell’energia secondo condizioni uniformi sul territorio
nazionale.
Infine, il
ricorrente rileva che la norma impugnata sarebbe reiterativa dell’art. 61-bis
della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 11 del 2015, che
Nel proprio atto
di costituzione,
Quanto
all’asserita violazione dell’art. 12, comma 8-bis, del d.lgs. n. 79 del 1999,
Quanto
all’asserita violazione dell’art. 37, comma 7, del d.l. n. 83 del 2012,
3.–
Con il terzo motivo il ricorrente impugna l’art. 14 (Disposizioni sugli
impianti di distribuzione dei carburanti) della legge reg. Friuli-Venezia
Giulia n. 3 del 2018. Questa disposizione stabilisce che, «[p]er le finalità di cui all’articolo 42, comma 6, della legge
regionale 19/2012, sono considerati in condizioni di incompatibilità
territoriale o di inidoneità tecnica gli impianti di distribuzione dei
carburanti che non presentino al Comune il programma di adeguamento o di
chiusura dell’impianto entro due anni dalla data di entrata in vigore della
presente legge». L’art. 42, comma 6, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia 11
ottobre 2012, n. 19 (Norme in materia di energia e distribuzione dei
carburanti), prevede che, dopo che il comune ha accertato fattispecie di incompatibilità
territoriale ovvero condizioni di inidoneità tecnica e ha invitato il titolare
dell’impianto a presentare un programma di adeguamento, ovvero un programma di
chiusura e rimozione dell’impianto, entro il termine massimo di sessanta giorni
dalla comunicazione (comma 4), «[q]ualora il
programma non sia presentato entro il termine previsto il Comune dichiara la
decadenza del provvedimento autorizzativo disponendo la chiusura e la rimozione
dell’impianto».
Secondo il
ricorrente, l’art. 14 si porrebbe in contrasto con la legge 4 agosto 2017, n.
124 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza), «che ha introdotto
disposizioni in materia di incompatibilità degli impianti di distribuzione dei
carburanti (art. 1, commi da
L’Avvocatura
richiama poi l’accordo sancito l’8 marzo
La norma regionale
impugnata, «nel protrarre il termine di adeguamento degli impianti in parola
incide sull’intento di uniformare la disciplina in materia su tutto il
territorio nazionale, con ciò provocando squilibri concorrenziali». Di qui la
violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
Nel suo atto di
costituzione
Nel merito,
Secondo la
resistente, la norma impugnata si rivolgerebbe ai comuni, prescrivendo loro di
avviare «il procedimento finalizzato alla dichiarazione di decadenza del
relativo titolo abilitativo per tutti quegli impianti in situazione di
incompatibilità territoriale ancora in esercizio ad una determinata data (15
febbraio 2020)». L’art. 14, dunque, avrebbe «un oggetto specifico, che non
coincide con quello delle disposizioni statali invocate, che non prendono in
considerazione il momento di avvio del procedimento comunale per la
dichiarazione di decadenza del titolo che consente l’esercizio dell’impianto».
Inoltre, il termine indicato nella norma impugnata per l’avvio di tale
procedimento sarebbe «perfettamente compatibile» con quello previsto dalla
legge statale per lo smantellamento dell’impianto (29 agosto 2020).
Infine,
4.–
Nel quarto motivo il ricorrente impugna l’art. 15 della legge reg. Friuli-Venezia
Giulia n. 3 del 2018, che modifica l’art. 6, comma 1, della legge reg.
Friuli-Venezia Giulia 21 luglio 2017, n. 29 (Misure per lo sviluppo del sistema
territoriale regionale nonché interventi di semplificazione dell’ordinamento
regionale nelle materie dell’edilizia e infrastrutture, portualità regionale e
trasporti, urbanistica e lavori pubblici, paesaggio e biodiversità). Prima
della modifica tale disposizione stabiliva che, «[p]er
gli interventi di dragaggio manutentivi, coerenti con le previsioni del
programma d’intervento di cui all’articolo 4, da attuare nei canali e nelle vie
di navigazione interna appartenenti al demanio regionale che risultano
finalizzati al ripristino delle preesistenti condizioni di navigabilità in
sicurezza, le procedure autorizzative sono circoscritte alla sola acquisizione
delle verifiche e dei pareri necessari al conferimento e al riutilizzo dei
materiali nel rispetto della vigente normativa di valenza ambientale e
sanitaria». L’impugnato art.
Secondo il
ricorrente, il citato art. 6, comma 1, «prevede ora la possibilità di eseguire
interventi di dragaggio manutentivo anche in mare»: a tali interventi si
applicherebbe la procedura semplificata di cui allo stesso art.
