Sentenza n. 183 del 2012

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SENTENZA N. 183

ANNO 2012

 

[ELG:COLLEGIO]

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-          Alfonso                         QUARANTA                        Presidente

-          Franco                          GALLO                                   Giudice

-          Luigi                             MAZZELLA                                 ”

-          Gaetano                        SILVESTRI                                  ”

-          Giuseppe                      TESAURO                                   ”

-          Paolo Maria                  NAPOLITANO                            ”

-          Giuseppe                      FRIGO                                         ”

-          Alessandro                   CRISCUOLO                               ”

-          Paolo                            GROSSI                                       ”

-          Giorgio                         LATTANZI                                  ”

-          Aldo                             CAROSI                                       ”

-          Marta                           CARTABIA                                  ”

-          Sergio                           MATTARELLA                ”

-          Mario Rosario              MORELLI                                    ”

[ELG:PREMESSA]

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 28, commi 3 e 4, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, promosso dalla Provincia autonoma di Trento con ricorso notificato il 14 settembre 2011, depositato in cancelleria il 21 settembre 2011 ed iscritto al n. 97 del registro ricorsi 2011.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; 

udito nell’udienza pubblica del 17 aprile 2012 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi;

uditi l’avvocato Giandomenico Falcon per la Provincia autonoma di Trento e l’avvocato dello Stato Angelo Venturini per il Presidente del Consiglio dei ministri.

[ELG:FATTO]

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 14 settembre 2011 e depositato il successivo 21 settembre (reg. ric. n. 97 del 2011)  la Provincia autonoma di Trento ha promosso questioni di legittimità costituzionale, tra l’altro, dell’articolo 28, commi 3 e 4, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, in  riferimento agli articoli 117, quarto comma, e 118 della Costituzione, agli articoli 9, numero 3), e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), al d.P.R. 31 luglio 1978, n. 1017 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di artigianato, incremento della produzione industriale, cave e torbiere, commercio, fiere e mercati), all’articolo 15 del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla regione Trentino-Alto Adige ed alle province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616), all’articolo 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), nonché al principio di leale collaborazione.

L’art. 28, commi 3 e 4, del decreto-legge n. 98 del 2011 prevede che «entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano emanano indirizzi ai comuni per la chiusura effettiva degli impianti dichiarati incompatibili ai sensi del decreto del Ministro delle attività produttive in data 31 ottobre 2001, nonché ai sensi dei criteri di incompatibilità successivamente individuati dalle normative regionali di settore» e che «[c]omunque, i Comuni che non abbiano già provveduto all’individuazione ed alla chiusura degli impianti incompatibili ai sensi del decreto del Ministro delle attività produttive in data 31 ottobre 2001 o ai sensi dei criteri di incompatibilità successivamente individuati dalle normative regionali di settore, provvedono in tal senso entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, dandone comunicazione alla regione ed al Ministero dello sviluppo economico».

La Provincia afferma che la normativa sulla distribuzione dei carburanti è ascrivibile alla materia del commercio, per la quale essa vanta, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost. e dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), potestà legislativa residuale, e che tale potestà è già stata esercitata con la legge provinciale 30 luglio 2010, n. 17 (Disciplina dell’attività commerciale): l’art. 36 di tale ultima legge ha attribuito agli uffici della Provincia, e non ai Comuni, le funzioni amministrative concernenti l’autorizzazione all’installazione di impianti di carburante.

Ne dovrebbe seguire l’illegittimità di una normativa statale che pretenda di assoggettare Provincia e Comuni del territorio provinciale ai criteri dettati da un decreto ministeriale in punto di chiusura degli impianti distributivi, ovvero da un atto secondario originariamente inefficace rispetto alla Provincia.

Parimenti, ai sensi dell’art. 16 dello statuto, alla potestà legislativa si accompagna quella di allocazione delle funzioni amministrative: in particolare, posto che le funzioni relative agli impianti di distribuzione del carburante spettano alla Provincia, la norma impugnata ne avrebbe reso illegittimamente destinatari i Comuni.

