SENTENZA N. 101
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giuseppe FRIGO Giudice
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1, lettera a), e 6, comma 1, lettere a), c) ed f), della legge della Regione Lombardia 30 dicembre 2014, n. 35, recante «Disposizioni per l’attuazione della programmazione economico-finanziaria regionale, ai sensi dell’articolo 9-ter della legge regionale 31 marzo 1978, n. 34 (Norme sulle procedure della programmazione, sul bilancio e sulla contabilità della Regione) – Collegato 2015», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 27 febbraio-2 marzo 2015, depositato in cancelleria il 3 marzo 2015 ed iscritto al n. 30 del registro ricorsi 2015.
Visto l’atto di costituzione della Regione Lombardia;
udito nell’udienza pubblica del 19 aprile 2016 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli;
uditi l’avvocato dello Stato Maria Gabriella Mangia per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Piera Pujatti per la Regione Lombardia.
Ritenuto in fatto
1.− Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, con il ricorso in epigrafe, plurime questioni di legittimità costituzionale della legge della Regione Lombardia 30 dicembre 2014, n. 35, recante «Disposizioni per l’attuazione della programmazione economico-finanziaria regionale, ai sensi dell’articolo 9-ter della legge regionale 31 marzo 1978, n. 34 (Norme sulle procedure della programmazione, sul bilancio e sulla contabilità della Regione) – Collegato 2015».
Di detta legge – per sospetto contrasto con gli artt. 3, 117, primo comma (in relazione alla direttiva 19 dicembre 1996, n. 96/92/CE, recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica), secondo comma, lettere e) ed s), e terzo comma, nonché con l’art. 120 della Costituzione – il ricorrente ha, in particolare, censurato:
l’art. 1, comma 1, lettera a), nella parte in cui prevede l’esercizio in forma associata, da parte delle unioni di Comuni, di «almeno cinque delle funzioni di cui all’art. 14, comma 27, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122», in difformità dalla previsione statuale di obbligatorietà della gestione associata di tutte le suddette funzioni fondamentali;
l’art. 6, comma 1, lettera a), nella parte in cui – con «l’introdurre aprioristicamente nella categoria dei “rifiuti urbani prodotti nel territorio regionale” indistintamente tutti i rifiuti derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani, si pone in contrasto con la disciplina nazionale di riferimento, prevista dal d.lgs. n. 152 del 2006 [Norme in materia ambientale]»; e nella ulteriore parte in cui – con il subordinare al «previo accordo tra le regioni interessate» il trattamento, in impianti di recupero energetico, dei rifiuti urbani indifferenziati di provenienza extraregionale – «introduce illegittimamente un vincolo non previsto dal legislatore nazionale» per il trattamento dei suddetti rifiuti;
l’art. 6, comma 1, lettera c), nella parte in cui prevede che la Giunta regionale possa consentire, ai concessionari di grandi derivazioni d’acqua per uso idroelettrico «in scadenza entro il 31 dicembre 2017», la «prosecuzione temporanea» degli impianti, con ciò discostandosi dalla normativa statale di riferimento, di cui all’art. 12 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica), che «pone quale principio informatore generale della materia – cui anche le Regioni, nell’esercizio del potere legislativo concorrente in materia di energia, devono attenersi – l’obbligo di svolgere gare ad evidenza pubblica»;
l’art. 6, comma 1, lettera f), nella parte in cui prevederebbe un’applicazione retroattiva del canone aggiuntivo per la prosecuzione temporanea delle derivazioni di acqua pubblica, di cui all’art. 53-bis, comma 5-bis, della legge regionale n. 26 del 2003.
2.– Si è costituita la Regione Lombardia, contestando la fondatezza in ogni sua parte dell’impugnativa statuale.