Nel proprio atto
di costituzione,
5.–
Nel quinto motivo il ricorrente impugna l’art. 16, comma 1, della legge reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 3 del 2018. Tale disposizione stabilisce che
«l’attingimento di acque superficiali a mezzo di dispositivi fissi di cui
all’articolo 40, comma 2, della legge regionale 11/2015, esistenti alla data di
entrata in vigore della presente legge, è soggetto ad autorizzazione in
sanatoria rilasciata dal Comune, previa presentazione dell’istanza di sanatoria
entro il 31 dicembre
Secondo il
ricorrente, la norma impugnata contrasta con l’art. 96, comma 6, del cod.
ambiente, «che limita la sanatoria al periodo precedente il 30 giugno 2006,
ritenendo i casi di abusiva derivazione o utilizzazione di acque commessi nel
periodo successivo sanzionabili a mente dell’art. 17, comma 3, del RD 1775 del
1933», con conseguente invasione della competenza statale in materia di tutela
dell’ambiente. A sostegno dell’applicabilità dell’art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost. alla Regione a statuto speciale,
l’Avvocatura riproduce l’argomentazione già svolta nel primo motivo di ricorso.
Essa produrrebbe
effetti positivi, inserendo le piccole derivazioni montane abusive,
difficilmente conoscibili, nell’ordinario sistema autorizzatorio, che ne
consente la conoscenza ed il controllo; infatti, l’autorizzazione in sanatoria
sarebbe rilasciata a condizione che siano rispettate le rigorose condizioni di
cui all’art. 40 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 11 del 2015.
6.– Il
12 marzo 2019 sia l’Avvocatura generale dello Stato che
In particolare,
con riferimento alla prima questione,
In relazione alla
seconda questione, concernente la maggiorazione del canone demaniale, la
resistente segnala che entrambe le norme statali invocate come parametro
interposto nel ricorso (cioè l’art. 37, comma 7, del d.l. n. 83 del 2012 e
l’art. 12, comma 8-bis, del d.lgs. n. 79 del 1999) sono state abrogate
dall’art. 11-quater del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni
urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la
pubblica amministrazione ), introdotto dalla legge di conversione 11 febbraio
2019, n. 12. Tale disposizione ha inoltre modificato l’art. 12 del d.lgs. n. 79
del 1999, dettando una nuova disciplina «che va precisamente nella direzione
anticipata dalla Regione Friuli-Venezia Giulia» con la norma impugnata.
In relazione alla
quarta questione, concernente le operazioni di dragaggio,
In relazione alla
quinta questione,
Considerato in diritto
1.– Il
Presidente del Consiglio dei ministri impugna cinque disposizioni della legge
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 6 febbraio 2018, n. 3 (Norme
urgenti in materia di ambiente, di energia, di infrastrutture e di
contabilità).
La prima
disposizione censurata è l’art. 4, comma 1, lettera p), che modifica l’art. 36
della legge reg. Friuli-Venezia Giulia 29 aprile 2015, n. 11 (Disciplina
organica in materia di difesa del suolo e di utilizzazione delle acque),
inserendo in esso i seguenti commi 7-bis e 7-ter: «7-bis. Qualora sul
territorio regionale si configuri una situazione di deficit idrico, il
Presidente della Regione, sulla base dei dati rilevati e di quelli forniti
dalla Direzione centrale competente in materia di risorse agricole, con decreto
di cui è data pubblicazione sul sito istituzionale della Regione, in via
d’urgenza: a) dichiara lo stato di sofferenza idrica; b) individua le riduzioni
temporanee del deflusso minimo vitale, commisurate all’entità del deficit
idrico. 7-ter. Le riduzioni temporanee di cui al comma 7-bis, lettera b), si
applicano alle derivazioni d’acqua per utilizzo irriguo in esercizio lungo i
corsi d’acqua dei fiumi Tagliamento e Isonzo e dei torrenti Torre, Meduna,
Cellina e Judrio».
Secondo il
ricorrente, l’art. 4, comma 1, lettera p), attribuendo al Presidente della
Regione il potere di individuare «le riduzioni temporanee del deflusso minimo
vitale», in caso di deficit idrico, violerebbe l’art. 95, comma 4, del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), norma adottata
«in virtù dell’art. 117, comma secondo, lett. s), Cost., con finalità di
"tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, e in virtù dell’art. 118, primo
comma, Cost., per cui le funzioni amministrative de quo sono attribuite alle
Autorità di bacino». L’art. 95, comma 4, stabilisce che, «[s]alvo quanto
previsto al comma 5, tutte le derivazioni di acqua comunque in atto alla data
di entrata in vigore della parte terza del presente decreto sono regolate
dall’Autorità concedente mediante la previsione di rilasci volti a garantire il
minimo deflusso vitale nei corpi idrici, come definito secondo i criteri
adottati dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare
con apposito decreto, previa intesa con
La seconda
disposizione impugnata è l’art. 4, comma 1, lettera w), della legge reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 3 del 2018, che introduce nell’art. 50 della legge
reg. Friuli-Venezia Giulia n. 11 del 2015 il comma 3-bis. Tale norma stabilisce
che «[i]l canone demaniale previsto dal decreto di cui al comma 1 è aumentato
nella misura di 40 euro per kW nei casi in cui l’esercizio delle concessioni di
derivazione d’acqua, ferme restando le condizioni stabilite dalle vigenti
normative e dal disciplinare di concessione, sia prorogato ai sensi
dell’articolo 12, comma 8-bis, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79
(Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato
interno dell’energia elettrica)».