Infine, la circostanza per cui tali competenze andrebbero esercitate entro un breve termine sarebbe in contrasto con l’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 266 del 1992, a mente del quale i vincoli derivanti dalla legislazione statale non operano in via diretta, ma determinano soltanto un obbligo di adeguamento della legislazione provinciale.

2.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.

L’Avvocatura ritiene che l’art. 28, commi 3 e 4, impugnato, sia finalizzato a garantire «un migliore assetto concorrenziale e un più efficiente funzionamento del mercato, mediante una riforma della rete distributiva dei carburanti». La norma impugnata sarebbe perciò espressiva della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.).

3.– Nell’imminenza dell’udienza pubblica, la Provincia autonoma di Trento ha depositato una memoria, insistendo per l’accoglimento del ricorso.

La ricorrente contesta, anzitutto, che la norma impugnata possa essere ricondotta alla materia “tutela della concorrenza”, poiché «la razionalizzazione della rete distributiva dei carburanti non agevola l’accesso al mercato ma, anzi, lo restringe». In ogni caso, aggiunge la Provincia, l’autonomia statutaria non potrebbe venire limitata sulla base di tale titolo di competenza. Ove ciò dovesse verificarsi con riguardo alla materia residuale del commercio, ai sensi dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, tale effetto dovrebbe ritenersi impedito dalle più favorevoli attribuzioni statutarie in materia di commercio (art. 9, numero 3, del d.P.R. n. 670 del 1972).

[ELG:DIRITTO]

Considerato in diritto

1.– La Giunta della Provincia autonoma di Trento – con deliberazione dell’8 settembre 2011, n. 1931, adottata d’urgenza ai sensi dell’art. 54, numero 7), del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) e ratificata dal Consiglio della medesima Provincia con deliberazione dell’8 novembre 2011, n. 11 – ha promosso in via principale, con ricorso notificato il 14 settembre 2011 e depositato il successivo 21 settembre, questioni di legittimità costituzionale, tra l’altro, dell’articolo 28, commi 3 e 4, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, in riferimento agli articoli 117, quarto comma, e 118 della Costituzione, agli articoli 9, numero 3), e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), al d.P.R. 31 luglio 1978, n. 1017 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di artigianato, incremento della produzione industriale, cave e torbiere, commercio, fiere e mercati), all’articolo 15 del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla regione Trentino-Alto Adige ed alle province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616), all’articolo 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), nonché al principio di leale collaborazione.

La disposizione impugnata stabilisce che «entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano emanano indirizzi ai comuni per la chiusura effettiva degli impianti dichiarati incompatibili ai sensi del decreto del Ministro delle attività produttive in data 31 ottobre 2001, nonché ai sensi dei criteri di incompatibilità successivamente individuati dalle normative regionali di settore» e che «[c]omunque, i Comuni che non abbiano già provveduto all’individuazione ed alla chiusura degli impianti incompatibili ai sensi del decreto del Ministro delle attività produttive in data 31 ottobre 2001 o ai sensi dei criteri di incompatibilità successivamente individuati dalle normative regionali di settore, provvedono in tal senso entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, dandone comunicazione alla regione ed al Ministero dello sviluppo economico».

La ricorrente ritiene che la norma impugnata attenga alla materia del commercio, oggetto di potestà legislativa residuale, con la conseguenza che la legge dello Stato non potrebbe né assoggettare la Provincia all’osservanza del decreto ministeriale del 31 ottobre 2001, né allocare presso i Comuni la corrispondente funzione amministrativa.

2.– L’atto di ratifica, da parte del Consiglio provinciale, dell’iniziativa della Giunta di promozione del ricorso in via d’urgenza è stato depositato tardivamente, ovvero oltre il termine per la costituzione in giudizio della ricorrente. Tuttavia, proprio con riferimento all’odierno ricorso, nella parte in cui esso sollevava altre questioni di legittimità costituzionale, questa Corte ha già ritenuto che il ritardo, nel peculiare caso di specie, non comporti un’inammissibilità, giacché l’obiettiva incertezza interpretativa delle norme processuali in materia, alimentata dalla lunga prassi della Corte di non rilevare tale inammissibilità, ha indotto la ricorrente in errore scusabile (sentenza n. 142 del 2012).

