SENTENZA N. 373
ANNO 2010
Commento alla decisione di
Antonio Ruggeri
(per gentile concessione della Rivista telematica Federalismi.it)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Ugo DE SIERVO Presidente
- Paolo MADDALENA Giudice
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 3, comma 1, lettera f), e 6, comma 4, della legge della Regione Puglia 31 dicembre 2009, n. 36 (Norme per l’esercizio delle competenze in materia di gestione dei rifiuti in attuazione del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 2-8 marzo 2010, depositato in cancelleria il 9 marzo 2010 ed iscritto al n. 39 del registro ricorsi 2010.
Visto l’atto di costituzione della Regione Puglia;
udito nell’udienza pubblica del 16 novembre 2010 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro;
uditi l’avvocato dello Stato Alessandro De Stefano per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Marina Altamura e Tiziana T. Colelli per la Regione Puglia.
Ritenuto in fatto
1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso depositato il 9 marzo 2010, ha impugnato gli articoli 3, comma 1, lettera f), e 6, comma 4, della legge Regione Puglia 31 dicembre 2009, n. 36 (Norme per l’esercizio delle competenze in materia di gestione dei rifiuti in attuazione del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152), per violazione dell’articolo 117, comma secondo, lettera s), della Costituzione.
Il ricorrente sottolinea che, l’art. 3, comma 1, lettera f), della legge impugnata, nell’attribuire alla Regione la competenza all’emanazione di linee guida per la gestione integrata dei rifiuti, dispone che «la Regione regolamenta gli ambiti di attività soggetti alla previa emanazione di disciplina statale nelle more della determinazione degli indirizzi nazionali, come nel caso dei criteri per l’assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani».
Nel ricorso si richiama la sentenza di questa Corte n. 249 del 2009, la quale ha stabilito che «la disciplina dei rifiuti si colloca nell’ambito della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, comma 2, lettera s), Cost., anche se interferisce con altri interessi e competenze»; che tale disciplina, pertanto, rientra «in una materia che, per la molteplicità dei settori di intervento, assume una struttura complessa, riveste un carattere di pervasività rispetto anche alle attribuzioni regionali». In tale contesto, la norma regionale, prevedendo che la Regione, seppure fino all’adozione degli indirizzi nazionali, regolamenti ambiti riservati allo Stato, eccederebbe dalle competenze regionali risultando invasiva della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Le norme regionali, così come prefigurate dalla disposizione impugnata, altererebbero inevitabilmente, in una rincorsa temporale priva di ragionevolezza, il quadro omogeneo comunque derivante dalla legislazione nazionale.
La norma di cui all’art. 6, comma 4, della legge impugnata, stabilisce che «in sede di prima applicazione delle nuove disposizioni e tenuto conto delle concessioni di costruzione e gestione degli impianti già affidate dal Commissario delegato per l’emergenza ambientale – Presidente della Regione Puglia – sulla base della normativa antecedente l’entrata in vigore del D.Lgs. 152/2006, le AdA [Autorità d’Ambito], in deroga all’unicità della gestione, possono prevedere affidamenti limitati al servizio di raccolta, trasporto e igiene urbana per una durata non superiore al restante periodo di validità della durata delle concessioni degli impianti affidate e, comunque, per non oltre quindici anni. Alla scadenza di tale periodo di prima applicazione, la successiva gara è effettuata garantendo la gestione unitaria del servizio integrato».
Tale norma si porrebbe in contrasto con la vigente normativa statale in materia di rifiuti. La disciplina relativa all’affidamento del servizio di gestione integrata del ciclo dei rifiuti, intesa come insieme di attività dirette alla realizzazione e alla gestione degli impianti, la cui durata è prevista per un periodo non inferiore a quindici anni, è disciplinata dall’articolo 202 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). Secondo tale articolo, l’Autorità d’Ambito, che rappresenta gli Enti locali ricadenti in ciascun ambito territoriale, affida il predetto servizio mediante gara ad evidenza pubblica, ai sensi dell’articolo 113, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti locali), sulla base del principio della unicità della gestione affermato dall’articolo 200, comma 1, lettera a), del medesimo d.lgs. n. 152 del 2006.