Secondo il
ricorrente, la norma censurata violerebbe i principi di ragionevolezza, parità
di trattamento e tutela della concorrenza, in quanto la previsione della maggiorazione
del canone inciderebbe negativamente sui gestori operanti in Friuli-Venezia
Giulia, con conseguente violazione degli articoli 3, 97 e 117, secondo comma,
lettera e), della Costituzione.
Inoltre, la
maggiorazione del canone si porrebbe in contrasto con l’art. 12, comma 8-bis,
del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva
96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica), e
con l’art. 37, comma 7, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti
per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto
2012, n. 134, norme riconducibili alla «tutela della concorrenza».
L’art. 12, comma
8-bis, del d.lgs. n. 79 del 1999 dispone che, «[q]ualora
alla data di scadenza di una concessione non sia ancora concluso il
procedimento per l’individuazione del nuovo concessionario, il concessionario
uscente proseguirà la gestione della derivazione, fino al subentro
dell’aggiudicatario della gara, alle stesse condizioni stabilite dalle
normative e dal disciplinare di concessione vigenti». Dal canto suo, l’art. 37,
comma 7, del d.l. n. 83 del 2012 stabilisce che, «[a]l fine di assicurare
un’omogenea disciplina sul territorio nazionale delle attività di generazione
idroelettrica e parità di trattamento tra gli operatori economici, con decreto
del Ministro dello sviluppo economico, previa intesa in sede di Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di
Trento e di Bolzano, sono stabiliti i criteri generali per la determinazione,
secondo principi di economicità e ragionevolezza, da parte delle regioni, di
valori massimi dei canoni delle concessioni ad uso idroelettrico».
Nel terzo motivo
di ricorso il ricorrente impugna l’art. 14 (Disposizioni sugli impianti di
distribuzione dei carburanti) della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 3 del
2018. Tale disposizione stabilisce che, «[p]er le
finalità di cui all’articolo 42, comma 6, della legge regionale 19/2012, sono
considerati in condizioni di incompatibilità territoriale o di inidoneità
tecnica gli impianti di distribuzione dei carburanti che non presentino al
Comune il programma di adeguamento o di chiusura dell’impianto entro due anni
dalla data di entrata in vigore della presente legge». L’art. 42, comma 6,
della legge reg. Friuli-Venezia Giulia 11 ottobre 2012, n. 19 (Norme in materia
di energia e distribuzione dei carburanti), prevede che, dopo che il comune ha
accertato fattispecie di incompatibilità territoriale ovvero condizioni di
inidoneità tecnica, invitando il titolare dell’impianto a presentare un
programma di adeguamento, ovvero un programma di chiusura e rimozione
dell’impianto, entro il termine massimo di sessanta giorni dalla comunicazione
(art. 42, comma 4), «[q]ualora il programma non sia
presentato entro il termine previsto il Comune dichiara la decadenza del
provvedimento autorizzativo disponendo la chiusura e la rimozione
dell’impianto».
Secondo il
ricorrente, l’art. 14 violerebbe la legge 4 agosto 2017, n. 124 (Legge annuale
per il mercato e la concorrenza), «che ha introdotto disposizioni in materia di
incompatibilità degli impianti di distribuzione dei carburanti (art. 1, commi
da
La quarta
disposizione impugnata è l’art. 15 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 3
del 2018. Essa modifica l’art. 6, comma 1, della legge reg. Friuli-Venezia
Giulia 21 luglio 2017, n. 29 (Misure per lo sviluppo del sistema territoriale
regionale nonché interventi di semplificazione dell’ordinamento regionale nelle
materie dell’edilizia e infrastrutture, portualità regionale e trasporti,
urbanistica e lavori pubblici, paesaggio e biodiversità): prima della modifica
tale norma stabiliva che, «[p]er gli interventi di
dragaggio manutentivi, coerenti con le previsioni del programma d’intervento di
cui all’articolo 4, da attuare nei canali e nelle vie di navigazione interna
appartenenti al demanio regionale che risultano finalizzati al ripristino delle
preesistenti condizioni di navigabilità in sicurezza, le procedure
autorizzative sono circoscritte alla sola acquisizione delle verifiche e dei
pareri necessari al conferimento e al riutilizzo dei materiali nel rispetto
della vigente normativa di valenza ambientale e sanitaria». L’impugnato art. 15
della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 3 del
Secondo il
ricorrente, l’art. 15 violerebbe l’art. 109 cod. ambiente e l’art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost., in quanto avrebbe esteso la
procedura semplificata prevista dall’art. 6 della legge reg. Friuli-Venezia
Giulia n. 29 del 2017 – prima limitata agli interventi di dragaggio manutentivo
da attuare nelle vie di navigazione interna – a quelli da effettuare in mare.