3.– Dopo la proposizione del ricorso, alla disposizione censurata è stata aggiunta un’ulteriore previsione, recata dall’art. 17, comma 4, lettera c), del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27. Si è con essa aggiunto un ultimo periodo al comma 4 dell’art. 28 del decreto-legge n. 98 del 2011, inibendo ai Comuni di rilasciare nuove autorizzazioni o proroghe di autorizzazioni relativamente agli impianti incompatibili. È palese che lo ius superveniens non ha carattere satisfattivo delle pretese avanzate dalla ricorrente, sicché va escluso che esso determini cessazione della materia del contendere.

4.– In via preliminare, va dichiarata l’inammissibilità della censura basata sulla violazione del principio di leale collaborazione, in quanto priva di motivazione.

5.– Le altre censure della ricorrente si fondano esclusivamente sulla competenza in materia di commercio, alla quale la Provincia annette entrambe le previsioni impugnate, invocando a tal fine sia la prerogativa statutaria, di carattere concorrente, assegnata dall’art. 9, numero 3), del d.P.R. n. 670 del 1972, sia l’art. 117, quarto comma, Cost.

Posto che tale ultima disposizione costituzionale rende il commercio oggetto di potestà legislativa residuale, non è dubbio che essa trovi applicazione a vantaggio della Provincia autonoma, con esclusione della meno favorevole disciplina statutaria (ex plurimis, sentenze n. 18 del 2012; n. 150 del 2011; n. 247 del 2010; ordinanza n. 199 del 2006).

Questa Corte perciò è chiamata a decidere se le norme impugnate, avuto riguardo alla finalità cui sono preposte e alla natura degli interessi che esse vengono obiettivamente a conformare, vadano ascritte alla materia del commercio, dovendosi, in caso contrario, ritenere non fondate le questioni di legittimità costituzionale proposte esclusivamente sulla base di questo parametro costituzionale.

6.– Le questioni non sono fondate.

Va, a tal proposito, osservato che un intervento di ammodernamento e di razionalizzazione della rete dei distributori di carburante costituisce da tempo risalente un obiettivo della legislazione statale.

Fin dai d.P.C.m. 8 luglio 1978 (Direttive alle regioni a statuto ordinario per l’esercizio delle funzioni delegate in materia di distribuzione di carburanti) e 31 dicembre 1982 (Aggiornamento delle direttive alle regioni a statuto ordinario per l’esercizio delle funzioni delegate in materia di distribuzione automatica di carburanti per uso di autotrazione) è stata, in particolare, perseguita dallo Stato la finalità di ridurre i punti vendita, per raggiungere l’“erogato medio europeo”, pur nel quadro dell’ampia delega alle Regioni delle funzioni amministrative relative ai distributori di carburante, ai sensi dell’art. 52, comma 1, lettera a), del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all’art. 1 della L. 22 luglio 1975, n. 382), successivamente trasferite con l’art. 41, comma 2, lettera d), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59).

Sulla base della delega conferita con l’art. 4, comma 4, lettera c), della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), mirata a conseguire la «razionalizzazione della rete commerciale anche in relazione all’obiettivo del contenimento dei prezzi e dell’efficienza della distribuzione», il decreto legislativo 11 febbraio 1998, n. 32 (Razionalizzazione del sistema di distribuzione dei carburanti, a norma dell’articolo 4, comma 4, lettera c, della L. 15 marzo 1997, n. 59) ha sottratto l’installazione e la gestione degli impianti al regime concessorio, rendendole attività libere, esercitabili previa autorizzazione (art. 1). Nel contempo, e allo scopo di bilanciare tale previsione con criteri idonei ad accompagnare un armonico sviluppo della rete, l’art. 2, comma 1, del medesimo d.lgs. n. 32 del 1998 ha demandato ai Comuni il compito di individuare le aree compatibili con l’installazione, favorendo la revoca delle autorizzazioni relative ad impianti incompatibili (art. 3, comma 2). Fin dalle origini, pertanto, la normativa dello Stato ha perseguito una finalità di razionalizzazione e snellimento della ipertrofica rete distributiva nazionale, tesa a ricondurla nei limiti dei livelli propri degli altri paesi europei (art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 32 del 1998).