La Corte costituzionale, peraltro, osserva il ricorrente, con la recente sentenza n. 307 del 2009, seppure in materia di servizi idrici integrati, ha affermato il principio del superamento della frammentazione verticale delle gestioni, che apparirebbe applicabile, all’esito di una lettura attenta delle norme statali vigenti, anche alla fattispecie in esame.
Pertanto, la norma regionale, che dispone una deroga all’unicità del servizio sopra descritta, prevedendo una sorta di scissione con riguardo agli affidamenti relativi ai servizi di raccolta, trasporto e igiene urbana rispetto alle concessioni di costruzione e gestione degli impianti affidate dal Commissario straordinario, ai sensi della normativa antecedente al d.lgs. n. 152 del 2006, si porrebbe in contrasto con la Costituzione, attenendo la normativa vigente in materia di rifiuti, che mira proprio ad evitare le frammentazioni nella gestione del servizio, alla esclusiva competenza statale.
Né potrebbe ritenersi che la suddetta previsione regionale possa ricadere sotto la disciplina dell’art. 204 del d.lgs. n. 152 del 2006, che riguarda le gestioni esistenti dei servizi inerenti il ciclo dei rifiuti. Tale articolo, infatti, stabilisce che i soggetti che esercitano il servizio, anche in economia, alla data di entrata in vigore della parte quarta del decreto stesso, continuano a gestirlo fino all’istituzione e organizzazione di tale servizio da parte delle Autorità d’Ambito. Pertanto la norma ha posto un termine finale oltre il quale le gestioni esistenti, ancorché affidate per una durata maggiore, debbano cessare, anche anticipatamente, al momento dell’istituzione e organizzazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti da parte delle Autorità d’Ambito.
La norma regionale, quindi violerebbe l’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, che riconosce allo Stato la competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente.
2. – Nel giudizio innanzi alla Corte si è costituita la Regione Puglia, in persona del Presidente della Giunta regionale, che ha concluso per la inammissibilità, o, in subordine, per la infondatezza delle questioni sollevate.
Sotto il primo profilo, si sottolinea nella memoria di costituzione il contenuto del tutto eterogeneo delle norme impugnate, e l’assenza di specificazione dei termini entro i quali ciascuna di esse avrebbe violato i parametri invocati, con conseguente impossibilità di procedere ad una verifica di compatibilità costituzionale funzionale alla pronuncia caducatoria richiesta.
Con specifico riferimento alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera f), della legge regionale n. 36 del 2009, si rileva che la disciplina dei rifiuti investe una pluralità di settori nei quali la individuazione delle competenze non dipende dalla ricerca di una materia in senso tecnico all’interno degli elenchi di cui all’art. 117 Cost., ma dalla rilevanza nazionale o regionale dell’interesse perseguito. Pur essendo indiscutibile la competenza esclusiva dello Stato in materia di ambiente, dunque, sarebbe necessario operare una distinzione, ad esempio, tra tutela e conservazione del bene giuridico, spettanti esclusivamente allo Stato, e utilizzazione e fruizione dell’ambiente, affidate alle competenze regionali.
Il rapporto tra materie regionali e cura di interessi trasversali, proprio perché orizzontale, sarebbe espressione di una relazione biunivoca, da leggere in chiave di reciprocità. Compito dell’interprete sarebbe, dunque, quello di effettuare, in chiave dinamica, un bilanciamento degli interessi pubblici di volta in volta coinvolti. Nelle competenze così delineate – si osserva ancora nella memoria – avviene sovente che la normativa statale funzioni come limite alla disciplina che le Regioni dettano in altre materie di loro pertinenza, sicché queste ultime non possono, in tema di tutela ambientale, dettare una disciplina deteriore rispetto a quella statale, mentre possono attenersi a livelli più elevati, ovvero effettuare interventi di carattere aggiuntivo.