Con riferimento, in particolare, alla disposizione di cui all’art. 6, comma 1, lettera a), la resistente ha sostenuto che la stessa andrebbe interpretata nel senso che lo smaltimento, all’interno della Regione, anche dei rifiuti derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani «garantirebbe la coerenza con la programmazione regionale dei rifiuti, nonché la realizzazione dei principi di autosufficienza e di prossimità di cui agli artt. 181, comma 5, e 182-bis, comma 1, del d.lgs. 152 del 2006», mentre, diversamente, ove si assegnasse «priorità alla produzione di energia con solo rifiuto urbano indifferenziato», si finirebbe con il «disincentivare il recupero di materia, contravvenendo le disposizioni […] della Unione europea». Ed a sua volta, il previsto «previo accordo tra le regioni interessate», in tema di trattamento di rifiuti urbani extraregionali non sarebbe, «di per sé, ostativo alla libera circolazione del prodotto rifiuto», trattandosi «semplicemente, di regolamentazione pattizia» volta a «facilita[re] anche la conoscenza dei flussi dei rifiuti provenienti da altre regioni».
Quanto alla disposizione di cui alla lettera c) del comma 1 dell’art. 6 della legge regionale n. 35 del 2014, la stessa Regione – eccepita in premessa l’inammissibilità, per genericità, della correlativa questione – ha, nel merito, comunque, replicato che «in sostanza la norma regionale, chiaramente transitoria, non proroga alcuna concessione, ma, per il tempo strettamente necessario al completamento delle procedure di assegnazione, consente l’esercizio temporaneo degli impianti».
3.– Il successivo 22 marzo 2016, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato, nell’interesse del Presidente del Consiglio dei ministri, atto di rinuncia parziale al ricorso, limitatamente alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera a), della legge impugnata.
4.– La difesa della resistente, con memoria integrativa in data 25 marzo 2016, ha dato atto della suddetta rinunzia e, con successiva memoria del 15 aprile 2016, l’ha, infine, formalmente accettata.
Considerato in diritto
1.− Con ricorso resistito dalla Regione Lombardia, il Presidente del Consiglio dei ministri, come già riferito in narrativa, ha impugnato e per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato, gli artt. 1, comma 1, lettera a), e 6, comma 1, lettere a), c) ed f) della legge della suddetta Regione, 30 dicembre 2014, n. 35, recante «Disposizioni per l'attuazione della programmazione economico-finanziaria regionale, ai sensi dell'articolo 9-ter della legge regionale 31 marzo 1978, n. 34 (Norme sulle procedure della programmazione, sul bilancio e sulla contabilità della Regione) – Collegato 2015», per sospetto contrasto con gli artt. 3, 117, commi primo, secondo, lettere e) ed s), e terzo, nonché 120 della Costituzione.
2.– Il ricorrente ha, come detto, poi rinunziato alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera a), della citata legge regionale n. 35 del 2014, a seguito della sopravvenuta modifica, ritenuta evidentemente satisfattiva, di detta norma, ad opera dell’art. 4, comma 1, lettera a), della successiva legge regionale 8 luglio 2015, n. 20 (Legge di semplificazione 2015 – Ambiti istituzionale ed economico).
La Regione resistente ha accettato la rinunzia. Il che comporta l’estinzione del giudizio relativo alla suddetta questione, ai sensi dell’art. 23 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
3.– La disposizione di cui alla lettera f) del comma 1 dell’art. 6 della legge in esame, nelle more del giudizio, è stata, a sua volta, «soppressa» – senza aver avuto in precedenza alcuna applicazione, come attestato dalla resistente – ad opera dell’art. 8, comma 5, lettera b), della legge della Regione Lombardia 5 agosto 2015, n. 22 (Assestamento al bilancio 2015/2017 – I provvedimento di variazione con modifiche di leggi regionali).
In ordine alla questione di legittimità costituzionale del predetto art. 6, comma 1, lettera f), della legge regionale n. 35 del 2014 può, pertanto, dichiararsi cessata la materia del contendere.