Nel quinto motivo
il ricorrente impugna l’art. 16, comma 1, della legge reg. Friuli-Venezia
Giulia n. 3 del 2018. Tale disposizione stabilisce che «[l]’attingimento di
acque superficiali a mezzo di dispositivi fissi di cui all’articolo 40, comma
2, della legge regionale 11/2015, esistenti alla data di entrata in vigore
della presente legge, è soggetto ad autorizzazione in sanatoria rilasciata dal
Comune, previa presentazione dell’istanza di sanatoria entro il 31 dicembre
Secondo il
ricorrente, l’art. 16, comma 1, introducendo una sanatoria per le piccole
derivazioni montane, violerebbe l’art. 96, comma 6, cod. ambiente, «che limita
la sanatoria al periodo precedente il 30 giugno 2006», con conseguente
invasione della competenza statale in materia di tutela dell’ambiente.
2.– La
prima e la quinta questione, riguardanti rispettivamente l’art. 4, comma 1,
lettera p), e l’art. 16, comma 1, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 3
del 2018, sono inammissibili.
Questa Corte ha
costantemente affermato che, qualora sorga una questione di legittimità
costituzionale in relazione a una legge di una regione ad autonomia speciale
per l’asserita violazione di una norma del Titolo V della parte seconda della
Costituzione, il Presidente del Consiglio dei ministri (o il giudice rimettente)
ha l’onere di spiegare perché alla regione speciale dovrebbe essere applicato
il Titolo V e non lo statuto speciale (ad esempio, sentenze n. 134 del 2018,
n. 52 del 2017
e n. 238 del
2007, ordinanza
n. 247 del 2016). In particolare, è stata sottolineata la necessità che
siano indicate «le ragioni per le quali il parametro invocato garantirebbe una
maggiore autonomia della Regione e sarebbe, perciò, applicabile in luogo di
quelli statutari» (sentenza n. 151 del
2017; nello stesso senso, ordinanza n. 250
del 2007), in attuazione della cosiddetta clausola di maggior favore
contenuta all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3
(Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione), secondo cui,
«[s]ino all’adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della presente
legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto speciale ed alle
province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di
autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite».
Ai fini appena
indicati, la motivazione contenuta nel primo e nel quinto motivo di ricorso è
insufficiente. Nel primo motivo il ricorrente si limita a ricordare che l’art.
5, numero 14, dello Statuto speciale riconosce alla Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia competenza legislativa concorrente nella materia delle
derivazioni d’acqua pubblica, ma che, poiché esse rientrano nella potestà
legislativa residuale delle regioni ordinarie ai sensi dell’art. 117, quarto
comma, Cost., opererebbe la clausola di maggior favore sopra ricordata; da ciò
discenderebbe «quale ulteriore conseguenza l’applicazione del regime ordinario
anche in riferimento ai limiti che trova la potestà legislativa regionale in
materia». Di simile tenore e ugualmente succinta è l’argomentazione della
quinta questione, relativa all’art. 16, comma 1, della legge reg. Friuli-Venezia
Giulia n. 3 del 2018. Per questa via, l’art. 95, comma 4, e l’art. 96, comma 6,
cod. ambiente (invocati rispettivamente nel primo e nel quinto motivo di
ricorso) sarebbero cogenti anche per le regioni speciali. Con la conseguenza
che le disposizioni impugnate violerebbero l’art. 117, secondo comma, lettera
s), Cost. (e, quanto al primo motivo, anche l’art.
118, primo comma, Cost.).
Il ricorrente non
erra quando presuppone che non si possano meccanicamente separare le norme del
Titolo V attributive di autonomia alle regioni da quelle che completano lo
"statuto” regolativo di una certa funzione, quali possono essere le norme
dell’art. 117, secondo comma, Cost., che riservano
alla competenza esclusiva dello Stato determinate materie "trasversali”, o
dell’art. 118 Cost., in materia di allocazione delle funzioni amministrative. È
a tale complessivo statuto di ciascuna specifica funzione che si deve fare
riferimento anche quando si tratti di applicare l’art. 10 della legge cost. n.
3 del 2001, come questa Corte ha già chiarito, affermando che «le disposizioni
della legge appena citata sono destinate a prevalere sugli statuti speciali di
autonomia e sono evocabili "solo per le parti in cui prevedono forme di
autonomia più ampie di quelle già attribuite e non per restringerle, da
considerarsi (per la singola Provincia autonoma o Regione speciale) in modo
unitario nella materia o funzione amministrativa presa in considerazione” (sentenza n. 103 del
2003)» (sentenza
n. 255 del 2014).
Tutto ciò comporta
tuttavia che, come correttamente osservato dalla difesa della Regione
resistente, condizione per l’applicazione del Titolo V alla regione speciale
sia un risultato complessivamente favorevole per la sua autonomia del raffronto
fra il regime della funzione, così definito, in base allo stesso Titolo V e la
parallela, a sua volta complessiva, disciplina della funzione risultante dallo
statuto speciale. La clausola di maggior favore di cui all’art. 10 della legge
cost. n. 3 del 2001, se importa che le autonomie speciali non restino private
delle più ampie forme di autonomia concesse alle regioni ordinarie con la
riforma del 2001, non può a maggior ragione comportare che l’effetto
dell’applicazione del Titolo V si risolva, di per sé, in una restrizione
dell’autonomia della regione speciale.