Un impulso decisivo in questa direzione è stato impresso dall’art. 19 della legge 5 marzo 2001, n. 57 (Disposizioni in materia di apertura e regolazione dei mercati), recante «norme per l’ammodernamento della rete distributiva dei carburanti». È stato, infatti, elaborato un intervento volto, tra l’altro, alla chiusura degli impianti incompatibili, scandito sul duplice livello del Piano nazionale, adottato d’intesa con la Conferenza unificata, e dei successivi piani regionali, concepiti in coerenza con il primo.

Il d.m. 31 ottobre 2001, la cui attuazione viene ora imposta al sistema regionale e delle autonomie locali dalle norme impugnate, reca per l’appunto il Piano nazionale di cui si è appena fatto cenno, nell’ambito del quale risultano direttamente individuate talune incompatibilità, nei centri abitati e fuori dai centri abitati, mentre largo spazio viene contestualmente riconosciuto all’autonomia regionale, con riguardo sia ad eventuali deroghe, sia alla programmazione integrativa offerta dai piani regionali, al punto che spetta a questi ultimi definire i bacini d’utenza, sulla base di parametri quali l’erogato totale, i veicoli circolanti, il numero di abitanti, il numero dei punti vendita esistenti, le tipologie prevalenti di viabilità, i flussi di traffico, la stagionalità della domanda per motivazioni turistiche.

Con la disposizione impugnata, i criteri indicati in origine dal d.m. 31 ottobre 2011, evidentemente rimasto in larga parte inattuato, sono stati recepiti in forma di legge, sicché va escluso che lo Stato, nel caso di specie, pretenda di limitare l’autonomia legislativa regionale per mezzo di un atto secondario, cosa che non gli sarebbe consentita (ex plurimis, sentenze n. 209 del 2009n. 267 del 2003).

7.– Ciò chiarito, va rimarcato, quanto alle incompatibilità immediatamente selezionate dal Piano nazionale e a cui i Comuni sono comunque tenuti a conferire attuazione entro 120 giorni (art. 28, comma 4, del decreto-legge n. 98 del 2011), che esse riguardano circoscritte ipotesi connesse alla localizzazione sensibile dell’impianto, in prossimità di zone pedonali, zone a traffico limitato, sedi stradali, biforcazioni di strade, curve, incroci e accessi di rilevante importanza.

Si tratta, perciò, di limitate fattispecie, attinenti non già ai profili di esercizio dell’attività, nell’ambito della disciplina del commercio, ma alla tutela di interessi precipuamente legati all’assetto del territorio, alla viabilità, alla sicurezza e all’incolumità della circolazione stradale, questi ultimi di esclusiva spettanza dello Stato (sentenze n. 428 del 2004 e n. 31 del 2001) e, per quanto attiene ai primi, quand’anche parzialmente di spettanza regionale, comunque estranei al commercio.

Con riferimento, poi, alle più ampie previsioni concernenti la programmazione regionale contenute nel d.m. 31 ottobre 2001, non sfugge che l’impugnato art. 28, comma 3, del decreto-legge n. 98 del 2011, recepito, come si è visto, dalla legge impugnata, demanda ai Comuni anche il compito di chiudere gli impianti incompatibili con la normativa regionale di settore, la quale, a sua volta, si sviluppa a partire dalla programmazione nazionale, e in coerenza con gli obiettivi indicati dalla legislazione statale e dal Piano nazionale. Vi è, pertanto, un’ampia parte di normazione riservata alla competenza regionale e delle Province autonome, sia pure sulla base dei principi fondamentali espressi dalla legge dello Stato.

Ne segue che, per giungersi a una pronuncia di illegittimità costituzionale, si dovrebbe ritenere che alla legislazione statale sia preclusa finanche la formulazione di detti principi, sotto forma di criteri strategici e obiettivi mirati alla razionalizzazione della rete, ovvero che la disposizione impugnata sia da attribuire con carattere di prevalenza alla sfera di potestà legislativa residuale della Provincia, e in particolare, nel caso di specie, al commercio.