4.– Restano, quindi, da esaminare le sole questioni relative alle disposizioni di cui, rispettivamente, alla lettera a) ed alla lettera c) del comma 1 dell’art. 6 della legge regionale n. 35 del 2014.
5.– L’art. 6, comma 1, lettera a), della legge impugnata modifica, integrandolo, l’art. 14 della precedente legge regionale 12 dicembre 2003, n. 26 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche), inserendo, di seguito al suo comma 3, tra l’altro e per quanto qui rileva:
il comma 3-bis, a tenore del quale «Ai fini dell’applicazione di quanto previsto dall’articolo 35, comma 6, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive) convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, nel rispetto della programmazione regionale dei flussi dei rifiuti urbani, nonché dell’obiettivo di autosufficienza per il recupero e smaltimento degli stessi sul territorio regionale, con il termine “rifiuti urbani prodotti nel territorio regionale” si intendono anche i rifiuti decadenti dal trattamento dei rifiuti urbani»;
il comma 3-ter, prevedente che «Il contributo previsto dall’articolo 35, comma 7, del d.l. 133/2014, convertito dalla L. 164 del 2014, è determinato nella misura di 20,00 euro per ogni tonnellata di rifiuto urbano indifferenziato (codice CER 200301) di provenienza extraregionale, trattato in impianti di recupero energetico. Il trattamento è da attuarsi previo accordo tra le regioni interessate».
5.1.– Per quanto, in particolare, attiene al così introdotto comma 3-bis dell’art. 14 della legge regionale n. 26 del 2003, la censura di violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., formulata dal ricorrente, muove dalla considerazione che l’avere, detta disposizione, inserito, nella categoria dei «rifiuti urbani prodotti nel territorio regionale», indistintamente tutti i rifiuti derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani determini, appunto, la lesione della competenza statale esclusiva nella materia «tutela dell’ambiente», di cui all’evocato precetto costituzionale.
5.1.1.– Tale questione è fondata.
Con l’ampliare – sia pure ai soli fini dell’applicazione di quanto disposto dal menzionato art. 35 del d.l. n. 133 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2014 – la nozione di «rifiuti urbani prodotti nel territorio regionale», riconducendovi altresì tutti i rifiuti decadenti dal trattamento dei rifiuti urbani, la disposizione in esame si pone, infatti, in contrasto con la disciplina nazionale di riferimento, prevista dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), la quale stabilisce che «i rifiuti derivanti dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti» debbano venir ricompresi nella categoria dei «rifiuti speciali» (art. 184, comma 3, lettera g).
La disciplina dei rifiuti rientra, per costante giurisprudenza di questa Corte, nella materia, appunto, della «tutela dell’ambiente» (ex plurimis, sentenze n. 180, n. 149 e n. 58 del 2015, n. 70 del 2014, n. 69 del 2011, n. 373 e n. 127 del 2010).
Da qui, dunque, il vulnus arrecato dall’impugnata disposizione al precetto di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Mentre non rileva, in contrario, quanto argomentato dalla resistente sulla “opportunità” della diversa classificazione dei rifiuti urbani, da essa operata, o sul prospettato carattere, di interpretazione adeguatrice della disciplina statale, attribuito alla norma impugnata, poiché in ambito di competenza esclusiva dello Stato (quale quello che attiene alla «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema») non è certamente consentito alla Regione di adottare interventi normativi siffatti.
5.2.– Anche il «previo accordo tra le regioni interessate», in tema di trattamento dei rifiuti destinati al recupero energetico, di cui al successivo comma 3-ter dell’art. 14 della legge regionale n. 26 del 2003, aggiunto dall’art. 6, comma 1, lettera a), della legge impugnata, viola, effettivamente, come prospettato dal Presidente del Consiglio, sia l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. – introducendo un elemento innovativo in una fattispecie già compiutamente regolata dal legislatore statale – sia l’art. 120 Cost., per l’ostacolo, che ne deriva, alla libera circolazione di cose tra le Regioni.