Della descritta
comparazione di regimi, delle sue ragioni e dei suoi esiti, deve essere dato conto
da chi intenda farne valere i risultati al fine di contestare la legittimità
costituzionale di una disposizione di legge – sia da parte dello Stato che da
parte della Regione – come è nel caso in esame.
Di tale raffronto,
delle ragioni dell’assunta più ampia autonomia garantita in applicazione di un
regime piuttosto che dell’altro, non vi è traccia nel ricorso statale contro la
legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. Il ricorrente si limita ad
affermare che l’applicazione dell’art. 117, quarto comma, Cost.,
norma assunta come più favorevole, "trascina” con sé quella dell’art. 117,
secondo comma, lettera s), e (quanto al primo motivo) dell’art. 118, primo
comma, Cost., senza illustrare in alcun modo la maggiore autonomia che il
"regime” complessivo del Titolo V implicherebbe a favore della Regione, alla
luce di una comparazione con quello previsto nello Statuto speciale della
resistente. In conclusione la prima e la quinta questione di legittimità
costituzionale proposte sono inammissibili per insufficienza della motivazione.
3.– Il
secondo motivo di ricorso concerne l’art. 4, comma 1, lettera w), della legge
reg. Friuli-Venezia Giulia n. 3 del 2018, che introduce il comma 3-bis
nell’art. 50 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 11 del 2015, prevedendo
una maggiorazione del canone demaniale «nei casi in cui l’esercizio delle
concessioni di derivazione d’acqua […] sia prorogato ai sensi dell’articolo 12,
comma 8-bis, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79».
È innanzitutto
inammissibile per difetto assoluto di motivazione la censura di violazione del
principio di ragionevolezza e dell’art. 97 Cost., giacché il ricorrente omette
di indicare alcun argomento a sostegno del preteso contrasto tra la norma
impugnata e i parametri evocati (ex multis, sentenze n. 16 del 2019,
n. 219 e n. 210 del
2018).
3.1.–
Il ricorrente lamenta poi la violazione del principio di parità di trattamento
nonché di due norme legislative statali (art. 12, comma 8-bis, del d.lgs. n. 79
del 1999 e art. 37, comma 7, del d.l. n. 83 del 2012) assunte come parametri interposti,
con la conseguenza che sarebbe invasa la competenza esclusiva statale in
materia di «tutela della concorrenza» (art. 117, secondo comma, lettera e,
Cost.)
Le questioni non
sono fondate.
Si deve
preliminarmente osservare che il ricorrente, pur prendendo in considerazione la
competenza regionale statutaria in materia di demanio idrico, invoca l’art.
117, secondo comma, lettera e), Cost, facendo valere così una competenza
esclusiva statale che non trova corrispondenza nello Statuto. Sicché, pur in
assenza di eccezioni sul punto della Regione, va precisato che in questo caso
uno scrutinio alla luce delle norme statutarie risulta inutile (sentenze n. 103 del 2017,
n. 61 del 2009
e n. 391 del
2006).
La censura di
disparità di trattamento – tra i gestori operanti nel Friuli-Venezia Giulia e
quelli di altre regioni – contraddice l’esistenza stessa dell’autonomia
legislativa regionale, come ha ribadito questa Corte trattando un’analoga
questione sollevata con riferimento a una legge della Regione autonoma Valle
d’Aosta: «accertato che
Occorre dunque
stabilire se la maggiorazione del canone demaniale si ponga in contrasto con i
parametri interposti evocati, con la conseguenza di un’invasione della
competenza statale in materia di «tutela della concorrenza». Questa Corte ha
già esaminato in due occasioni norme regionali contemplanti una maggiorazione
del canone in caso di prosecuzione temporanea della concessione, senza però
giungere ad una pronuncia sulla fondatezza della relativa questione (sentenze n. 175 del 2017
e n. 101 del
2016).
3.2.–
In primo luogo, si deve osservare che entrambe le norme statali invocate come
parametro interposto sono state abrogate dall’art. 11-quater del decreto-legge
14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e
semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione ), introdotto
dalla legge di conversione 11 febbraio 2019, n. 12. L’art. 12, comma 8-bis, del
d.lgs. n. 79 del 1999 è stato abrogato dall’art. 11-quater, comma 1, lettera
b), mentre l’art. 37, comma 7, del d.l. n. 83 del 2012 è stato abrogato
dall’art. 11-quater, comma 1, lettera c), del d.l. n. 135 del 2018.
Oltre ad abrogare
l’art. 12, comma 8-bis, la legge di conversione n. 12 del
Non solo, dunque,
la nuova disciplina statale segue la stessa impostazione adottata dalla norma
regionale impugnata, prevedendo un canone aggiuntivo a carico del
concessionario uscente, dopo la scadenza della concessione e nelle more della
procedura di assegnazione, ma essa precisa segnatamente, al comma 1-sexies, che
tale corrispettivo aggiuntivo è disciplinato dalle «regioni che non abbiano già
provveduto». È perciò lo stesso legislatore statale a presupporre che talune
regioni possano avere già adottato norme contemplanti un canone aggiuntivo e
che tali norme continuino ad operare.