In tale quadro, la censura in esame si limiterebbe a ribadire l’indiscusso principio della competenza esclusiva dello Stato in materia di ambiente, senza tener conto della complessità della questione per i molteplici interessi che su di essa si innestano. La infondatezza della questione nascerebbe anzitutto dalla natura dell’interesse tutelato, che non sarebbe riconducibile alla tutela dell’ambiente, ma al governo del territorio, alla tutela della salute ed alla valorizzazione dei beni ambientali, interessi tutti protetti mediante la compiuta definizione delle funzioni spettanti o delegate alle Province e la gestione del servizio integrato, rientranti nella competenza regionale. Ed infatti, la prima parte della norma impugnata, di per sé non censurata, attribuisce alla competenza regionale la emanazione di linee guida per la gestione integrata dei rifiuti e per l’esercizio delle funzioni di autorizzazione spettanti o delegate alle province. Viene, invece, censurata la seconda parte della disposizione della lettera f) del comma 1 dell’art. 3 della legge, che fa riferimento alla regolamentazione di ambiti di attività soggetti alla previa emanazione di disciplina statale nelle more della determinazione degli indirizzi nazionali, come nel caso dei criteri per l’assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani. È solo tale regolamentazione che recherebbe vulnus, secondo il ricorrente, alle competenze costituzionalmente attribuite allo Stato. Ma – osserva al riguardo la Regione – a parte il rilievo, svolto in dottrina, relativo al pericolo per le prerogative regionali della previsione della competenza dello Stato a dettare linee guida e criteri per l’assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani, la previsione della spettanza alla Regione di interventi temporanei in materia di riconosciuta competenza statale, al solo fine di rendere operative le funzioni spettanti o delegate alle province, non costituisce violazione del riparto di attribuzioni previsto dalla Costituzione.
Sotto altro profilo, il carattere dichiaratamente provvisorio e temporaneo della disposizione impugnata consentirebbe di rilevarne la natura suppletiva e il carattere cedevole.
Inoltre, sottolinea la Regione che, in ogni caso, i criteri da essa dettati non potrebbero comunque travalicare i parametri previsti dal codice dell’ambiente.
Quanto alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 4, della legge regionale n. 36 del 2009, la Regione sottolinea anzitutto che la legge impugnata recepisce integralmente il piano regionale di gestione integrata dei rifiuti risultante dal combinato disposto di una serie di decreti del Commissario delegato per l’emergenza ambientale – Presidente della Regione Puglia, che non è mai stato oggetto di censura.
La necessità della gestione temporanea prevista dalla norma impugnata deriverebbe dalla esigenza di salvaguardare le situazioni preesistenti al momento della entrata in vigore della legge n. 36 del 2009, non essendo ipotizzabile la cessazione immediata delle concessioni già affidate ed operanti, in presenza di situazioni di potenziale rischio per la salute dei cittadini per il danno ambientale. Si tratterebbe di salvaguardare, per una durata non superiore al restante periodo di validità delle concessioni degli impianti affidati, e comunque per non oltre quindici anni, gestioni preesistenti che abbiano dato prova di operare secondo parametri di efficacia sul piano della qualità e dell’economicità dei servizi, per il migliore raggiungimento delle finalità di tutela di interessi affidati alla competenza regionale.
3. – Nell’imminenza della data fissata per l’udienza pubblica, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria, con la quale insiste per l’accoglimento delle questioni sollevate, replicando alle eccezioni di inammissibilità proposte dalla Regione Puglia con il rilievo che il ricorso fa espresso riferimento ai criteri di riparto delle competenze fra Stato e Regione, come individuati dall’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, che costituisce il parametro costituzionale alla stregua del quale valutare la legittimità delle norme impugnate.
Nel merito, ribadito che l’oggetto prevalente della normativa impugnata è la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, si osserva nella memoria che le finalità della normativa medesima, poste in rilievo dalla difesa della Regione, non costituiscono argomenti sufficienti per giustificare eventuali deroghe ai principi dettati dalle preminenti norme statali. Si richiama, altresì, l’art. 196 del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale espressamente stabilisce che le competenze delle Regioni devono essere esercitate «nel rispetto dei principi previsti dalla normativa vigente e dalla parte quarta del presente decreto ivi compresi quelli di cui all’art. 195». Le attività cui si riferisce la normativa regionale denunciata devono essere, dunque, disciplinate secondo gli indirizzi stabiliti dallo Stato nell’esercizio della sua attività di coordinamento. Il legislatore regionale avrebbe, quindi, esorbitato dalle proprie attribuzioni nel disporre che l’esercizio delle funzioni pianificatorie della Regione possa prescindere dalla previa adozione degli indirizzi di carattere generale che la legge statale ritiene essenziali.
Né varrebbe sottolineare, come ha fatto la Regione Puglia, il carattere contingibile e temporaneo delle disposizioni censurate, che non escluderebbe l’esigenza di osservare le disposizioni primarie stabilite dalla legge statale.