Ne consegue la illegittimità costituzionale, anche per tal profilo, della disposizione regionale scrutinata.
6.– Sub lettera c) del comma 1 dell’art. 6, da ultimo coinvolto nell’odierna impugnativa, la legge della Regione Lombardia n. 35 del 2014 testualmente dispone che «La Giunta regionale, al fine di garantire la continuità della produzione elettrica e in considerazione dei tempi necessari […] per espletare le procedure di gara, può consentire, per le sole concessioni in scadenza entro il 31 dicembre 2017, la prosecuzione temporanea, da parte del concessionario uscente, dell’esercizio degli impianti di grande derivazione a uso idroelettrico per il tempo strettamente necessario al completamento delle procedure di assegnazione e comunque per un periodo non superiore a cinque anni, come previsto dall’articolo 12, comma 1, del D.lgs. 79 del 1999 [Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica]».
6.1.– Secondo la difesa dello Stato, tale disposizione violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost. (che attribuisce allo Stato la potestà di determinare i principi fondamentali in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale di energia»), «nella parte in cui attribuisce ad un organo regionale la potestà discrezionale di far proseguire l’esercizio di una concessione oltre la sua originaria scadenza».
Essa violerebbe, inoltre, la competenza esclusiva statale in materia di «tutela della concorrenza», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., «atteso che la prosecuzione di concessioni in essere è suscettibile di alterare i principi del libero mercato e si pone in contrasto con il d.lgs. n. 79 del 1999 […], il quale costituisce a sua volta attuazione di norme comunitarie e, in particolare, della direttiva 96/92/CE, ciò che implica che le previsioni contenute nella legge impugnata finiscano per integrare anche una violazione del primo comma dell’art. 117 Cost.», che impone alle Regioni di esercitare la potestà legislativa anche nel rispetto dei vincoli comunitari.
6.2.– Le censure, come sopra formulate, sono specifiche e puntuali, per cui l’eccezione di inammissibilità della questione relativa alla disposizione di cui alla lettera c) del comma 1 dell’art. 6 della legge in esame – formulata dalla resistente in ragione della sua asserita genericità – va preliminarmente respinta.
6.3.– La disposizione in esame è stata, nelle more, modificata da quella sub art. 8, comma 13, lettera s), della già menzionata legge regionale n. 22 del 2015, che ha sostituito l’art. 53-bis, comma 4, della legge regionale n. 26 del 2003, che l’art. 6, comma 1, lettera c), qui impugnato, aveva già sostituito.
La differenza tra le due disposizioni consiste in ciò che, nel testo riformulato, la data del 31 dicembre 2017 non rileva più come termine di scadenza delle concessioni, delle quali può essere consentita la prosecuzione temporanea «per un periodo non superiore a cinque anni», bensì come termine «non oltre» il quale può essere consentita una siffatta prosecuzione «per le sole concessioni in scadenza».
Rispetto alle censure del ricorrente – formulate sul presupposto di un divieto assoluto, frapposto dalla legislazione statale, alla “prorogabilità”, da parte della Regione, di concessioni scadute di grandi derivazioni di acqua – la nuova disciplina risulta, comunque, “sostanzialmente omogenea” rispetto alla disciplina sostituita, e quindi non satisfattiva.
In linea con la giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 167 del 2013 e n. 198 del 2012), considerato anche che la resistente attesta che la norma precedente non ha avuto applicazione, può disporsi il trasferimento della questione sulla nuova norma, quale appunto risultante dalla sostituzione, dell’art. 6, comma 1, lettera c), della legge regionale n. 35 del 2014, operata dall’art. 8, comma 13, lettera s), della successiva legge regionale n. 22 del 2015.
6.4.– Nel merito la questione non è fondata.