3.3.–
In ogni caso, questa Corte ha più volte precisato che «la determinazione e la
quantificazione della misura di detti canoni [idroelettrici] devono essere
ricondotte alla competenza legislativa concorrente in materia di "produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, di cui all’art. 117, terzo
comma, Cost. (sentenze n. 158 del 2016,
n. 85 e n. 64 del
2014). Mentre è ascrivibile alla "tutela della concorrenza”, di competenza
esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., la
disciplina di cui all’art. 37, comma 7, del decreto-legge n. 83 del 2012,
ovvero la definizione, con decreto ministeriale, dei "criteri generali” che
condizionano la determinazione, da parte delle Regioni, dei valori massimi dei
canoni (sentenze n.
158 del 2016 e n. 28 del 2014)»
(sentenza n. 59
del 2017). Questa Corte ha altresì chiarito che «in assenza del suddetto
decreto […] [l]e Regioni […] hanno attualmente titolo, nell’ambito della
propria competenza ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., a determinare i
canoni idroelettrici nel rispetto del principio fondamentale "della onerosità
della concessione e della proporzionalità del canone alla entità dello
sfruttamento della risorsa pubblica e all’utilità economica che il
concessionario ne ricava” (sentenza n. 158 del
2016; nello stesso senso, sentenza n. 64 del
2014), nonché dei principî di economicità e ragionevolezza, previsti
espressamente dallo stesso art. 37, comma 7, del d.l. n. 83 del 2012 e
condizionanti l’esercizio della competenza regionale già prima della
definizione con decreto ministeriale dei criteri generali (sentenza n. 158 del
2016)» (sentenza
n. 59 del 2017).
Poiché il
ricorrente impugna la norma regionale per invasione della competenza statale in
materia di «tutela della concorrenza», e non per violazione di un principio
fondamentale nella materia dell’energia, è dunque necessario verificare se
l’art. 4, comma 1, lettera w), della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 3 del
2018, che introduce il comma 3-bis nell’art. 50 della legge reg. Friuli-Venezia
Giulia n. 11 del 2015, si limita a quantificare il canone demaniale o se invece
definisce i criteri generali per la determinazione dei canoni (sentenze n. 59 del 2017
e n. 158 del
2016). Come visto, la norma regionale prevede una puntuale maggiorazione
del canone, sicché si deve concludere che essa non invade la competenza
esclusiva statale in materia di «tutela della concorrenza».
4.– La
terza questione, concernente l’art. 14 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia
n. 3 del
4.1.–
In primo luogo, è da rilevare che, sebbene l’epigrafe e la conclusione del
terzo motivo di impugnazione facciano riferimento solo all’art. 117, secondo
comma, lettera e), Cost., nello svolgimento del motivo è richiamata anche la
competenza statale esclusiva in materia di sicurezza, alla quale (oltre che
alla concorrenza) vanno ricondotte le norme statali invocate come parametro
interposto. In base al complesso della motivazione è da considerare dunque
implicitamente richiamato anche l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., che attribuisce allo Stato competenza esclusiva in
materia di sicurezza.
4.2.–
In secondo luogo, va respinta l’eccezione di inammissibilità per genericità,
sollevata dalla difesa regionale. Il ricorso richiama specificamente l’art. 1,
comma 102, della l. n. 124 del 2017 e, benché non precisi quale sia il termine
più stringente fissato da questa disposizione, tale termine è facilmente
individuabile, anche tenuto conto del fatto che l’Avvocatura menziona a sua
volta la norma che lo ha modificato (art. 1, comma 1132, della legge n. 205 del
2017). La difformità censurata nel ricorso è dunque chiaramente quella tra il
termine di dodici mesi (poi prorogati a diciotto), fissato dal citato comma 102
per il completamento dell’adeguamento dell’impianto (termine decorrente dal 29
agosto 2017, cioè dall’entrata in vigore della legge n. 124 del 2017), e quello
di due anni fissato dalla norma regionale impugnata per la presentazione del
programma di adeguamento (termine decorrente dal 15 febbraio 2018, cioè
dall’entrata in vigore della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 3 del 2018).
4.3.–
In terzo luogo, poiché il ricorrente invoca, espressamente o implicitamente,
come visto, l’art. 117, secondo comma, Cost., occorre verificare la sufficienza
della motivazione quanto all’applicazione alla resistente di disposizioni
relative alle regioni ordinarie.
Il ricorrente
qualifica le norme legislative invocate quali parametri interposti come «norme
in materia di concorrenza e di sicurezza stradale, materie rientranti nella
legislazione esclusiva statale, anche con riguardo alle disposizioni statutarie
regionali». Non essendo né la concorrenza né la sicurezza materie menzionate
nello Statuto speciale e non ricadendo per altro verso la disciplina dei
distributori di carburanti in una materia statutaria (tanto è vero che la
stessa Regione invoca la competenza concorrente in materia di energia prevista
all’art. 117, terzo comma, Cost.), la motivazione del ricorso risulta
sufficiente, benché stringata. Da quanto esposto a sostegno del motivo di
impugnazione emerge infatti con chiarezza l’inutilità di uno scrutinio condotto
alla luce delle norme statutarie (sentenze n. 103 del 2017,
n. 61 del 2009,
n. 391 del 2006).