Considerato in diritto
1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri dubita della legittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 1, lettera f), secondo periodo, della legge della Regione Puglia 31 dicembre 2009, n. 36 (Norme per l’esercizio delle competenze in materia di gestione dei rifiuti in attuazione del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152), nella parte in cui attribuisce alla Regione il potere di regolamentare gli ambiti di attività soggetti alla previa emanazione di disciplina statale nelle more della determinazione degli indirizzi nazionali, come nel caso dei criteri per l’assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani; nonché dell’articolo 6, comma 4, della predetta legge regionale, che dispone una deroga alla unicità della gestione integrata del ciclo di rifiuti, di cui all’articolo 200, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).
Con riguardo alla prima delle due norme censurate, si lamenta il vulnus all’articolo 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto essa, prevedendo che la Regione, seppure solo fino all’adozione degli indirizzi nazionali, regolamenti ambiti riservati allo Stato, esorbiterebbe dalla propria sfera di competenze. La seconda, nel prevedere una sorta di scissione, con riguardo agli affidamenti relativi ai servizi di raccolta, trasporto e igiene urbana, rispetto alle concessioni di costruzione e gestione degli impianti affidate dal Commissario straordinario ai sensi della normativa antecedente alla entrata in vigore dello stesso d.lgs. n. 152 del 2006, si porrebbe in contrasto con il quadro normativo nazionale in tema di disciplina dei rifiuti, di cui allo stesso d.lgs. n. 152 del 2006, recando, in tal modo, vulnus al criterio costituzionale di riparto delle competenze tra Stato e Regioni di cui all’art. 117 Cost.
La Regione Puglia, nel resistere al ricorso, ne ha eccepito, in via preliminare, la inammissibilità per omessa specificazione dei parametri costituzionali di riferimento e, nel merito, la infondatezza.
L’art. 3, comma 1, lettera f), della legge regionale impugnata non è – sostiene la Regione resistente – contrario alla normativa statale di riferimento, in quanto concerne la determinazione dell’attività di pianificazione spettante alla Regione, in via dichiaratamente provvisoria e temporanea, nelle more della emanazione dei criteri generali uniformi, che dovranno essere definiti dalla amministrazione statale per l’intero territorio nazionale.
L’art. 6, comma 4, della stessa legge, poi, sarebbe legittimo, in quanto la previsione, nella fase di prima applicazione della nuova legge, che si possa procedere all’affidamento di alcuni servizi di raccolta, trasporto ed igiene urbana in deroga al criterio dell’unicità della gestione sarebbe dettata dall’intento di salvaguardare i rapporti concessori instaurati in base alla pregressa disciplina.
2. – L’eccezione di inammissibilità del ricorso prospettata dalla Regione Puglia non è fondata.
Contrariamente all’assunto della resistente, il ricorrente individua correttamente il parametro costituzionale invocato nell’art. 117, comma 2, lettera s), quale norma che determina il riparto di competenze fra Stato e Regione e sulla cui base occorre valutare la legittimità delle norme impugnate.
Ciò è sufficiente per superare la censura di inammissibilità.
2.1. – Nel merito, il ricorso, con riferimento all’art. 3, comma 1, lettera f), secondo periodo, è fondato.
2.2. – La normativa relativa alla gestione dei rifiuti, già contenuta nel decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggi), è attualmente recata dal d.lgs. n. 152 del 2006, che, agli artt. 195-198, in particolare, disciplina il riparto di competenze in materia di rifiuti. Dal quadro che ne risulta emerge che restano attribuite, tra l’altro, alle Regioni alcune funzioni in materia di pianificazione (predisposizione di piani regionali dei rifiuti, di piani di bonifica di aree inquinate, individuazione, nell’ambito delle linee guida generali fissate dallo Stato, degli ambiti territoriali per la gestione dei rifiuti urbani, dei criteri per la determinazione dei siti idonei alla localizzazione degli impianti per lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti).