6.4.1.– Non sussiste, in primo luogo, la violazione, che il ricorrente addebita alla Regione, per aver legiferato, in un ambito di competenza concorrente, ex art. 117, terzo comma, Cost. («produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia»), in asserito contrasto con principi fondamentali, regolatori della materia, recati dal d.lgs. n. 79 del 1999. Detto decreto legislativo, al comma 1 del suo art. 12, già, infatti, prevede che, per le concessioni idroelettriche scadenti entro il 31 dicembre 2017, la gara di evidenza pubblica per la nuova concessione possa essere differita ed indetta «entro due anni dalla data di entrata in vigore del [l’emanando] decreto [del Ministero dell’ambiente] di cui al comma 2». E, al successivo comma 8-bis dell’art. 12, il medesimo d.lgs. n. 79 del 1999 testualmente prevede che «Qualora alla data di scadenza di una concessione non sia ancora concluso il procedimento per l’individuazione del nuovo concessionario, il concessionario uscente proseguirà la gestione della derivazione, fino al subentro dell’aggiudicatario della gara, alle stesse condizioni stabilite dalle normative e dal disciplinare di concessione vigenti».
Per cui è evidente che la Regione – disciplinando analoga ipotesi di prosecuzione dell’attività oggetto di concessione scaduta, «al fine di garantire la continuità della produzione elettrica» per i «tempi necessari […] per espletare le procedure di gara», ed assumendo la medesima data del 31 dicembre 2017 prevista dal legislatore statale, oltretutto al solo più riduttivo scopo di fissare il termine ultimo utile ai fini della proseguibilità delle gestioni antecedentemente scadute – non ha per alcun profilo deviato dal binario fissato dal legislatore statale, al quale si è invece sostanzialmente attenuta.
6.4.2.– Neppure può, infine, considerarsi violato l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
Infatti, se è pur vero che la disciplina della procedura ad evidenza pubblica relativa alla tempistica delle gare ed al contenuto dei bandi, nonché all’onerosità delle concessioni messe a gara nel settore idroelettrico, rientra nella materia della «tutela della concorrenza», di competenza legislativa esclusiva statale, in quanto volta, appunto, a garantire e promuovere la concorrenza in modo uniforme sull’intero territorio statale (per tutte, sentenza n. 28 del 2014), vero è anche, però, che la (temporalmente circoscritta) proseguibilità della gestione di derivazione d’acqua oggetto di concessione scaduta – quale consentita dalla norma regionale da considerarsi ora censurata (in linea, per altro, con quanto analogamente previsto dal legislatore statale), in funzione della non interruzione del servizio idrico, nel caso e per il tempo di protrazione delle procedure di gara indette per il conferimento della nuova concessione – non reca alcun effettivo vulnus al principio di «concorrenza», che resta salvaguardato dalla libera partecipazione a tali procedure.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, commi 3-bis e 3-ter, ultimo periodo, della legge della Regione Lombardia 12 dicembre 2003, n. 26 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche), aggiunti dall’art. 6, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 30 dicembre 2014, n. 35, recante «Disposizioni per l’attuazione della programmazione economico-finanziaria regionale, ai sensi dell’articolo 9-ter della legge regionale 31 marzo 1978, n. 34 (Norme sulle procedure della programmazione, sul bilancio e sulla contabilità della Regione) – Collegato 2015»;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, lettera c), della legge della Regione Lombardia n. 35 del 2014 – nel testo modificato dall’art. 8, comma 13, lettera s), della legge regionale 5 agosto 2015, n. 22 (Assestamento al bilancio 2015/2017 – I provvedimento di variazione con modifiche di leggi regionali) – promossa, in riferimento agli artt. 3, 117, primo e secondo comma, lettera e), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe, previo trasferimento della questione di legittimità costituzionale sulla nuova disposizione;
3) dichiara estinto il giudizio relativamente alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia n. 35 del 2014, promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe;
4) dichiara cessata la materia del contendere in relazione alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, lettera f), della legge della Regione Lombardia n. 35 del 2014, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 aprile 2016.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Mario Rosario MORELLI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 12 maggio 2016.