È invece vero il contrario. Benché, infatti, la materia del commercio non sia estranea ai profili organizzativi e gestionali degli impianti di distribuzione del carburante (sentenza n. 559 del 1988), tuttavia, con riferimento a organici interventi di ammodernamento e razionalizzazione dell’intera rete, questa Corte ha già affermato la sussistenza di uno spazio conservato alla cura del legislatore statale, e tale, nei casi di potestà esclusiva, da consentire l’esercizio della stessa funzione regolamentare (sentenza n. 159 del 2001).

In particolare, per quanto attiene alla chiusura degli impianti incompatibili, gli obiettivi di «efficienza della distribuzione» (art. 4, comma 4, lettera c, della legge n. 59 del 1997), di qualità ed efficienza del servizio e di razionalizzazione del sistema distributivo (art. 19, comma 1, della legge n. 57 del 2001) incidono con prevalenza sulla competenza concorrente relativa alla distribuzione dell’energia (art. 117, terzo comma, Cost.), come questa Corte ha già ritenuto con la sentenza n. 172 del 2004.

Al contempo, gli ulteriori interessi selezionati, su un piano più generale, dall’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 32 del 1998, attinenti al governo del territorio, alla tutela dell’ambiente, alla circolazione e sicurezza stradale, alla tutela dei beni di interesse storico e architettonico, sono a propria volta estranei all’area del commercio.

Avuto, perciò, riguardo al contesto normativo entro cui si collocano gli interventi volti alla chiusura degli impianti incompatibili, e al quale va ascritto il d.m. 31 ottobre 2001, appare chiaro che la potestà legislativa residuale in materia di commercio, posta a fondamento dell’odierno ricorso, è recessiva, rispetto all’intreccio di sfere di competenza esclusiva dello Stato e di competenza concorrente.

8.– Va poi da sé che la Provincia neppure può giovarsi dell’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, nella parte in cui le assegna sei mesi di tempo per adeguarsi ai principi formulati dalla legislazione statale, giacché a tal fine la ricorrente avrebbe dovuto individuare, e porre a base del ricorso, una competenza provinciale soggetta all’obbligo di conformazione alla legislazione statale (sentenze n. 209 del 2009; n. 308 del 2003; n. 267 del 2003; n. 84 del 2001). Una volta escluso che la disposizione impugnata attenga alla materia del commercio, e in difetto di ulteriori parametri di competenza selezionati dal ricorso, anche questa censura risulta dunque non fondata.

9.– La Provincia lamenta, altresì, che la disposizione impugnata abbia conferito ai Comuni del territorio compiti che l’art. 36 della legge provinciale 30 luglio 2010, n. 17 (Disciplina dell’attività commerciale) riserverebbe alla Provincia stessa.

In effetti, nella Provincia autonoma di Trento il rilascio dell’autorizzazione all’installazione e all’esercizio degli impianti stradali e autostradali di distribuzione del carburante è riservato agli uffici provinciali, che ne danno comunicazione ai Comuni.

È perciò naturale che anche la funzione di chiusura degli impianti incompatibili sia esercitata dai medesimi uffici: a ciò non osta la disposizione impugnata, la quale muove dal presupposto che, come è generalmente previsto, questa competenza sia del Comune, ma non esclude che, laddove diversamente stabilito dalla normativa regionale e provinciale,  essa venga esercitata da altro livello di governo.

L’erroneo presupposto interpretativo da cui è originata la censura ne determina, perciò, a prescindere da ogni altra considerazione, la non fondatezza.

[ELG:DISPOSITIVO]

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione sulle ulteriori questioni di legittimità costituzionale proposte con il ricorso indicato in epigrafe,

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 28, commi 3 e 4, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento al principio di leale collaborazione, con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 28, commi 3 e 4, del decreto-legge n. 98 del 2011, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli articoli 117, quarto comma, e 118 della Costituzione, agli articoli 9, numero 3), e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), al d.P.R. 31 luglio 1978, n. 1017 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di artigianato, incremento della produzione industriale, cave e torbiere, commercio, fiere e mercati), all’articolo 15 del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla regione Trentino-Alto Adige ed alle province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616), all’articolo 2 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2012.

[ELG:FIRME]

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Giorgio LATTANZI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 12 luglio 2012. [ELG:ALLEGATO]