L’art. 3, comma 1, lettera f), primo periodo, della legge della Regione Puglia n. 36 del 2010, non censurato, attribuisce alla Regione, nella materia della gestione dei rifiuti, tra le funzioni di indirizzo, coordinamento, programmazione e controllo, la competenza alla «emanazione di linee guida per la gestione integrata dei rifiuti nonché per l’esercizio delle funzioni di autorizzazione spettanti o delegate alle province». Il secondo periodo, oggetto di censura, stabilisce che «in particolare, la Regione regolamenta gli ambiti di attività soggetti alla previa emanazione di disciplina statale nelle more della determinazione degli indirizzi nazionali, come nel caso dei criteri per l’assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani».
La competenza in tema di tutela dell’ambiente, in cui rientra la disciplina dei rifiuti, appartiene in via esclusiva allo Stato, e non sono perciò ammesse iniziative delle Regioni di regolamentare nel proprio ambito territoriale la materia (ex plurimis sentenze n. 127 del 2010 e n. 314 del 2009) pur in assenza della relativa disciplina statale.
È bensì vero che questa Corte ha affermato che le Regioni, nell’esercizio delle loro competenze, debbono rispettare la normativa statale di tutela dell’ambiente, ma possono stabilire, per il raggiungimento dei fini propri delle loro competenze (in materia di tutela della salute, di governo del territorio, di valorizzazione dei beni ambientali, etc.), livelli di tutela più elevati (sentenze nn. 61, 30 e 12 del 2009, 105, 104 e 62 del 2008). Con ciò certamente incidendo sul bene materiale ambiente, ma al fine non di tutelarlo, essendo esso salvaguardato dalla disciplina statale, bensì di disciplinare adeguatamente gli oggetti riconducibili alle competenze delle Regioni stesse. Si tratta cioè di un potere insito nelle stesse attribuzioni di queste ultime, al fine della loro esplicazione.
Questi principi non sono però applicabili nella fattispecie, in cui la Regione non dichiara di intervenire nell’ambito della propria competenza, ma per regolamentare «gli ambiti di attività soggetti alla previa emanazione di disciplina statale nelle more della determinazione degli indirizzi nazionali, come nel caso dei criteri per l’assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani», con ciò invadendo la competenza statale. Il legislatore regionale non poteva dunque disporre che l’esercizio delle funzioni pianificatorie della Regione potesse prescindere dalla previa adozione degli indirizzi di carattere generale che la legge statale ritiene invece essenziali.
L’incostituzionalità è limitata al secondo periodo della norma, relativo all’emanazione da parte della Regione di linee guida per la gestione integrata dei rifiuti.
2.3. – Anche con riferimento all’art. 6, comma 4, della legge della Regione Puglia n. 36 del 2009, il ricorso è fondato.
2.4. – La norma censurata stabilisce, con riguardo al piano regionale per la gestione integrata dei rifiuti, che, in sede di prima applicazione delle nuove disposizioni, e tenuto conto delle concessioni di costruzione e gestione degli impianti già affidate dal Commissario delegato per l’emergenza ambientale – Presidente della Regione Puglia – sulla base della normativa antecedente l’entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 2006, le Autorità d’Ambito, in deroga alla unicità della gestione, possono prevedere affidamenti limitati al servizio di raccolta, trasporto e igiene urbana per una durata non superiore al restante periodo di validità della durata delle concessioni degli impianti affidate, e comunque per non oltre quindici anni. Alla scadenza di tale periodo di prima applicazione è poi effettuata la successiva gara assicurandosi la gestione unitaria del servizio integrato.
La disposizione – nell’ammettere la deroga al principio della unicità della gestione integrata dei rifiuti – si pone in contrasto con l’art. 200, comma primo, lettera a), del d.lgs. n. 152 del 2006, secondo cui la gestione dei rifiuti urbani è organizzata, fra l’altro, sulla base del criterio del superamento della frammentazione delle gestioni attraverso un servizio di gestione integrata dei rifiuti.
Poiché anche la disposizione in esame, concernendo la disciplina dei rifiuti interviene nella materia della tutela dell’ambiente, essa invade un ambito di competenza riservato in via esclusiva al legislatore statale.
3. – Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera f), secondo periodo, e dell’art, 6, comma 4, della legge della Regione Puglia n. 36 del 2009, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 3, comma 1, lettera f), secondo periodo, e 6, comma 4, della legge della Regione Puglia 31 dicembre 2009, n. 36 (Norme per l’esercizio delle competenze in materia di gestione dei rifiuti in attuazione del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 2010.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 22 dicembre 2010.