4.4.–
Nel merito, sussiste la violazione dell’art. 1, comma 102, della legge n. 124
del 2017 e dell’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., che attribuisce allo
Stato competenza esclusiva in materia di sicurezza.
La legge n. 124
del 2017 introduce «un’anagrafe degli impianti di distribuzione di benzina,
gasolio, GPL e metano della rete stradale e autostradale» (art. 1, comma 100) e
stabilisce che i titolari degli impianti «hanno l’obbligo di iscrizione
nell’anagrafe di cui al comma 100 del presente articolo entro trecentosessanta
giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge» (comma 101).
Contestualmente
all’iscrizione nell’anagrafe, i titolari degli impianti devono presentare una
dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, «attestante che l’impianto di
distribuzione dei carburanti ricade ovvero non ricade, in relazione ai soli
aspetti attinenti alla sicurezza della circolazione stradale, in una delle
fattispecie di incompatibilità» di cui ai commi 112 e 113 e alle vigenti norme
regionali, «ovvero che, pur ricadendo nelle fattispecie di incompatibilità, si
impegnano al loro adeguamento, da completare entro diciotto mesi dalla data di
entrata in vigore della presente legge» (comma 102).
Qualora l’impianto
di distribuzione dei carburanti ricada nelle fattispecie di incompatibilità di
cui al comma 102 «e il titolare non si impegni a procedere al relativo completo
adeguamento, lo stesso titolare cessa l’attività di vendita di carburanti entro
quindici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e provvede
allo smantellamento dell’impianto». Contestualmente, «l’amministrazione
competente dichiara la decadenza del titolo autorizzativo o concessorio
relativo allo stesso impianto» (comma 103).
In sintesi, la
disciplina statale prevede – a carico dei titolari degli impianti di
distribuzione di carburanti – l’obbligo di iscrizione all’anagrafe entro agosto
2018. Prescrive inoltre che, in caso di impianti "incompatibili”, il titolare o
si impegna – al momento dell’iscrizione – ad adeguare il proprio impianto (e in
tal caso l’adeguamento deve avvenire entro il 28 febbraio 2019) o cessa
dall’attività di vendita entro il 29 novembre 2018.
La norma regionale
impugnata stabilisce invece che il programma di adeguamento (non l’adeguamento)
possa essere presentato entro due anni dall’entrata in vigore della stessa
legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 3 del 2018, cioè entro il 15 febbraio 2020.
È dunque chiaro il contrasto con quanto stabilito dalla legge statale, con la
conseguenza dell’illegittimità della previsione regionale, in quanto la
disciplina statale, e segnatamente il comma 102 dell’art. 1 della legge n. 124
del 2017, è effettivamente riconducibile alle materie di competenza esclusiva
dello Stato richiamate dal ricorrente.
La norma statale
ora indicata richiede ai gestori una dichiarazione relativa «ai soli aspetti
attinenti alla sicurezza della circolazione stradale» e rinvia ai successivi commi
112 e 113, che contemplano situazioni di incompatibilità degli impianti «in
relazione agli aspetti di sicurezza della circolazione stradale». Quanto agli
impianti ubicati all’interno dei centri abitati, sono considerati incompatibili
quelli «privi di sede propria per i quali il rifornimento, tanto all’utenza
quanto all’impianto stesso, avviene sulla carreggiata», e quelli «situati
all’interno di aree pedonali» (comma 112), mentre gli impianti ubicati
all’esterno dei centri abitati sono considerati incompatibili se «ricadenti in
corrispondenza di biforcazioni di strade di uso pubblico (incroci ad Y) e
ubicati sulla cuspide degli stessi, con accessi su più strade pubbliche», se
«ricadenti all’interno di curve aventi raggio minore o uguale a metri cento, salvo
si tratti di unico impianto in comuni montani», e se «privi di sede propria per
i quali il rifornimento, tanto all’utenza quanto all’impianto stesso, avviene
sulla carreggiata» (comma 113).
Il contesto della
disciplina statale richiamata conferma che la disposizione statale di
riferimento (comma 102) ricade per oggetto e per finalità nella materia della
sicurezza stradale, alla quale deve essere primariamente ricondotta, prevalendo
tale sua afferenza su quella ad altre materie alle quali secondariamente il
tema dell’adeguamento o della chiusura degli impianti di distribuzione potrebbe
essere ricondotto (come ad esempio «energia» e «governo del territorio»: sentenza n. 183 del
2012). Ne consegue che la norma stessa costituisce espressione della
competenza esclusiva statale in materia di «sicurezza» di cui all’art. 117,
secondo comma, lettera h), Cost. (sull’attinenza a
tale materia anche della sicurezza stradale, da ultimo sentenza n. 5 del
2019).
4.5.–
La questione riferita all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. può essere dichiarata assorbita.
5.– La
quarta questione, concernente l’art. 15 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia
n. 3 del
Secondo il
ricorrente, la norma impugnata, modificando l’art. 6, comma 1, della legge reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 29 del 2017, avrebbe esteso la procedura semplificata
ivi prevista, prima limitata agli interventi di dragaggio manutentivi da
attuare nelle vie di navigazione interna, a quelli da effettuare in mare, in
violazione dell’art. 109 cod. ambiente.
Precisato che gli interventi
di dragaggio manutentivi sono «intesi quali operazioni di ripristino della
sezione originaria del canale» (art. 4, comma 4, della legge reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 29 del 2017), cioè consistono in operazioni di scavo
che hanno lo scopo di portare la profondità del fondale al livello originario,
la questione risulta non fondata per due ragioni concorrenti: da un lato, non è
esatto ciò che afferma il ricorrente, ossia che la norma impugnata estende
genericamente al mare l’ambito di applicazione dell’art. 6, comma 1, della
legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 29 del 2017; dall’altro lato, la norma
stessa non contrasta con l’art. 109 cod. ambiente.
Sotto il primo
profilo, è utile ricostruire il contesto in cui il citato art. 6 si colloca. La
disposizione è contenuta nel capo I del Titolo II della legge regionale, capo
intitolato «Disposizioni per la gestione manutentiva del demanio regionale
navigabile». L’art. 2, comma 1, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 29
del 2017 dispone che «[a]l fine di garantire la sicurezza della navigazione
interna e la salvaguardia dell’ambiente
Nonostante la
modifica apportata dalla norma impugnata (che ha soppresso l’inciso «, coerenti
con le previsioni del programma d’intervento di cui all’articolo 4, da attuare
nei canali e nelle vie di navigazione interna appartenenti al demanio regionale»),
l’art. 6, comma 1, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 29 del 2017,
inserito nel proprio contesto di riferimento, non può dunque essere ritenuto
comprensivo anche degli interventi di dragaggio manutentivi da effettuare in
mare, senza ulteriori specificazioni.
Il ricorrente
sottolinea che la legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 29 del 2017 menziona
anche il demanio regionale navigabile marittimo (art. 2, comma 2), ma nemmeno
tali riferimenti avvalorano la sua tesi, in quanto essi, lungi dall’estendere
al mare le attribuzioni regionali, hanno ad oggetto l’unico demanio marittimo
trasferito alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, ossia la laguna di
Marano-Grado: art. 1, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2001, n. 265
(Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia
per il trasferimento di beni del demanio idrico e marittimo, nonché di funzioni
in materia di risorse idriche e di difesa del suolo), e artt. 1, comma 1, e 2,
comma 1, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia 21 aprile 2017, n. 10
(Disposizioni in materia di demanio marittimo regionale e demanio stradale
regionale, nonché modifiche alla legge regionale n. 17/2009, alla legge
regionale n. 28/2002 e alla legge regionale n. 22/2006).
Sotto il secondo profilo,
l’art. 6, comma 1, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 29 del 2017, come
modificato dalla norma impugnata, non contrasta con l’art. 109 cod. ambiente.
Mentre quest’ultimo riguarda l’«Immersione in mare di
materiale derivante da attività di escavo e attività di posa in mare di cavi e
condotte», la disposizione regionale fa riferimento agli interventi di
dragaggio manutentivi, per i quali stabilisce che «le procedure autorizzative
sono circoscritte alla sola acquisizione delle verifiche e dei pareri necessari
al conferimento e al riutilizzo dei materiali nel rispetto della vigente
normativa di valenza ambientale e sanitaria». Essa precisa dunque espressamente
che, per la fase successiva al dragaggio (quella che si traduce nel riutilizzo
del materiale scavato), va rispettata la vigente normativa di tutela
ambientale. Contrariamente a quando assunto nel ricorso, dunque, la norma
regionale impugnata non rende inoperante l’art. 109 cod. ambiente.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 14 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 6
febbraio 2018, n. 3 (Norme urgenti in materia di ambiente, di energia, di
infrastrutture e di contabilità);
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 4, comma 1, lettera p) della legge reg. Friuli-Venezia
Giulia n. 3 del 2018, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in
riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera s), e 118, primo comma,
della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara inammissibile la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1, della legge reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 3 del 2018, promossa dal Presidente del Consiglio dei
ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s) Cost., con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, lettera w), della legge reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 3 del 2018, promosse dal Presidente del Consiglio dei
ministri, in riferimento all’art. 97 Cost. e al
principio di ragionevolezza, con il ricorso indicato in epigrafe;
5) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, lettera w), della legge reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 3 del 2018, promossa dal Presidente del Consiglio dei
ministri, in riferimento all’art. 3 Cost., con il
ricorso indicato in epigrafe;
6) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, lettera w), della legge reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 3 del 2018, promossa dal Presidente del Consiglio dei
ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., con il ricorso indicato in epigrafe;
7) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 15 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia
n. 3 del 2018, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in
riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.,
con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in
Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3
aprile 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI,
Presidente
Daria de PRETIS,
Redattore
Roberto MILANA,
Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 16 maggio 2019.